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. Al primo posto mettete la confessione e poi chiedete una direzione spirituale, se lo ritenete necessario. La realtà dei miei peccati deve venire come prima cosa. Per la maggior parte di noi vi è il pericolo di dimenticare di essere peccatori e che come peccatori dobbiamo andare alla confessione. Dobbiamo sentire il bisogno che il sangue prezioso di Cristo lavi i nostri peccati. Dobbiamo andare davanti a Dio e dirgli che siamo addolorati per tutto quello che abbiamo commesso, che può avergli recato offesa. (Beata Madre Teresa di Calcutta)
 
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San Tommaso d’Aquino

Ultimo Aggiornamento: 30/01/2015 12:15
30/01/2015 12:15

(35) Celebre l'espressione assiomatica di san Paolo: «Chi si accosta a Dio deve credere nella sua esistenza, e che egli premia quelli che lo cercano» (Eb 11, 6). Estranee al contesto del brano citato, ma ugualmente fondamentali, sono altre verità rivelate, quali la fede nella Trinità e nella incarnazione del Verbo.

(36) Ossia, il complesso delle realtà di «questo mondo ove trascorre la nostra vita fuggevole» (Paolo VI, Professione di fede) - beni temporali, appetiti e sregolatezze - che costituisce un mondo in frequente opposizione col retto vivere. Da queste tre radici hanno origine tutte le infrazioni al codice divino.

(37) cf. Sir 3, 25. «Questi due nomi 'Essere' e 'Amore' esprimono ineffabilmente la stessa realtà di Colui che ha voluto darsi a conoscere a noi e che 'abitando in una luce inaccessibile' (1 Tm 6, 16) è in sé stesso al di sopra di ogni nome, di tutte le cose e di ogni intelligenza creata. Dio solo può darci la conoscenza giusta e piena di sé stesso, rivelandosi come Padre, Figlio e Spirito Santo» (dalla Professione di fede, di Paolo VI).

(38) cf. 2 Tm l, 12; cf. Sir 2, 8. L'«Ecclesiastico», uno dei sapienziali dell'A.T. ha come autore uno scriba di Gerusalemme vissuto intorno all'anno 200 a.c. e chiamato Ben Sirac. Si è preferito perciò indicare la sua opera come «Libro del Siracide» o semplicemente Siracide, meno equivoco, per la mentalità moderna, del titolo latino, che; italianizzato, era divenuto il «Libro dell'Ecclesiastico».

(39) Con il termine sancti, preso nella sua accezione maggiormente estensiva, san Tommaso intende prima di tutto gli scrittori divinamente ispirati dell'A. T., sino agli evangelisti, al collegio apostolico, a Paolo e agli altri autori delle «lettere cattoliche», senza escludere i successivi dottori della Chiesa, i quali rifulsero per santità di vita oltre che per ortodossia.

(40) Sap 14, 21. Per gli orientali il nome definiva l'essenza del portatore, quasi parte integrante della persona. Identità, dunque, tra il nome e la persona divina. Nome, il suo, non imponibile ad alcuna creatura, unico come è unico Dio. Cf. Is 42, 8: «Io sono il Signore: questo è il mio nome; non darò ad altri la mia gloria, né ai simulacri l'onore che mi è dovuto».

(41) Antichi strumenti portatili, quasi sempre di rame o d'ottone, coi quali gli astronomi e gli astrologi seguivano i moti delle stelle. Qui evidentemente sono oggetto di condanna in quanto potevano essere usati per scopi cultuali o magici.

(42) Da vero sapiente, Tommaso alterna alle subtiles rationes della teologia speculativa qualche esempio elementare (quodam rudi exemplo), come nel caso del paragone di cui si serve per rendere accessibile ai fedeli raccolti intorno al pulpito la famosa quanto ardua quarta via, sui gradi di perfezione dell'ente.

(43) cf. Gn I, 1; cf. Gv I, 3. Sui manichei, vedi nota n. 51.

(44) Vescovo eretico, di Sirmio; fu condannato dal concilio di Antiochia (345), ed esiliato.

(45) Eretico del III sec., sostenitore di una dottrina antitrinitaria. I suoi seguaci erano detti anche patripassiani, sostenendo che, data la identità tra il Padre e il Verbo, nella persona di Gesù avrebbe patito il Padre.

(46) Teologo africano nato alla fine del secolo III; sostenitore di Origene, finì per ridurre il cristianesimo a un sistema di elementi razionali, svuotandolo di ogni contenuto religioso

(47) Unione ipostatica è quella delle due nature, umana e divina, nella persona del Cristo.

(48) Il concilio che nel 325 venne indetto per difendere l'ortodossia dagli attacchi dell'arianesimo - che tra l'altro negava la consostanzialità del Figlio al Padre -, mediante un simbolo conclusivo, o «fede di Nicea».

(49) Origene (185 circa - 254 circa) è tra i maggiori eruditi e tra i primi e più geniali apologeti del cristianesimo antico. Tuttavia alcuni punti del suo sistema teologico si sono prestati a sviluppi inesatti, tra cui ricorderemo una certa subordinazione del Logos (o Verbo) al Padre, la creazione ab aeterno, la preesistenza delle anime.

(50) Vescovo eretico, di Sirmio; fu condannato dal concilio di Antiochia (345), ed esiliato.

(51) Si riallacciavano a Mani, e professavano una visione dualistica del mondo, predicando la coesistenza e il conflitto dei due opposti principi, il bene e il male. Il più celebre convertito da questa suggestiva teoria resta sant'Agostino.

(52) Forse il nome di Ebione deve essere considerato nome comune (quindi dovremmo leggere: «un ebreo, della setta ebionita»). Oltre però al movimento ereticale, vi erano degli ebioniti giudeo-cristiani nei limiti dell'ortodossia.

(53) Per Valentino, filosofo gnostico del II secolo, dall'accentuata concezione mistico-visionaria della realtà, lo stesso Cristo sarebbe stato uno - e certo il più alto - degli «eoni» (ossia delle emanazioni divine, intermedie tra Dio e l'uomo), cui fu riservato il compito di presentare la rivelazione.

(54) Teologo africano nato alla fine del secolo III; sostenitore di Origene, finì per ridurre il cristianesimo a un sistema di elementi razionali, svuotandolo di ogni contenuto religioso.

(55) Apollinare il Giovane, vescovo di Laodicea, vissuto al tempo di Agostino neo-convertito. Fu condannato ripetutamente per la sua errata dottrina sull'incarnazione.

(56) Archimandrita di un monastero greco (348-454 circa), avversario delle tesi nestoriane, cadde nell'errore opposto, negando l'esistenza di una vera natura umana nel Cristo.

(57) Patriarca di Costantinopoli, morto intorno al 451, è famoso tra l'altro per la controversia sul termine di theotòkos (madre di Dio), che egli negava alla Vergine Maria.

(58) Nel concludere il racconto delle visioni dell'Apocalisse (22, 8-9), Giovanni cade in ginocchio con l'intento di prostrarsi ai piedi dello spirito celeste che gli ha mostrato la nuova Gerusalemme. Ma l'angelo gliel'impedisce.

(59) «Tutto quanto il popolo rispose [a Pilato]: 'Il sangue di costui [ricada] su di noi e sui nostri figli'» (Mt 27, 25). Ai commentatori che fanno notare come neppure quarant'anni dopo la splendida capitale sarà distrutta e i pochi scampati alla morte verranno dispersi - quasi come indubitabile castigo per l'indubitabile tentato deicidio -, altri fanno notare che la folla, osannante il «giorno delle palme», poté mutare il proprio atteggiamento nei confronti di Gesù in maniera radicale solo a seguito della infuocata campagna denigratoria svolta dai sommi sacerdoti e dagli anziani. Nelle ultime ore infatti essi hanno diffuso tra quella gente fanaticamente religiosa la frase di Gesù contro il tempio e l'accusa di bestemmia (Mc 15, 29). «La folla, gelosa dell'onore di Dio e del suo santuario, ne è profondamente colpita e reagisce contro il Maestro, reclamando la sua crocifissione» (F. URICCHIO - G. STANO in: Vangelo sec. s. Marco, Marietti 1966, pp. 618-619).
Assai di recente l'episcopato francese ha precisato, in un testo di orientamento pastorale, che «è errore teologico, storico e giuridico ritenere il popolo ebraico indistintamente colpevole della passione e morte di Cristo, e definitivamente spogliato della sua elezione». (cf. Concilio Vaticano II, NA, n. 4).

(60) Commentando questo passo di Mt 26, 54 san Tommaso ci insegna che Dio conosce le cose in se stesse sia prevedendo eventi futuri, sia stabilendoli egli stesso (salva sempre la libertà umana). Si dice che le profezie «dicono che una cosa dovrà accadere» nel senso che i profeti, vedendo l'evento futuro sul libro della prescienza divina, hanno percepito un riflesso, un barlume della prescienza medesima. E Gesù, perfettamente conscio dei disegni provvidenziali attraverso cui si realizza la salvezza dell'uomo, ne accetta ogni dettaglio, confermando così l'onniscienza di Dio e la credibilità dei profeti. (cf. Comm. in Matthaeum 26, 54; cf. Sum. theol. II-II q. 173, a. I; ib. q. 174, a.I).

(61) cf. Sal 87, 4. Solo con la rivelazione del N.T. si è fatta sufficiente luce circa la retribuzione ultraterrena, potendosi ormai discernere nell'oltretomba (sheol) il limbo, il purgatorio e l'inferno, di contro al regno dei cieli (seno di Abramo).

(62) La circoncisione indicava a un tempo separazione dagli idolatri, appartenenza al popolo eletto discendente da Abramo, e costituiva il simbolo profetico del battesimo purificatore.
Riconsiderando i problemi connessi con la tradizionale dottrina sul limbo dei bambini, alcuni teologi si orientano oggi verso nuove soluzioni. Il cristianesimo - religione che estende al massimo le possibilità di conseguire la salvezza e la fruizione della visione beatifica -, come fa notare J. GALOT non è unicamente «una religione di adulti». Egli pone in rilievo che «il battesimo è principalmente un atto della comunità, e il voto del battesimo [come, analogamente, quello della circoncisione, Ndt] è sempre comunitario prima d'essere individuale: la Chiesa è sempre la prima a desiderare il battesimo e questo desiderio concerne tutti gli esseri umani. Nel caso dei bambini è la comunità ecclesiale che supplisce all'assenza di volontà personale». L'estensione della salvezza concessa ai piccoli, morti senza battesimo, [o senza circoncisione, Ndt] si accorderebbe meglio con la paterna bontà di Dio (cf. Civiltà Cattolica 1971, II, pp. 345-346).

(63) Per san Tommaso quel grido vorrebbe mettere in risalto le energie latenti, rimaste intatte anche dopo il supplizio della croce in quello straordinario soggetto dell'unione ipostatica.

(64) Is 14, 13. «Il versetto contiene la somma espressione dell'orgoglio anti divino. E per 'monte dell'assemblea o dell'adunanza' Isaia si rifà a una concezione mitologica fenicia, secondo la quale un'altissima montagna del settentrione era la dimora degli dèi» (Nuovissima versione della Bibbia, Isaia, Roma 1968).

(65) Col 3, I. «La vita soprannaturale a cui siete risuscitati è nascosta in Dio, perché è una partecipazione della vita gloriosa del Cristo, la quale è sottratta agli occhi del mondo. Mentre voi infatti siete figli di Dio, il mondo non vede in voi che figli di Adamo afflitti, deboli, perseguitati, ecc. Ma non sarà sempre così, poiché quando Cristo comparirà alla fine dei tempi in tutto lo splendore della sua gloria, allora anche in voi la vita soprannaturale si manifesterà pienamente nella gloria non solo dell'anima, ma ancora del corpo» (M. SALES, Nuovo Testamento, vol. II, Torino 1914).

(66) cf. Qo II, 9; cf. Sir 12, 6. Il nome ebraico Qohélet è ormai subentrato all'uso antico, per indicare uno dei libri sapienziali più discussi e suggestivi dell'A.T. l'Ecclesiaste.

(67) Forse per la loro collocazione nella cavità addominale e su una linea mediana che idealmente attraversi il corpo umano, i reni venivano considerati simbolo dell'intimo da cui procedono desideri e passioni e in cui si ripercuotono i sentimenti di gioia, odio e tristezza.

(68) cf. Prv 6, 34. «Andranno alla vita eterna coloro che hanno risposto all'amore e alla misericordia di Dio, e andranno nel fuoco inestinguibile coloro che fino all'ultimo vi hanno opposto il loro rifiuto» (Paolo VI, Professione di fede).

(69) Le espressioni «collera di Jahvè» (2 Sam 24, I), l'«ira che deve venire» predicata dal Battista (Mt 3, 7), il «calice dell'ira» che dovrà spandersi sui peccatori (Ap 14, 10), lo sdegno di Dio che si scatenerà nel giorno del giudizio universale hanno ispirato la sequenza del Dies irae, allorché sarà operata una equa discriminazione retributiva tra giusti e peccatori.

(70) Concetto infatti dice idea concepita dalla mente, così come verbo è, innanzitutto, la parola - espressa o inespressa - dell'intelligenza.

(71) 2 Pt I, 21. Alla citazione di Pietro, san Tommaso ne fa seguire una seconda. Il testo masoretico ha: «Il Signore Dio e il suo Spirito mi hanno mandato», il che esprime una verità indubitabile e ampiamente dimostrabile nel caso di ciascun profeta; ma nel contesto di Isaia (48, 16) non essendo chiaro se sia ancora Jahvè che paria oppure il profeta o, cosa inverosimile, Ciro quale esecutore del volere di Dio, si è preferito far ricorso a una annotazione in calce.

(72) Montàno, dopo la sua conversione al cristianesimo, sostenne di esser la voce del Paraclito (Spirito Santo) e di aver avuto visioni preannunzianti il non lontano ritorno di Cristo. Predicava fantasie pseudoreligiose accompagnato da due profetesse, Priscilla e Massimilla (e secondo taluni da una certa Quintilla).

(73) 1 Pt 4, 8. Sopraggiungendo come un valido intercessore che, interpostosi figuratamente tra le nostre colpe e Dio, lo induce al perdono.

(74) Ez 36, 26. Il cuore che s'indurisce, nella letteratura ebraica, denota la volontà ribelle dell'uomo; perciò con la metafora del cuore di pietra che torna a essere sensibile e vibrante si vuole esprimere, ed è il caso della citazione di Ezechiele, il ritorno a Dio, la conversione.

(75) cf. 1 Cor 3, 17. « Essa - secondo la meditata formula di Paolo VI - 'è santa pur comprendendo nel suo seno dei peccatori, giacché essa non possiede altra vita se non quella della grazia: appunto vivendo della sua vita i suoi membri si santificano, come, sottraendosi alla sua vita, cadono nei peccati e nei disordini che impediscono l'irradiazione della sua santità. Perciò la Chiesa soffre e fa penitenza per tali peccati, da cui peraltro ha il potere di guarire i suoi figli con il sangue di Cristo e il dono dello Spirito Santo'. Questo inestricabile intreccio di grazia e di peccato, questa orditura di fedeltà e di tradimenti, dalla trama della vita secolare affiora sul tessuto della stessa Chiesa; la quale, santa in se stessa e per l'apporto dei figli migliori, si deve pur riconoscere peccatrice in tanti di noi che la realizziamo» (R. SORGIA, Ma lo conosci davvero il Papa?, Cantagalli, Siena, 1971, p. 213).

(76) Sinonimo di Messia, Perciò il servo di Jahvè, come ogni uomo consacrato al servizio di Dio, è sacro e inviolabile.

(77) Seguaci dello scismatico vescovo africano Donato, contemporaneo di sant' Agostino.

(78) «Erede delle promesse divine e figlia di Abramo secondo lo spirito, per mezzo di quell'Israele di cui custodisce con amore le Scritture e venera i patriarchi e i profeti; fondata sugli apostoli e trasmettitrice, di secolo in secolo, della loro parola sempre viva e dei loro poteri di pastori nel successore di Pietro e nei vescovi in comunione con lui; costantemente assistita dallo Spirito Santo, la Chiesa ha la missione di custodire, insegnare, spiegare e diffondere la verità che Dio ha manifestata in una maniera ancora velata per mezzo dei profeti e pienamente per mezzo del Signore Gesù» (Paolo VI, Professione di fede).

(79) L'interiore religiosità, la sua morte - tipo del sacrificio di Cristo innocente - e primizia dei martiri per la causa della giustizia lo accomunano idealmente al popolo di Dio che è la Chiesa santa.

(80) Scrive san Leone il Grande, commentando la ricorrenza liturgica della cattedra di Pietro: «Il diritto di questo potere passò senza dubbio anche agli altri apostoli e la costituzione di questo decreto pervenne a tutti i principi della Chiesa; ma non senza un motivo viene affidato a uno solo, quello che a tutti viene imposto. Perciò il potere è concesso in modo particolare a Pietro perché la figura di Pietro viene preposta a tutti i reggitori della Chiesa».

(81) Rm 6, 3. La forma battesimale cui fa cenno subito dopo prevalse fino al secolo XII.

(82) I Cor II, 29. «Noi crediamo che la Chiesa è necessaria alla salvezza, perché Cristo, che è il solo mediatore e la sola via di salvezza, si rende presente per noi nel suo corpo [mistico] che è la Chiesa. Ma il disegno divino della salvezza abbraccia tutti gli uomini: e coloro che, senza propria colpa ignorano il vangelo di Cristo e la sua Chiesa ma cercano sinceramente Dio e sotto l'influsso della grazia si sforzano di compiere la sua volontà riconosciuta nei dettami della loro coscienza, anch'essi, in un numero che solo Dio conosce, possono conseguire la salvezza» (Paolo VI, Professione di fede).

(83) L'infusione della carità in un'anima è paragonabile al sole nell'atto di illuminare l'aria. Perciò come cessa la luce nell'aria non appena si frapponga un ostacolo all'azione illuminante dei raggi solari, così la carità cessa di pervenire nell'anima non appena [come nel caso della colpa grave] qualcosa ne impedisca l'afflusso. Il fatto che un uomo preferisca finalizzarsi su un bene contingente piuttosto che restare fedele al proprio Dio, ha come conseguenza la perdita dell'abito della carità. Anche per un solo peccato mortale. (cf. Sum. theol. II-II q. 24, a. 12).

(84) Oggi è indicata più opportunamente col nome di unzione degli infermi.

(85) L'Aquinate non ha affatto una visione manichea del matrimonio cui, anche se qui si limita a un breve cenno, nella Somma teologica dedica le questioni 41-68 del «Supplemento».
Per san Tommaso, il matrimonio in quanto è ordinato alla procreazione della prole, fu istituito prima del peccato originale; in quanto invece è un rimedio alle ferite del peccato stesso (rendendo onesta la concupiscenza) entrò in vigore al tempo della legge di natura (cf. q. 42, a. 2).
«Più l'amicizia è grande, più dev'essere salda e durevole. Tra marito e moglie dev'esserci logicamente la più grande amicizia dato che essi si uniscono... per condividere tutti i momenti e le fasi della vita domestica» (Sum. contra gent. lib. 3, c. 123).
Beni del matrimonio sono la prole (che i coniugi cristiani intendono generare e educare, in una specie di esistenziale culto di Dio), la fedeltà reciproca, e la sacralità che lo rende indissolubile e meritorio.
Oltre che un dovere sociale, il matrimonio è sacramento della nuova alleanza, cui si offre a modello l'unione del Cristo con la Chiesa: del Cristo che «accettò la passione per unire a sé la Chiesa» (q. 42, a. I, ad 3um).
San Tommaso dunque considera nella giusta luce il settimo sacramento, intuendo tra l'altro i due significati essenziali - «unitivo e procreativo» - dell'atto coniugale ribadito nell'enciclica Humanae vitae di cui riportiamo un passaggio significativo: «Usare di questo dono divino distruggendo, anche soltanto parzialmente, il suo significato e la sua finalità è contraddire alla natura dell'uomo come a quella della donna e del loro più intimo rapporto, e perciò è contraddire anche al piano di Dio e alla sua volontà. Usufruire invece del dono dell'amore coniugale rispettando le leggi del processo generativo significa riconoscersi non arbitri delle sorgenti della vita umana, ma piuttosto ministri nel disegno stabilito dal Creatore» (Humanae vitae, n. 13).

(86) Intendi, ad esempio, terziari e benefattori.

(87) Mt 22, 30. Nella religione biblica è l'analogo soggiorno dei morti chiamato ade dai greci e inferi dai latini. (Vedi anche nota I, a pag. 72). Lo stesso termine inferno designava il sotterraneo paese delle ombre, la casa dei morti, compresi i giusti in attesa del Messia redentore e liberatore.

(88) Nell'esporre il pensiero escatologico della teologia medievale e suo proprio, san Tommaso dà prova d'una discrezione ancor più accentuata del solito, e basandosi sulle rare indicazioni scritturistiche passa in rassegna le qualità dei risorti traendone congetture o conclusioni di razionale convenienza (cf. Sum. theol. Supplem. qq. 79-86).

(89) Gl I, 17. Oggi viene offerta come probabile la lettura: «Sono marciti i semi sotto le zolle», quantunque gli esegeti aggiungano che tre o quattro dei vocaboli ebraici presenti in questa frase non appaiono altrove nella Bibbia (hàpax legòmena).

(90) Si allude qui non alla morte corporale cui farà séguito la risurrezione, bensì alla condizione di estrema amarezza e di definitiva esclusione dei reprobi dalla vita eterna.

(91) Sal 48, 15. Con il termine fuoco, nota altrove san Tommaso, innanzitutto «viene designato qualsiasi tormento, quando è gagliardo» (Sum. theol., Supplem. q. 97, a. I), e quindi può indicare l'insieme delle pene infernali. Come entità fisica, tuttavia non illuminerà l'ambiente (tra le tenebre, il riverbero d'una fiamma apporterebbe di già un qualche sollievo); ma se vi sarà un minimo di chiarore, esso dovrebbe attenuare l'oscurità «quel tanto che basta per lasciar vedere le cose capaci di tormentare [ulteriormente] l'anima» (ib., a. 4). Potrebbe somigliare a quel fuoco torbido che, appiccato allo zolfo, brucia lentamente producendo un fumo denso (cf. ib., a. 6). Nondimeno, ricordiamo che - misteriosamente alimentato - esso non consumerà il corpo dei dannati.

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