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HO SETE

Ultimo Aggiornamento: 11/09/2016 19:47
11/09/2016 19:38

Alle sorgenti del carisma di Madre Teresa di Calcutta



HO SETE

Alle sorgenti del carisma di Madre Teresa di Calcutta

Innamorata di Cristo

Ho incontrato per la prima volta nel 1964 Madre Teresa a Calcuttaalla «Nirmal Hriday»la casa dei moribondi. Lì autoambulanze e risciò scaricano uomini, donne e bambini morenti raccolti sui mar­ciapiedi di Calcutta, che vengono accolti e curati con amore, in alcuni grandi stanzoni posti davanti al tempio della dea Kalì. Molti di quei poveri non avevano mai avuto un letto, mai una medicina, mai mangiato tre volte al giorno. «Su cento diseredati che accogliamo - diceva Madre Teresa - in media ne sopravvivono trenta, perché li portano qui quando sono già all'ultimo gradino della sopravvivenza». Tornato in Italia in quel 1964, quando Madre Te­resa era ancora quasi sconosciuta fuori dell'India, ho scritto parecchio su di lei nei giornali a cui col­laboravo: e subito è iniziato il movimento di con­ferenze, mostre fotografiche, incontri nelle scuole, invio di offerte per la Madre di Calcutta. Ho incontrato altre volte Madre Teresa. Un ricordo indelebile per me resta legato allo spaventoso maremoto che nel novembre 1977 in India colpì lo Stato dell'Andhra Fradesh, provocando 100 mila morti. Madre Teresa era stata una delle prime per­sonalità giunte sul luogo del disastro per organiz­zare i soccorsi. Mi aveva stupito la rapidità delle sue decisioni e la facilità con cui le faceva accetta­re da esponenti di altri enti, anche governativi ed ecclesiali: si trattava di alloggiare migliaia di profu­ghi che avevano perso tutto. Ho pensato: ha un carisma naturale enorme che usa per il servizio dei più poveri. Ma era anche l'aiuto straordinario dello Spirito Santo. E poi la sua vitalità: io avevo ven­t'anni meno di lei, ma alla sera ero distrutto, lei faceva ancora un ora di adorazione inginocchiata sulla nuda terra! Sono andato molte volte in India. Madre Teresa era estranea ai dibattiti culturali, non era informata sulle nuove teologie; non ha blandito la cultura in­diana; non ha cercato i mass media, anzi quasi proibiva alle sue suore di concedere interviste e lei stessa era molto parca nel rispondere ai giornalisti; non ha teorizzato sul dialogo interreligioso. Poteva sembrare una vecchia suora che viveva fuori del nostro tempo. Invece la sua testimonianza di amo­re all'uomo e di santità l'ha resa gradita a tutti: ha inculturato il Vangelo in India, ha stabilito ponti di dialogo con indù e musulmani, è riuscita a entrare in Paesi comunisti come Cuba e la Cambogia, che perseguitavano la Chiesa e i cristiani. Non si capisce nulla di Madre Teresa fuori di una logica di fede. Era una vera missionaria. Se le chie­dono: «Chi è il missionario?». Risponde: «Un cristia­no talmente innamorato di Gesù Cristo, da non desiderare altro che di farlo conoscere e amare». È questo amore che traspare dalle pagine che seguono. Un amore provato «nel crogiolo», che in­dica un modello di «santità possibile» donato oggi al mondo. padre Fiero Gheddo direttore Ufficio storico PIME

I segreti della Madre

Si padre, scriva di noi. Lei ci conosce bene, «perché è stato con noi fin dall'inizio. Le farò avere le nostre costituzioni. Ma soprattutto deve dire alla gente che cosa ci porta qui. Dica loro che non siamo qui per lavoro, ma per Gesù e tutto quello che facciamo, lo facciamo per lui. Siamo anzitutto delle religiose, non assistenti sociali, inse­gnanti, infermiere o dottoresse; siamo delle suore, delle religiose che servono Gesù nei poveri. Lui curiamo, a lui diamo da mangiare, lui vestiamo, visitiamo e confortiamo nei poveri, nei derelitti, nei malati, negli orfani e nei moribondi. Tutto quello che facciamo è per lui. La nostra vita non ha altra ragione o motivazione». Così Madre Teresa rispon­deva al missionario gesuita belga Edouard Le Joly che le chiedeva, a metà degli anni Settanta, di po­ter scrivere un libro su di lei e sulle Missionarie della Carità. «Si tratta di un punto che molti non capiscono. Io servo Gesù ventiquattr'ore al giorno e qualunque cosa faccia, la faccio per lui, e lui me ne da la forza. Amo lui nei poveri e i poveri in lui. Il Signore viene però sempre al primo posto».

Rileggere questo brano contenuto nel libro «Lo fac­ciamo per Gesù« (il volume, edito in Italia dalle Edizioni San Paolo nel 1978 e ripubblicato nel 2003, contribuì non poco a far conoscere la figura e l'opera di Madre Teresa) suona anche oggi come una sorta di testamento spirituale. Serve a coglie­re in pieno la totale dedizione a Cristo che ha con­traddistinto la vita e le opere della «missionaria dei bassifondi». Una dedizione alimentata da una intensa vita di preghiera, da un cammino di ascesi che si èsviluppato precisando e approfondendo, in un percorso innovativo e originale, la formazio­ne ottenuta nei primi anni della sua vita religiosa. Per comprendere alcune chiavi della spiritualità di Madre Teresa, può essere utile ripercorrere breve­mente le tappe iniziali della sua vocazione religio­sa. Fin dai tempi dell'adolescenza la futura Madre Teresa coltiva una spiritualità spiccatamente mis­sionaria, vivificata dalla frequentazione del Soda­lizio, una sorta di circolo giovanile cattolico, e dal contatto epistolare con alcuni missionari gesuiti che, nel 1925, avevano aperto una missione nel Bengala. Le lettere che arrivano da quelle terre lon­tane le aprono gli orizzonti del mondo e le fanno nascere dentro il proposito di consacrare la sua vita alla missione. A diciotto anni incontra uno dei padri gesuiti impegnati a Calcutta e a lui confida il desiderio di farsi religiosa in India. Viene indirizza­ta alle Suore di Loreto, una congregazione sorta in Irlanda nello spirito della Compagnia di Gesù (di cui hanno assunto le costituzioni, al punto che le suore sono bonariamente indicate come le «gesui­tesse»). Dopo il noviziato a Darjeeling, suor Teresa dedica alcuni anni all'insegnamento in una scuola femminile di Calcutta. Nel 1946 avverte la neces­sità di un impegno totale per i diseredati e per gli afflitti. Dopo essersi consultata con l'arcivescovo di Calcutta mons. Ferdinand Férier (anch'egli gesui­ta), nel 1948 chiede ed ottiene da Papa Pio XII il permesso di fondare una nuova congregazione. Avvolta nel sari bianco e celeste delle donne loca­li incomincia ad immergersi interamente nella cuitura indiana e a percorrere i marciapiedi della città, soccorrendo i moribondi e aiutando gli ammalati. C'è chi, parlando della figura di Madre Teresa, ama dividere la sua vita in un «prima» (gli anni passati nell'insegnamento all'interno della congregazione irlandese) e in un «dopo» (l'impegno senza riserve per i più poveri tra i poveri). Alcuni, lavorando di fantasia, sono arrivati anche a dipingerla come una «donna in fuga», una «ribelle». Nulla di più sbaglia­to. La piccola suora albanese non vuole compiere nessun gesto «contro», ma soltanto «discernere» in un atteggiamento d'ascolto ciò che il Signore vuole ora dalla sua vita. Chiede perciò ai superiori di poter intraprendere una nuova via, ma si rimette comunque alla loro decisione. Per Madre Teresa abbandonarsi nelle mani di Dio significa essenzial­mente obbedienza.

L'influsso di Ignazio

Fin dai primi anni del suo impegno apostolico negli slum di Calcutta, su indicazione dell'arcivescovo, le saranno molto vicini i padri Julian Henry e Celeste Van Exem. Grazie all'aiuto di questi due gesuiti, nell'aprile del 1950 verrà sottoposta a mons. Ferier la prima bozza delle costituzioni delle Missionarie della Carità. Una raccolta di regole ela­borate in quegli anni al servizio dei poveri, ma che sono il frutto di un lunga ricerca spirituale da cui traspare tutta la forza del carisma di Madre Teresa. «Le costituzioni delle Missionarie della Carità - ha scritto lo stesso padre Van Exem sulla rivista dei gesuiti del Bengala «Calcutta Jesuits» - richiamano le costituzioni della Compagnia di Gesù anche nella struttura organizzativa. Oltre ad alcuni appun­ti «ispirati» di Madre Teresa, la regola è centrata sulle quattro settimane degli Esercizi spirituali di sant'Ignazio: purificazione e santità, unione con il Padre e con Cristo crocifisso, unione personale con Gesù e con il suo infinito amore per i poveri, regole alimentari, penitenze ed esami di coscienza. Il concetto di umiltà deriva anch'esso dagli Esercizi spirituali». Attingendo al cuore della spiritualità ignaziana, e alla chiave meditativa dei «due vessilli» (un cammi­no d'illuminazione dell'intelligenza, che è così por­tata ad aderire alla «bandiera» di Cristo e a rifiutare quella del demonio), Teresa sviluppa la determina­zione a seguire Cristo in povertà, umiltà ed obbe­dienza. Per Madre Teresa, come per sant'Ignazio, l'impera­tivo categorico di ogni attività apostolica è la gloria di Dio e la salvezza delle anime. Fer fare questo le Missionarie della Carità vivono il comando paolino (che non a caso sant'Ignazio considerava la parola d'ordine dell'attività missionaria): «Mi son fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno». Da questa radice origina il «quarto voto» delle Missionarie della Carità, la donazione totale e incondizionata agli ultimi tra gli ultimi. Se per i gesuiti esso consiste nella speciale obbedienza al Papa, per Madre Teresa il «servizio ai più poveri tra i poveri» rappresenta la traduzione pratica dell'a­more sconfinato per il Cristo deriso e crocifisso. «Il voto di carità - ha scritto Madre Teresa nel volume «La gioia di darsi agli altri» (Paoline, 1978, pp. 123) è frutto della nostra unione a Cristo, allo stesso modo che il figlio è frutto del sacramento del matri­monio. Come la lampada non può ardere senza olio, il voto di carità non può vivere senza i voti di povertà e di obbedienza». Madre Teresa rilegge in chiave femminile (la Con­gregazione delle Missionarie della Carità è dedica­ta al Cuore Immacolato di Maria), rielabora e ag­giorna attraverso la sua straordinaria sensibilità il carisma ignaziano sposandolo con alcuni aspetti della spiritualità francescana. Non a caso il libro poc'anzi citato, si apre con la cosiddetta «Preghiera semplice» di Francesco d'Assisi: «Signore fa' di me uno strumento della tua pace: dove è odio, fa' ch'io porti l'amore».

La «spiritualità del dono»

Ma quali sono allora i veri «segreti» di colei che è stata indicata come l'angelo dei bassifondi? Il mis­siologo Mariasusai Dhavamony, gesuita indiano do­cente presso l'Università Oregoriana di Koma, li delinea in un lungo articolo apparso su «Studia Missionalia» («Mother Teresa's Mission of Love for the Foorest of the Foor», n. 39/1990, pp. 135-158): una visione «realista», non sentimentale della po­vertà in ogni sua sfaccettatura; la convinzione che ai poveri serva prima di tutto Cristo e il suo amore; la condivisione della povertà e della croce di Cristo, il saper contemplare nei poveri l'immagine vivente e sanguinante del Nazareno; una vera e propria «spiritualità del dono» e soprattutto la capa­cità di vivere francescanamente in «perfetta letizia». Tutto questo sostenuto e vivificato da un profondo contatto personale con Gesù eucaristia. A differen­za delle altre figure di «contemplativi nell'azione», che hanno cercato Dio nel prossimo o nel segreto del loro cuore, Madre Teresa ha saputo contem­plare il mistero della redenzione incarnato nei poveri. È questo, a ben vedere, il più sconvolgente dei se­greti di Madre Teresa: «Contemplare Cristo nei po­veri nonsignifica semplicemente che lo vediamo nei poveri, ma che soffriamo con Cristo nei poveri, che condivide con essi la sua passione e la sua morte. Siamo unite costantemente al mistero pas­quale in ogni nostro pensiero o azione. Perché il nostro lavoro tra i diseredati è un costante contat­to con l'opera redentrice di Cristo, lo stesso con­tatto che noi viviamo durante il sacrificio eucaristi­co. Nella Messa Cristo è presente sotto le specie del pane e del vino. Ma nei bassifondi, nei corpi piagati dei lebbrosi e negli sguardi dei bambini, noi possiamo toccano».

Giuseppe Caffùlli



 



11/09/2016 19:40

Il carisma di Madre Teresa


L'autore di questo contributo ha conosciuto bene Madre Teresa di Calcutta, essendo tra coloro che le sono stati amici e ne hanno seguito il percorso spirituale. Padre Joseph Neuner, gesuita di origine austriaca, e' il decano dei teologi indiani. Vive attualmente nel «Sanjeevan Ashram» di Pune. Presentiamo una nostra traduzione di un ampio saggio apparso sulla rivista teologica dei ge­suiti indiani vidyajyoti (marzo 2001, pp. 179-192, titolo originale «Mother Theresa's Charism«, p.g.c.).


 


Il 26 luglio 1999 si apriva a Calcutta la causa di beatificazione di Madre Teresa. La religiosa era morta il 5 settembre 1997, ma Giovanni Paolo Il aveva concesso una deroga alla norma che vuole che un simile procedimento sia avviato solo cin­que anni dopo la morte di un Servo di Dio. L’avvio anticipato del processo canonico è stato autorizzato tenendo conto delle richieste prove­nienti da varie parti del mondo e volte a ottenere il riconoscimento ufficiale di Madre Teresa come modello di amore compassionevole verso tutti gli strati sociali e in particolare i rifiutati e gli sfruttati. Ai fini del processo sono stati raccolti tutti i docu­menti relativi alla vita e all'opera della religiosa. Proprio quei documenti ci hanno permesso di osservare più da vicino l'incredibile complessità di un'opera diffusasi in tutti i continenti in breve tempo, ma anche la vita personale della Madre. Una vita che era rimasta nascosta agli occhi del grande pubblico, ma anche, per certi versi, a quelli della sua stessa comunità.


I testi raccolti rivelano molti dettagli circa lo svi­luppo delle Missionarie della Carità (MC), ma anche le fonti nascoste dell'instancabile lavoro di Madre Teresa e della sua carismatica personalità, capace di affascinare gente di ogni estrazione sociale o appartenenza religiosa. Queste poche pagine sono un tentativo, del tutto inadeguato, di presentare quella sfera intima, il lavoro di Dio nel suo cuore, che ha portato tanto frutto nella sua vita e nella sua opera.


 


«Ho sete»


Tra le MC il 10 settembre 1946 viene celebrato come il giorno natale della Congregazione. Madre Teresa era venuta in India come novizia delle Suore di Loreto. Era molto felice nella sua comu­nità e nell'adempiere le funzioni di insegnante a Loreto, Entally (Calcutta). Ma quel giorno di set­tembre, a bordo di un piccolo treno che si inerpi­cava da Siliguri a Darjeeling, le capitò un'espe­rienza totalmente inattesa: sentì la sete di Gesù e la chiamata a dare la vita a servizio dei poveri e dei reietti delle baraccopoli. La suora rimase profondamente turbata. Avrebbe potuto trattarsi di una tentazione del demonio, ma il suo confessore si convinse dell'origine divina di quell'ispirazione e invitò suor Teresa a mettersi in contatto con l'arcivescovo di Calcutta, monsignor Frdinand Périer. L'arcivescovo esitò più di un anno e la fece attendere - fu un periodo molto penoso - ma alla fine avallò la domanda inoltrata a Roma per ottenere il permesso di lasciare le suore di Loreto e fondare una nuova congregazione. In base alle Costituzioni, scopo della Congrega­zione è di «estinguere l'infinita sete d'amore per le anime di Gesù sulla croce, attraverso la professio­ne dei consigli evangelici e l'adésione totale e piena al servizio libero dei più poveri tra i poveri» (Cost. 3). Questo duplice obiettivo è anche il messaggio sempre ricorrente nell'insegnamento di Madre Teresa. È solo verso la fine della vita, però, che la Madreparla più esplicitamente di quella sua espe­rienza trasformante. Il 25 settembre 1993 scrive alle sorelle, ai fratelli e ai preti della sua Congregazione una lettera «molto personale» che «viene dal cuore della Ma­dre». È molto preoccupata che il suo sodalizio non perda l'amore degli inizi, specialmente dopo che la Madre vi avrà lasciato... Fer me è venuto il momento di parlare apertamente del dono che Dio mi ha dato il 10 settembre, per spiegare meglio che posso cosa significhi per me la sete di Gesù. Quella sete è per me qualcosa di tanto inti­mo che fino ad oggi ho preferito pudicamente non parlare di ciò che sentii quel 10 settembre... Tutto tra le MC esiste per placare la sete di Gesù. Le sue parole, scritte sul muro di ognuna delle nostre cappelle, non riguardano solo il passato, ma sono vive oggi. Esse vengono pronunciate in questo momento per voi... è Gesù stesso che vi dice «Ho sete». Ascoltatelo pronunciare il vostro nome ogni giorno, non solo una volta... «Ho sete» è qualcosa di molto più profondo che non il dire semplice­mente da parte di Gesù: «Vi amo». A meno che voi non sentiate nel profondo di voi stessi che Gesù ha sete di voi, non potrete cominciare a capire ciò che lui vuol essere per voi e voi per lui. Questa unione personale con Gesù deve portare frutti nel servizio ai poveri, ed ecco il quarto voto delle MC: «Il cuore e l'anima delle MC è solo que­sto: la sete del cuore di Gesù nascosto nel pove­ro. È qui la fonte di ogni parte della vita delle MC...: saziare il Gesù vivo in mezzo a noi è l'unico scopo del nostro Sodalizio». Le due dimensioni del carisma di Madre Teresa, l'unione intima con Gesù e il lavoro per i poveri, non possono essere mai separate: «"Ho sete" e "L'avete fatto a me", ricordate sempre di tenere insieme le due frasi... Non sottovalutate il nostro mezzo concreto: il lavoro per il povero, non importa quanto piccolo e umile. Sono i poveri a rendere la nostra vita qual­cosa di bello per Dio». I poveri sono gli interme­diari tramite i quali noi tocchiamo Gesù: «Sono il dono più prezioso di Dio al nostro Sodalizio, la presenza nascosta di Gesù tanto vicina e tanto tangibile» (Las, 25.3.93). Madre Teresa vede la sua vocazione, la vita e l'o­pera delle sorelle, come parte della missione del­la Chiesa, come il partecipare alla passione salvi­fica di Gesù. La Lettera ai Colossesi interpreta le prove dell'Apostolo come la continuazione della passione salvifica di Gesù: «Io sono lieto delle sof­ferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa» (Col 1, 24). Questa partecipazione alla passione redentrice di Cristo è realizzata nella missione delle sue suore: Cercate di accrescere la vostra comprensione del mistero della redenzione. Questa conoscenza vi condurrà all'amore, e l'amore vi porterà a condivi­dere attraverso il vostro sacrificio la passione di Cristo. Mie care figlie, senza sofferenza il nostro lavoro sarebbe puramente un servizio sociale, molto buono e utile, ma non sarebbe l'opera di Gesù Cristo. Non sarebbe parte della redenzione. Gesù ha voluto aiutarci condividendo la nostra vita, la nostra solitudine, la nostra agonia e la nostra morte. Egli ha preso tutto questo su di sé e l'ha portato fin nella notte più oscura. Solo facen­dosi una cosa sola con noi, Lui ci ha redento. Noi possiamo fare lo stesso. Tutta la desolazione dei poveri, non solo la loro povertà materiale, ma anche la miseria spirituale, devono essere redente, e noi dobbiamo prender parte a quest'opera di redenzione. Quando vi sembra difficile, pregate: "Voglio vivere in questo mondo che è così lontano da Dio, che si è tanto allontanato dalla luce di Gesù, per aiutarli, per prendere su di me qualcosa della loro sofferenza". Sì, mie care figlie, condividiamo la sofferenza dei poveri, perché solo essen­do uno con loro noi possiamo redimerli; e ciò avviene portando Dio nelle loro vite e conducendo loro a Dio (Las, primo venerdì, luglio '61). Madre Teresa stessa fece esperienza del dolore della povertà in modo molto personale. Abbiamo un diario dei primi mesi della sua nuova vita, quan­do era impegnata a cercare un posto per il suo pic­colo gruppo e dovette sperimentare le prove del­l'impotenza. Quelle pagine, a un certo punto, con­tengono un passaggio molto personale: Oggi ho imparato una buona lezione: la povertà dei poveri deve essere spesso molto dura per loro. Mentre giravo alla ricerca di una casa ho cammina­to ecamminato fino a che le gambe e le braccia hanno cominciato a dolermi. Allora ho pensato a quanto devono dolere le membra e lo spirito di chi cerca casa, cibo e aiuto. Foi la tentazione si è fatta più forte: nella mia mente si affollavano le imma­gini degli edifici di Loreto con tutte le loro belle cose, le comodità e il genere di persone che li fre­quentano. Insomma, tutto. "Devi dire solo una pa­rola e tutto quello sarà di nuovo tuo" continuava a suggerirmi il tentatore. Per libera scelta, Dio mio, e per amor Tuo, io desidero restare e fare qualunque cosa la Tua santa volontà disponga per me. Non mi concederò neppure una lacrima. Anche se dovrò soffrire più di adesso, continuerò a desiderare la Tua santa volontà. Questa è l'ora oscura della notte della nascita del Sodalizio. Mio Dio, dammi il coraggio ora, in questo momento, di perseverare nel seguire la tua chiamata (quaderno, 16.2.49) Il suo carisma era non solo di lavorare per i pove­ri, ma di condividerne anche la sofferenza, così da avere la sua parte nell'opera redentrice di Gesù. Ma ancora di più: lei doveva condividere la soffe­renza della sete di lui.


 


Come Madre Teresa visse il suo carisma


La sete è un desiderio intenso e doloroso. Madre Teresa la scorgeva in Gesù sulla croce e decise di dedicare tutta la sua vita a saziarla. Il prendervi parte divenne la sua più personale vocazione, fino all'oscurità persistente che avvolse la sua vita. Una certa esperienza di oscurità è comune ad ogni vicenda spirituale. Lei lo sapeva anche nei suoi primi anni. Mentre stava preparandosi ad emettere i voti perpetui, scrisse al direttore spirituale che la sua vita «non è cosparsa di rose... semmai speri­mento di più l'oscurità che vivono anche i miei amici... Offro semplicemente me stessa a Gesù» (prime lettere, 8.2.37). Quelle erano esperienze passeggere. Ma con l'inizio della sua nuova vita a servizio dei poveri, l'oscurità sopravvenne con la sua oppri­mente potenza. Nel diario dei primi mesi, a cui abbiamo già fatto riferimento, troviamo un altro passaggio molto personale e intimo: «Che tortura di solitudine oggi, o mio Dio. Mi chiedo quanto a lungo il mio cuore possa ancora sopportarla... ho versato lacrime in abbondanza. Tutti possono vedere la mia debolezza. Dio mio, dammi il corag­gio di lottare contro la mia natura e il mio tempe­ramento» (quaderno, 28.2.49). All'epoca, il suo direttore spirituale era padre Celest Van Eem. Madre Teresa gli chiese di di­struggere tutte le lettere e così non abbiamo nep­pure una delle lettere a lui indirizzate in quel perio­do. Sappiamo comunque che lui la invitò a rivol­gersi all'arcivescovo, il quale in quei primi anni - prima che le Costituzioni fossero approvate con­sentendo di professare i voti nella nuova congre­gazione - era il superiore della giovane comunità. Madre Teresa si rivolse all'arcivescovo con una fiducia crescente: Vorrei dirle qualcosa che non so come esprimere. Desidero fortemente - con un desiderio intenso e doloroso - di essere tutta per Dio, di essere santa al punto da permettere a Gesù di vivere pienamente in me. Eppure più Lo desidero e meno sono voluta. Voglio amarlo come non è mai stato amato, eppure c'è quella separazione, quel terribile vuoto, quel sentimento di assenza di Dio. Da oltre quattro anni non trovo alcun aiuto... Non le sto scrivendo queste cose rivolgendomi a Sua Eccellenza, ma piuttosto al Padre della mia anima, perché io non le ho tenuto nascosto nulla e lei pure non mi ha nascosto nulla. Mi dica cosa devo fare. Voglio obbedire ad ogni costo (AP, 8.2.56). ancora: «C'è così tanta contraddizione nella mia anima, un così intenso desiderio di Dio, tanto pro­fondo da essere doloroso, una sofferenza conti­nua... Eppure mi sento respinta da Dio, vuota, sen­za amore, senza slancio, senza fede... Il Paradiso non significa nulla per me, mi appare come uno spazio vuoto... e tuttavia rimane quel desiderio di Dio a torturarmi» (AP, 28.2.57). Un giorno, mentre l'arcivescovo celebrava in catte­drale la Messa funebre per Papa Pio XII, Madre Teresa chiese un segno: «Immediatamente sono scomparsi la lunga oscurità e il dolore della perdita, della solitudine, di quella strana sofferenza durata dieci anni. Oggi la mia anima è piena d'amore, di gioia indicibile, di un'intatta unione d'amore» (AP, 7.1.58). Eppure, ben presto, la religiosa si ritrova ascrivere: «Nostro Signore ha pensato meglio che io stia nel tunnel oscuro e se ne è andato un'altra volta, lasciandomi sola. Gli sono grata per il mese d'amore che mi ha concesso» (AP, 16.11.58). Madre Teresa ricevette nuova vita attraverso padre Lawrence Trevor Ficachy, a quell'epoca rettore del St. Xavier's College e più tardi arcivescovo di Calcutta e cardinale. Oltre alle lettere inviategli dalla Madre, siamo in possesso di due documenti da lei redatti su sua richiesta (non datati, ma probabil­mente risalenti al periodo tra il 1959 e il '60). La religiosa vi presenta il suo stato mentale in manie­ra coerente. Sotto forma di preghiera descrive la sua vicinanza a Gesù durante i primi anni: tuttavia ora, Gesù, sto andando dalla parte sba­gliata. Dicono che le persone all'inferno soffrano pene eterne per l'assenza di Dio... Nella mia anima io sento questa terribile sofferenza della perdita, l'esperienza di Dio che mi rifiuta, di Dio che non è Dio, che non esiste. Gesù, ti prego, perdona que­sta bestemmia - mi è stato richiesto di scrivere tutto - perdona questa oscurità che mi circonda da ogni parte. Non sono capace di elevare la mia anima a Dio. Nessuna luce, nessuna ispirazione penetra nel mio spirito. ancora, sebbene non ci sia fede, nè amore, nè fiducia, ma invece molto dolore, il dolore del desiderio e dell'essere non voluta, io voglio Dio con tutte le forze del mio spirito. Eppure rimane quella terribile separazio­ne... Non prego più, la mia anima non è con te. Ma intanto, quando sono sola per le strade, io ti parlo per ore del mio desiderio di te.


In ogni caso, l'oscurità non intralcia il suo lavoro. Sebbene «il buio non porti gioie, attenzione, entu­siasmo..., io faccio del mio meglio e mi prodigo. Sono più convinta che il lavoro non è mio. Non dubito che sia stato tu a chiamarmi con un amore tanto grande e tanto forte. Sei stato tu... e sei tu anche ora. Ma io non ho fede». Nonostante la sua persistente sofferenza, la Madre è pronta ad accogliere l'oscurità come il suo modo speciale di saziare la sete di Gesù: Se la mia pena e il mio dolore, la mia oscurità e separatezza possono darti una goccia di consola­zione, o mio caro Gesù, fa' come desideri... Io sono tua. Imprimi nel mio spirito e nella mia vita le sofferenze del tuo cuore... Se la mia separazione da te conduce gli altri a te e nella loro compagnia e amore tu trovi gioia, o mio Gesù, allora voglio con tutto il cuore soffrire ciò che sto soffrendo... La tua felicità è tutto ciò che voglio... Desidero sazia­re la tua sete con ogni goccia del mio sangue... non preoccuparti di tornare troppo presto. Sono pronta ad aspettarti per tutta l'eternità (Pi, senza data). Esperienze di oscurità sono presenti nella vita di molti mistici, ma è difficile trovare paralleli alla notte lunghissima che ha avvolto l'esistenza di Madre Teresa. Tale notte va vista nel contesto della sua vocazione particolare, iniziata nel momento in cui si imbarcò nel servizio degli abbandonati. Sin dal principio lei stessa ha dovuto sperimentare non solo la loro povertà materiale e l'assenza d'aiuti, ma anche il loro abbandono. Allo stesso tempo proprio questa oscurità era il suo modo tutto speciale di condividere la passione redentrice di Gesù. Quando Madre Teresa intuì che la notte del cuore era il suo speciale modo di con­dividere la passione di Gesù, ne fece l'esperienza redentrice della sua vita: «Ho cominciato ad amare la mia oscurità, perché ora credo che nel mio cuore ci sia una parte, una parte molto piccola del­l'oscurità e del dolore di Gesù sulla terra». Questo è il lato spirituale della sua opera: «Oggi io avverto davvero una gioia profonda perché Gesù, che non può più vivere la passione, la può di nuovo speri­mentare in me. Ora più che mai voglio consegnar­mi a lui, ora più che mai sarò a sua disposizione» (senza data). Così vediamo che l'oscurità era veramente il lega­me misterioso che univa Madre Teresa a Gesù: è il contatto del desiderio intimo di Dio. Nient'altro può occupare la sua mente. Un desiderio tanto intenso è possibile solo grazie alla presenza nasco­sta di Dio. Non possiamo desiderare fortemente nulla che non ci sia intimamente vicino. La sete è molto più dell'assenza d'acqua. Non la sperimen­tano le pietre, ma solo gli esseri viventi, che dipen­dono totalmente dall'acqua. Chi apprezza di più il senso dell'acqua che dà vita? L'uomo che apre ogni giorno il rubinetto senza pensarci troppo o il viaggiatore nel deserto, torturato dalla sete e allaricerca di una sorgente? L'oscurità e il desiderio profondo dell'amore di Dio diventarono anche l'àncora di salvezza contro un pericolo che avrebbe potuto danneggiare la mis­sione di Madre Teresa. Ci riferiamo alla popolarità sempre crescente e all'ammirazione che l'accom­pagnava ovunque nel mondo, esprimendosi anche con l'assegnazione di numerosi premi. Tutto ciò non poteva toccare un cuore completamente as­sorbito da un inestinguibile desiderio di Dio. Dopo essersi recata a Manila per ritirare il Premio Magsaysay, la Madre scriveva: «Ho dovuto andare a Manila... è stato un grande sacrificio. Perché Lui mi dà tutte queste cose ma non Sé stesso? Io voglio Lui, non i Suoi regali o le sue creature» (10.9.62). Gli occhi del mondo intero erano puntati su di lei quando ricevette il Premio Nobel per la pace. Ma lei pensava solo ai poveri: «Continuano ad arrivare centinaia di lettere. Il Premio ha aiutato molta gente a trovare la strada dei poveri» (9.1.80). E più tardi: «Quest'anno ha offerto molte opportunità per soddisfare la sete di Gesù d'amore per le anime. E’ stato un anno ripieno di passione di Cristo. Non so quale sete sia più grande, se la Sua, o la mia per Lui» (15.12.80).


 


Contemplativa e attiva


Il carisma di Madre Teresa comprende entrambe le dimensioni della vita cristiana: contemplazione e azione. La Congregazione ha come scopo di estin­guere la sete di Gesù tramite l'unione con Lui nella «professione dei consigli evangelici e il servizio libe­ro e di tutto cuore ai più poveri tra i poveri» (Cost. 3). Sin dall'inizio, la Madre ha insistito su questa inseparabile complementarietà. Entrambe le di­mensioni devono essere realizzate da ogni compo­nente della Congregazione. Sebbene negli ultimi anni Madre Teresa della sua vita abbia fondato un ramo contemplativo per le suore (1976) e uno per i fratelli (1979), ha anche costantemente insistito sull'unità del Sodalizio: «UN Sodalizio, legato da UNA Costituzione, con gli STESSI voti e lo stesso spirito, ed UN unico superiore generale» (Cost. 11). «Noi siamo consacrati a Lui, Gesù ci ha scelti per Lui. Quale gioia la nostra nel poter essere sempre in contatto stretto con Cristo nella sua dimensione di sofferenza» (Las, primo venerdì, giugno '61). Questa mutua compenetrazione di unione persona­le con Cristo e servizio effettivo ai poveri è radicata nel Vangelo: Gesù stesso è stato unito al Padre in maniera unica e ha reso fruttuosa tale unione col prendersi cura quotidianamente della gente. Nel suo messaggio l'amore di Dio che non possiamo vedere è messo alla prova nell'amore per il vicino, che invece possiamo vedere. Anche il Concilio ha sottolineato che il dono di sé a Dio e l'impegno apostolico nei confronti del prossi­mo sono strettamente uniti nella vita religiosa, la quale include l'ascolto della parola di Dio e il coin­volgimento nell'opera Sua. «I membri di qualsiasi istituto (...) congiungano tra loro la contemplazione, con cui aderiscono a Dio con la mente e col cuore, e l'ardore apostolico, con cui si sforzano di colla­borare all'opera della Redenzione e dilatare il Re­gno di Dio» (Fc, 5). Perciò Madre Teresa non accetta l'abituale suddivi­sione delle comunità religiose in attive e contem­plative. Alle sue suore contemplative chiede, insie­me ai loro doveri di «adorazione eucaristica, con­templazione, silenzio, solitudine, digiuno, pe­nitenza», anche «l'uscir fuori, per due o tre ore al giorno, incontro a coloro che sono spiritualmente i più poveri dei poveri e la proclamazione della paro­la di Dio tramite la loro presenza e l'opera spiritua­le della misericordia» (Cost. 5). Per le sorelle contemplative questo «uscire» non è considerato una deroga, un ammorbidimento del severo isolamen­to: «Non perdetelo mai di vista (questo uscire), per voi sarebbe una tentazione, per questo è il nostro quarto voto» (Lasc, 20.10.82). Contemplazione non significa separazione dal mondo, ma vicinanza a Dio in ogni sfera della vita. Secondo il «Direttorio spirituale» che contiene le linee guida della sua spiritualità, «un contemplati­vo è una persona che vive ventiquattrore al giorno con Gesù,... ed ogni cosa che fa è rivolta a Gesù, tramite Maria e Giuseppe» (Introduzione alla sezio­ne B). Madre Teresa considera anche le sorelle attive co­me delle contemplative, perché tutta la loro vita e la loro opera consistono nell'essere vicine a Gesù, che incontrano nel povero: «lo avete fatto a me». La Madre voleva che tutto il suo lavoro fosse compre­so in questa prospettiva anche da chi è esterno all'i­stituto. Quando ricevette il Premio Nobel disse davanti al mondo intero: «Noi non siamo degli assi­stenti sociali. Agli occhi della gente possiamo sem­brare tali per il lavoro che compiamo, ma noi siamo realmente contemplative nel cuore del mondo, per­ché tocchiamo il corpo di Cristo ventiquattrore al giorno. Noi viviamo ventiquattrore al giorno alla sua presenza». Tutti sono invitati a fare lo stesso, aman­dosi veramente gli uni gli altri e cominciando da casa: «Non ha importanza quanto facciamo... ma quanto amore mettiamo in quel che facciamo, quanto facciamo a Lui nella persona che stiamo servendo» (Oslo, 11,12.79). Questa è la spiritualità che Madre Teresa cerca di comunicare alle sue suore in innumerevoli istru­zioni. Non propone un metodo sistematico - che d'altro canto non sarebbe stato di alcun aiuto nep­pure a lei nella sua notte oscura - ma prova piut­tosto a condurle verso la consegna totale a Gesù. Quattro aspetti appaiono particolarmente rilevanti all'interno di questa spiritualità. Anzitutto la deci­sione ferma di liberarsi da ogni attaccamento alle nostre esigenze e ambizioni: «Il primo passo è desi­derare... Il mio progresso nella santità dipende da Dio e da me stessa - dalla grazia di Dio e dalla mia volontà... In questo "Io devo porre tutte le mie energie». Un santo è «uno spirito risoluto... La risolutezza ad essere santi costa molto. Dovrò spo­gliare me stessa da tutto ciò che non è Dio; spo­gliare il mio cuore svuotandolo di tutte le realtà create» (Las, primo venerdì, ottobre '60). La prontezza a rinunciare a se stesse apre il cuore a una vita di servizio amorevole. Madre Teresa rin­viene un esempio illuminante nell'umile servizio di Maria Vergine, la quale occupa un posto centrale nella sua spiritualità. La vita di Maria abbonda dei doni generosi di Dio, eppure è sgombra da ogni vanità. Concepisce Gesù, che le è figlio, ma sa che lui appartiene al mondo. Tutta la sua vita è attratta nel mistero dell'amore di Dio che dona Gesù, Suo flglio al mondo. La sua vicinanza con Gesù «gene­ra in lei fervore e carità, fervore per donare Gesù attraverso la carità... Il frutto della sua unione è stato il servizio d'amore per il prossimo... Lei pen­sava solo a come servire». Così Maria diventa il modello delle MC: «questa vita di Maria è così simi­le alla nostra». Anche le suore sono unite a Gesù: «Ora che Gesù e io siamo una cosa sola, Gesù mi ha dato quell'ardore e quella carità che sono il frut­to di questa unione?... Vado davvero verso il pove­ro come la serva del Signore, ripiena di Gesù, per dare solo Gesù al povero che servo? Il mio servizio al povero è fedele, tenero e profondo? Mi compor­to nei suoi confronti come Maria si comportò con Elisabetta?« (31 ottobre '66). Possiamo chiederci ancora una volta come Madre Teresa possa insegnare a pregare alle sue sorelle nel momento in cui confessa che nella sua oscu­rità è incapace di pregare. Non insegna mai un metodo, ma si augura che le sue suore imparino la semplicità di un'unione personale con Gesù: «Una missionaria della Carità che non è unita cuore e anima con Cristo non sarà in grado di vive­re lo spirito dell'abbandono totale, della fiducia piena d'amore e della cordialità». Il puro recitare preghiere è privo di senso: «Pregare significa esse­re completamente unite a Gesù così da consentir­gli di pregare in noi, con noi e per noi. Questo rimanere fedeli l'uno all'altro, Gesù ed io, è pre­ghiera». L'unione con Gesù è realizzata ugualmente nel silenzio della cappella e nel lavoro quotidiano: «Imparare a pregare è il lavoro che Gesù ha fatto per trent'anni a Nazareth... Imparate a pregare da Gesù e consentitegli di pregare in voi. Poi mettete a frutto la preghiera nel vivere una vita d'amore amandovi le une le altre come Gesù ama ciascuna di voi» (Las, 27.7.83). Abbiamo bisogno soltanto di un cuore umile e povero: «Così potremmo vede­re Dio nelle nostre sorelle e nei poveri che servia­mo. Non sarebbe meraviglioso poter essere con­templative ventiquattrore al giorno, se solo i nostri cuori fossero umili e poveri?» (Las, agosto '84). Infine la vita e l'opera di una MC devono essere piene di gioia. È questo il desiderio di Gesù: «Lui vuole condividere la sua gioia con gli Apostoli: che la mia gioia sia in voi». La gioia non è questione di temperamento, non consiste nella consolazione: «Il servizio di Dio e delle anime è sempre duro». Ma il vero amore porta gioia: «Un cuore gioioso è il risultato di un cuore che brucia d'amore». La gioia non solo arricchisce la nostra vita ma è «una rete d'amore con la quale potrete catturare molte anime». Essa è essenziale nella vita delle suore: «La disposizione all'allegria è una delle virtù prin­cipali richieste in una Missionaria della Carità» (Las, Fasqua, aprile '64).



11/09/2016 19:45

I quattro voti


La forma concreta attraverso cui le MC vivono la loro unione con Gesù sono i quattro voti. Nella pro­fessione esse «legano se stesse a Gesù Cristo tra­mite i quattro voti, con amore indiviso nella castità attraverso la libertà nella povertà nell'arrendimento totale dell'obbedienza in completo e libero servizio a Lui sotto le sembianze sofferenti dei più poveri dei poveri» (Cost. 36). Nelle prime costituzioni del 1954, Madre Teresa seguiva ancora l'ordine tradizionale dei tre consigli evangelici cominciando con la povertà. Ma il nucleo del suo carisma è la totale unione con Cristo, espressa nel voto di castità. La religiosa spiega così la coerenza dei quattro voti: Il voto di castità ci tiene unite fedelmente a Cristo. Il frutto di questa nostra unione con Cristo è il voto di carità (quarto voto). Dobbiamo desiderare di essere pure, dobbiamo ricorrere ad ogni mezzo per mantenerci pure,corpo e anima; Gesù dev'essere in grado di usarci completamente. Per far sì che il voto di carità cresca, noi facciamo voto di povertà e obbedienza. Come una lampada non può bru­ciare senz'olio, così il voto di carità non può vive­re senza i voti di povertà e obbedienza; e tutti e tre i voti si reggono sulla castità. Così vivete il voto di castità (Las, 27.6.65). La povertà è necessaria per il totale dono di sé a Gesù: «Per poter essere tutte per Gesù, e amarlo con cuore indiviso, noi abbiamo bisogno di un cuore puro, purificato dalla libertà della povertà». La povertà non è essenzialmente di carattere eco­nomico, ma piuttosto un atteggiamento di condivi­sione, di dono di sé. Madre Teresa amava il para­dosso: Meno abbiamo (per noi stesse) e più pos­siamo dare (di noi stesse). Possedendo Gesù, noi possediamo tutto. Questo è il motivo per cui pos­siamo dare di più, è perché possiamo dare Gesù» (Las, 23.1.82). Gesù ci ha salvato tramite la sua povertà: si è fatto povero per amor vostro così che voi possiate diventare ricchi tramite la sua povertà (2Cor 8, 9): «Anche noi dobbiamo diventare pove­re per amore di Gesù e del povero che serviamo. Infatti, per poter capire il povero, per essere capa­ci di proclamare la Buona novella al povero, dob­biamo sapere cosa sia la povertà». Dopo aver enu­merato le implicazioni giuridiche del voto di pover­tà, Madre Teresa continua: «La nostra dev'essere la povertà del Vangelo - mite, tenera, cordiale, sem­pre pronta a un gesto d'amore.. Prima d'essere rinuncia, la povertà è amore» (Las, 23.1.82). Allo stesso modo, la povertà è parte del dono di noi stessi a Gesù: «Dobbiamo appartenere total­mente a Gesù, arrenderci a lui senza riserve, per­ché Lui solo merita il nostro amore. Se gli apparte­niamo veramente, dobbiamo essere a sua disposi­zione così che Lui sia libero di disporre di noi quando vuole e come vuole - tramite i nostri supe­riori chiunque essi siano» (Las, 8.7.76). L'ob­bedienza è la più bella offerta a Dio, perché la nostra volontà è l'unico dono di Dio che sia nostro e che Egli non prenderà mai con la forza. La accet­terà soltanto se saremo noi a consegnargliela» (Las, 2.1.87). Questa è una visione sublime della vita religiosa, davanti alla quale non ci sorprende che Madre Teresa abbia dovuto sperimentare delusioni. La vita delle suore è difficile, il lavoro nelle baracco­poli pericoloso. Giorno per giorno le religiose devono lavorare con persone di vari strati sociali. Ogni volta che la Madre riceveva notizia di una suora che aveva lasciato la Congregazione ne pro­vava una pena profonda. La stessa povertà causa­va molti problemi. Parecchie suore provenivano da ambienti semplici e non avevano mai maneggiato grandi quantità di denaro. Piuttosto inquietanti erano le notizie sulla disunione tra le suore, o riguardo alle superiore giovani, insensibili ai senti­menti delle consorelle, alle gelosie, al linguaggio pungente, umiliante e offensivo. In una lettera dall'ospedale, la Madre scriveva: «Non avete idedi quale grande pena queste parole arrechino al mio cuore... Devo prendere cinque diverse medicine per il mio cuore fisiologico, ma desidero ardente­mente la migliore medicina, che è il vostro amore vicendevole» (Las, 27.10.67). Questi passaggi vanno letti tenendo sullo sfondo la gioia e l'apprezzamento per le sorelle, la loro cre­scita spirituale e il lavoro fedele che compiono, sentimenti di cui le lettere sono piene. Nondimeno evidenziano alcuni limiti nello svilup­po del Sodalizio. Anzitutto emerge una formazione culturale di tipo tradizionale. Madre Teresa si era formata come religiosa in una cornice in cui le gio­vani dovevano adeguarsi all'autorità dei superiori. Per lei fu di grande aiuto: disciplina e autorità ferma erano assolutamente necessarie per comu­nità tanto rapide nel diffondersi. Ma la vita comu­nitaria e il lavoro tra le baracche chiedevano anche iniziativa, creatività e molta responsabilità perso­nale. C'era bisogno di maggiore allenamento alle relazioni in comunità e capacità di far fronte a situazioni difficili. Madre Teresa era molto preoc­cupata della formazione delle giovani suore. Ma con l'accrescersi del numero delle novizie - ce n'e­rano più di cento nell'affollata casa di Calcutta - vtutto divenne più difficile. Nel corso del suo ultimo capitolo - quello del 1997, durante il quale rinun­ciò alla sua responsabilità di superiora generale - si è riconosciuto che occorreva più formazione permanente per le suore e specialmente per le superiore. Collegato alla formazione c'è anche il discorso della motivazione eminentemente spirituale delle suore riguardo alla vita comunitaria e alle occupa­zioni di ciascuna. L'amore di Gesù Cristo rimane certamente la base salda della vita delle MC. Ma la grazia di Dio si fa operativa dentro la cornice della vita umana, personale e sociale. La formazione deve includere l'intera persona e le condizioni sociali concrete. L'enfasi posta sull'autorità ha determinato, d'altro canto, una centralizzazione che ha creato difficoltà nel momento in cui l'am­ministrazione e il lavoro si facevano sempre più complessi. Non è questo l'ambito per discutere dettagliata­mente di quelle tensioni. Esse ci conducono, co­munque, al problema di fondo: come si può at­tribuire a un'intuizione carismatica una forma orga­nizzativa concreta? Il problema si è fatto partico­larmente acuto nel caso dei Collaboratori.


I Collaboratori


Il lavoro delle suore nelle baraccopoli richiedeva naturalmente grande collaborazione da parte di molta gente, uomini e donne di varie estrazioni sociali, compresi anche indù e musulmani. Questa collaborazione ha preso gradualmente forma dan­do origine al gruppo dei Collaboratori. Nell'Introduzione alle Costituzioni leggiamo: Sin dai primi giorni del Sodalizio, le Missionarie della Carità hanno attratto laici di ogni parte del mondo che intendevano partecipare al servizio amorevole a Dio nella persona dei bisognosi. Tra costoro è nata l'associazione internazionale dei Collaboratori di Madre Teresa, le cui Costituzioni sono state benedette da Sua Santità, Papa Paolo VI, il 29 marzo 1969. Madre Teresa non ha mai considerato i Colla­boratori come un prolungamento organizzato della sua opera. Li vedeva, piuttosto, come il diffonder­si della sua comunità in tutti gli ambiti sociali. L'importante non era tanto che essi prendessero parte al suo lavoro, ma che ne condividessero lo spirito. In una delle lettere a loro indirizzate, Madre Teresa scrive: non posso consegnarvi «un messag­gio migliore che quello di copiare una delle regole che diamo a ciascuna di noi». A quel punto cita dal numero 92 delle (vecchie) Costituzioni: Come ciascuna componente del Sodalizio è chia­mata a diventare cooperatrice di Cristo tra le barac­che, così deve anche capire cosa il Signore e il Sodalizio si aspettano da lei. Faccia in modo che Cristo irradi e viva la Sua vita in lei e attraverso lei nelle baraccopoli. Lasci che i poveri, vedendola, siano attratti a Cristo e lo invitino a entrare nelle loro case e nelle loro vite. raccia sì che i malati e i sofferenti trovino in lei un vero angelo capace di dare consolazione e conforto. Lasci che i piccoli nelle strade si stringano a lei perché ricorda loro Lui, l'amico dei piccoli (Coll, 20 aprile '66). Dai Collaboratori Madre Teresa si aspetta lo stesso atteggiamento delle sue suore: conoscere il pove­ro, amare ilpovero, servire il povero (cfr. Coll, 4.10.74). Di pari passo con la crescita del Sodalizio, anche l'associazione dei Collaboratori si diffondeva. Ed era inevitabile che prendesse la forma di un'orga­nizzazione ben compaginata, sul modello delle im­prese moderne. Era compatibile con lo spirito della sua Congregazione? Madre Teresa' sentì il bisogno di prendere una posizione decisa: «Poiché noi fac­ciamo affidamento sulla Divina Provvidenza per i bisogni nostri e dei poveri, sento che l'attività di raccolta fondi e le contribuzioni mensili regolari sono contrarie al nostro spirito. Pertanto non con­cedo a nessuna persona od organizzazione il per­messo di effettuare raccolte fondi o di coordinare il versamento di contributi per la nostra opera» (Coll, 27.9.81). Sembrava necessaria una decisione ancor più radi­cale: «Non ci serve che i Collaboratori funzionino come un'organizzazione» con un organismo cen­trale di governo, dei funzionari, collegamenti e conti correnti bancari. Non voglio che si spendano soldi per lettere circo­lari o viaggi dei Collaboratori. Se vedete qualcuno raccogliere fondi in nome mio, vi prego di impe­dirglielo... Restiamo uniti nel cuore di Gesù attra­verso Maria come un'unica famiglia spirituale. Il mio dono per voi e' di permettervi di condividere con noi l'opera di Dio, di essere cioè portatori del­l'amore di Dio in spirito di preghiera e sacrificio (Coll, 30.8.93). Poco prima di morire, dopo aver già rimesso ad altri il governo del Sodalizio, Madre Teresa si sentiva ancora combattuta. Era giusta quella sua drastica decisione? Eccola dunque, scrivere nuovamente ai Collaboratori: «Sentite il bisogno di avere un collegamento internazionale tramite lettera circolare? Volete avere anche uno strumento di collegamento a carattere nazionale? ... Vorrei che me lo diceste» (Coll, Fasqua '97). Di nuovo fa capolino il problema già menzionato: come si può conferire una forma organizzata a un carisma? «La tua vocazione è amare. soffrire e salvare anime»


In questa lettera indirizzata all'allora arcivescovo di Calcutta (di cui proponiamo ampi stralci), Madre Te­resa spiega il contenuto delle ispirazioni ricevute da Gesù a partire dal 10 settembre 1946. In una prece­dente lettera, datata 3 dicembre 1946, aveva già esposto al suo confessore padre Celest Van Exem il contenuto delle locuzioni interiori e delle visioni del Cristo: «Ciò che e' avvenuto fra Lui e me nel corso di quei giorni di intensa preghiera».


 


Covento ST. Mary 13 gennaio 1947


 


Vostra Eccellenza, dallo scorso settembre, pen­sieri e desideri inconsueti hanno riempito il mio cuore. Sono divenuti più forti e più chiari nel corso degli otto giorni di ritiro che ho fatto a Darjeeling. Al rientro ho raccontato tutto a padre Van Exem, gli ho mostrato gli appunti che avevo scritto durante il ritiro. Mi ha detto che pensava fossero di ispirazione divina, ma di pregare e mantenere il silenzio al riguardo. Ho continuato a tenerlo al corrente di tutti i movimenti della mia anima, dei pensieri e desideri. Poi ieri mi ha scritto questo: «Non posso impedirti di parlare o scrivere a Sua Eccellenza. Gli scriverai come una figlia al padre, in assoluta fiducia e con sin­cerità, senza paura alcuna o inquietudine, espo­nendogli come si sono svolti i fatti (...)». Prima di cominciare, voglio dirle che ad una sua parola, Eccellenza, sono pronta a non tenere più in considerazione nessuno di quegli inconsueti pensieri che mi si sono presentati continuamen­te. Nel corso di quest'anno, molto spesso ho desi­derato intensamente di essere tutta per Gesù, e di far sì che altre anime - soprattutto indiane -giungano ad amarLo ardentemente, e di identifi­carmi in tutto con le giovani donne indiane, così da amarLo come non è mai stato amato. Ho pen­sato che questo fosse uno dei miei tanti folli desideri. Ho letto la biografia di santa M. Cabrini: lei ha fatto così tanto per gli americani perché è divenuta una di loro. Perché non posso fare per l'India ciò che lei ha fatto per l'America? Ella non ha aspettato che le anime andassero a lei. È stata lei ad andare verso di loro con le sue zelanti collaboratrici. Perché non posso fare altrettanto per Lui, qui? Ci sono così tante anime pure, sante, che ardono del desiderio di donarsi interamente a Dio. Gli Ordini religiosi europei sono troppo ricchi per loro. Vi si riceve più di quanto si dia. «Non mi aiuteresti?» Come posso farlo? Sono stata molto felice come suora di Loreto e tutto­ra lo sono. Lasciare ciò che amo ed espormi a nuove fatiche e sofferenze che saranno grandi, essere lo zimbello di tante persone, specialmen­te di religiosi, aggrapparmi e aderire deliberata­mente agli aspetti più duri della vita indiana: la solitudine, l'ignominia, l'insicurezza, e tutto per­ché Gesù lo desidera, perché qualcosa mi sta chiamando a lasciare tutto e a radunare alcune compagne che vivano la Sua vita, che svolgano la Sua opera in India. Questi pensieri sono stati fonte di grande sofferenza, ma quella Voce ha continuato a dirmi: «Rifiuterai?» Un giorno1 dopo la S. Comunione, ho udito la stessa Voce molto distintamente: «Voglio suore indiane, vittime del mio amore, che siano Maria e Marta, così fortemente unite a me da irradiare il mio amore sulle anime. Voglio suore libere, rivestite della mia povertà della Croce, voglio suore obbedienti, rivestite della mia obbedienza sulla Croce, voglio suore colme di amore, rive­stite della Carità della Croce. Rifiuterai di fare questo per me?» E un altro giorno udii: «Sei divenuta mia sposa per Amor mio, per me sei giunta in India, è stata la sete che avevi delle anime a condurti così lon­tano. Hai paura ad intraprendere un altro passo per il tuo Sposo, per me, per le anime? La tua generosità si è raffreddata? Sono passato in secondo piano per te? Tu non hai dato la vita per le anime: ecco perché non t'importa di ciò che succede loro. Il tuo cuore non è mai sprofonda­to nel dolore come quello di mia Madre. En­trambi abbiamo dato tutto per le anime. E tu? Tu hai paura di perdere la tua vocazione, di diven­tare secolare, di non riuscire a perseverare. No, invece: la tua vocazione è amare, soffrire e sal­vare anime, e compiendo questo passo realizze­rai il desiderio del mio Cuore per te. Questa è la tua vocazione. Vestirai un semplice abito indiano o piuttosto come Mia Madre si vestì, semplice­mente e poveramente. Il tuo abito attuale è san­to perché è il mio simbolo. Il tuo sari lo divente­rà perché sarà pure il mio simbolo.» Ho cercato di persuadere Nostro Signore che avrei cercato di diventare una santa Suora di Loreto molto fervente, una vera vittima quiin questa vocazione. Ma la risposta giunse ancora una volta molto chiaramente: «Voglio suore Missionarie della Carità indiane, che siano il Mio fuoco d'amore fra i più poveri, gli ammalati, i moribondi, i bambini di strada. Sono i poveri che devi condurre a me; e le suore che offrisse­ro la loro vita come vittime del mio amore por­terebbero a Me queste anime. So che tu sei la persona più incapace, debole e peccatrice, ma proprio perché sei così desidero usarti per la mia Gloria! Rifiuterai?!» Queste parole, o piuttosto quella Voce,SCHEDA


Da Agnes che era... Agnes Gonxha Bojaxhiu (questo il nome all'anagrafe della futura Madre Teresa), nasce il 26 agosto 1910 a Skopje, Macedonia, da una famiglia di origine albanese. Il padre, uomo d'affari, muore quando Agnes ha appena otto anni, lasciando la famiglia in gravi difficoltà econo­miche. Impegnata fin dall'adolescenza nelle attività par­rocchiali, Agnes lascia la sua casa nel settembre 1928 per seguire la sua vocazione religiosa. Raggiunge il con­vento delle suore di Loreto (Istituto della Beata Vergine Maria) a Rathfarnam, (Dublino), Irlanda, dove è accolta come postulante il 12 ottobre con il nome di Teresa, per sottolineare il legame spirituale con Teresa di Lisieux. Arriva a Calcutta il 6 gennaio 1929. Da qui raggiunge il noviziato delle suore di Loreto a Darjeeling. Professa i voti perpetui il 24 maggio 1937; da quel giorno è chia­mata Madre Teresa. Negli anni Trenta e Quaranta inse­gna nella scuola media bengalese St. Mary, diretta dal­l'istituto a Calcutta, Il 10 settembre 1946, sul treno che la conduce da Calcutta a Darjeeling per una settimana di esercizi spiri­tuali, Madre Teresa riceve quella che definirà la «chiama­ta nella chiamata». Il contenuto di questa ispirazione de­termina lo scopo e la missione del nuovo Istituto: «Sa­ziare l'infinita sete di Gesù sulla Croce di amore e per le anime, lavorando per la salvezza e la santificazione dei più poveri tra i poveri». Il 7 ottobre 1950 la nuova Con­gregazione delle Missionarie della Carità è riconosciuta come istituto religioso dall'arcidiocesi di Calcutta. Gli anni Cinquanta e Sessanta vedono la diffusione del­l'opera delle Missionarie della Carità in tutta l'india. il primo febbraio 1965 Papa Paolo VI concede alla Con­gregazione il «Decretum Laudis», elevandola a diritto pontificio. La prima casa fondata fuori dall'india fu quella di Co­corote, in Venezuela, nel 1965. E poi in Europa (nella periferia di Roma, a Tor Fiscale) ed in Africa (a Tabora, Tanzania) nel 1968. Oggi le suore di Madre Teresa sono presenti in 130 Paesi; circa 700 le fondazioni instanca­bilmente seguite da Madre Teresa attraverso numerosi viaggi. Provata dalla vecchiaia e dalla fatica, Madre Teresa muore la sera del 5 settembre 1997 nella Casa madre di Calcutta. il suo corpo viene trasferito nella Chiesa di St. Thomas, adiacente al Convento di Loreto, proprio dove era giunta circa 69 anni prima. Centinaia di migliaia di persone di ogni ceto sociale e religione, dall'india e dal­l'estero le rendono omaggio. Il 13 settembre si celebra­no i funerali di Stato. Il corpo di Madre Teresa viene con­dotto in un lungo corteo attraverso le strade di Calcutta, sullo stesso affusto di cannone che ha portato le salme di Mohandas Gandhi e Jawaharlal Nehru.


(Fonte: Sito ufficiale della causa di beatificazione www.motherteresacause.info)Las -Lettere alle suore


AP -Lettere all’Arcivescovo Pèrier


PI - Lettere al Padre T.Picachy sj


Pc - Perfectae Caritatis,decreto conciliare sul rinnovamento della vita religiosa


Lasc –Lettrere alle suore contemplative


Coll - Lettere ai Collaboratori


Lg - Lumen Gentium,costituzione dogmatica conciliare sulla Chiesa


forma di programmazione e organizzazio­ne. È possibile? Il problema è comune a tutte le comunità religiose. Basta pensare alle idee sulla povertà tanto profondamente compresa e radical­mente vissuta da san Francesco: quanto fu diffici­le istituzionalizzarle in varie forme nella Chiesa del Medio Evo. Possiamo anche chiederci, ancor più radicalmente: come riuscì lo stesso Gesù a istitu­zionalizzare la sua visione di un'umanità redenta nel Regno di Dio? In una nuova società compren­dente tutti in solidarietà e amore, con Dio come centro e forza che sostiene? Il Concilio dice che la Chiesa ha ricevuto «la missione di annunziare e instaurare in tutte le genti il Regno di Cristo e di Dio». Non identificando la Chiesa con il Regno di Dio, il Concilio aggiunge l'umile dichiarazione che essa «di questo Regno costituisce in terra il germe e l'inizio» (Lg 5). La crescita del Regno di Dio sulla terra rimane il compito dei seguaci di Gesù di tutte le generazioni, in ogni situazione nuova. Questa è anche l'eredità di Madre Teresa per la sua Con­gregazione: lottare tenacemente per la realizzazio­ne del suo carisma e renderlo fruttuoso per la nostra società.


padre Joseph Neuner. Sj


(Traduzione a cura di Giampiero Sandionigi)


LEGENDA


Abbreviazioni


 


Cost- CostituzioniCarisma e istituzione


Abbiamo cercato di delineare le caratteristiche principali del carisma di Madre Teresa. Per lei si trattava di renderlo vivo nel suo Sodalizio. Una visione carismatica può essere istituzionalizzata? Conosciamo tutti lo sviluppo fenomenale registra­to in cinquant'anni dalle MC, diffusesi in tutto il mondo con l'apertura di comunità, animate dallo stesso spirito, in più di cento Paesi. Abbiamo an­che visto, molto brevemente, i problemi legati al vivere questo tipo di vita personalmente e in comu­nità, immersi nel nostro mondo moderno per por­tare frutti nella società. Tutto ciò necessità una qualchemi mise paura. Il pensiero di mangiare, dormire, vivere come gli indiani mi riempì di timore. Ho pregato a lungo. Ho pregato così tanto, ho chiesto alla nostra Madre Maria che domandasse a Gesù di allontanare da me tutto questo. Più ho pregato, più la Voce nel mio cuore è divenuta chiara; e così ho domandato che Lui facesse con me ciò che voleva. Egli ha chiesto e richiesto ripetuta­mente. Poi, ancora una volta, la Voce fu molto esplicita: «Hai sempre detto: "Fa' di me ciò che ti piace!" Ora desidero agire. Lasciamelo fare, Mia piccola Sposa, piccola Mia. Non temere. Sarò sempre con te. Soffrirai e già ora soffri; ma se sei la mia piccola sposa, la sposa di Gesù Crocifisso, do­vrai sopportare questi tormenti nel tuo cuore. Lasciami agire. Non dirmi di no. Confida amore­volmente in me. Confida ciecamente in me.» «Piccola mia, dammi anime, dammi le anime dei poveri bambini di strada. (...) Se solo sapessi quanti piccoli cadono nel peccato ogni giorno! Esistono conventi con un grande numero di suore che si prendono cura di persone ricche e abili, ma per i miei più poveri non c'è assoluta­mente nessuno. Sono loro che desidero arden­temente, sono loro che amo. Rifiuterai?» Questo è ciò che è avvenuto tra Lui e me nel corso di quei giorni di intensa preghiera. Per me, tutto risulta chiaro, come segue:



11/09/2016 19:47

I quattro voti


La forma concreta attraverso cui le MC vivono la loro unione con Gesù sono i quattro voti. Nella pro­fessione esse «legano se stesse a Gesù Cristo tra­mite i quattro voti, con amore indiviso nella castità attraverso la libertà nella povertà nell'arrendimento totale dell'obbedienza in completo e libero servizio a Lui sotto le sembianze sofferenti dei più poveri dei poveri» (Cost. 36). Nelle prime costituzioni del 1954, Madre Teresa seguiva ancora l'ordine tradizionale dei tre consigli evangelici cominciando con la povertà. Ma il nucleo del suo carisma è la totale unione con Cristo, espressa nel voto di castità. La religiosa spiega così la coerenza dei quattro voti: Il voto di castità ci tiene unite fedelmente a Cristo. Il frutto di questa nostra unione con Cristo è il voto di carità (quarto voto). Dobbiamo desiderare di essere pure, dobbiamo ricorrere ad ogni mezzo per mantenerci pure,corpo e anima; Gesù dev'essere in grado di usarci completamente. Per far sì che il voto di carità cresca, noi facciamo voto di povertà e obbedienza. Come una lampada non può bru­ciare senz'olio, così il voto di carità non può vive­re senza i voti di povertà e obbedienza; e tutti e tre i voti si reggono sulla castità. Così vivete il voto di castità (Las, 27.6.65). La povertà è necessaria per il totale dono di sé a Gesù: «Per poter essere tutte per Gesù, e amarlo con cuore indiviso, noi abbiamo bisogno di un cuore puro, purificato dalla libertà della povertà». La povertà non è essenzialmente di carattere eco­nomico, ma piuttosto un atteggiamento di condivi­sione, di dono di sé. Madre Teresa amava il para­dosso: Meno abbiamo (per noi stesse) e più pos­siamo dare (di noi stesse). Possedendo Gesù, noi possediamo tutto. Questo è il motivo per cui pos­siamo dare di più, è perché possiamo dare Gesù» (Las, 23.1.82). Gesù ci ha salvato tramite la sua povertà: si è fatto povero per amor vostro così che voi possiate diventare ricchi tramite la sua povertà (2Cor 8, 9): «Anche noi dobbiamo diventare pove­re per amore di Gesù e del povero che serviamo. Infatti, per poter capire il povero, per essere capa­ci di proclamare la Buona novella al povero, dob­biamo sapere cosa sia la povertà». Dopo aver enu­merato le implicazioni giuridiche del voto di pover­tà, Madre Teresa continua: «La nostra dev'essere la povertà del Vangelo - mite, tenera, cordiale, sem­pre pronta a un gesto d'amore.. Prima d'essere rinuncia, la povertà è amore» (Las, 23.1.82). Allo stesso modo, la povertà è parte del dono di noi stessi a Gesù: «Dobbiamo appartenere total­mente a Gesù, arrenderci a lui senza riserve, per­ché Lui solo merita il nostro amore. Se gli apparte­niamo veramente, dobbiamo essere a sua disposi­zione così che Lui sia libero di disporre di noi quando vuole e come vuole - tramite i nostri supe­riori chiunque essi siano» (Las, 8.7.76). L'ob­bedienza è la più bella offerta a Dio, perché la nostra volontà è l'unico dono di Dio che sia nostro e che Egli non prenderà mai con la forza. La accet­terà soltanto se saremo noi a consegnargliela» (Las, 2.1.87). Questa è una visione sublime della vita religiosa, davanti alla quale non ci sorprende che Madre Teresa abbia dovuto sperimentare delusioni. La vita delle suore è difficile, il lavoro nelle baracco­poli pericoloso. Giorno per giorno le religiose devono lavorare con persone di vari strati sociali. Ogni volta che la Madre riceveva notizia di una suora che aveva lasciato la Congregazione ne pro­vava una pena profonda. La stessa povertà causa­va molti problemi. Parecchie suore provenivano da ambienti semplici e non avevano mai maneggiato grandi quantità di denaro. Piuttosto inquietanti erano le notizie sulla disunione tra le suore, o riguardo alle superiore giovani, insensibili ai senti­menti delle consorelle, alle gelosie, al linguaggio pungente, umiliante e offensivo. In una lettera dall'ospedale, la Madre scriveva: «Non avete idedi quale grande pena queste parole arrechino al mio cuore... Devo prendere cinque diverse medicine per il mio cuore fisiologico, ma desidero ardente­mente la migliore medicina, che è il vostro amore vicendevole» (Las, 27.10.67). Questi passaggi vanno letti tenendo sullo sfondo la gioia e l'apprezzamento per le sorelle, la loro cre­scita spirituale e il lavoro fedele che compiono, sentimenti di cui le lettere sono piene. Nondimeno evidenziano alcuni limiti nello svilup­po del Sodalizio. Anzitutto emerge una formazione culturale di tipo tradizionale. Madre Teresa si era formata come religiosa in una cornice in cui le gio­vani dovevano adeguarsi all'autorità dei superiori. Per lei fu di grande aiuto: disciplina e autorità ferma erano assolutamente necessarie per comu­nità tanto rapide nel diffondersi. Ma la vita comu­nitaria e il lavoro tra le baracche chiedevano anche iniziativa, creatività e molta responsabilità perso­nale. C'era bisogno di maggiore allenamento alle relazioni in comunità e capacità di far fronte a situazioni difficili. Madre Teresa era molto preoc­cupata della formazione delle giovani suore. Ma con l'accrescersi del numero delle novizie - ce n'e­rano più di cento nell'affollata casa di Calcutta - vtutto divenne più difficile. Nel corso del suo ultimo capitolo - quello del 1997, durante il quale rinun­ciò alla sua responsabilità di superiora generale - si è riconosciuto che occorreva più formazione permanente per le suore e specialmente per le superiore. Collegato alla formazione c'è anche il discorso della motivazione eminentemente spirituale delle suore riguardo alla vita comunitaria e alle occupa­zioni di ciascuna. L'amore di Gesù Cristo rimane certamente la base salda della vita delle MC. Ma la grazia di Dio si fa operativa dentro la cornice della vita umana, personale e sociale. La formazione deve includere l'intera persona e le condizioni sociali concrete. L'enfasi posta sull'autorità ha determinato, d'altro canto, una centralizzazione che ha creato difficoltà nel momento in cui l'am­ministrazione e il lavoro si facevano sempre più complessi. Non è questo l'ambito per discutere dettagliata­mente di quelle tensioni. Esse ci conducono, co­munque, al problema di fondo: come si può at­tribuire a un'intuizione carismatica una forma orga­nizzativa concreta? Il problema si è fatto partico­larmente acuto nel caso dei Collaboratori.


I Collaboratori


Il lavoro delle suore nelle baraccopoli richiedeva naturalmente grande collaborazione da parte di molta gente, uomini e donne di varie estrazioni sociali, compresi anche indù e musulmani. Questa collaborazione ha preso gradualmente forma dan­do origine al gruppo dei Collaboratori. Nell'Introduzione alle Costituzioni leggiamo: Sin dai primi giorni del Sodalizio, le Missionarie della Carità hanno attratto laici di ogni parte del mondo che intendevano partecipare al servizio amorevole a Dio nella persona dei bisognosi. Tra costoro è nata l'associazione internazionale dei Collaboratori di Madre Teresa, le cui Costituzioni sono state benedette da Sua Santità, Papa Paolo VI, il 29 marzo 1969. Madre Teresa non ha mai considerato i Colla­boratori come un prolungamento organizzato della sua opera. Li vedeva, piuttosto, come il diffonder­si della sua comunità in tutti gli ambiti sociali. L'importante non era tanto che essi prendessero parte al suo lavoro, ma che ne condividessero lo spirito. In una delle lettere a loro indirizzate, Madre Teresa scrive: non posso consegnarvi «un messag­gio migliore che quello di copiare una delle regole che diamo a ciascuna di noi». A quel punto cita dal numero 92 delle (vecchie) Costituzioni: Come ciascuna componente del Sodalizio è chia­mata a diventare cooperatrice di Cristo tra le barac­che, così deve anche capire cosa il Signore e il Sodalizio si aspettano da lei. Faccia in modo che Cristo irradi e viva la Sua vita in lei e attraverso lei nelle baraccopoli. Lasci che i poveri, vedendola, siano attratti a Cristo e lo invitino a entrare nelle loro case e nelle loro vite. raccia sì che i malati e i sofferenti trovino in lei un vero angelo capace di dare consolazione e conforto. Lasci che i piccoli nelle strade si stringano a lei perché ricorda loro Lui, l'amico dei piccoli (Coll, 20 aprile '66). Dai Collaboratori Madre Teresa si aspetta lo stesso atteggiamento delle sue suore: conoscere il pove­ro, amare ilpovero, servire il povero (cfr. Coll, 4.10.74). Di pari passo con la crescita del Sodalizio, anche l'associazione dei Collaboratori si diffondeva. Ed era inevitabile che prendesse la forma di un'orga­nizzazione ben compaginata, sul modello delle im­prese moderne. Era compatibile con lo spirito della sua Congregazione? Madre Teresa' sentì il bisogno di prendere una posizione decisa: «Poiché noi fac­ciamo affidamento sulla Divina Provvidenza per i bisogni nostri e dei poveri, sento che l'attività di raccolta fondi e le contribuzioni mensili regolari sono contrarie al nostro spirito. Pertanto non con­cedo a nessuna persona od organizzazione il per­messo di effettuare raccolte fondi o di coordinare il versamento di contributi per la nostra opera» (Coll, 27.9.81). Sembrava necessaria una decisione ancor più radi­cale: «Non ci serve che i Collaboratori funzionino come un'organizzazione» con un organismo cen­trale di governo, dei funzionari, collegamenti e conti correnti bancari. Non voglio che si spendano soldi per lettere circo­lari o viaggi dei Collaboratori. Se vedete qualcuno raccogliere fondi in nome mio, vi prego di impe­dirglielo... Restiamo uniti nel cuore di Gesù attra­verso Maria come un'unica famiglia spirituale. Il mio dono per voi e' di permettervi di condividere con noi l'opera di Dio, di essere cioè portatori del­l'amore di Dio in spirito di preghiera e sacrificio (Coll, 30.8.93). Poco prima di morire, dopo aver già rimesso ad altri il governo del Sodalizio, Madre Teresa si sentiva ancora combattuta. Era giusta quella sua drastica decisione? Eccola dunque, scrivere nuovamente ai Collaboratori: «Sentite il bisogno di avere un collegamento internazionale tramite lettera circolare? Volete avere anche uno strumento di collegamento a carattere nazionale? ... Vorrei che me lo diceste» (Coll, Fasqua '97). Di nuovo fa capolino il problema già menzionato: come si può conferire una forma organizzata a un carisma? «La tua vocazione è amare. soffrire e salvare anime»


In questa lettera indirizzata all'allora arcivescovo di Calcutta (di cui proponiamo ampi stralci), Madre Te­resa spiega il contenuto delle ispirazioni ricevute da Gesù a partire dal 10 settembre 1946. In una prece­dente lettera, datata 3 dicembre 1946, aveva già esposto al suo confessore padre Celest Van Exem il contenuto delle locuzioni interiori e delle visioni del Cristo: «Ciò che e' avvenuto fra Lui e me nel corso di quei giorni di intensa preghiera».


 


Covento ST. Mary 13 gennaio 1947


 


Vostra Eccellenza, dallo scorso settembre, pen­sieri e desideri inconsueti hanno riempito il mio cuore. Sono divenuti più forti e più chiari nel corso degli otto giorni di ritiro che ho fatto a Darjeeling. Al rientro ho raccontato tutto a padre Van Exem, gli ho mostrato gli appunti che avevo scritto durante il ritiro. Mi ha detto che pensava fossero di ispirazione divina, ma di pregare e mantenere il silenzio al riguardo. Ho continuato a tenerlo al corrente di tutti i movimenti della mia anima, dei pensieri e desideri. Poi ieri mi ha scritto questo: «Non posso impedirti di parlare o scrivere a Sua Eccellenza. Gli scriverai come una figlia al padre, in assoluta fiducia e con sin­cerità, senza paura alcuna o inquietudine, espo­nendogli come si sono svolti i fatti (...)». Prima di cominciare, voglio dirle che ad una sua parola, Eccellenza, sono pronta a non tenere più in considerazione nessuno di quegli inconsueti pensieri che mi si sono presentati continuamen­te. Nel corso di quest'anno, molto spesso ho desi­derato intensamente di essere tutta per Gesù, e di far sì che altre anime - soprattutto indiane -giungano ad amarLo ardentemente, e di identifi­carmi in tutto con le giovani donne indiane, così da amarLo come non è mai stato amato. Ho pen­sato che questo fosse uno dei miei tanti folli desideri. Ho letto la biografia di santa M. Cabrini: lei ha fatto così tanto per gli americani perché è divenuta una di loro. Perché non posso fare per l'India ciò che lei ha fatto per l'America? Ella non ha aspettato che le anime andassero a lei. È stata lei ad andare verso di loro con le sue zelanti collaboratrici. Perché non posso fare altrettanto per Lui, qui? Ci sono così tante anime pure, sante, che ardono del desiderio di donarsi interamente a Dio. Gli Ordini religiosi europei sono troppo ricchi per loro. Vi si riceve più di quanto si dia. «Non mi aiuteresti?» Come posso farlo? Sono stata molto felice come suora di Loreto e tutto­ra lo sono. Lasciare ciò che amo ed espormi a nuove fatiche e sofferenze che saranno grandi, essere lo zimbello di tante persone, specialmen­te di religiosi, aggrapparmi e aderire deliberata­mente agli aspetti più duri della vita indiana: la solitudine, l'ignominia, l'insicurezza, e tutto per­ché Gesù lo desidera, perché qualcosa mi sta chiamando a lasciare tutto e a radunare alcune compagne che vivano la Sua vita, che svolgano la Sua opera in India. Questi pensieri sono stati fonte di grande sofferenza, ma quella Voce ha continuato a dirmi: «Rifiuterai?» Un giorno1 dopo la S. Comunione, ho udito la stessa Voce molto distintamente: «Voglio suore indiane, vittime del mio amore, che siano Maria e Marta, così fortemente unite a me da irradiare il mio amore sulle anime. Voglio suore libere, rivestite della mia povertà della Croce, voglio suore obbedienti, rivestite della mia obbedienza sulla Croce, voglio suore colme di amore, rive­stite della Carità della Croce. Rifiuterai di fare questo per me?» E un altro giorno udii: «Sei divenuta mia sposa per Amor mio, per me sei giunta in India, è stata la sete che avevi delle anime a condurti così lon­tano. Hai paura ad intraprendere un altro passo per il tuo Sposo, per me, per le anime? La tua generosità si è raffreddata? Sono passato in secondo piano per te? Tu non hai dato la vita per le anime: ecco perché non t'importa di ciò che succede loro. Il tuo cuore non è mai sprofonda­to nel dolore come quello di mia Madre. En­trambi abbiamo dato tutto per le anime. E tu? Tu hai paura di perdere la tua vocazione, di diven­tare secolare, di non riuscire a perseverare. No, invece: la tua vocazione è amare, soffrire e sal­vare anime, e compiendo questo passo realizze­rai il desiderio del mio Cuore per te. Questa è la tua vocazione. Vestirai un semplice abito indiano o piuttosto come Mia Madre si vestì, semplice­mente e poveramente. Il tuo abito attuale è san­to perché è il mio simbolo. Il tuo sari lo divente­rà perché sarà pure il mio simbolo.» Ho cercato di persuadere Nostro Signore che avrei cercato di diventare una santa Suora di Loreto molto fervente, una vera vittima quiin questa vocazione. Ma la risposta giunse ancora una volta molto chiaramente: «Voglio suore Missionarie della Carità indiane, che siano il Mio fuoco d'amore fra i più poveri, gli ammalati, i moribondi, i bambini di strada. Sono i poveri che devi condurre a me; e le suore che offrisse­ro la loro vita come vittime del mio amore por­terebbero a Me queste anime. So che tu sei la persona più incapace, debole e peccatrice, ma proprio perché sei così desidero usarti per la mia Gloria! Rifiuterai?!» Queste parole, o piuttosto quella Voce,SCHEDA


Da Agnes che era... Agnes Gonxha Bojaxhiu (questo il nome all'anagrafe della futura Madre Teresa), nasce il 26 agosto 1910 a Skopje, Macedonia, da una famiglia di origine albanese. Il padre, uomo d'affari, muore quando Agnes ha appena otto anni, lasciando la famiglia in gravi difficoltà econo­miche. Impegnata fin dall'adolescenza nelle attività par­rocchiali, Agnes lascia la sua casa nel settembre 1928 per seguire la sua vocazione religiosa. Raggiunge il con­vento delle suore di Loreto (Istituto della Beata Vergine Maria) a Rathfarnam, (Dublino), Irlanda, dove è accolta come postulante il 12 ottobre con il nome di Teresa, per sottolineare il legame spirituale con Teresa di Lisieux. Arriva a Calcutta il 6 gennaio 1929. Da qui raggiunge il noviziato delle suore di Loreto a Darjeeling. Professa i voti perpetui il 24 maggio 1937; da quel giorno è chia­mata Madre Teresa. Negli anni Trenta e Quaranta inse­gna nella scuola media bengalese St. Mary, diretta dal­l'istituto a Calcutta, Il 10 settembre 1946, sul treno che la conduce da Calcutta a Darjeeling per una settimana di esercizi spiri­tuali, Madre Teresa riceve quella che definirà la «chiama­ta nella chiamata». Il contenuto di questa ispirazione de­termina lo scopo e la missione del nuovo Istituto: «Sa­ziare l'infinita sete di Gesù sulla Croce di amore e per le anime, lavorando per la salvezza e la santificazione dei più poveri tra i poveri». Il 7 ottobre 1950 la nuova Con­gregazione delle Missionarie della Carità è riconosciuta come istituto religioso dall'arcidiocesi di Calcutta. Gli anni Cinquanta e Sessanta vedono la diffusione del­l'opera delle Missionarie della Carità in tutta l'india. il primo febbraio 1965 Papa Paolo VI concede alla Con­gregazione il «Decretum Laudis», elevandola a diritto pontificio. La prima casa fondata fuori dall'india fu quella di Co­corote, in Venezuela, nel 1965. E poi in Europa (nella periferia di Roma, a Tor Fiscale) ed in Africa (a Tabora, Tanzania) nel 1968. Oggi le suore di Madre Teresa sono presenti in 130 Paesi; circa 700 le fondazioni instanca­bilmente seguite da Madre Teresa attraverso numerosi viaggi. Provata dalla vecchiaia e dalla fatica, Madre Teresa muore la sera del 5 settembre 1997 nella Casa madre di Calcutta. il suo corpo viene trasferito nella Chiesa di St. Thomas, adiacente al Convento di Loreto, proprio dove era giunta circa 69 anni prima. Centinaia di migliaia di persone di ogni ceto sociale e religione, dall'india e dal­l'estero le rendono omaggio. Il 13 settembre si celebra­no i funerali di Stato. Il corpo di Madre Teresa viene con­dotto in un lungo corteo attraverso le strade di Calcutta, sullo stesso affusto di cannone che ha portato le salme di Mohandas Gandhi e Jawaharlal Nehru.


(Fonte: Sito ufficiale della causa di beatificazione www.motherteresacause.info)Las -Lettere alle suore


AP -Lettere all’Arcivescovo Pèrier


PI - Lettere al Padre T.Picachy sj


Pc - Perfectae Caritatis,decreto conciliare sul rinnovamento della vita religiosa


Lasc –Lettrere alle suore contemplative


Coll - Lettere ai Collaboratori


Lg - Lumen Gentium,costituzione dogmatica conciliare sulla Chiesa


forma di programmazione e organizzazio­ne. È possibile? Il problema è comune a tutte le comunità religiose. Basta pensare alle idee sulla povertà tanto profondamente compresa e radical­mente vissuta da san Francesco: quanto fu diffici­le istituzionalizzarle in varie forme nella Chiesa del Medio Evo. Possiamo anche chiederci, ancor più radicalmente: come riuscì lo stesso Gesù a istitu­zionalizzare la sua visione di un'umanità redenta nel Regno di Dio? In una nuova società compren­dente tutti in solidarietà e amore, con Dio come centro e forza che sostiene? Il Concilio dice che la Chiesa ha ricevuto «la missione di annunziare e instaurare in tutte le genti il Regno di Cristo e di Dio». Non identificando la Chiesa con il Regno di Dio, il Concilio aggiunge l'umile dichiarazione che essa «di questo Regno costituisce in terra il germe e l'inizio» (Lg 5). La crescita del Regno di Dio sulla terra rimane il compito dei seguaci di Gesù di tutte le generazioni, in ogni situazione nuova. Questa è anche l'eredità di Madre Teresa per la sua Con­gregazione: lottare tenacemente per la realizzazio­ne del suo carisma e renderlo fruttuoso per la nostra società.


padre Joseph Neuner. Sj


(Traduzione a cura di Giampiero Sandionigi)


LEGENDA


Abbreviazioni


 


Cost- CostituzioniCarisma e istituzione


Abbiamo cercato di delineare le caratteristiche principali del carisma di Madre Teresa. Per lei si trattava di renderlo vivo nel suo Sodalizio. Una visione carismatica può essere istituzionalizzata? Conosciamo tutti lo sviluppo fenomenale registra­to in cinquant'anni dalle MC, diffusesi in tutto il mondo con l'apertura di comunità, animate dallo stesso spirito, in più di cento Paesi. Abbiamo an­che visto, molto brevemente, i problemi legati al vivere questo tipo di vita personalmente e in comu­nità, immersi nel nostro mondo moderno per por­tare frutti nella società. Tutto ciò necessità una qualchemi mise paura. Il pensiero di mangiare, dormire, vivere come gli indiani mi riempì di timore. Ho pregato a lungo. Ho pregato così tanto, ho chiesto alla nostra Madre Maria che domandasse a Gesù di allontanare da me tutto questo. Più ho pregato, più la Voce nel mio cuore è divenuta chiara; e così ho domandato che Lui facesse con me ciò che voleva. Egli ha chiesto e richiesto ripetuta­mente. Poi, ancora una volta, la Voce fu molto esplicita: «Hai sempre detto: "Fa' di me ciò che ti piace!" Ora desidero agire. Lasciamelo fare, Mia piccola Sposa, piccola Mia. Non temere. Sarò sempre con te. Soffrirai e già ora soffri; ma se sei la mia piccola sposa, la sposa di Gesù Crocifisso, do­vrai sopportare questi tormenti nel tuo cuore. Lasciami agire. Non dirmi di no. Confida amore­volmente in me. Confida ciecamente in me.» «Piccola mia, dammi anime, dammi le anime dei poveri bambini di strada. (...) Se solo sapessi quanti piccoli cadono nel peccato ogni giorno! Esistono conventi con un grande numero di suore che si prendono cura di persone ricche e abili, ma per i miei più poveri non c'è assoluta­mente nessuno. Sono loro che desidero arden­temente, sono loro che amo. Rifiuterai?» Questo è ciò che è avvenuto tra Lui e me nel corso di quei giorni di intensa preghiera. Per me, tutto risulta chiaro, come segue:



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