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HO SETE

Ultimo Aggiornamento: 11/09/2016 19:47
11/09/2016 19:38

Alle sorgenti del carisma di Madre Teresa di Calcutta



HO SETE

Alle sorgenti del carisma di Madre Teresa di Calcutta

Innamorata di Cristo

Ho incontrato per la prima volta nel 1964 Madre Teresa a Calcuttaalla «Nirmal Hriday»la casa dei moribondi. Lì autoambulanze e risciò scaricano uomini, donne e bambini morenti raccolti sui mar­ciapiedi di Calcutta, che vengono accolti e curati con amore, in alcuni grandi stanzoni posti davanti al tempio della dea Kalì. Molti di quei poveri non avevano mai avuto un letto, mai una medicina, mai mangiato tre volte al giorno. «Su cento diseredati che accogliamo - diceva Madre Teresa - in media ne sopravvivono trenta, perché li portano qui quando sono già all'ultimo gradino della sopravvivenza». Tornato in Italia in quel 1964, quando Madre Te­resa era ancora quasi sconosciuta fuori dell'India, ho scritto parecchio su di lei nei giornali a cui col­laboravo: e subito è iniziato il movimento di con­ferenze, mostre fotografiche, incontri nelle scuole, invio di offerte per la Madre di Calcutta. Ho incontrato altre volte Madre Teresa. Un ricordo indelebile per me resta legato allo spaventoso maremoto che nel novembre 1977 in India colpì lo Stato dell'Andhra Fradesh, provocando 100 mila morti. Madre Teresa era stata una delle prime per­sonalità giunte sul luogo del disastro per organiz­zare i soccorsi. Mi aveva stupito la rapidità delle sue decisioni e la facilità con cui le faceva accetta­re da esponenti di altri enti, anche governativi ed ecclesiali: si trattava di alloggiare migliaia di profu­ghi che avevano perso tutto. Ho pensato: ha un carisma naturale enorme che usa per il servizio dei più poveri. Ma era anche l'aiuto straordinario dello Spirito Santo. E poi la sua vitalità: io avevo ven­t'anni meno di lei, ma alla sera ero distrutto, lei faceva ancora un ora di adorazione inginocchiata sulla nuda terra! Sono andato molte volte in India. Madre Teresa era estranea ai dibattiti culturali, non era informata sulle nuove teologie; non ha blandito la cultura in­diana; non ha cercato i mass media, anzi quasi proibiva alle sue suore di concedere interviste e lei stessa era molto parca nel rispondere ai giornalisti; non ha teorizzato sul dialogo interreligioso. Poteva sembrare una vecchia suora che viveva fuori del nostro tempo. Invece la sua testimonianza di amo­re all'uomo e di santità l'ha resa gradita a tutti: ha inculturato il Vangelo in India, ha stabilito ponti di dialogo con indù e musulmani, è riuscita a entrare in Paesi comunisti come Cuba e la Cambogia, che perseguitavano la Chiesa e i cristiani. Non si capisce nulla di Madre Teresa fuori di una logica di fede. Era una vera missionaria. Se le chie­dono: «Chi è il missionario?». Risponde: «Un cristia­no talmente innamorato di Gesù Cristo, da non desiderare altro che di farlo conoscere e amare». È questo amore che traspare dalle pagine che seguono. Un amore provato «nel crogiolo», che in­dica un modello di «santità possibile» donato oggi al mondo. padre Fiero Gheddo direttore Ufficio storico PIME

I segreti della Madre

Si padre, scriva di noi. Lei ci conosce bene, «perché è stato con noi fin dall'inizio. Le farò avere le nostre costituzioni. Ma soprattutto deve dire alla gente che cosa ci porta qui. Dica loro che non siamo qui per lavoro, ma per Gesù e tutto quello che facciamo, lo facciamo per lui. Siamo anzitutto delle religiose, non assistenti sociali, inse­gnanti, infermiere o dottoresse; siamo delle suore, delle religiose che servono Gesù nei poveri. Lui curiamo, a lui diamo da mangiare, lui vestiamo, visitiamo e confortiamo nei poveri, nei derelitti, nei malati, negli orfani e nei moribondi. Tutto quello che facciamo è per lui. La nostra vita non ha altra ragione o motivazione». Così Madre Teresa rispon­deva al missionario gesuita belga Edouard Le Joly che le chiedeva, a metà degli anni Settanta, di po­ter scrivere un libro su di lei e sulle Missionarie della Carità. «Si tratta di un punto che molti non capiscono. Io servo Gesù ventiquattr'ore al giorno e qualunque cosa faccia, la faccio per lui, e lui me ne da la forza. Amo lui nei poveri e i poveri in lui. Il Signore viene però sempre al primo posto».

Rileggere questo brano contenuto nel libro «Lo fac­ciamo per Gesù« (il volume, edito in Italia dalle Edizioni San Paolo nel 1978 e ripubblicato nel 2003, contribuì non poco a far conoscere la figura e l'opera di Madre Teresa) suona anche oggi come una sorta di testamento spirituale. Serve a coglie­re in pieno la totale dedizione a Cristo che ha con­traddistinto la vita e le opere della «missionaria dei bassifondi». Una dedizione alimentata da una intensa vita di preghiera, da un cammino di ascesi che si èsviluppato precisando e approfondendo, in un percorso innovativo e originale, la formazio­ne ottenuta nei primi anni della sua vita religiosa. Per comprendere alcune chiavi della spiritualità di Madre Teresa, può essere utile ripercorrere breve­mente le tappe iniziali della sua vocazione religio­sa. Fin dai tempi dell'adolescenza la futura Madre Teresa coltiva una spiritualità spiccatamente mis­sionaria, vivificata dalla frequentazione del Soda­lizio, una sorta di circolo giovanile cattolico, e dal contatto epistolare con alcuni missionari gesuiti che, nel 1925, avevano aperto una missione nel Bengala. Le lettere che arrivano da quelle terre lon­tane le aprono gli orizzonti del mondo e le fanno nascere dentro il proposito di consacrare la sua vita alla missione. A diciotto anni incontra uno dei padri gesuiti impegnati a Calcutta e a lui confida il desiderio di farsi religiosa in India. Viene indirizza­ta alle Suore di Loreto, una congregazione sorta in Irlanda nello spirito della Compagnia di Gesù (di cui hanno assunto le costituzioni, al punto che le suore sono bonariamente indicate come le «gesui­tesse»). Dopo il noviziato a Darjeeling, suor Teresa dedica alcuni anni all'insegnamento in una scuola femminile di Calcutta. Nel 1946 avverte la neces­sità di un impegno totale per i diseredati e per gli afflitti. Dopo essersi consultata con l'arcivescovo di Calcutta mons. Ferdinand Férier (anch'egli gesui­ta), nel 1948 chiede ed ottiene da Papa Pio XII il permesso di fondare una nuova congregazione. Avvolta nel sari bianco e celeste delle donne loca­li incomincia ad immergersi interamente nella cuitura indiana e a percorrere i marciapiedi della città, soccorrendo i moribondi e aiutando gli ammalati. C'è chi, parlando della figura di Madre Teresa, ama dividere la sua vita in un «prima» (gli anni passati nell'insegnamento all'interno della congregazione irlandese) e in un «dopo» (l'impegno senza riserve per i più poveri tra i poveri). Alcuni, lavorando di fantasia, sono arrivati anche a dipingerla come una «donna in fuga», una «ribelle». Nulla di più sbaglia­to. La piccola suora albanese non vuole compiere nessun gesto «contro», ma soltanto «discernere» in un atteggiamento d'ascolto ciò che il Signore vuole ora dalla sua vita. Chiede perciò ai superiori di poter intraprendere una nuova via, ma si rimette comunque alla loro decisione. Per Madre Teresa abbandonarsi nelle mani di Dio significa essenzial­mente obbedienza.

L'influsso di Ignazio

Fin dai primi anni del suo impegno apostolico negli slum di Calcutta, su indicazione dell'arcivescovo, le saranno molto vicini i padri Julian Henry e Celeste Van Exem. Grazie all'aiuto di questi due gesuiti, nell'aprile del 1950 verrà sottoposta a mons. Ferier la prima bozza delle costituzioni delle Missionarie della Carità. Una raccolta di regole ela­borate in quegli anni al servizio dei poveri, ma che sono il frutto di un lunga ricerca spirituale da cui traspare tutta la forza del carisma di Madre Teresa. «Le costituzioni delle Missionarie della Carità - ha scritto lo stesso padre Van Exem sulla rivista dei gesuiti del Bengala «Calcutta Jesuits» - richiamano le costituzioni della Compagnia di Gesù anche nella struttura organizzativa. Oltre ad alcuni appun­ti «ispirati» di Madre Teresa, la regola è centrata sulle quattro settimane degli Esercizi spirituali di sant'Ignazio: purificazione e santità, unione con il Padre e con Cristo crocifisso, unione personale con Gesù e con il suo infinito amore per i poveri, regole alimentari, penitenze ed esami di coscienza. Il concetto di umiltà deriva anch'esso dagli Esercizi spirituali». Attingendo al cuore della spiritualità ignaziana, e alla chiave meditativa dei «due vessilli» (un cammi­no d'illuminazione dell'intelligenza, che è così por­tata ad aderire alla «bandiera» di Cristo e a rifiutare quella del demonio), Teresa sviluppa la determina­zione a seguire Cristo in povertà, umiltà ed obbe­dienza. Per Madre Teresa, come per sant'Ignazio, l'impera­tivo categorico di ogni attività apostolica è la gloria di Dio e la salvezza delle anime. Fer fare questo le Missionarie della Carità vivono il comando paolino (che non a caso sant'Ignazio considerava la parola d'ordine dell'attività missionaria): «Mi son fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno». Da questa radice origina il «quarto voto» delle Missionarie della Carità, la donazione totale e incondizionata agli ultimi tra gli ultimi. Se per i gesuiti esso consiste nella speciale obbedienza al Papa, per Madre Teresa il «servizio ai più poveri tra i poveri» rappresenta la traduzione pratica dell'a­more sconfinato per il Cristo deriso e crocifisso. «Il voto di carità - ha scritto Madre Teresa nel volume «La gioia di darsi agli altri» (Paoline, 1978, pp. 123) è frutto della nostra unione a Cristo, allo stesso modo che il figlio è frutto del sacramento del matri­monio. Come la lampada non può ardere senza olio, il voto di carità non può vivere senza i voti di povertà e di obbedienza». Madre Teresa rilegge in chiave femminile (la Con­gregazione delle Missionarie della Carità è dedica­ta al Cuore Immacolato di Maria), rielabora e ag­giorna attraverso la sua straordinaria sensibilità il carisma ignaziano sposandolo con alcuni aspetti della spiritualità francescana. Non a caso il libro poc'anzi citato, si apre con la cosiddetta «Preghiera semplice» di Francesco d'Assisi: «Signore fa' di me uno strumento della tua pace: dove è odio, fa' ch'io porti l'amore».

La «spiritualità del dono»

Ma quali sono allora i veri «segreti» di colei che è stata indicata come l'angelo dei bassifondi? Il mis­siologo Mariasusai Dhavamony, gesuita indiano do­cente presso l'Università Oregoriana di Koma, li delinea in un lungo articolo apparso su «Studia Missionalia» («Mother Teresa's Mission of Love for the Foorest of the Foor», n. 39/1990, pp. 135-158): una visione «realista», non sentimentale della po­vertà in ogni sua sfaccettatura; la convinzione che ai poveri serva prima di tutto Cristo e il suo amore; la condivisione della povertà e della croce di Cristo, il saper contemplare nei poveri l'immagine vivente e sanguinante del Nazareno; una vera e propria «spiritualità del dono» e soprattutto la capa­cità di vivere francescanamente in «perfetta letizia». Tutto questo sostenuto e vivificato da un profondo contatto personale con Gesù eucaristia. A differen­za delle altre figure di «contemplativi nell'azione», che hanno cercato Dio nel prossimo o nel segreto del loro cuore, Madre Teresa ha saputo contem­plare il mistero della redenzione incarnato nei poveri. È questo, a ben vedere, il più sconvolgente dei se­greti di Madre Teresa: «Contemplare Cristo nei po­veri nonsignifica semplicemente che lo vediamo nei poveri, ma che soffriamo con Cristo nei poveri, che condivide con essi la sua passione e la sua morte. Siamo unite costantemente al mistero pas­quale in ogni nostro pensiero o azione. Perché il nostro lavoro tra i diseredati è un costante contat­to con l'opera redentrice di Cristo, lo stesso con­tatto che noi viviamo durante il sacrificio eucaristi­co. Nella Messa Cristo è presente sotto le specie del pane e del vino. Ma nei bassifondi, nei corpi piagati dei lebbrosi e negli sguardi dei bambini, noi possiamo toccano».

Giuseppe Caffùlli



 



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