00 17/03/2016 20:11
LIBRO SECONDO


LIBRO SECONDO


 


 


Prologo.


1. 1. Con un trattato non breve ma molto necessario, da noi circoscritto nell'ambito di un solo libro, abbiamo confutato la stoltezza di coloro che si arrogano il diritto di deridere quei discepoli di Cristo che hanno scritto il Vangelo, motivando l'accusa sul fatto che non ci è possibile citare passi scritti di persona dallo stesso Cristo. Di lui essi dicono non esserci alcun dubbio che lo si debba onorare, non però come Dio ma come un uomo che per sapienza supera di gran lunga tutti gli altri uomini; e pretendono di sapere che egli verosimilmente scrisse cose ben accette da quanti hanno smarrito la retta via, ma non tali che, leggendole e credendo in esse, li facciano recedere dalla loro perversione. Terminato questo discorso, ora vogliamo esaminare quanto su Cristo hanno scritto i quattro evangelisti e vedere com'essi siano coerenti ciascuno con se stesso e poi anche i quattro tra di loro. Con ciò verrà tolto ogni motivo di scandalo nei confronti della fede cristiana anche a coloro che andranno a leggere questi libri mossi da curiosità ma sprovvisti di solida preparazione. Succede infatti che costoro, leggendo i testi evangelici non alla buona ma investigandoli con abbastanza attenzione, si creano l'opinione che in essi ci siano affermazioni fra loro contrastanti e inconciliabili, di fronte alle quali si credono in dovere di venirci a rinfacciare litigiosamente l'esistenza di tali difficoltà più che non esaminarle con la necessaria diligenza.


La genealogia di Gesù.


1. 2. L'evangelista Matteo comincia con queste parole: Genealogia di Gesù Cristo, figlio di Davide, figlio di Abramo 1. Iniziando in tal modo il suo libro mostra con sufficiente chiarezza che egli si propone di narrare l'origine di Cristo secondo la carne, per la quale appunto Cristo è Figlio dell'uomo 2. Così infatti egli denomina spessissimo se stesso, inculcandoci ciò che misericordiosamente s'è degnato diventare per noi. Di lui si predica anche una generazione celeste ed eterna per la quale è il Figlio unigenito di Dio, nato prima di ogni creatura - per mezzo di lui infatti sono state create tutte le cose 3 -; ma questa generazione è talmente ineffabile che ad essa va ragionevolmente applicato il detto del Profeta: La sua generazione, chi potrà narrarla? 4 Matteo dunque espone la generazione umana di Cristo, e ne ricorda gli avi cominciando da Abramo e giungendo a Giuseppe, lo sposo di Maria dalla quale nacque Gesù. Non gli era consentito, al riguardo, supporre Giuseppe mancante del vincolo sponsale che lo legava a Maria per il fatto che costei generò Cristo non da un rapporto fisico con lui ma rimanendo vergine. Con questo esempio s'inculca ai cristiani sposati una dottrina meravigliosa, e cioè che il matrimonio vige e merita tale nome anche quando di comune accordo gli sposi osservano la continenza, e quindi fra loro non c'è unione sessuale ma si custodisce l'affetto dell'anima. Questo vale a maggior ragione dei genitori di Cristo, per il fatto che essi ebbero anche un figlio pur non avendo rapporti carnali, leciti soltanto per la procreazione dei figli. Né si dica che Giuseppe non debba essere chiamato padre di Cristo perché non l'aveva generato fecondando la sua sposa, se è vero, com'è vero, che sarebbe stato padre anche di un figlio non nato da sua moglie ma adottato da un'altra coppia.


1. 3. È vero indubbiamente che Cristo era ritenuto figlio di Giuseppe anche nell'altro senso, cioè come se fosse stato generato propriamente dalla sua carne; ma così pensavano quanti non conoscevano la verginità di Maria. Lo riferisce Luca: Gesù quando incominciò [il suo ministero] aveva circa trent'anni ed era figlio, come si credeva, di Giuseppe 5. Lo stesso Luca non si limita a chiamare genitrice di Gesù la sola Maria ma di tutt'e due dice che erano suoi genitori. Ecco le sue parole: Il fanciullo cresceva e si irrobustiva pieno di sapienza e la grazia di Dio era in lui. E i suoi genitori andavano a Gerusalemme tutti gli anni per la solennità della Pasqua 6. Né si deve pensare che in questo passo siano da intendersi come " suoi genitori " i parenti di Maria, inclusa con essi la stessa sua madre. Cosa infatti potrebbe rispondere uno che così la pensasse a quel che antecedentemente lo stesso Luca aveva detto, e cioè che suo padre e sua madre si meravigliavano delle cose che si dicevano di lui 7? Orbene, questo Luca racconta che Cristo nacque da Maria, la quale rimase vergine e non ebbe rapporti carnali con Giuseppe. In che senso dunque l'avrà chiamato padre di Gesù se non in quanto era sposo di Maria? E come tale lo riteniamo anche noi per l'unione sponsale che ci fu tra loro pur mancando fra loro il rapporto carnale. Per questo motivo noi riteniamo Giuseppe padre di Cristo, nato solamente dalla sposa di lui, in un senso molto più stretto che se fosse stato adottato da una coppia estranea. In tal modo si rende evidente che le parole: A quel che si credeva, figlio di Giuseppe 8, sono state scritte dall'evangelista rapportandole a quei tali che lo credevano nato da Giuseppe come nascono comunemente gli uomini.


II Cristo figlio di Davide.


2. 4. Ammesso tutto questo, anche se si riuscisse a dimostrare che Maria non fu in alcun modo imparentata con la stirpe di Davide 9, per ritenere Cristo figlio di Davide sarebbe sufficiente il motivo che autorizza a chiamare Giuseppe padre di lui. Ma c'è di più. Se infatti l'apostolo Paolo con estrema chiarezza dice che Cristo secondo la carne è figlio di Davide 10, non c'è dubbio che anche Maria per una qualche parentela derivi dalla stirpe di Davide. Di lei non si passa sotto silenzio che apparteneva alla tribù sacerdotale in quanto era consanguinea di quell'Elisabetta 11 che - come lascia intravedere Luca - era discendente di Aronne 12. Pertanto è da ritenersi con assoluta sicurezza che il corpo di Cristo derivò dalla stirpe regia e da quella sacerdotale, e rivestendo questa duplice personalità rappresentava, in relazione con le usanze del popolo ebraico, anche l'unzione mistica, cioè il crisma a cui evidentemente si richiama il nome di Cristo, che in tal modo veniva preannunziato tanto tempo prima anche attraverso questa denominazione estremamente significativa.


Gli antenati di Cristo secondo Matteo e secondo Luca.


3. 5. Adesso una risposta a quanti sono impressionati dal fatto che Matteo, con ordine discendente da Davide fino a Giuseppe 13, elenca una serie di antenati di Cristo, mentre un'altra ne riferisce Luca risalendo da Giuseppe a Davide 14. Costoro dovranno tener presente che, com'è facile, Giuseppe poté avere due padri: uno, quello che lo generò; un altro, quello che lo adottò. Anche nel popolo di Dio infatti vigeva fin dai tempi antichi la costumanza di adottare figli, considerando come figli propri quelli che non si era generati. Non cito qui l'esempio della figlia del faraone, che adottò Mosè 15, poiché lei era una estranea al popolo eletto, ma è certo che Giacobbe, con parole quanto mai esplicite, adottò i suoi nipoti, cioè i figli di Giuseppe, dicendo: Orbene, i tuoi due figli che ti sono nati prima che io venissi da te sono miei: Efraim e Manasse saranno miei come Ruben e Simeone; saranno invece tuoi i figli che genererai in seguito 16. Per tal motivo è avvenuto che fossero dodici le tribù d'Israele, sebbene non si computasse la tribù di Levi, che prestava servizio nel tempio. Contando anche questa, le tribù d'Israele sarebbero state tredici, poiché erano già dodici i figli nati da Giacobbe. Da ciò si comprende che Luca nel suo Vangelo non ha inserito, di Giuseppe, il padre da cui era stato generato ma quello da cui era stato adottato 17, riferendoci in ordine ascendente gli antenati di lui fino ad arrivare a Davide. In realtà se è doveroso ritenere che i due evangelisti, Matteo e Luca, ci raccontano la verità, ne segue necessariamente che l'uno ci ha descritto l'origine di Giuseppe dicendoci il padre che l'aveva generato, mentre l'altro colui che l'aveva adottato. Ora, fra i due, chi dovremo ritenere con maggiore probabilità che ci abbia voluto segnalare il padre adottivo di Giuseppe se non colui che, narrando di chi egli era figlio, si astenne dal precisare che l'aveva generato? Più agevolmente infatti poté dire di lui che era suo figlio in quanto l'aveva adottato, che non se avesse detto che l'aveva generato, mentre in effetti non era nato dalla sua carne. Il contrario è di Matteo. Dicendo: Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe 18 e così di seguito insistendo nel verbo generare fino a dirci, terminando la serie: Giacobbe generò Giuseppe19, ha sottolineato in maniera sufficientemente chiara che egli, nel tracciare la serie degli antenati di Giuseppe, la stilò in modo d'arrivare non al padre che lo aveva adottato ma a colui che davvero l'aveva generato.


3. 6. Ma ammettiamo, per ipotesi, che anche Luca avesse detto, di Giuseppe, che fu generato da Eli. Nemmeno in questo caso la parola " generare " dovrebbe turbarci al segno da farci credere diversamente; noi riterremmo parimenti che un evangelista volle tramandare il nome del padre che lo generò e l'altro quello di colui che l'adottò come figlio. Quando infatti uno adotta un figlio, non è assurdo dire di lui che lo genera: evidentemente non nell'ordine della carne ma in quello dell'amore. Non altrimenti riteniamo di noi stessi quando affermiamo che Dio ci ha dato il potere di diventare figli di Dio 20: egli non ci ha generati dalla sua natura ed essenza, come ha fatto per il suo Figlio unico, ma ci ha adottati per amore 21. La parola " generare " torna di frequente sulla penna dell'Apostolo, e si capisce in che senso. Egli non intende altro se non rilevare la distinzione che c'è fra noi e l'Unigenito nato prima di ogni creatura, colui ad opera del quale tutte le cose furono fatte e che, solo, è nato dalla sostanza del Padre ed è, nell'uguaglianza della natura divina, assolutamente lo stesso che il Padre. Di lui dice che fu mandato ad assumere la carne da quella stirpe cui per natura apparteniamo noi: con la conseguenza che, divenendo lui per amore partecipe della nostra mortalità, ha reso noi mediante l'adozione partecipi della sua divinità. Ecco le sue parole: Quando giunse la pienezza del tempo Dio mandò il suo Figlio, generato da donna, generato sotto la legge, per riscattare quelli che erano sotto la legge e noi ricevessimo l'adozione a figli 22. Altrove si dice di noi che siamo nati da Dio, cioè: noi che per natura eravamo semplici uomini abbiamo ricevuto il potere di diventare figli di Dio, e tali diventiamo per grazia, non per l'origine naturale 23. Se infatti fossimo già stati suoi figli per natura, mai saremmo stati un qualcosa di diverso. Giovanni però si esprime così: A coloro che credono nel suo nome ha dato il potere di diventare figli di Dio, e prosegue: Costoro non sono nati da sangue né da volontà della carne né da volontà dell'uomo ma da Dio 24. Egli pertanto afferma che tutti quelli che sono nati da Dio 25 sono diventati figli di Dio per un potere da loro ricevuto - la qual cosa indica Paolo col termine " adozione " -; e per chiarire meglio quale sia stata la grazia che ciò ha prodotto, dice: E il Verbo si è fatto carne e ha preso dimora fra noi 26. Con queste parole sembra volerci dire: Cosa c'è di sorprendente se gli uomini, che sono carne, sono diventati figli di Dio quando per essi l'unigenito Figlio, che era il Verbo di Dio, si è fatto carne? È tuttavia da rilevarsi la gran differenza che c'è in questo passaggio, e cioè che noi diventando figli di Dio siamo cambiati in meglio mentre lui, Figlio eterno di Dio, quando è divenuto Figlio dell'uomo non si è cambiato in peggio ma ha solamente assunto in sé quel che gli era inferiore. Lo dice anche Giacomo: Con un atto della sua volontà egli ci ha generati mediante il Verbo della verità, perché noi fossimo come una primizia della sua creazione 27. Con ciò egli vuol indicare che, sebbene sia usata la parola generare, noi non dobbiamo credere d'essere diventati la stessa cosa che è Dio, e sottolinea in maniera sufficientemente chiara che a noi, mediante l'adozione divina, è stata concessa soltanto una dignità che ci eleva nell'ordine creaturale.


3. 7. In base a ciò, non avrebbe stravolto la verità Luca, anche se avesse detto di Giuseppe che l'aveva generato quel padre dal quale era stato invece solo adottato. Con tale atto in realtà egli lo generò, non nel senso che lo fece esistere come uomo ma in quanto lo rese suo figlio. In questa maniera infatti ci ha generati Dio quando ha reso suoi figli noi che eravamo stati da lui creati come uomini. Per quanto invece riguarda il suo Unigenito, Dio l'ha generato non solo come Figlio - cosa che non è il Padre - ma anche come Dio, cosa che è anche il Padre. È ovvio tuttavia che, se anche Luca avesse usato il verbo generare, sarebbe rimasto totalmente incerto quale dei due evangelisti ci abbia tramandato il padre che lo adottò e quale il padre che realmente lo procreò. Lo stesso dovrebbe dirsi se nessuno dei due avesse usato il temine generare ma ci avessero detto l'uno che era figlio di questo e l'altro di quello. Sarebbe rimasto sempre incerto quale dei due ci avesse riferito il padre da cui nacque e quale il padre da cui fu adottato. In realtà però uno ci dice: Giacobbe generò Giuseppe 28, e l'altro: Giuseppe, figlio di Eli 29. Usando parole diverse, con ciò stesso ci hanno segnalato in maniera elegante cosa si proponeva ciascuno. Evidentemente una tale soluzione può, come ho detto, venire in mente - e con facilità - alla persona pia che ritiene doversi cercare ogni altra soluzione e mai pensare che gli evangelisti abbiano mentito. Dico che un uomo simile facilmente trova la maniera per spiegare i motivi per i quali di una persona si può asserire che abbia avuto due padri. La cosa potrebbe venire in mente - è vero - anche a chi va in cerca di calunnie, ma costoro preferiscono il litigio alla seria riflessione.


Matteo riporta quaranta generazioni di Cristo.


4. 8. Indagare su ciò che inoltre potrebbe dedursi, richiede veramente - come ho già notato e come ciascuno può vedere - un lettore quanto mai attento e diligente. È stato infatti notato con acutezza che Matteo, volendo presentare la persona di Cristo investita di potere regale, nel riferire la serie delle generazioni nomina quaranta uomini, escluso lo stesso Cristo 30. Orbene, questo numero rappresenta il tempo che trascorriamo in questo mondo e qui sulla terra: un tempo nel quale dobbiamo essere guidati da Cristo con pedagogia severa e dolorosa, cioè quella pedagogia con la quale, come sta scritto, Dio flagella ogni figlio che riconosce 31. Parlando di questa pedagogia, dice l'Apostolo che noi dobbiamo entrare nel regno di Dio per la via della tribolazione 32. Essa è raffigurata anche da quello scettro di ferro di cui si legge nel Salmo: Li dominerai con scettro di ferro 33, mentre poco prima aveva detto: Io sono stato da lui costituito re sul Sion suo monte santo 34. In realtà anche i buoni vengono governati con scettro di ferro, se di loro è stato detto: È tempo che cominci il giudizio dalla casa del Signore. E se tale è il suo inizio, che avviene in noi, quale ne sarà la fine in coloro che non credono al Vangelo di Dio? E se a mala pena riuscirà a salvarsi il santo, dove andranno a finire l'empio e il peccatore? 35 Ad essi infatti si riferisce il testo: Come vasi d'argilla li frantumerai 36. Con tale disciplina vengono dunque governati i buoni, mentre i cattivi sono annientati, sebbene siano anch'essi ricordati, per il fatto che i buoni e i cattivi hanno ora in comune gli stessi e identici sacramenti.


4. 9. Che mediante questo numero venga rappresentato l'attuale periodo di vita travagliata in cui sotto la guida severa di Cristo re combattiamo contro il diavolo, lo manifesta anche il fatto che durò quaranta giorni il digiuno - che è un tempo di umiliazione dell'anima - consacrato dalla Legge e dai Profeti nelle persone di Mosè e di Elia, che digiunarono appunto quaranta giorni 37. Così anche il Vangelo ci parla del digiuno del Signore, durato quaranta giorni, durante i quali veniva tentato dal diavolo 38. E cosa intendeva significarci il Signore con questo digiuno? Egli nella carne che si era degnato assumere dalla nostra mortalità voleva offrirci una figura della tentazione a cui siamo sottoposti noi per tutta la durata della vita presente. Ugualmente dopo la risurrezione non volle restare in terra con i discepoli per più di quaranta giorni 39, partecipando in maniera umana alla loro vita presente e prendendo, sebbene immortale, il cibo dei mortali come essi prendevano. Limitandosi a restare con loro quaranta giorni voleva indicare che sarebbe stata invisibile la presenza promessa quando aveva detto: Ecco io sono con voi sino alla fine del mondo 40. Quanto poi al motivo per cui il numero quaranta significa la presente vita temporale, ce ne potranno essere probabilmente altri più reconditi, ma qui sul momento mi vien da pensare, come motivo immediato, che anche i periodi dell'anno si snodano in quattro stagioni e che il mondo è delimitato in quattro parti, che a volte la Scrittura denomina dal nome dei venti: Oriente, Occidente, Settentrione e Meridione 41. Ora, quaranta è dieci per quattro, e lo stesso numero dieci si raggiunge sommando l'uno dopo l'altro i numeri da uno fino a quattro.


4. 10. Cristo re veniva dunque in questo mondo e, partecipando della vita terrena e mortale di noi uomini, intendeva sostenerci nel faticoso combattimento contro le tentazioni che incontriamo quaggiù. Per questo motivo Matteo inizia il suo racconto da Abramo ed elenca quaranta personaggi. Ora, è risaputo che Cristo re nella carne trasse origine dal popolo ebraico, com'è anche risaputo che, per separare questo popolo da tutti gli altri, Dio fece uscire Abramo dalla sua terra e dal suo parentado 42. Questa promessa che concerne il popolo da cui il Cristo sarebbe venuto aveva soprattutto la funzione di profetizzare e preannunziare in maniera precisa che tutto si riferiva a lui. In vista di ciò l'evangelista distingue le generazioni in tre gruppi di quattordici ciascuno, segnalando che da Abramo a Davide ci furono quattordici generazioni, da Davide alla deportazione in Babilonia altre quattordici e altrettante fino alla nascita di Cristo 43. Alla fine però egli non tira la somma dicendo che tutte le generazioni ricordate sono quarantadue. In effetti uno dei proavi di Cristo, cioè Geconia, è contato due volte, in relazione al fatto che sotto di lui accadde una specie di curvatura verso popoli stranieri in quanto gli Israeliti emigrarono in Babilonia. Orbene, quando una successione ordinata non segue più una linea retta ma si piega in direzione divergente, si forma come un angolo, e ciò che si trova nell'angolo è contato due volte, cioè alla fine della serie precedente e all'inizio della ripresa dopo la curva. Questo fatto raffigurava fin da allora che Cristo in certo qual modo sarebbe emigrato dal popolo dei circoncisi a quello degli incirconcisi 44, rappresentati da Gerusalemme e Babilonia rispettivamente. In tal modo egli sarebbe stato la pietra angolare per tutti coloro che avrebbero creduto in lui, sia che provenissero da una parte che dall'altra 45. In tal modo Dio predisponeva le cose che erano solo figura, orientandole però a fatti che sarebbero realmente accaduti. Tant'è vero che lo stesso nome Geconia, nel quale veniva raffigurato quest'angolo, significa "preparazione di Dio ". Pertanto le generazioni non raggiungono il numero di quarantadue (che sarebbe tre volte quattordici) ma quarantuno, computando anche Cristo, che è colui che da vero re domina sulla presente nostra vita terrena e mortale figurata dal numero quaranta.


4. 11. Matteo si propone dunque di presentarci Cristo come colui che scende a far parte della nostra condizione mortale: per questo all'inizio ricorda in ordine discendente le sue generazioni da Abramo a Giuseppe, anzi fino alla nascita dello stesso Cristo 46. Il contrario è di Luca. Egli narra le generazioni di Cristo non all'inizio ma in occasione del battesimo di lui 47, e lo fa non in ordine discendente ma ascendente, come per attribuire a lui la funzione di sacerdote che espia i peccati. Lì infatti la voce dal cielo lo proclamò, lì Giovanni gli rese testimonianza dicendo: Ecco colui che toglie i peccati del mondo 48. Nel suo ascendere poi Luca oltrepassa Abramo e giunge fino a Dio, con il quale siamo riconciliati attraverso la purificazione e l'espiazione operata da Cristo 49. Ben a ragione quindi egli nel riferirci l'origine di Cristo ne rileva le adozioni, poiché anche noi diventiamo figli di Dio per via di adozione, credendo cioè nel Figlio di Dio; quanto invece al Figlio stesso di Dio, è da dirsi piuttosto che divenne per noi Figlio dell'uomo attraverso la generazione carnale. In maniera sufficientemente chiara dunque l'evangelista ci indica che, se ha detto di Giuseppe che era figlio di Eli, non lo era perché da lui generato ma solo adottato. In effetti, anche parlando di Adamo lo dice figlio di Dio, mentre si sa che egli fu creato da Dio e, se fu collocato nel paradiso in qualità di figlio, ciò fu per un dono di grazia: quella grazia che in seguito perse a causa del peccato.


4. 12. Da tutto ciò si deduce che nella genealogia di Matteo è raffigurato Cristo Signore che prende su di sé i nostri peccati, in quella di Luca, invece, Cristo Signore che elimina i nostri peccati. Questo è il motivo per cui l'uno narra le generazioni in ordine discendente, mentre l'altro in ordine ascendente. Dice infatti l'Apostolo: Dio mandò il suo Figlio in una carne simile a quella che aveva peccato, e ciò in relazione al fatto che egli prese su di sé i nostri peccati. Quanto invece alle parole che aggiunge: Affinché mediante il peccato condannasse il peccato nella carne 50, vanno riferite all'espiazione dei peccati. Ecco pertanto Matteo che da Davide scende attraverso Salomone, di cui nomina la madre con cui il re aveva peccato. Luca al contrario ascende a Davide attraverso Natan, cioè quel Profeta di cui si servì Dio per punirlo del peccato 51. Ma c'è di più: ed è il numero ottenuto da Luca, che con ogni certezza indica l'abolizione completa dei peccati. Siccome infatti Cristo non commise iniquità e perciò in nessun modo si può dire che la sua iniquità si unì alle iniquità degli uomini che egli prese su di sé nella sua carne, per questo troviamo che in Matteo il numero delle generazioni, Cristo escluso, è di quaranta. Siccome però è anche vero che egli, dopo averci redenti e purificati da ogni peccato, ci ha uniti alla giustizia sua e del Padre, perché si avveri ciò che dice l'Apostolo:Chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito 52, in vista di ciò nel numero riportato da Luca troviamo elencati e Cristo, da cui inizia il computo, e Dio, con il quale tale computo finisce. Si raggiunge così il numero settantasette, con il quale si rappresenta la remissione e l'eliminazione totale di ogni peccato: cosa che anche il Signore manifestò di sua bocca quando, per evidenziare il mistero di questo numero, disse che al peccatore si deve perdonare non solo sette volte ma addirittura settenta volte sette 53.


4. 13. Né è insensato dire che questo numero, se lo si esamina con profonda accuratezza, ha pertinenza con la purificazione di tutti i peccati. In effetti, del numero dieci si può dimostrare che è il numero della giustizia a motivo dei dieci comandamenti della legge. Ma ecco sopraggiungere il peccato, che è la trasgressione della legge, e quindi, come trasgressione del numero dieci, è ben rappresentata dal numero undici. In vista di ciò si prescrisse che nel tabernacolo si facessero undici veli di lana caprina 54. E chi potrebbe dubitare che la veste di lana caprina bene si adatta a rappresentare il peccato? Ora, siccome la totalità del tempo si snoda in periodi di sette giorni, ragionevolmente si conclude che l'insieme di tutti i peccati raggiunge la somma di settantasette, che è il numero undici moltiplicato per sette. Nell'ambito di questo numero avviene la completa remissione dei peccati, che espia per noi sul suo corpo il nostro Sacerdote, dal quale prende inizio questo numero nella genealogia di Luca. Egli parimenti ci riconcilia con Dio, nel quale la numerazione si conclude con un richiamo allo Spirito Santo che apparve sotto forma di colomba nell'episodio del battesimo 55, dove appunto si fa cenno di questo numero.


La concezione, l'infanzia e la fanciullezza di Gesù in Matteo e in Luca.


5. 14. Terminato l'elenco delle generazioni Matteo prosegue così: Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo 56. In che modo avvenisse il fatto Matteo non lo racconta, mentre lo riferisce Luca dopo aver narrato la concezione di Giovanni. Egli racconta: Nel sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, l'angelo disse: " Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te, tu sei benedetta fra le donne". A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto. L'angelo le disse: " Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco concepirai nel tuo seno 57, e darai alla luce un figlio e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine " 58. Allora Maria disse all'angelo: " Come avverrà questo? Non conosco uomo ". Le rispose l'angelo: " Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio " 59Quindi aggiunge altre cose che non hanno attinenza col tema che stiamo trattando. Tutto questo Matteo lo ricorda quando afferma di Maria che fu trovata incinta per opera dello Spirito Santo. Né c'è contrarietà se Luca racconta delle cose omesse da Matteo, poiché l'uno e l'altro attestano che Maria concepì ad opera dello Spirito Santo. Parimenti non c'è contraddizione nelle cose che Matteo aggiunge subito dopo, mentre su di esse Luca sorvola. Così infatti prosegue Matteo: Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva diffamarla, decise di licenziarla in segreto. Mentre però stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: " Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati " 60. Tutto questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: " Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato Emmanuele " 61che significa "Dio con noi". Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore e prese con sé la sua sposa. Ma non la conobbe fino a quando non ebbe partorito il suo figlio primogenito; e gli dette il nome di Gesù 62. Gesù nacque a Betlemme di Giuda, al tempo del re Erode 63, ecc.


5. 15. Sulla città di Betlemme concordano Matteo e Luca, ma in che modo e per qual motivo Giuseppe e Maria si siano recati in quel luogo Luca lo riferisce, Matteo lo tralascia64. Per quanto invece concerne i Magi venuti dall'Oriente Luca tace, mentre ne parla Matteo, il quale così continua il suo racconto: Alcuni Magi giunsero da Oriente a Gerusalemme e domandavano: " Dov'è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella, e siamo venuti per adorarlo". All'udire queste parole, il re Erode restò turbato65, con quel che segue, fino al versetto dove, sempre a proposito dei Magi, è scritto che, ricevuto un responso in sogno di non tornare da Erode, per un'altra via se ne tornarono al loro paese 66. Tutto questo è omesso da Luca, mentre Matteo non narra altri particolari riferiti da Luca, come, ad esempio, che il Signore fu posto in una greppia, che un angelo annunziò la sua nascita ai pastori, che insieme con quell'angelo si unì una moltitudine delle schiere celesti a lodare Dio, che i pastori vennero e riscontrarono esser vero ciò che l'angelo aveva loro annunziato, che nel giorno della sua circoncisione ricevette il nome, e inoltre tutto quello che Luca racconta essere avvenuto dopo che furono trascorsi i giorni della purificazione di Maria: come cioè i genitori portarono Gesù a Gerusalemme, e quel che si riferisce a Simeone ed Anna, i quali profetarono di lui nel tempio dopo che, pieni di Spirito Santo, lo ebbero riconosciuto 67. Di tutto questo nulla troviamo in Matteo.


5. 16. Ci si chiede pertanto, e a buon diritto, quando siano accadute le cose che Matteo omette e Luca narra e così pure le altre, omesse da Luca e narrate da Matteo. Difatti, dopo che i Magi venuti dall'Oriente se ne furono tornati in patria, Matteo continua il racconto parlando di Giuseppe che avvertito da un angelo fugge in Egitto insieme col bambino per non farlo uccidere da Erode. Infatti non avendolo trovato, Erode uccise i bimbi da due anni in giù. Morto Erode, Giuseppe tornò dall'Egitto ma, sentito che in Giudea al posto di Erode, suo padre, regnava Archelao, andò insieme con il bambino ad abitare nella città di Nazareth, regione della Galilea 68. Su tutte queste cose Luca non dice nulla. Non per questo tuttavia deve sembrare contraddittorio che l'uno dica quanto l'altro tralascia o che l'altro ricordi quel che il primo non dice. È comunque legittimo ricercare quando poterono accadere i fatti descritti da Matteo, quali ad esempio la fuga in Egitto e il ritorno in patria dopo la morte di Erode con la decisione, presa in quell'occasione, di stabilirsi a Nazareth, mentre Luca riferisce che in tale città i genitori del fanciullo fecero ritorno dopo che ebbero compiuto nel tempio tutto quello che prescriveva la legge del Signore 69. A questo punto dunque bisogna richiamare alla mente una considerazione che valga a risolvere tutti i casi consimili, perché non ci si impressioni né si resti con l'animo in crisi. Ed è questa: ogni evangelista compone il suo racconto in modo che la serie compilata si presenti come scritta da uno che non tralascia niente. Passando sotto silenzio le cose che non intende raccontare, unisce le cose che invece vuol narrare con quelle raccontate in antecedenza in modo tale che se ne ricavi l'impressione che formino un tutto continuo. Siccome però l'altro evangelista riporta cose che il primo ha omesse, c'è da esaminare accuratamente l'ordine dei fatti narrati; e quest'ordine, ben esaminato, indica il posto dove avrebbe potuto inserire i singoli eventi l'evangelista che li ha tralasciati per cucire insieme le cose dette prima e le altre che voleva narrare, quasi che le une e le altre si siano susseguite senza intervallo. Ciò si applica a Matteo. Nel punto dove dice che i Magi, avvertiti in sogno di non tornare da Erode, se ne tornarono in patria per un'altra via 70, egli ha omesso di dirci quel che racconta Luca sugli avvenimenti accaduti al Signore nel tempio e quel che dissero Simeone ed Anna. Luca poi, non raccontando la fuga in Egitto di cui parla Matteo, ai fatti del tempio congiunge, quasi fosse stato collegato con essi, il ritorno di Cristo alla città di Nazareth 71.