00 17/03/2016 19:53
LIBRO SECONDO


LIBRO SECONDO

DIO E IL LIBERO ARBITRIO

Dio uomo e volontà (1, 1 - 2, 6)

Dio e il libero arbitrio.

1. 1. E. - Se è possibile, manifestami la ragione per cui Dio ha concesso all'uomo il libero arbitrio della volontà. Se non l'avesse, non potrebbe peccare.
A. - Ma per te è apoditticamente noto che Dio gli ha dato questo potere e pensi che non doveva essergli dato?
E. - Per quanto mi è sembrato di capire dal libro precedente, si ha il libero arbitrio della volontà e soltanto per esso si pecca.
A. - Anche io ricordo che questo tema ci si è reso evidente. Ma ora io ti ho chiesto se tu hai conoscenza certa che proprio Dio ci ha dato questo potere che evidentemente si ha e per cui evidentemente si pecca.
E. - Nessun altro, penso. Da lui siamo e tanto che si pecchi o si agisca bene, da lui si hanno la pena e il premio.
A. - Ma anche questo voglio sapere, se ne hai conoscenza certa, ovvero se, mosso dall'autorità, lo ammetti per fede opinativamente, senza averne scienza.
E. - Ammetto che sull'argomento dapprima mi soli rimesso alla autorità. Ma che cosa di più vero che ogni bene è da Dio e che ogni cosa giusta è bene e che è cosa giusta la pena a chi pecca e il premio a chi agisce bene? Ne consegue che da Dio è retribuito con l'infelicità chi pecca, con la felicità chi agisce bene.

L'uomo è da Dio.

1. 2. A. - Non faccio obiezioni. Chiedo però ancora come sai che siamo da lui. Questo ancora non lo hai dimostrato, ma soltanto che da lui si hanno la pena e il premio.
E. - Ma questo lo considero dimostrato soltanto in base al principio ormai reso evidente che è Dio a punire i peccati poiché da lui è la perfetta giustizia. Può essere di una qualsiasi bontà concedere benefici ad estranei che non ne dipendono, ma non è della giustizia punire chi non ne dipende. Ne consegue che noi da lui dipendiamo perché non solo è benigno verso di noi nel dare, ma è anche giustissimo nel punire. Inoltre si può dimostrare che l'uomo è da Dio anche dal principio da me posto e da te concesso che ogni bene è da Dio. Infatti l'uomo, in quanto uomo, è un determinato bene perché, quando vuole, può vivere secondo ragione.

Anche la volontà è da Dio.

1. 3. A. - Certo che se le cose stanno così, è già risolto il problema che hai proposto. Se l'uomo è un determinato bene e se non potesse agire secondo ragione se non volendolo, ha dovuto avere la libera volontà, senza di cui non poteva agire moralmente. Infatti non perché mediante essa anche si pecca, si deve ritenere che per questo Dio ce l'ha data. È ragione sufficiente che doveva esser data il fatto che senza di essa l'uomo non può vivere moralmente. Si può inoltre comprendere che per questo scopo è stata data anche dal motivo che se la si userà per peccare, viene punita per ordinamento divino. Ma sarebbe ingiusto se la libera volontà fosse stata data non solo per vivere secondo ragione ma anche per peccare. Come infatti sarebbe giustamente punita la volontà di chi l'ha usata per un'azione per cui è stata data? Quando invece Dio punisce il peccatore, sembra proprio dire: " Perché non hai usato la libera volontà per il fine cui te l'ho data? "; cioè per agir bene. Se l'uomo fosse privo del libero arbitrio della volontà, come si potrebbe concepire quel bene per cui si pregia la giustizia nel punire i peccati e onorare le buone azioni? Non sarebbe appunto né peccato né atto virtuoso l'azione che non si compie con la volontà. Conseguentemente, se l'uomo non avesse la libera volontà, sarebbero ingiusti pena e premio. Fu necessario dunque che tanto nella pena come nel premio ci fosse la giustizia poiché questo è uno dei beni che provengono da Dio. Fu necessario quindi che Dio desse all'uomo la libera volontà.

Perché se ne usa male?

2. 4. E. - A questo punto concedo che ce l'ha data Dio. Ma non ti sembra, scusa, che se è stata data da Dio per agire secondo ragione, non dovrebbe esser possibile che si volga a peccare? È lo stesso caso della giustizia che è stata data all'uomo per agire moralmente. È forse possibile che mediante la giustizia che già si possiede si viva male? Così mediante la volontà non si potrebbe peccare se la volontà fosse stata data per agire moralmente.
A. - Come spero, Dio mi concederà di poterti rispondere o piuttosto che tu possa risponderti perché te lo insegna nell'interiorità la stessa verità che è la sovrana maestra di tutti. Ma dimmi un po' se è opportuno dire che non doveva esserci dato ciò che riconosciamo come dato da Dio, supposto che ritieni come certo e oggetto di conoscenza ciò che ti avevo chiesto, cioè se Dio ci ha dato una libera volontà. Se non è certo che ce l'ha data, ragionevolmente indaghiamo se ce l'ha data per il bene sicché, una volta scoperto che ci è stata data per il bene, è accertato anche che ce ne ha fatto dono colui da cui derivano all'uomo tutti i beni. Se poi si scoprisse che non è stata data per il bene, si comprenderebbe che non ce l'ha potuta dare lui perché è blasfemo considerarlo colpevole. Se invece è certo che egli l'ha data, bisogna riconoscere, comunque sia stata data, che doveva esser data e non altrimenti da come è stata data. L'ha data un essere, la cui opera è assolutamente impossibile biasimare.

S'invoca la fede.

2. 5. E. - Ritengo queste verità con fede incrollabile, ma poiché non ne ho ancora scienza, iniziamo la ricerca come se tutte fossero opinabili. Osservo infatti che dalla supposizione che la libera volontà è stata data per agire secondo ragione, supposizione che rimane opinabile perché mediante essa possiamo anche peccare, diviene opinabile anche l'altra: se doveva esser data. Se infatti è opinabile che è stata data per agire moralmente, è opinabile anche che doveva esser data. Ne consegue che sarà opinabile anche che ce l'ha data Dio perché se è opinabile che doveva esser data, è opinabile anche che da lui sia stata data. Sarebbe blasfemo pensare che abbia dato un dono che non doveva esser dato.
A. - Per lo meno è apodittico per te che Dio esiste.
E. - Anche questo ritengo innegabile non per conoscenza intellettuale ma per fede.
A. - Ma supponi che uno di quegli insipienti, di cui è stato scritto: Ha detto l'insipiente dentro di sé: Dio non esiste 1, ti facesse proprio questo discorso e non volesse ammettere con te per fede ciò che tu ammetti, ma conoscere se per fede ammetti delle verità. Pianteresti in asso questo tizio ovvero riterresti opportuno dimostrare in qualche modo ciò che ritieni innegabile, soprattutto se egli non intendesse resistere per cocciutaggine, ma conoscere criticamente?
E. - L'ultima tua clausola mi indica sufficientemente ciò che dovrei rispondergli. Anche nell'ipotesi che fosse completamente irragionevole, mi concederebbe che non si deve discutere di alcun argomento, e soprattutto di argomento tanto importante, con un tipo sleale e cocciuto. Quando mi ha concesso questo, prima dovrebbe intendersi con me perché io gli creda che con disposizione sincera indaga sull'argomento e che in lui, per quanto attiene all'argomento, non si nascondono slealtà e cocciutaggine. A questo punto gli dimostrerei, cosa possibile a tutti secondo me, quanto sarebbe disposizione più equanime se, come egli desidera che un interlocutore gli creda nei confronti dei propri sentimenti intimi, a lui noti e ignoti all'altro, così anche egli credesse all'esistenza di Dio sull'autorità dei Libri di uomini illustri. Essi hanno testimoniato nelle scritture di esser vissuti col Figlio di Dio ed hanno tramandato di aver visto cose che sarebbero assolutamente impossibili se Dio non esistesse. Soggiungerei che sarebbe ben presuntuoso se mi criticasse perché ho creduto a loro, quando pretende che io creda a lui. Concluderei che non può trovare pretesti per non volere imitare ciò che non riesce a rimproverare ragionevolmente.
A. - Dunque tu supporresti che sia criterio sufficiente dell'esistenza di Dio il fatto che non pregiudizialmente abbiamo giudicato di doverci rimettere ad uomini autorevoli. E allora perché, scusa, non pensi ugualmente che dobbiamo rimetterci all'autorità dei medesimi scrittori per quanto attiene agli altri argomenti che abbiamo iniziato ad esaminare come opinabili e misteri addirittura? Potremmo non affannarci più nella indagine.
E. - Ma noi desideriamo avere conoscenza e scienza di quanto accettiamo per fede.

Fede e ragione.

2. 6. A. - A ragione ricordi il tema che non possiamo negare di aver posto all'inizio della precedente discussione. Se altro non fosse credere ed altro conseguire con l'intelletto e se prima non si dovesse credere la verità di ordine superiore e trascendente che desideriamo conseguire con l'intelletto, non a proposito avrebbe detto il Profeta: Se non crederete, non conseguirete con l'intelletto 2. Ed anche nostro Signore con le parole e le azioni ha esortato coloro che ha chiamato alla salvezza ad avere prima la fede. Ma in seguito, parlando del dono che doveva dare ai credenti, non disse: " Questa è la vita eterna che credano ", ma:Questa è la vita eterna che conoscano te solo vero Dio e colui che hai mandato, Gesù Cristo 3. Poi a coloro che già credono dice:Cercate e scoprirete 4. E non si può considerare scoperto ciò che, non essendo oggetto di scienza, si accetta per fede e nessuno diviene idoneo a scoprire Dio se prima non accetta per fede ciò di cui in seguito avrà scienza. Quindi ossequenti al precetto del Signore cerchiamo con insistenza. Ciò che cerchiamo perché ce ne esorta, lo scopriremo perché ce lo mostra nei limiti in cui è possibile scoprire in questa vita l'oggetto trascendente da individui come noi. Si deve poi credere che dai più buoni, mentre ancora sono in questo mondo, e da tutti gli uomini buoni e pii dopo questa vita, tale oggetto con più perfetta chiarezza è conseguito per visione. Si deve sperare che sia così anche per noi e, disprezzate le cose terrene e umane, lo si deve considerare ed amare con ogni impegno.

Dio esiste (3, 7 - 15, 40)

Essere, vivere e pensare nell'uomo.

3. 7. Ricerchiamo dunque, se vuoi, nel seguente schema: primo, come si dimostra l'esistenza di Dio; secondo, se da lui sono tutte le cose in quanto sono buone; infine, se fra le cose buone sia da porre la libera volontà. Dalla loro evidenza risulterà apodittico, come ritengo, se essa con ragione sia stata data all'uomo. E tanto per cominciare con le nozioni più immediate, prima di tutto ti chiedo se tu stesso esisti. Ma forse temi che nel corso di questo dialogo stai subendo una illusione perché se tu non esistessi, non potresti assolutamente subire illusioni?.
E. - Passa ad altro piuttosto.
A. - Dunque poiché è evidente che esisti e non ti sarebbe evidente se non vivessi, è evidente anche che vivi. E pensi che queste due nozioni sono assolutamente vere?
E. - Lo penso certamente.
A. - Dunque, anche questo è evidente: che tu pensi.
E. - Sì.
A. - E delle tre nozioni quale ritieni superiore?
E. - Il pensiero.
A. - E perché lo ritieni?
E. - Vi son tre nozioni: essere, vivere e pensare. Anche la pietra è, anche la bestia vive, ma non penso che la pietra viva e la bestia pensi. È assolutamente certo invece che chi pensa è e vive. Non ho alcun dubbio dunque nel giudicare superiore il soggetto, nel quale siano tutte e tre a preferenza di quello, al quale ne manchino due o una sola. Chi vive, certamente esiste ma non segue che pensi. E suppongo che tale sia la vita della bestia. Chi esiste, non per questo vive e pensa. Posso ammettere che esistono cadaveri, ma nessuno direbbe che vivono. E chi non vive, a più forte ragione non pensa.
A. - Stiamo affermando dunque che delle tre nozioni due mancano al cadavere, una alla bestia, nessuna all'uomo.
E. - Sì.
A. - Affermiamo anche che delle tre è superiore quella che l'uomo possiede assieme alle altre due, cioè il pensare, perché implica in chi la possiede l'essere e il vivere.
E. - Sì, certamente.

Sensi, sensibile e senso interiore.

3. 8. A. - Dimmi ora se conosci di avere i sensi che tutti conoscono: della vista, udito, odorato, gusto e tatto.
E. - Sì.
A. - Che cosa pensi che sia di competenza della vista, cioè cosa pensi che si percepisca con la vista?
E. - Tutti gli oggetti sensibili.
A. - Dunque con la vista percepiamo anche il duro e il molle?
E. - No.
A. - Quale è dunque l'oggetto proprio della vista che con essa si percepisce?
E. - Il colore.
A. - E con l'udito?
E. - Il suono.
A. - Con l'odorato?
E. - L'odore.
A. - Col gusto?
E. - Il sapore.
A. - E col tatto?
E. - Il molle e il duro, il levigato e il ruvido e simili.
A. - E le figure sensibili, grandi e piccole, quadrate e rotonde e simili non si percepiscono forse col tatto e con la vista e quindi non sono di competenza soltanto del tatto o della vista, ma dell'uno e dell'altra?
E. - Comprendo.
A. - Comprendi dunque anche che i singoli sensi hanno oggetti propri che trasmettono alla coscienza e alcuni hanno oggetti comuni.
E. - Anche questo capisco.
A. - Si può dunque con uno dei sensi discriminare la competenza propria di ciascuno e quale oggetto comune hanno tutti o alcuni di essi?
E. - No assolutamente, ma tali competenze sono discriminate da un senso interiore.
A. - Ed è forse la ragione di cui le bestie sono prive? Col pensiero appunto, come suppongo, ci rappresentiamo i sensibili e li conosciamo nel loro essere obiettivo.
E. - Direi piuttosto che con la ragione ci rappresentiamo l'esistenza di un determinato senso interno, al quale dai cinque sensi esterni sono rimandati tutti i sensibili. Altro è infatti il senso con cui la bestia vede ed altro la facoltà con cui, nell'atto del vedere, percepisce, fugge o appetisce. Il primo si ha nel senso della vista, l'altro dentro, nell'anima. Con esso appunto gli animali appetiscono e si procurano, se soddisfatti nel bisogno, ovvero fuggono e respingono, se disgustati, gli oggetti che si percepiscono non solo con la vista, ma anche con l'udito e gli altri sensi. E questa facoltà non si può considerare né vista, né udito, né odorato, né gusto, né tatto, ma non saprei quale altra facoltà che unifica gli altri. E sebbene questo atto lo avvertiamo con la ragione come ho detto, non posso tuttavia chiamarlo pensiero poiché è chiaro che è presente anche nelle bestie.

Senso e ragione.

3. 9. A. - Conosco tale facoltà qualunque sia e non esito a chiamarla senso interiore. Ma se l'oggetto percepito con i sensi non trascende anche questo senso, non può raggiungere scienza. Si ha scienza soltanto dell'oggetto che è rappresentato con la ragione. È scienza ad esempio, per tacere di altri casi, che è impossibile percepire i colori con l'udito e i suoni con la vista. E nell'atto che se ne ha scienza, essa non si raggiunge né con la vista, né con l'udito, né col senso interiore, di cui anche le bestie non sono prive. Non si può ammettere infatti nelle bestie la conoscenza che la luce non si percepisce con l'udito e il suono con la vista poiché tali competenze si distinguono per riconoscimento e rappresentazione del pensiero.
E. - Non posso dire di avere chiaro il concetto. Quale difficoltà se le bestie col senso interno, di cui, per tuo consentimento, non sono prive, discriminassero che i colori non si percepiscono con l'udito e i suoni con la vista?
A. - Ma tu pensi davvero che siano capaci di distinguere un colore dall'altro, il senso che risiede nell'organo della vista da quello interiore anorganico e la ragione con cui queste nozioni sono separatamente definite e analizzate?
E. - No, certamente.
A. - E la ragione al contrario potrebbe distinguere queste quattro nozioni l'una dall'altra se ad essa non fossero riportati il colore mediante il senso della vista, questo a sua volta mediante il senso interno che lo regola, e questo da sé, a meno che non si sia interposta un'altra funzione?
E. - Non vedo come sarebbe altrimenti possibile.
A - E vedi anche che il colore si percepisce col senso della vista, ma che un senso da sé medesimo non si percepisce? Infatti con lo stesso senso con cui vedi il colore non vedi che la vista vede.
E. - Non del tutto lo vedo.
A. - Sforzati di avere distinti questi concetti. Non puoi negare, penso, che altro è il colore ed altro vedere il colore ed altro ancora, quando il colore non è presente, avere il senso per cui si possa vedere se fosse presente.
E. - Distinguo i concetti e ammetto che differiscono.
A. - E dei tre oggetti con la vista vedi altro che il colore?
E. - Nient'altro.
A. - Di' dunque con che vedi gli altri due. Non potresti distinguerli se non fossero percepiti.
E. - Non so altro; so che ci sono, e basta.
A. - Non sai davvero se è già la ragione stessa, oppure quella facoltà vitale che abbiamo chiamato senso interno regolatore dei sensi, oppure altro?
E. - No.
A. - Sai per lo meno che tali oggetti possono essere distinti soltanto dalla ragione e che la ragione distingue soltanto gli oggetti che sono offerti alla sua attenzione.
E. - Certo.
A. - Ed ogni altra facoltà dunque con cui si può percepire tutto ciò di cui si avrà scienza è in funzione della ragione, alla quale offre e rimanda qualsiasi oggetto conosciuto. Così gli oggetti percepiti possono essere distinti nelle rispettive competenze ed essere rappresentati non solo col senso ma anche con la ragione.
E. - Sì.
A. - Quindi la ragione stessa, che distingue l'una dall'altra le facoltà subalterne e le loro rappresentazioni e conosce la differenza fra di esse e se stessa, conferma su di loro la propria superiorità. Può dunque essere rappresentata da altra facoltà fuorché da se stessa, cioè dalla ragione? Oppure potresti esser cosciente di aver la ragione se non ne avessi la certezza dalla stessa ragione?.
E. - Assolutamente vero.
A. - Quando dunque si percepisce il colore, col senso stesso non si percepisce di percepire, e quando si ode un suono, non si ode anche l'udito e quando si odora una rosa, non dà odore anche l'odorato e quando si gusta qualche cosa, non ha sapore lo stesso gusto e nel toccare qualche cosa, non si percepisce col tatto lo stesso senso del tatto. È chiaro dunque che i cinque sensi non si possono percepire da sé, sebbene con essi si percepiscano i vari sensibili.
E. - Chiaro.

Funzione del sensi interiore.

4. 10. A. - È chiaro anche, suppongo, che il senso interno non percepisce soltanto gli oggetti che ha ricevuto dai cinque sensi esterni, ma che da esso sono percepiti i sensi stessi. La bestia non si modificherebbe sensibilmente o appetendo un oggetto o fuggendolo, se non percepisse di percepire, non per avere scienza che è soltanto della ragione, ma per modificarsi, e questo certamente non lo percepisce con qualcuno dei cinque sensi. Se il concetto rimane oscuro, si chiarirà se poni attenzione a ciò che, a titolo d'esempio, si nota sufficientemente in un senso, come la vista. Sarebbe infatti assolutamente impossibile alla bestia aprire gli occhi e modificare la vista osservando l'oggetto che istintivamente vuol vedere se precedentemente non percepisse di non vederlo perché o tiene gli occhi chiusi o non modificati dall'oggetto in parola. Se poi percepisce di non vedere mentre non vede, è necessario anche che percepisca di vedere mentre vede, giacché non col medesimo stimolo modifica la vista se vede e la modifica se non vede. Indica così di percepire l'uno e l'altro. Ma non è altrettanto evidente che una tale vita, che percepisce di percepire i sensibili, sia cosciente di sé. Certo che ciascun uomo, se si analizza, scopre che ogni essere vivente rifugge dalla morte. E poiché essa è contraria alla vita, è necessario che la vita abbia coscienza di sé nell'atto che rifugge, dal suo contrario. E se il concetto non è ancora evidente, si passi avanti. Dobbiamo muoverci verso il nostro obiettivo con argomenti pienamente evidenti. Frattanto sono evidenti le nozioni: che col senso si percepiscono gli oggetti sensibili, che un senso non si può percepire da sé, che col senso interno si percepiscono i sensibili mediante il senso e immediatamente il senso stesso, che con la ragione si conoscono tutte le suddette nozioni ed essa stessa e divengono così contenuti di scienza. Non ti pare?
E. - Sì, certo.
A. - Ed ora dimmi qual è l'origine di questa discussione. Da un bel po', desiderosi di giungere alla soluzione, ci stiamo affaccendando per questa via.

Essere reale ed essere vivente.

5. 11. E. - Per quanto ricordo, si sta ancora svolgendo il primo dei tre problemi che poco fa, per stabilire, il procedimento della discussione, ci siamo proposti, cioè come si possa rendere evidente che Dio esiste, sebbene si debba credere con assoluta fermezza.
A. - Ricordi cori precisione. Ma desidero che rammenti con esattezza anche che nel chiederti se hai pura conoscenza di esistere, ci si è rivelato che hai pura conoscenza non solo di questa nozione, ma anche di altre due.
E. - Anche questo ricordo.
A. - E adesso considera a quale di queste tre nozioni pensi che appartenga l'oggetto sensibile in genere. In altri termini rifletti in quale categoria ritieni di dover assegnare in genere l'oggetto che il nostro senso percepisce con l'organo della vista o con qualsiasi altro corporeo, se cioè, nella categoria dell'essere che è soltanto reale, oppure anche vivente o addirittura pensante.
E. - In quella dell'essere soltanto reale.
A. - E in quale delle tre categorie includi il senso?
E. - In quella dell'essere vivente.
A. - E dei due quale giudichi superiore, il senso o il sensibile?
E. - Il senso, certamente.
A. - Perché?
E. - Perché l'essere vivente è superiore all'essere soltanto reale.

Il senso interiore superiore agli altri...

5. 12. A. - Nella precedente indagine abbiamo considerato il senso interno inferiore al pensiero e comune con le bestie. Ma dubiteresti di considerarlo superiore al senso, con cui ci rappresentiamo il sensibile e che, come è già stato detto, è da considerarsi superiore al sensibile stesso?
E. - No, certamente.
A. - Ma vorrei sapere da te anche la ragione per cui non ne dubiti. Non potrai affermare certamente che il senso interno sia da assegnarsi, fra le tre categorie, a quella dell'essere pensante, ma sicuramente a quella dell'essere reale e vivente, sebbene sia privo di pensiero. Il senso interno appunto è presente anche nelle bestie, in cui il pensiero non è presente. Stando così le cose, chiedo perché consideri il senso interiore più perfetto del senso con cui si rappresentano i sensibili, dal momento che entrambi sono nella categoria dell'essere vivente. Hai considerato il senso che rappresenta i sensibili superiore ai sensibili appunto perché essi sono sul piano dell'essere soltanto reale, esso invece su quello del vivente. Dimmi dunque perché reputi più perfetto il senso interno, se anche esso è su quel piano. Potrai dire che il senso interno percepisce l'altro. Ma, secondo me, non troverai una regola con cui possiamo fissare che il senziente è in genere superiore al suo sensato. Potremmo forse esser costretti ad ammettere che il pensante è in genere superiore al suo pensato. Ed è falso. L'uomo ha pura intellezione della sapienza, ma non è più perfetto della sapienza stessa. Esamina dunque perché ti sei fatta l'opinione che il senso interiore è da considerarsi superiore al senso con cui si rappresentano i sensibili.
E. - Perché lo considero come regolatore e giudice dell'altro. Se infatti al senso esterno venisse a mancare qualche aspetto della sua funzione, l'altro, per così dire, richiederebbe la dovuta prestazione come ad un subalterno, come dianzi è stato detto. L'organo della vista non vede di vedere o non vedere e poiché non lo vede, non può giudicare per quale aspetto la percezione è manchevole o perfetta. È il senso interno che stimola anche l'anima della bestia ad aprire gli occhi chiusi e a rendere compiuto ciò che percepisce manchevole. E non si può certamente dubitare che chi giudica è superiore a ciò che si giudica.
A. - Vuoi dir dunque che l'organo corporeo in qualche modo giudica il sensibile? Sono di sua competenza appunto il piacere e la molestia secondo che è stimolato dal sensibile con dolcezza o violenza. Infatti come il senso interno giudica che cosa manca o è sufficiente alla sensazione visiva, così la sensazione visiva giudica che cosa manca o completa i colori. Allo stesso modo, come il senso interno giudica del nostro udito se è insufficiente mente o sufficientemente disposto, così l'udito giudica dei suoni distinguendo se una loro parte scorre armonicamente e un'altra urti perché stonata. Non è necessario addurre gli altri sensi. Già puoi avvertire, come penso, ciò che intendo dire, che cioè il senso interno giudica dei sensi esterni nell'avvertirne la integrità e nel richiederne la funzione, allo stesso modo che i sensi esterni giudicano i sensibili accogliendone l'impressione se piacevole, respingendola se spiacevole.
E. - Vedo e ammetto che i concetti sono del tutto veri.

...ad esso la religione...

6. 13. A. - Ed ora considera se la ragione giudica anche del senso interno. Ed ormai non ti chiedo più se dubiti che essa gli è superiore perché non dubito che così giudichi. D'altronde non ritengo di dover chiedere se la ragione giudica del senso interiore. In definitiva soltanto la ragione avverte in quali termini fra gli oggetti che le sono inferiori, cioè i corpi, i sensi esterni e il senso interno, uno
sia superiore all'altro e di quanto esso sia loro superiore. Non lo potrebbe se non li giudicasse.
E. - Chiaro.
A. - Allora alla natura che è soltanto reale, non vivente e non pensante, come è un corpo senza vita, è superiore quella che non è soltanto reale, ma anche vivente e non pensante, come è l'anima delle bestie, e a questa, a sua volta, è superiore quella che è insieme reale, vivente e pensante, come nell'uomo l'intelligenza. Dunque, secondo te, in noi, cioè in esseri in cui la natura ha per costitutivo di renderci uomini, è possibile scoprire un principio superiore a quello che, fra i tre, abbiamo posto al terzo posto? È chiaro che noi abbiamo un corpo e una determinata vita, per cui il corpo è animato e vivificato. I due principi li troviamo anche nelle bestie. Vi è poi un terzo principio, quasi capo oppure occhio della nostra anima, o altro che possa dirsi più convenientemente dell'intelligenza che pensa. E la natura delle bestie non l'ha. Rifletti dunque, ti prego, se puoi scoprire qualche altro principio che nella natura umana sia più sublime della ragione.
E. - Penso proprio che sia il più alto.

...alla ragione l'eterno immutabile.

6. 14. A. - E se si potesse scoprire un essere, di cui non puoi dubitare non solo che esiste, ma anche che è superiore al nostro pensiero, dubiteresti, a parte la sua essenza, di considerarlo Dio?
E. - Se io potessi scoprire un essere superiore a ciò che della mia natura è più perfetto, non necessariamente dovrei ammettere che è Dio. Non son d'accordo di dover considerare Dio l'essere, a cui il mio pensiero è inferiore, ma quello a cui nessun essere è superiore.
A. - Proprio così poiché egli ha concesso al tuo pensiero di pensarlo con vera religiosità. Ma, scusa, se tu scoprirai che sopra il nostro pensiero v'è soltanto l'eternamente immutabile, dubiterai ancora di considerarlo Dio? Sai infatti che i corpi sono nel divenire; ed è evidente anche che la vita stessa, da cui il corpo è animato, non è esente, attraverso vari fenomeni, dal divenire. Si dimostra inoltre che è sicuramente nel divenire il pensiero stesso che ora si muove ed ora non si muove al vero e talora lo raggiunge e talora non lo raggiunge. Dunque se il pensiero senza il sussidio dell'organo corporeo e senza la mediazione del tatto, del gusto, dell'odorato, dell'udito, della vista e altro senso, inferiore al pensiero stesso, ma da sé immediatamente intuisce un essere eterno e immutabile e ad un tempo se stesso inferiore, deve anche necessariamente ammettere che quell'essere è il suo Dio.
E. - Ammetterò che è Dio se risulterà che non v'è essere a lui superiore.
A. - D'accordo. A me basta dimostrare che esiste un essere tale che dovrai considerare come Dio, ovvero, se ve n'è uno a lui superiore, dovrai ammettere che è Dio. Quindi tanto se v'è come se non v'è un essere a lui superiore, sarà evidente che Dio esiste, quando, secondo la promessa, avrò dimostrato col suo aiuto che è superiore al pensiero.
E. - Dimostra dunque ciò che dici di aver promesso.