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HO SETE

Ultimo Aggiornamento: 11/09/2016 19:47
11/09/2016 19:40

Il carisma di Madre Teresa


L'autore di questo contributo ha conosciuto bene Madre Teresa di Calcutta, essendo tra coloro che le sono stati amici e ne hanno seguito il percorso spirituale. Padre Joseph Neuner, gesuita di origine austriaca, e' il decano dei teologi indiani. Vive attualmente nel «Sanjeevan Ashram» di Pune. Presentiamo una nostra traduzione di un ampio saggio apparso sulla rivista teologica dei ge­suiti indiani vidyajyoti (marzo 2001, pp. 179-192, titolo originale «Mother Theresa's Charism«, p.g.c.).


 


Il 26 luglio 1999 si apriva a Calcutta la causa di beatificazione di Madre Teresa. La religiosa era morta il 5 settembre 1997, ma Giovanni Paolo Il aveva concesso una deroga alla norma che vuole che un simile procedimento sia avviato solo cin­que anni dopo la morte di un Servo di Dio. L’avvio anticipato del processo canonico è stato autorizzato tenendo conto delle richieste prove­nienti da varie parti del mondo e volte a ottenere il riconoscimento ufficiale di Madre Teresa come modello di amore compassionevole verso tutti gli strati sociali e in particolare i rifiutati e gli sfruttati. Ai fini del processo sono stati raccolti tutti i docu­menti relativi alla vita e all'opera della religiosa. Proprio quei documenti ci hanno permesso di osservare più da vicino l'incredibile complessità di un'opera diffusasi in tutti i continenti in breve tempo, ma anche la vita personale della Madre. Una vita che era rimasta nascosta agli occhi del grande pubblico, ma anche, per certi versi, a quelli della sua stessa comunità.


I testi raccolti rivelano molti dettagli circa lo svi­luppo delle Missionarie della Carità (MC), ma anche le fonti nascoste dell'instancabile lavoro di Madre Teresa e della sua carismatica personalità, capace di affascinare gente di ogni estrazione sociale o appartenenza religiosa. Queste poche pagine sono un tentativo, del tutto inadeguato, di presentare quella sfera intima, il lavoro di Dio nel suo cuore, che ha portato tanto frutto nella sua vita e nella sua opera.


 


«Ho sete»


Tra le MC il 10 settembre 1946 viene celebrato come il giorno natale della Congregazione. Madre Teresa era venuta in India come novizia delle Suore di Loreto. Era molto felice nella sua comu­nità e nell'adempiere le funzioni di insegnante a Loreto, Entally (Calcutta). Ma quel giorno di set­tembre, a bordo di un piccolo treno che si inerpi­cava da Siliguri a Darjeeling, le capitò un'espe­rienza totalmente inattesa: sentì la sete di Gesù e la chiamata a dare la vita a servizio dei poveri e dei reietti delle baraccopoli. La suora rimase profondamente turbata. Avrebbe potuto trattarsi di una tentazione del demonio, ma il suo confessore si convinse dell'origine divina di quell'ispirazione e invitò suor Teresa a mettersi in contatto con l'arcivescovo di Calcutta, monsignor Frdinand Périer. L'arcivescovo esitò più di un anno e la fece attendere - fu un periodo molto penoso - ma alla fine avallò la domanda inoltrata a Roma per ottenere il permesso di lasciare le suore di Loreto e fondare una nuova congregazione. In base alle Costituzioni, scopo della Congrega­zione è di «estinguere l'infinita sete d'amore per le anime di Gesù sulla croce, attraverso la professio­ne dei consigli evangelici e l'adésione totale e piena al servizio libero dei più poveri tra i poveri» (Cost. 3). Questo duplice obiettivo è anche il messaggio sempre ricorrente nell'insegnamento di Madre Teresa. È solo verso la fine della vita, però, che la Madreparla più esplicitamente di quella sua espe­rienza trasformante. Il 25 settembre 1993 scrive alle sorelle, ai fratelli e ai preti della sua Congregazione una lettera «molto personale» che «viene dal cuore della Ma­dre». È molto preoccupata che il suo sodalizio non perda l'amore degli inizi, specialmente dopo che la Madre vi avrà lasciato... Fer me è venuto il momento di parlare apertamente del dono che Dio mi ha dato il 10 settembre, per spiegare meglio che posso cosa significhi per me la sete di Gesù. Quella sete è per me qualcosa di tanto inti­mo che fino ad oggi ho preferito pudicamente non parlare di ciò che sentii quel 10 settembre... Tutto tra le MC esiste per placare la sete di Gesù. Le sue parole, scritte sul muro di ognuna delle nostre cappelle, non riguardano solo il passato, ma sono vive oggi. Esse vengono pronunciate in questo momento per voi... è Gesù stesso che vi dice «Ho sete». Ascoltatelo pronunciare il vostro nome ogni giorno, non solo una volta... «Ho sete» è qualcosa di molto più profondo che non il dire semplice­mente da parte di Gesù: «Vi amo». A meno che voi non sentiate nel profondo di voi stessi che Gesù ha sete di voi, non potrete cominciare a capire ciò che lui vuol essere per voi e voi per lui. Questa unione personale con Gesù deve portare frutti nel servizio ai poveri, ed ecco il quarto voto delle MC: «Il cuore e l'anima delle MC è solo que­sto: la sete del cuore di Gesù nascosto nel pove­ro. È qui la fonte di ogni parte della vita delle MC...: saziare il Gesù vivo in mezzo a noi è l'unico scopo del nostro Sodalizio». Le due dimensioni del carisma di Madre Teresa, l'unione intima con Gesù e il lavoro per i poveri, non possono essere mai separate: «"Ho sete" e "L'avete fatto a me", ricordate sempre di tenere insieme le due frasi... Non sottovalutate il nostro mezzo concreto: il lavoro per il povero, non importa quanto piccolo e umile. Sono i poveri a rendere la nostra vita qual­cosa di bello per Dio». I poveri sono gli interme­diari tramite i quali noi tocchiamo Gesù: «Sono il dono più prezioso di Dio al nostro Sodalizio, la presenza nascosta di Gesù tanto vicina e tanto tangibile» (Las, 25.3.93). Madre Teresa vede la sua vocazione, la vita e l'o­pera delle sorelle, come parte della missione del­la Chiesa, come il partecipare alla passione salvi­fica di Gesù. La Lettera ai Colossesi interpreta le prove dell'Apostolo come la continuazione della passione salvifica di Gesù: «Io sono lieto delle sof­ferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa» (Col 1, 24). Questa partecipazione alla passione redentrice di Cristo è realizzata nella missione delle sue suore: Cercate di accrescere la vostra comprensione del mistero della redenzione. Questa conoscenza vi condurrà all'amore, e l'amore vi porterà a condivi­dere attraverso il vostro sacrificio la passione di Cristo. Mie care figlie, senza sofferenza il nostro lavoro sarebbe puramente un servizio sociale, molto buono e utile, ma non sarebbe l'opera di Gesù Cristo. Non sarebbe parte della redenzione. Gesù ha voluto aiutarci condividendo la nostra vita, la nostra solitudine, la nostra agonia e la nostra morte. Egli ha preso tutto questo su di sé e l'ha portato fin nella notte più oscura. Solo facen­dosi una cosa sola con noi, Lui ci ha redento. Noi possiamo fare lo stesso. Tutta la desolazione dei poveri, non solo la loro povertà materiale, ma anche la miseria spirituale, devono essere redente, e noi dobbiamo prender parte a quest'opera di redenzione. Quando vi sembra difficile, pregate: "Voglio vivere in questo mondo che è così lontano da Dio, che si è tanto allontanato dalla luce di Gesù, per aiutarli, per prendere su di me qualcosa della loro sofferenza". Sì, mie care figlie, condividiamo la sofferenza dei poveri, perché solo essen­do uno con loro noi possiamo redimerli; e ciò avviene portando Dio nelle loro vite e conducendo loro a Dio (Las, primo venerdì, luglio '61). Madre Teresa stessa fece esperienza del dolore della povertà in modo molto personale. Abbiamo un diario dei primi mesi della sua nuova vita, quan­do era impegnata a cercare un posto per il suo pic­colo gruppo e dovette sperimentare le prove del­l'impotenza. Quelle pagine, a un certo punto, con­tengono un passaggio molto personale: Oggi ho imparato una buona lezione: la povertà dei poveri deve essere spesso molto dura per loro. Mentre giravo alla ricerca di una casa ho cammina­to ecamminato fino a che le gambe e le braccia hanno cominciato a dolermi. Allora ho pensato a quanto devono dolere le membra e lo spirito di chi cerca casa, cibo e aiuto. Foi la tentazione si è fatta più forte: nella mia mente si affollavano le imma­gini degli edifici di Loreto con tutte le loro belle cose, le comodità e il genere di persone che li fre­quentano. Insomma, tutto. "Devi dire solo una pa­rola e tutto quello sarà di nuovo tuo" continuava a suggerirmi il tentatore. Per libera scelta, Dio mio, e per amor Tuo, io desidero restare e fare qualunque cosa la Tua santa volontà disponga per me. Non mi concederò neppure una lacrima. Anche se dovrò soffrire più di adesso, continuerò a desiderare la Tua santa volontà. Questa è l'ora oscura della notte della nascita del Sodalizio. Mio Dio, dammi il coraggio ora, in questo momento, di perseverare nel seguire la tua chiamata (quaderno, 16.2.49) Il suo carisma era non solo di lavorare per i pove­ri, ma di condividerne anche la sofferenza, così da avere la sua parte nell'opera redentrice di Gesù. Ma ancora di più: lei doveva condividere la soffe­renza della sete di lui.


 


Come Madre Teresa visse il suo carisma


La sete è un desiderio intenso e doloroso. Madre Teresa la scorgeva in Gesù sulla croce e decise di dedicare tutta la sua vita a saziarla. Il prendervi parte divenne la sua più personale vocazione, fino all'oscurità persistente che avvolse la sua vita. Una certa esperienza di oscurità è comune ad ogni vicenda spirituale. Lei lo sapeva anche nei suoi primi anni. Mentre stava preparandosi ad emettere i voti perpetui, scrisse al direttore spirituale che la sua vita «non è cosparsa di rose... semmai speri­mento di più l'oscurità che vivono anche i miei amici... Offro semplicemente me stessa a Gesù» (prime lettere, 8.2.37). Quelle erano esperienze passeggere. Ma con l'inizio della sua nuova vita a servizio dei poveri, l'oscurità sopravvenne con la sua oppri­mente potenza. Nel diario dei primi mesi, a cui abbiamo già fatto riferimento, troviamo un altro passaggio molto personale e intimo: «Che tortura di solitudine oggi, o mio Dio. Mi chiedo quanto a lungo il mio cuore possa ancora sopportarla... ho versato lacrime in abbondanza. Tutti possono vedere la mia debolezza. Dio mio, dammi il corag­gio di lottare contro la mia natura e il mio tempe­ramento» (quaderno, 28.2.49). All'epoca, il suo direttore spirituale era padre Celest Van Eem. Madre Teresa gli chiese di di­struggere tutte le lettere e così non abbiamo nep­pure una delle lettere a lui indirizzate in quel perio­do. Sappiamo comunque che lui la invitò a rivol­gersi all'arcivescovo, il quale in quei primi anni - prima che le Costituzioni fossero approvate con­sentendo di professare i voti nella nuova congre­gazione - era il superiore della giovane comunità. Madre Teresa si rivolse all'arcivescovo con una fiducia crescente: Vorrei dirle qualcosa che non so come esprimere. Desidero fortemente - con un desiderio intenso e doloroso - di essere tutta per Dio, di essere santa al punto da permettere a Gesù di vivere pienamente in me. Eppure più Lo desidero e meno sono voluta. Voglio amarlo come non è mai stato amato, eppure c'è quella separazione, quel terribile vuoto, quel sentimento di assenza di Dio. Da oltre quattro anni non trovo alcun aiuto... Non le sto scrivendo queste cose rivolgendomi a Sua Eccellenza, ma piuttosto al Padre della mia anima, perché io non le ho tenuto nascosto nulla e lei pure non mi ha nascosto nulla. Mi dica cosa devo fare. Voglio obbedire ad ogni costo (AP, 8.2.56). ancora: «C'è così tanta contraddizione nella mia anima, un così intenso desiderio di Dio, tanto pro­fondo da essere doloroso, una sofferenza conti­nua... Eppure mi sento respinta da Dio, vuota, sen­za amore, senza slancio, senza fede... Il Paradiso non significa nulla per me, mi appare come uno spazio vuoto... e tuttavia rimane quel desiderio di Dio a torturarmi» (AP, 28.2.57). Un giorno, mentre l'arcivescovo celebrava in catte­drale la Messa funebre per Papa Pio XII, Madre Teresa chiese un segno: «Immediatamente sono scomparsi la lunga oscurità e il dolore della perdita, della solitudine, di quella strana sofferenza durata dieci anni. Oggi la mia anima è piena d'amore, di gioia indicibile, di un'intatta unione d'amore» (AP, 7.1.58). Eppure, ben presto, la religiosa si ritrova ascrivere: «Nostro Signore ha pensato meglio che io stia nel tunnel oscuro e se ne è andato un'altra volta, lasciandomi sola. Gli sono grata per il mese d'amore che mi ha concesso» (AP, 16.11.58). Madre Teresa ricevette nuova vita attraverso padre Lawrence Trevor Ficachy, a quell'epoca rettore del St. Xavier's College e più tardi arcivescovo di Calcutta e cardinale. Oltre alle lettere inviategli dalla Madre, siamo in possesso di due documenti da lei redatti su sua richiesta (non datati, ma probabil­mente risalenti al periodo tra il 1959 e il '60). La religiosa vi presenta il suo stato mentale in manie­ra coerente. Sotto forma di preghiera descrive la sua vicinanza a Gesù durante i primi anni: tuttavia ora, Gesù, sto andando dalla parte sba­gliata. Dicono che le persone all'inferno soffrano pene eterne per l'assenza di Dio... Nella mia anima io sento questa terribile sofferenza della perdita, l'esperienza di Dio che mi rifiuta, di Dio che non è Dio, che non esiste. Gesù, ti prego, perdona que­sta bestemmia - mi è stato richiesto di scrivere tutto - perdona questa oscurità che mi circonda da ogni parte. Non sono capace di elevare la mia anima a Dio. Nessuna luce, nessuna ispirazione penetra nel mio spirito. ancora, sebbene non ci sia fede, nè amore, nè fiducia, ma invece molto dolore, il dolore del desiderio e dell'essere non voluta, io voglio Dio con tutte le forze del mio spirito. Eppure rimane quella terribile separazio­ne... Non prego più, la mia anima non è con te. Ma intanto, quando sono sola per le strade, io ti parlo per ore del mio desiderio di te.


In ogni caso, l'oscurità non intralcia il suo lavoro. Sebbene «il buio non porti gioie, attenzione, entu­siasmo..., io faccio del mio meglio e mi prodigo. Sono più convinta che il lavoro non è mio. Non dubito che sia stato tu a chiamarmi con un amore tanto grande e tanto forte. Sei stato tu... e sei tu anche ora. Ma io non ho fede». Nonostante la sua persistente sofferenza, la Madre è pronta ad accogliere l'oscurità come il suo modo speciale di saziare la sete di Gesù: Se la mia pena e il mio dolore, la mia oscurità e separatezza possono darti una goccia di consola­zione, o mio caro Gesù, fa' come desideri... Io sono tua. Imprimi nel mio spirito e nella mia vita le sofferenze del tuo cuore... Se la mia separazione da te conduce gli altri a te e nella loro compagnia e amore tu trovi gioia, o mio Gesù, allora voglio con tutto il cuore soffrire ciò che sto soffrendo... La tua felicità è tutto ciò che voglio... Desidero sazia­re la tua sete con ogni goccia del mio sangue... non preoccuparti di tornare troppo presto. Sono pronta ad aspettarti per tutta l'eternità (Pi, senza data). Esperienze di oscurità sono presenti nella vita di molti mistici, ma è difficile trovare paralleli alla notte lunghissima che ha avvolto l'esistenza di Madre Teresa. Tale notte va vista nel contesto della sua vocazione particolare, iniziata nel momento in cui si imbarcò nel servizio degli abbandonati. Sin dal principio lei stessa ha dovuto sperimentare non solo la loro povertà materiale e l'assenza d'aiuti, ma anche il loro abbandono. Allo stesso tempo proprio questa oscurità era il suo modo tutto speciale di condividere la passione redentrice di Gesù. Quando Madre Teresa intuì che la notte del cuore era il suo speciale modo di con­dividere la passione di Gesù, ne fece l'esperienza redentrice della sua vita: «Ho cominciato ad amare la mia oscurità, perché ora credo che nel mio cuore ci sia una parte, una parte molto piccola del­l'oscurità e del dolore di Gesù sulla terra». Questo è il lato spirituale della sua opera: «Oggi io avverto davvero una gioia profonda perché Gesù, che non può più vivere la passione, la può di nuovo speri­mentare in me. Ora più che mai voglio consegnar­mi a lui, ora più che mai sarò a sua disposizione» (senza data). Così vediamo che l'oscurità era veramente il lega­me misterioso che univa Madre Teresa a Gesù: è il contatto del desiderio intimo di Dio. Nient'altro può occupare la sua mente. Un desiderio tanto intenso è possibile solo grazie alla presenza nasco­sta di Dio. Non possiamo desiderare fortemente nulla che non ci sia intimamente vicino. La sete è molto più dell'assenza d'acqua. Non la sperimen­tano le pietre, ma solo gli esseri viventi, che dipen­dono totalmente dall'acqua. Chi apprezza di più il senso dell'acqua che dà vita? L'uomo che apre ogni giorno il rubinetto senza pensarci troppo o il viaggiatore nel deserto, torturato dalla sete e allaricerca di una sorgente? L'oscurità e il desiderio profondo dell'amore di Dio diventarono anche l'àncora di salvezza contro un pericolo che avrebbe potuto danneggiare la mis­sione di Madre Teresa. Ci riferiamo alla popolarità sempre crescente e all'ammirazione che l'accom­pagnava ovunque nel mondo, esprimendosi anche con l'assegnazione di numerosi premi. Tutto ciò non poteva toccare un cuore completamente as­sorbito da un inestinguibile desiderio di Dio. Dopo essersi recata a Manila per ritirare il Premio Magsaysay, la Madre scriveva: «Ho dovuto andare a Manila... è stato un grande sacrificio. Perché Lui mi dà tutte queste cose ma non Sé stesso? Io voglio Lui, non i Suoi regali o le sue creature» (10.9.62). Gli occhi del mondo intero erano puntati su di lei quando ricevette il Premio Nobel per la pace. Ma lei pensava solo ai poveri: «Continuano ad arrivare centinaia di lettere. Il Premio ha aiutato molta gente a trovare la strada dei poveri» (9.1.80). E più tardi: «Quest'anno ha offerto molte opportunità per soddisfare la sete di Gesù d'amore per le anime. E’ stato un anno ripieno di passione di Cristo. Non so quale sete sia più grande, se la Sua, o la mia per Lui» (15.12.80).


 


Contemplativa e attiva


Il carisma di Madre Teresa comprende entrambe le dimensioni della vita cristiana: contemplazione e azione. La Congregazione ha come scopo di estin­guere la sete di Gesù tramite l'unione con Lui nella «professione dei consigli evangelici e il servizio libe­ro e di tutto cuore ai più poveri tra i poveri» (Cost. 3). Sin dall'inizio, la Madre ha insistito su questa inseparabile complementarietà. Entrambe le di­mensioni devono essere realizzate da ogni compo­nente della Congregazione. Sebbene negli ultimi anni Madre Teresa della sua vita abbia fondato un ramo contemplativo per le suore (1976) e uno per i fratelli (1979), ha anche costantemente insistito sull'unità del Sodalizio: «UN Sodalizio, legato da UNA Costituzione, con gli STESSI voti e lo stesso spirito, ed UN unico superiore generale» (Cost. 11). «Noi siamo consacrati a Lui, Gesù ci ha scelti per Lui. Quale gioia la nostra nel poter essere sempre in contatto stretto con Cristo nella sua dimensione di sofferenza» (Las, primo venerdì, giugno '61). Questa mutua compenetrazione di unione persona­le con Cristo e servizio effettivo ai poveri è radicata nel Vangelo: Gesù stesso è stato unito al Padre in maniera unica e ha reso fruttuosa tale unione col prendersi cura quotidianamente della gente. Nel suo messaggio l'amore di Dio che non possiamo vedere è messo alla prova nell'amore per il vicino, che invece possiamo vedere. Anche il Concilio ha sottolineato che il dono di sé a Dio e l'impegno apostolico nei confronti del prossi­mo sono strettamente uniti nella vita religiosa, la quale include l'ascolto della parola di Dio e il coin­volgimento nell'opera Sua. «I membri di qualsiasi istituto (...) congiungano tra loro la contemplazione, con cui aderiscono a Dio con la mente e col cuore, e l'ardore apostolico, con cui si sforzano di colla­borare all'opera della Redenzione e dilatare il Re­gno di Dio» (Fc, 5). Perciò Madre Teresa non accetta l'abituale suddivi­sione delle comunità religiose in attive e contem­plative. Alle sue suore contemplative chiede, insie­me ai loro doveri di «adorazione eucaristica, con­templazione, silenzio, solitudine, digiuno, pe­nitenza», anche «l'uscir fuori, per due o tre ore al giorno, incontro a coloro che sono spiritualmente i più poveri dei poveri e la proclamazione della paro­la di Dio tramite la loro presenza e l'opera spiritua­le della misericordia» (Cost. 5). Per le sorelle contemplative questo «uscire» non è considerato una deroga, un ammorbidimento del severo isolamen­to: «Non perdetelo mai di vista (questo uscire), per voi sarebbe una tentazione, per questo è il nostro quarto voto» (Lasc, 20.10.82). Contemplazione non significa separazione dal mondo, ma vicinanza a Dio in ogni sfera della vita. Secondo il «Direttorio spirituale» che contiene le linee guida della sua spiritualità, «un contemplati­vo è una persona che vive ventiquattrore al giorno con Gesù,... ed ogni cosa che fa è rivolta a Gesù, tramite Maria e Giuseppe» (Introduzione alla sezio­ne B). Madre Teresa considera anche le sorelle attive co­me delle contemplative, perché tutta la loro vita e la loro opera consistono nell'essere vicine a Gesù, che incontrano nel povero: «lo avete fatto a me». La Madre voleva che tutto il suo lavoro fosse compre­so in questa prospettiva anche da chi è esterno all'i­stituto. Quando ricevette il Premio Nobel disse davanti al mondo intero: «Noi non siamo degli assi­stenti sociali. Agli occhi della gente possiamo sem­brare tali per il lavoro che compiamo, ma noi siamo realmente contemplative nel cuore del mondo, per­ché tocchiamo il corpo di Cristo ventiquattrore al giorno. Noi viviamo ventiquattrore al giorno alla sua presenza». Tutti sono invitati a fare lo stesso, aman­dosi veramente gli uni gli altri e cominciando da casa: «Non ha importanza quanto facciamo... ma quanto amore mettiamo in quel che facciamo, quanto facciamo a Lui nella persona che stiamo servendo» (Oslo, 11,12.79). Questa è la spiritualità che Madre Teresa cerca di comunicare alle sue suore in innumerevoli istru­zioni. Non propone un metodo sistematico - che d'altro canto non sarebbe stato di alcun aiuto nep­pure a lei nella sua notte oscura - ma prova piut­tosto a condurle verso la consegna totale a Gesù. Quattro aspetti appaiono particolarmente rilevanti all'interno di questa spiritualità. Anzitutto la deci­sione ferma di liberarsi da ogni attaccamento alle nostre esigenze e ambizioni: «Il primo passo è desi­derare... Il mio progresso nella santità dipende da Dio e da me stessa - dalla grazia di Dio e dalla mia volontà... In questo "Io devo porre tutte le mie energie». Un santo è «uno spirito risoluto... La risolutezza ad essere santi costa molto. Dovrò spo­gliare me stessa da tutto ciò che non è Dio; spo­gliare il mio cuore svuotandolo di tutte le realtà create» (Las, primo venerdì, ottobre '60). La prontezza a rinunciare a se stesse apre il cuore a una vita di servizio amorevole. Madre Teresa rin­viene un esempio illuminante nell'umile servizio di Maria Vergine, la quale occupa un posto centrale nella sua spiritualità. La vita di Maria abbonda dei doni generosi di Dio, eppure è sgombra da ogni vanità. Concepisce Gesù, che le è figlio, ma sa che lui appartiene al mondo. Tutta la sua vita è attratta nel mistero dell'amore di Dio che dona Gesù, Suo flglio al mondo. La sua vicinanza con Gesù «gene­ra in lei fervore e carità, fervore per donare Gesù attraverso la carità... Il frutto della sua unione è stato il servizio d'amore per il prossimo... Lei pen­sava solo a come servire». Così Maria diventa il modello delle MC: «questa vita di Maria è così simi­le alla nostra». Anche le suore sono unite a Gesù: «Ora che Gesù e io siamo una cosa sola, Gesù mi ha dato quell'ardore e quella carità che sono il frut­to di questa unione?... Vado davvero verso il pove­ro come la serva del Signore, ripiena di Gesù, per dare solo Gesù al povero che servo? Il mio servizio al povero è fedele, tenero e profondo? Mi compor­to nei suoi confronti come Maria si comportò con Elisabetta?« (31 ottobre '66). Possiamo chiederci ancora una volta come Madre Teresa possa insegnare a pregare alle sue sorelle nel momento in cui confessa che nella sua oscu­rità è incapace di pregare. Non insegna mai un metodo, ma si augura che le sue suore imparino la semplicità di un'unione personale con Gesù: «Una missionaria della Carità che non è unita cuore e anima con Cristo non sarà in grado di vive­re lo spirito dell'abbandono totale, della fiducia piena d'amore e della cordialità». Il puro recitare preghiere è privo di senso: «Pregare significa esse­re completamente unite a Gesù così da consentir­gli di pregare in noi, con noi e per noi. Questo rimanere fedeli l'uno all'altro, Gesù ed io, è pre­ghiera». L'unione con Gesù è realizzata ugualmente nel silenzio della cappella e nel lavoro quotidiano: «Imparare a pregare è il lavoro che Gesù ha fatto per trent'anni a Nazareth... Imparate a pregare da Gesù e consentitegli di pregare in voi. Poi mettete a frutto la preghiera nel vivere una vita d'amore amandovi le une le altre come Gesù ama ciascuna di voi» (Las, 27.7.83). Abbiamo bisogno soltanto di un cuore umile e povero: «Così potremmo vede­re Dio nelle nostre sorelle e nei poveri che servia­mo. Non sarebbe meraviglioso poter essere con­templative ventiquattrore al giorno, se solo i nostri cuori fossero umili e poveri?» (Las, agosto '84). Infine la vita e l'opera di una MC devono essere piene di gioia. È questo il desiderio di Gesù: «Lui vuole condividere la sua gioia con gli Apostoli: che la mia gioia sia in voi». La gioia non è questione di temperamento, non consiste nella consolazione: «Il servizio di Dio e delle anime è sempre duro». Ma il vero amore porta gioia: «Un cuore gioioso è il risultato di un cuore che brucia d'amore». La gioia non solo arricchisce la nostra vita ma è «una rete d'amore con la quale potrete catturare molte anime». Essa è essenziale nella vita delle suore: «La disposizione all'allegria è una delle virtù prin­cipali richieste in una Missionaria della Carità» (Las, Fasqua, aprile '64).



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