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HO SETE

Ultimo Aggiornamento: 11/09/2016 19:47
11/09/2016 19:45

I quattro voti


La forma concreta attraverso cui le MC vivono la loro unione con Gesù sono i quattro voti. Nella pro­fessione esse «legano se stesse a Gesù Cristo tra­mite i quattro voti, con amore indiviso nella castità attraverso la libertà nella povertà nell'arrendimento totale dell'obbedienza in completo e libero servizio a Lui sotto le sembianze sofferenti dei più poveri dei poveri» (Cost. 36). Nelle prime costituzioni del 1954, Madre Teresa seguiva ancora l'ordine tradizionale dei tre consigli evangelici cominciando con la povertà. Ma il nucleo del suo carisma è la totale unione con Cristo, espressa nel voto di castità. La religiosa spiega così la coerenza dei quattro voti: Il voto di castità ci tiene unite fedelmente a Cristo. Il frutto di questa nostra unione con Cristo è il voto di carità (quarto voto). Dobbiamo desiderare di essere pure, dobbiamo ricorrere ad ogni mezzo per mantenerci pure,corpo e anima; Gesù dev'essere in grado di usarci completamente. Per far sì che il voto di carità cresca, noi facciamo voto di povertà e obbedienza. Come una lampada non può bru­ciare senz'olio, così il voto di carità non può vive­re senza i voti di povertà e obbedienza; e tutti e tre i voti si reggono sulla castità. Così vivete il voto di castità (Las, 27.6.65). La povertà è necessaria per il totale dono di sé a Gesù: «Per poter essere tutte per Gesù, e amarlo con cuore indiviso, noi abbiamo bisogno di un cuore puro, purificato dalla libertà della povertà». La povertà non è essenzialmente di carattere eco­nomico, ma piuttosto un atteggiamento di condivi­sione, di dono di sé. Madre Teresa amava il para­dosso: Meno abbiamo (per noi stesse) e più pos­siamo dare (di noi stesse). Possedendo Gesù, noi possediamo tutto. Questo è il motivo per cui pos­siamo dare di più, è perché possiamo dare Gesù» (Las, 23.1.82). Gesù ci ha salvato tramite la sua povertà: si è fatto povero per amor vostro così che voi possiate diventare ricchi tramite la sua povertà (2Cor 8, 9): «Anche noi dobbiamo diventare pove­re per amore di Gesù e del povero che serviamo. Infatti, per poter capire il povero, per essere capa­ci di proclamare la Buona novella al povero, dob­biamo sapere cosa sia la povertà». Dopo aver enu­merato le implicazioni giuridiche del voto di pover­tà, Madre Teresa continua: «La nostra dev'essere la povertà del Vangelo - mite, tenera, cordiale, sem­pre pronta a un gesto d'amore.. Prima d'essere rinuncia, la povertà è amore» (Las, 23.1.82). Allo stesso modo, la povertà è parte del dono di noi stessi a Gesù: «Dobbiamo appartenere total­mente a Gesù, arrenderci a lui senza riserve, per­ché Lui solo merita il nostro amore. Se gli apparte­niamo veramente, dobbiamo essere a sua disposi­zione così che Lui sia libero di disporre di noi quando vuole e come vuole - tramite i nostri supe­riori chiunque essi siano» (Las, 8.7.76). L'ob­bedienza è la più bella offerta a Dio, perché la nostra volontà è l'unico dono di Dio che sia nostro e che Egli non prenderà mai con la forza. La accet­terà soltanto se saremo noi a consegnargliela» (Las, 2.1.87). Questa è una visione sublime della vita religiosa, davanti alla quale non ci sorprende che Madre Teresa abbia dovuto sperimentare delusioni. La vita delle suore è difficile, il lavoro nelle baracco­poli pericoloso. Giorno per giorno le religiose devono lavorare con persone di vari strati sociali. Ogni volta che la Madre riceveva notizia di una suora che aveva lasciato la Congregazione ne pro­vava una pena profonda. La stessa povertà causa­va molti problemi. Parecchie suore provenivano da ambienti semplici e non avevano mai maneggiato grandi quantità di denaro. Piuttosto inquietanti erano le notizie sulla disunione tra le suore, o riguardo alle superiore giovani, insensibili ai senti­menti delle consorelle, alle gelosie, al linguaggio pungente, umiliante e offensivo. In una lettera dall'ospedale, la Madre scriveva: «Non avete idedi quale grande pena queste parole arrechino al mio cuore... Devo prendere cinque diverse medicine per il mio cuore fisiologico, ma desidero ardente­mente la migliore medicina, che è il vostro amore vicendevole» (Las, 27.10.67). Questi passaggi vanno letti tenendo sullo sfondo la gioia e l'apprezzamento per le sorelle, la loro cre­scita spirituale e il lavoro fedele che compiono, sentimenti di cui le lettere sono piene. Nondimeno evidenziano alcuni limiti nello svilup­po del Sodalizio. Anzitutto emerge una formazione culturale di tipo tradizionale. Madre Teresa si era formata come religiosa in una cornice in cui le gio­vani dovevano adeguarsi all'autorità dei superiori. Per lei fu di grande aiuto: disciplina e autorità ferma erano assolutamente necessarie per comu­nità tanto rapide nel diffondersi. Ma la vita comu­nitaria e il lavoro tra le baracche chiedevano anche iniziativa, creatività e molta responsabilità perso­nale. C'era bisogno di maggiore allenamento alle relazioni in comunità e capacità di far fronte a situazioni difficili. Madre Teresa era molto preoc­cupata della formazione delle giovani suore. Ma con l'accrescersi del numero delle novizie - ce n'e­rano più di cento nell'affollata casa di Calcutta - vtutto divenne più difficile. Nel corso del suo ultimo capitolo - quello del 1997, durante il quale rinun­ciò alla sua responsabilità di superiora generale - si è riconosciuto che occorreva più formazione permanente per le suore e specialmente per le superiore. Collegato alla formazione c'è anche il discorso della motivazione eminentemente spirituale delle suore riguardo alla vita comunitaria e alle occupa­zioni di ciascuna. L'amore di Gesù Cristo rimane certamente la base salda della vita delle MC. Ma la grazia di Dio si fa operativa dentro la cornice della vita umana, personale e sociale. La formazione deve includere l'intera persona e le condizioni sociali concrete. L'enfasi posta sull'autorità ha determinato, d'altro canto, una centralizzazione che ha creato difficoltà nel momento in cui l'am­ministrazione e il lavoro si facevano sempre più complessi. Non è questo l'ambito per discutere dettagliata­mente di quelle tensioni. Esse ci conducono, co­munque, al problema di fondo: come si può at­tribuire a un'intuizione carismatica una forma orga­nizzativa concreta? Il problema si è fatto partico­larmente acuto nel caso dei Collaboratori.


I Collaboratori


Il lavoro delle suore nelle baraccopoli richiedeva naturalmente grande collaborazione da parte di molta gente, uomini e donne di varie estrazioni sociali, compresi anche indù e musulmani. Questa collaborazione ha preso gradualmente forma dan­do origine al gruppo dei Collaboratori. Nell'Introduzione alle Costituzioni leggiamo: Sin dai primi giorni del Sodalizio, le Missionarie della Carità hanno attratto laici di ogni parte del mondo che intendevano partecipare al servizio amorevole a Dio nella persona dei bisognosi. Tra costoro è nata l'associazione internazionale dei Collaboratori di Madre Teresa, le cui Costituzioni sono state benedette da Sua Santità, Papa Paolo VI, il 29 marzo 1969. Madre Teresa non ha mai considerato i Colla­boratori come un prolungamento organizzato della sua opera. Li vedeva, piuttosto, come il diffonder­si della sua comunità in tutti gli ambiti sociali. L'importante non era tanto che essi prendessero parte al suo lavoro, ma che ne condividessero lo spirito. In una delle lettere a loro indirizzate, Madre Teresa scrive: non posso consegnarvi «un messag­gio migliore che quello di copiare una delle regole che diamo a ciascuna di noi». A quel punto cita dal numero 92 delle (vecchie) Costituzioni: Come ciascuna componente del Sodalizio è chia­mata a diventare cooperatrice di Cristo tra le barac­che, così deve anche capire cosa il Signore e il Sodalizio si aspettano da lei. Faccia in modo che Cristo irradi e viva la Sua vita in lei e attraverso lei nelle baraccopoli. Lasci che i poveri, vedendola, siano attratti a Cristo e lo invitino a entrare nelle loro case e nelle loro vite. raccia sì che i malati e i sofferenti trovino in lei un vero angelo capace di dare consolazione e conforto. Lasci che i piccoli nelle strade si stringano a lei perché ricorda loro Lui, l'amico dei piccoli (Coll, 20 aprile '66). Dai Collaboratori Madre Teresa si aspetta lo stesso atteggiamento delle sue suore: conoscere il pove­ro, amare ilpovero, servire il povero (cfr. Coll, 4.10.74). Di pari passo con la crescita del Sodalizio, anche l'associazione dei Collaboratori si diffondeva. Ed era inevitabile che prendesse la forma di un'orga­nizzazione ben compaginata, sul modello delle im­prese moderne. Era compatibile con lo spirito della sua Congregazione? Madre Teresa' sentì il bisogno di prendere una posizione decisa: «Poiché noi fac­ciamo affidamento sulla Divina Provvidenza per i bisogni nostri e dei poveri, sento che l'attività di raccolta fondi e le contribuzioni mensili regolari sono contrarie al nostro spirito. Pertanto non con­cedo a nessuna persona od organizzazione il per­messo di effettuare raccolte fondi o di coordinare il versamento di contributi per la nostra opera» (Coll, 27.9.81). Sembrava necessaria una decisione ancor più radi­cale: «Non ci serve che i Collaboratori funzionino come un'organizzazione» con un organismo cen­trale di governo, dei funzionari, collegamenti e conti correnti bancari. Non voglio che si spendano soldi per lettere circo­lari o viaggi dei Collaboratori. Se vedete qualcuno raccogliere fondi in nome mio, vi prego di impe­dirglielo... Restiamo uniti nel cuore di Gesù attra­verso Maria come un'unica famiglia spirituale. Il mio dono per voi e' di permettervi di condividere con noi l'opera di Dio, di essere cioè portatori del­l'amore di Dio in spirito di preghiera e sacrificio (Coll, 30.8.93). Poco prima di morire, dopo aver già rimesso ad altri il governo del Sodalizio, Madre Teresa si sentiva ancora combattuta. Era giusta quella sua drastica decisione? Eccola dunque, scrivere nuovamente ai Collaboratori: «Sentite il bisogno di avere un collegamento internazionale tramite lettera circolare? Volete avere anche uno strumento di collegamento a carattere nazionale? ... Vorrei che me lo diceste» (Coll, Fasqua '97). Di nuovo fa capolino il problema già menzionato: come si può conferire una forma organizzata a un carisma? «La tua vocazione è amare. soffrire e salvare anime»


In questa lettera indirizzata all'allora arcivescovo di Calcutta (di cui proponiamo ampi stralci), Madre Te­resa spiega il contenuto delle ispirazioni ricevute da Gesù a partire dal 10 settembre 1946. In una prece­dente lettera, datata 3 dicembre 1946, aveva già esposto al suo confessore padre Celest Van Exem il contenuto delle locuzioni interiori e delle visioni del Cristo: «Ciò che e' avvenuto fra Lui e me nel corso di quei giorni di intensa preghiera».


 


Covento ST. Mary 13 gennaio 1947


 


Vostra Eccellenza, dallo scorso settembre, pen­sieri e desideri inconsueti hanno riempito il mio cuore. Sono divenuti più forti e più chiari nel corso degli otto giorni di ritiro che ho fatto a Darjeeling. Al rientro ho raccontato tutto a padre Van Exem, gli ho mostrato gli appunti che avevo scritto durante il ritiro. Mi ha detto che pensava fossero di ispirazione divina, ma di pregare e mantenere il silenzio al riguardo. Ho continuato a tenerlo al corrente di tutti i movimenti della mia anima, dei pensieri e desideri. Poi ieri mi ha scritto questo: «Non posso impedirti di parlare o scrivere a Sua Eccellenza. Gli scriverai come una figlia al padre, in assoluta fiducia e con sin­cerità, senza paura alcuna o inquietudine, espo­nendogli come si sono svolti i fatti (...)». Prima di cominciare, voglio dirle che ad una sua parola, Eccellenza, sono pronta a non tenere più in considerazione nessuno di quegli inconsueti pensieri che mi si sono presentati continuamen­te. Nel corso di quest'anno, molto spesso ho desi­derato intensamente di essere tutta per Gesù, e di far sì che altre anime - soprattutto indiane -giungano ad amarLo ardentemente, e di identifi­carmi in tutto con le giovani donne indiane, così da amarLo come non è mai stato amato. Ho pen­sato che questo fosse uno dei miei tanti folli desideri. Ho letto la biografia di santa M. Cabrini: lei ha fatto così tanto per gli americani perché è divenuta una di loro. Perché non posso fare per l'India ciò che lei ha fatto per l'America? Ella non ha aspettato che le anime andassero a lei. È stata lei ad andare verso di loro con le sue zelanti collaboratrici. Perché non posso fare altrettanto per Lui, qui? Ci sono così tante anime pure, sante, che ardono del desiderio di donarsi interamente a Dio. Gli Ordini religiosi europei sono troppo ricchi per loro. Vi si riceve più di quanto si dia. «Non mi aiuteresti?» Come posso farlo? Sono stata molto felice come suora di Loreto e tutto­ra lo sono. Lasciare ciò che amo ed espormi a nuove fatiche e sofferenze che saranno grandi, essere lo zimbello di tante persone, specialmen­te di religiosi, aggrapparmi e aderire deliberata­mente agli aspetti più duri della vita indiana: la solitudine, l'ignominia, l'insicurezza, e tutto per­ché Gesù lo desidera, perché qualcosa mi sta chiamando a lasciare tutto e a radunare alcune compagne che vivano la Sua vita, che svolgano la Sua opera in India. Questi pensieri sono stati fonte di grande sofferenza, ma quella Voce ha continuato a dirmi: «Rifiuterai?» Un giorno1 dopo la S. Comunione, ho udito la stessa Voce molto distintamente: «Voglio suore indiane, vittime del mio amore, che siano Maria e Marta, così fortemente unite a me da irradiare il mio amore sulle anime. Voglio suore libere, rivestite della mia povertà della Croce, voglio suore obbedienti, rivestite della mia obbedienza sulla Croce, voglio suore colme di amore, rive­stite della Carità della Croce. Rifiuterai di fare questo per me?» E un altro giorno udii: «Sei divenuta mia sposa per Amor mio, per me sei giunta in India, è stata la sete che avevi delle anime a condurti così lon­tano. Hai paura ad intraprendere un altro passo per il tuo Sposo, per me, per le anime? La tua generosità si è raffreddata? Sono passato in secondo piano per te? Tu non hai dato la vita per le anime: ecco perché non t'importa di ciò che succede loro. Il tuo cuore non è mai sprofonda­to nel dolore come quello di mia Madre. En­trambi abbiamo dato tutto per le anime. E tu? Tu hai paura di perdere la tua vocazione, di diven­tare secolare, di non riuscire a perseverare. No, invece: la tua vocazione è amare, soffrire e sal­vare anime, e compiendo questo passo realizze­rai il desiderio del mio Cuore per te. Questa è la tua vocazione. Vestirai un semplice abito indiano o piuttosto come Mia Madre si vestì, semplice­mente e poveramente. Il tuo abito attuale è san­to perché è il mio simbolo. Il tuo sari lo divente­rà perché sarà pure il mio simbolo.» Ho cercato di persuadere Nostro Signore che avrei cercato di diventare una santa Suora di Loreto molto fervente, una vera vittima quiin questa vocazione. Ma la risposta giunse ancora una volta molto chiaramente: «Voglio suore Missionarie della Carità indiane, che siano il Mio fuoco d'amore fra i più poveri, gli ammalati, i moribondi, i bambini di strada. Sono i poveri che devi condurre a me; e le suore che offrisse­ro la loro vita come vittime del mio amore por­terebbero a Me queste anime. So che tu sei la persona più incapace, debole e peccatrice, ma proprio perché sei così desidero usarti per la mia Gloria! Rifiuterai?!» Queste parole, o piuttosto quella Voce,SCHEDA


Da Agnes che era... Agnes Gonxha Bojaxhiu (questo il nome all'anagrafe della futura Madre Teresa), nasce il 26 agosto 1910 a Skopje, Macedonia, da una famiglia di origine albanese. Il padre, uomo d'affari, muore quando Agnes ha appena otto anni, lasciando la famiglia in gravi difficoltà econo­miche. Impegnata fin dall'adolescenza nelle attività par­rocchiali, Agnes lascia la sua casa nel settembre 1928 per seguire la sua vocazione religiosa. Raggiunge il con­vento delle suore di Loreto (Istituto della Beata Vergine Maria) a Rathfarnam, (Dublino), Irlanda, dove è accolta come postulante il 12 ottobre con il nome di Teresa, per sottolineare il legame spirituale con Teresa di Lisieux. Arriva a Calcutta il 6 gennaio 1929. Da qui raggiunge il noviziato delle suore di Loreto a Darjeeling. Professa i voti perpetui il 24 maggio 1937; da quel giorno è chia­mata Madre Teresa. Negli anni Trenta e Quaranta inse­gna nella scuola media bengalese St. Mary, diretta dal­l'istituto a Calcutta, Il 10 settembre 1946, sul treno che la conduce da Calcutta a Darjeeling per una settimana di esercizi spiri­tuali, Madre Teresa riceve quella che definirà la «chiama­ta nella chiamata». Il contenuto di questa ispirazione de­termina lo scopo e la missione del nuovo Istituto: «Sa­ziare l'infinita sete di Gesù sulla Croce di amore e per le anime, lavorando per la salvezza e la santificazione dei più poveri tra i poveri». Il 7 ottobre 1950 la nuova Con­gregazione delle Missionarie della Carità è riconosciuta come istituto religioso dall'arcidiocesi di Calcutta. Gli anni Cinquanta e Sessanta vedono la diffusione del­l'opera delle Missionarie della Carità in tutta l'india. il primo febbraio 1965 Papa Paolo VI concede alla Con­gregazione il «Decretum Laudis», elevandola a diritto pontificio. La prima casa fondata fuori dall'india fu quella di Co­corote, in Venezuela, nel 1965. E poi in Europa (nella periferia di Roma, a Tor Fiscale) ed in Africa (a Tabora, Tanzania) nel 1968. Oggi le suore di Madre Teresa sono presenti in 130 Paesi; circa 700 le fondazioni instanca­bilmente seguite da Madre Teresa attraverso numerosi viaggi. Provata dalla vecchiaia e dalla fatica, Madre Teresa muore la sera del 5 settembre 1997 nella Casa madre di Calcutta. il suo corpo viene trasferito nella Chiesa di St. Thomas, adiacente al Convento di Loreto, proprio dove era giunta circa 69 anni prima. Centinaia di migliaia di persone di ogni ceto sociale e religione, dall'india e dal­l'estero le rendono omaggio. Il 13 settembre si celebra­no i funerali di Stato. Il corpo di Madre Teresa viene con­dotto in un lungo corteo attraverso le strade di Calcutta, sullo stesso affusto di cannone che ha portato le salme di Mohandas Gandhi e Jawaharlal Nehru.


(Fonte: Sito ufficiale della causa di beatificazione www.motherteresacause.info)Las -Lettere alle suore


AP -Lettere all’Arcivescovo Pèrier


PI - Lettere al Padre T.Picachy sj


Pc - Perfectae Caritatis,decreto conciliare sul rinnovamento della vita religiosa


Lasc –Lettrere alle suore contemplative


Coll - Lettere ai Collaboratori


Lg - Lumen Gentium,costituzione dogmatica conciliare sulla Chiesa


forma di programmazione e organizzazio­ne. È possibile? Il problema è comune a tutte le comunità religiose. Basta pensare alle idee sulla povertà tanto profondamente compresa e radical­mente vissuta da san Francesco: quanto fu diffici­le istituzionalizzarle in varie forme nella Chiesa del Medio Evo. Possiamo anche chiederci, ancor più radicalmente: come riuscì lo stesso Gesù a istitu­zionalizzare la sua visione di un'umanità redenta nel Regno di Dio? In una nuova società compren­dente tutti in solidarietà e amore, con Dio come centro e forza che sostiene? Il Concilio dice che la Chiesa ha ricevuto «la missione di annunziare e instaurare in tutte le genti il Regno di Cristo e di Dio». Non identificando la Chiesa con il Regno di Dio, il Concilio aggiunge l'umile dichiarazione che essa «di questo Regno costituisce in terra il germe e l'inizio» (Lg 5). La crescita del Regno di Dio sulla terra rimane il compito dei seguaci di Gesù di tutte le generazioni, in ogni situazione nuova. Questa è anche l'eredità di Madre Teresa per la sua Con­gregazione: lottare tenacemente per la realizzazio­ne del suo carisma e renderlo fruttuoso per la nostra società.


padre Joseph Neuner. Sj


(Traduzione a cura di Giampiero Sandionigi)


LEGENDA


Abbreviazioni


 


Cost- CostituzioniCarisma e istituzione


Abbiamo cercato di delineare le caratteristiche principali del carisma di Madre Teresa. Per lei si trattava di renderlo vivo nel suo Sodalizio. Una visione carismatica può essere istituzionalizzata? Conosciamo tutti lo sviluppo fenomenale registra­to in cinquant'anni dalle MC, diffusesi in tutto il mondo con l'apertura di comunità, animate dallo stesso spirito, in più di cento Paesi. Abbiamo an­che visto, molto brevemente, i problemi legati al vivere questo tipo di vita personalmente e in comu­nità, immersi nel nostro mondo moderno per por­tare frutti nella società. Tutto ciò necessità una qualchemi mise paura. Il pensiero di mangiare, dormire, vivere come gli indiani mi riempì di timore. Ho pregato a lungo. Ho pregato così tanto, ho chiesto alla nostra Madre Maria che domandasse a Gesù di allontanare da me tutto questo. Più ho pregato, più la Voce nel mio cuore è divenuta chiara; e così ho domandato che Lui facesse con me ciò che voleva. Egli ha chiesto e richiesto ripetuta­mente. Poi, ancora una volta, la Voce fu molto esplicita: «Hai sempre detto: "Fa' di me ciò che ti piace!" Ora desidero agire. Lasciamelo fare, Mia piccola Sposa, piccola Mia. Non temere. Sarò sempre con te. Soffrirai e già ora soffri; ma se sei la mia piccola sposa, la sposa di Gesù Crocifisso, do­vrai sopportare questi tormenti nel tuo cuore. Lasciami agire. Non dirmi di no. Confida amore­volmente in me. Confida ciecamente in me.» «Piccola mia, dammi anime, dammi le anime dei poveri bambini di strada. (...) Se solo sapessi quanti piccoli cadono nel peccato ogni giorno! Esistono conventi con un grande numero di suore che si prendono cura di persone ricche e abili, ma per i miei più poveri non c'è assoluta­mente nessuno. Sono loro che desidero arden­temente, sono loro che amo. Rifiuterai?» Questo è ciò che è avvenuto tra Lui e me nel corso di quei giorni di intensa preghiera. Per me, tutto risulta chiaro, come segue:



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