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. Al primo posto mettete la confessione e poi chiedete una direzione spirituale, se lo ritenete necessario. La realtà dei miei peccati deve venire come prima cosa. Per la maggior parte di noi vi è il pericolo di dimenticare di essere peccatori e che come peccatori dobbiamo andare alla confessione. Dobbiamo sentire il bisogno che il sangue prezioso di Cristo lavi i nostri peccati. Dobbiamo andare davanti a Dio e dirgli che siamo addolorati per tutto quello che abbiamo commesso, che può avergli recato offesa. (Beata Madre Teresa di Calcutta)
 
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San Tommaso d’Aquino

Ultimo Aggiornamento: 30/01/2015 12:15
30/01/2015 12:13

[Dal cielo] verrà a giudicare i vivi e i morti

 

    La facoltà di giudicare spetta ai re e ai capi (cf. Prv 20, 8). Tornando perciò nel proprio regno e sedendo alla destra del Padre, è chiaro che spetta al Figlio - quale Signore di tutto il creato - giudicare i vivi e i morti. L'avvenimento è adombrato nelle parole rivolte dagli angeli agli uomini di Galilea: «Quel Gesù che, lasciandovi, è salito al cielo, verrà [di nuovo]» (At I, 11).

    A proposito di questo giudizio futuro possiamo considerare tre cose: la persona del giudice, i convenuti in giudizio e la materia del giudizio medesimo.

    Cristo è stato costituito dal Padre quale giudice dei vivi e dei morti (cf. At 10, 42), e col nome di vivi possiamo indicare sia coloro che vivono rettamente, sia gli attuali abitatori della terra [prescindendo da ogni considerazione]; invece morti, oltre ai defunti in senso fisico, anche i peccatori.

    Egli è giudice in quanto Dio e in quanto uomo, opportunamente. La divinità è una realtà così beatificante che nessuno può trovarsi alla sua diretta presenza e non essere colmato di gaudio. Quindi è necessario che il giudice divino appaia nella persona del Cristo, in maniera da poter giudicare l'intera umanità senza che i reprobi gustino il sommo bene.

    Gesù, «figlio dell'uomo» (cf. Gv 5, 27) ha meritato l'incarico di giudice universale, egli che venne giudicato ingiustamente.

    In più, sapendo che dovranno incontrarsi con un giudice divino ma dall'aspetto umano, gli uomini serberanno una certa quale speranza, che non potrebbe sussistere se li attendesse per vagliare le loro azioni la pura divinità. Minore sarà lo spavento allorché gli uomini «vedranno un 'figlio dell'uomo' venire sulle nubi» (Lc 21, 27). E nessuno degli uomini che videro la luce del sole, nessuno potrà sottrarsi a quel processo. Infatti «tutti quanti dobbiamo comparire innanzi al tribunale di Cristo, perché ognuno riceva ciò che è giusto per quel che avrà fatto mentre viveva unito al corpo, sia in bene che in male» (2 Cor 5, 10).

   San Gregorio Magno prende in esame le differenze che intercorrono tra le categorie di coloro che saranno convocati al giudizio finale.

   Tra i reprobi, un certo numero verrà condannato senza che si proceda neppure a un esplicito dibattimento. Si tratta di coloro che rifiutarono il dono della fede. «Chi non crede è già condannato, perché non crede nel nome dell'unigenito Figlio di Dio» (Gv 3, 18).

   Altri ascolteranno la sentenza che li condanna, dopo la denunzia delle loro colpe: i credenti cioè che morirono in peccato mortale. La sola fede non basterà a salvarli, e riceveranno la paga del peccato - che è la morte [eterna] -, di cui parla san Paolo (cf. Rm 6, 23).

   Anche nel numero degli eletti vi saranno tal uni che verranno invitati alla destra di Cristo giudice sin dall'inizio: quanti vissero in spirito di povertà per amore di Dio. Leggiamo nel vangelo di Matteo che chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o moglie, o figli, o campi, per seguire il Signore non solo riceverà il centuplo e avrà in eredità la vita eterna, ma sarà chiamato a sedersi accanto al «Figlio dell'uomo» per giudicare con lui il genere umano (cf. Mt 19, 28). Oltre ai dodici e agli altri discepoli che accompagnarono il Maestro nel suo peregrinare terreno, una uguale sorte è serbata a tutti i poveri in spirito. Non potrebbe esserne escluso l'apostolo Paolo, ad esempio, che si affaticò più d'ogni altro, vivendo la povertà evangelica. Altrettanto varrà per i discepoli degli apostoli e per tutti gli uomini autenticamente apostolici. San Paolo esprime addirittura la certezza che gli eletti giudicheranno perfino gli angeli [decaduti] (cf. I Cor 6, 3). Nel giorno del giudizio, gli eletti somiglieranno agli anziani e ai principi del popolo di Dio, di cui parla Isaia (cf. Is 3, 14).

    Gli uomini che saranno stati colti dalla morte in uno stato di sostanziale equità benché non siano vissuti esenti da qualche attaccamento ai beni temporali conseguiranno la salvezza, ma ogni particolare della loro esistenza sarà accusatamente soppesato: azioni, parole, e perfino i pensieri. Ci avverte pèrciò la Scrittura: «Segui pure gli impulsi del tuo cuore e i desidèri dei tuoi occhi. Sappi però che per tutto questo Dio ti chiamerà in giudizio» (66). E il Signore: «Vi dico che nel giorno del giudizio gli uomini renderanno conto di ogni parola vana che avranno proferita» (Mt 12, 36), mentre la Sapienza ribadisce che non sfuggiranno al giudice divino neppure i propositi che l'empio avrà formulato credendosi al sicuro perfino dallo sguardo di Dio (cf. Sap I, 9).

    Di fronte a un simile giudizio il timore è ben giustificato.

 

    I. Saremo esaminati da un giudice capace di penetrare l'intimo dell'anima. Egli sa tutti i nostri pensieri, le nostre parole, le nostre opere: «tutto è chiaro e svelato agli occhi di colui al quale dobbiamo rendere conto» (Eb 4, 13). Allo sguardo di altri uomini le nostre scelte potranno apparire oneste, ma il Signore scruta le profondità dello spirito (cf. Prv 16, 2).

    Dio [come s'è detto] conosce ogni parola da noi pronunziata: come un orecchio geloso, anch'egli ascolta tutto e non gli rimane nascosto neanche il sussurro delle mormorazioni (cf. Sap I, 10). Ci legge nel pensiero. Il cuore umano, certo, è più complesso d'ogni altra cosa, e malizioso. Ebbene, dice il Signore, «Io scruto i cuori, scandaglio i reni (67), per dare a ciascuno secondo la sua condotta e il frutto delle sue opere» (Is 17, 9).

    Non saranno assenti, nel giorno del giudizio finale, i testimoni. Teste infallibile, la coscienza d'ognuno, secondo l'Apostolo: «I dettami della legge sono scritti nei loro cuori, come ne fa fede la loro coscienza coi suoi giudizi, la quale, volta per volta li accusa o li difende. E questo diventerà manifesto nel giorno in cui (...) Dio giudicherà per mezzo di Gesù Cristo le azioni segrete degli uomini» (Rm 2, 15-16).

 

    2. Altro motivo di timore: la potenza, o per meglio dire l'onnipotenza del giudice: «Ecco il Signore Dio che viene, con possanza!» (Is 40, 10). Avrà per alleati tutte le creature, poiché «l'universo combatterà con lui contro gli insensati [che gli si opposero]» (Sap 5, 20). Diceva bene Giobbe: «Non c'è chi possa liberarmi dalla tua mano» (Gb 10, 7); e il salmista: «Se anche salissi al cielo, tu ci sei; s'io vado in fondo agli abissi, eccoti là» (Sal 138, 8).

 

    3. La sua giustizia sarà inflessibile. Adesso è tempo di misericordia, ma in quel giorno finale vi sarà posto soltanto per la giustizia; il momento attuale è nelle nostre mani, mentre allora sarà nelle sue, esclusivamente. «Quando avrò deciso di farlo, emetterò, con rettitudine, la mia sentenza» (Sal 74, 3). In preda al suo santo sdegno non perdonerà nel dì della vendetta, non ascolterà le implorazioni di nessuno, non defletterà dal suo retto giudizio neppure se gli offrissimo tutte le ricchezze dell'universo (68).

 

    4. Terribile sarà l'ira del Giudice supremo. Ai giusti mostrerà il suo volto dolce e beatificante (cf. Is 33, 17), ma ai reprobi apparirà in collera e tanto tremendo, che essi diranno alle montagne: «Cadeteci addosso, nascondeteci dalla faccia di Dio che è assiso sul trono e dall'ira dell'Agnello!» (Ap 6, 16). Non sarà, quello, uno sconvolgimento emotivo [nell'animo di Cristo giudice, come quando l'uomo si adira], bensì un modo di esprimere l'effetto della sua indignazione [contro gli ostinati ribelli]. Quel giorno è chiamato «giorno dell'ira» (69), quando si consideri la pena inflitta ai peccatori: l'inferno, per l'eternità.

     Di fronte a un così fondato timore, ci sentiremo rianimati se:

    - cercheremo di agire bene, secondo l'esortazione dell'Apostolo: «Vuoi non aver da temere l'autorità? Fa' il tuo dovere, e ne avrai anzi la lode» (Rm 13, 3);

    - ricorrendo al sacramento della penitenza e riparando gli errori, confessandoci cioè con vera contrizione, con sincero rincrescimento nell'accusa e severe pratiche penitenziali come espiazione [commutativa] delle pene eterne;

    - distribuendo elemosine, che completano la purificazione dell'anima. «Procuratevi amici con la disonesta ricchezza, affinché quando verrà a mancarvi, essi vi accolgano nella dimora eterna» (Lc 16, 9);

    - vivendo nella carità, ossia nell'amore verso Dio e verso il prossimo: sarà così ricoperta una moltitudine di peccati (cf. I Pt 4, 8; cf. Prv 10, 2b).

 

 

Credo nello Spirito Santo

 

    Abbiamo veduto che il Verbo di Dio è suo Figlio, come il verbo [mentale] dell'uomo è il concetto della sua intelligenza (70); ora accade talvolta che si tratti di concetti non vitali, di progetti inattuati per mancanza di volontà operativa. Il credente conosce le verità di fede, ma spesso non agisce in modo coerente. La sua, allora, è una fede morta.

    Il Verbo di Dio invece è [eternamente] vivo (cf. Eb 4, 12): è segno che in lui pulsa la volontà, l'amore.

   Come il Verbo è Figlio di Dio, così il suo Amore è lo Spirito Santo. Ne segue che un uomo ha in sé questo Spirito se ama Dio. «L'amore di Dio è stato diffuso in abbondanza nei nostri cuori dallo Spirito Santo che ci è stato donato» (Rm 5, 5).

   Non mancarono tal uni che, errando su tale materia, sostenevano che lo Spirito Santo era una semplice creatura, e, in quanto tale, minore, rispetto al Padre e al Figlio, loro servo e strumento. Per respingere simili errori, i teologi della ortodossia aggiunsero nel Simbolo cinque precisazioni intorno allo Spirito Santo.

   I. Esistono altri esseri spirituali, gli angeli, la cui funzione è propriamente quella di esecutori del volere di Dio: «spiriti al servizio di Dio», come si legge nella lettera agli Ebrei (Eb I, 14) mentre, al contrario, lo Spirito Santo è Signore, «è Dio» (Gv 4, 24) o, più esplicito, «lo Spirito Santo è Signore» (2 Cor 3, 17). Dunque, non subisce coazioni, è libero, e dove ci sia lo Spirito, ivi troviamo la vera libertà (2 Cor 3, 17). Egli, infatti, attraendoci all'amore di Dio, ci libera dagli attaccamenti mondani. Lo Spirito Santo è «Signore».

 

   2. La [vera] vita dell'anima deriva dalla sua unione con Dio, come è l'anima a render vitale un corpo cui sia unita. Dio si unisce all'uomo mediante il suo Amore, che è lo Spirito; e lo vivifica: «è lo Spirito che dà la vita [soprannaturale] (Gv 6, 63). Egli, dunque, «ci dà la Vita».

 

   3. Lo Spirito Santo è della medesima sostanza [divina] che il Padre e il Figlio. Difatti, come il Figlio è Verbo del Padre, lo Spirito è l'Amore intercorrente tra il Padre e il Figlio, procedente da entrambi e quindi partecipante dell'unica divinità. Egli «procede dal Padre e dal Figlio». Non è, evidentemente, quella creatura che qualcuno disse.

 

    4. Riguardo al culto [che gli dobbiamo], sta su un piano di uguaglianza col Padre e il Figlio.

    Il battesimo stesso che applica all'uomo i frutti della passione redentrice del Figlio e procede dalla benevolenza del Padre, si compie - accomunandolo nel medesimo rito ­ mediante l'effusione dello Spirito (cf. Mt 28, 19). «Con il Padre e il Figlio, [lo Spirito] è adorato e glorificato».

 

    5. A conferma dell'eguaglianza delle tre Persone sta la divina ispirazione concessa ai profeti. E evidente che se lo Spirito non fosse Dio medesimo, nessuno potrebbe sostenere quanto, ad esempio, afferma san Pietro: «Uomini retti, mossi dallo Spirito Santo, hanno parlato da parte di Dio» (71). E Isaia poté ripeterlo di sé medesimo: «Il Signore Dio e il suo Spirito mi hanno mandato [a profetare]» (Is 61, 1).

   Risultano così infirmate due tesi ereticali: l'errore cioè dei manichei, secondo i quali l'Antico Testamento non aveva Dio per autore; il che è falso, avendo parlato lo Spirito Santo per bocca dei profeti.

   Poi l'errore di Priscilla e di Montàno (72), i quali davano per certo che i profeti non trasmisero il pensiero dello Spirito Santo, bensì i propri vaneggiamenti.

    Dallo Spirito ci deriva una quantità di frutti spirituali.

    Egli purifica l'anima dai peccati, spettando l'opera di restaurazione all'autore medesimo. Ora, l'anima umana è creata mediante lo Spirito Santo, dato che il Padre crea ogni cosa per un atto del suo Amore. «Tu ami tutte le cose esistenti, e nulla disprezzi di quanto hai creato» (Sap II, 24). E Dionigi scrive che l'Amore non permise che la divinità restasse infeconda.

    Perciò è quanto mai opportuno che il cuore umano, devastato dalle conseguenze della colpa, venga rimesso a nuovo dallo Spirito. Anche in senso spirituale vale la considerazione del salmista : «Ridai [alle creature] il tuo alito e le ricrei, e rinnovi la faccia della terra» (Sal 104, 30). Ed è perfettamente convenevole che in tale operazione purificatrice operi lo Spirito, dal momento che i peccati trovano remissione in forza dell'amore. «I suoi numerosi peccati sono stati perdonati - dice Gesù della peccatrice - poiché ha molto amato» (Lc 7, 47). E Pietro: «Abbiate un'ardente carità gli uni verso gli altri, perché la carità copre un gran numero di peccati» (73).

    Lo Spirito Santo illumina la nostra mente; tutto ciò che conosciamo [circa i misteri soprannaturali] proviene dalla rivelazione dello Spirito. «Lo Spirito Santo che il Padre vi manderà nel mio nome, egli vi insegnerà ogni cosa e vi farà comprendere tutto ciò che vi ho detto» (Gv 14, 26; cf. 1 Gv 2, 27).

    Ci aiuta a osservare i divini precetti, esercitando su di noi una sorta di [soave] pressione. Nessuno infatti riuscirebbe a osservare i comandamenti se non amasse Dio. «Se qualcuno mi ama, metterà in pratica le mie parole» (Gv 14, 23). E lo Spirito-Amore ci induce a riamare. Egli realizza la promessa antica: «Vi darò un cuore nuovo, in voi porrò un nuovo spirito; toglierò il cuore di pietra dal vostro corpo e lo sostituirò con uno di carne. Porrò in voi lo Spirito mio, facendo si che viviate secondo i miei statuti, mettendo in pratica le mie leggi» (74).

    Ci rafforza nella speranza di poter conseguire la vita eterna, poiché egli ne costituisce quasi il pegno. Dice l'Apostolo: «Avete ricevuto il suggello dello Spirito Santo, che era stato promesso, il quale è caparra della nostra eredità» (Ef I, 13-14). La vita eterna infatti viene promessa all'uomo che [mediante la fede in Cristo] diviene figlio adottivo di Dio, simile cioè al Cristo per opera dello spirito che abita in Gesù, ed è lo Spirito Santo. «Voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale possiamo gridare: Abbà, Padre!' Lo Spirito stesso attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio» (Rm 8, 15-16).

    «La prova che voi siete figli, sta nel fatto che Dio mandò lo Spirito del Figlio suo nei vostri cuori, il quale grida: Abbà!', che vuol dire Padre!» (Gal 4, 6).

    Infine lo Spirito Santo ci consiglia nelle situazioni difficili, mostrandoci quale sia [nel caso concreto] la volontà di Dio. All'invito che leggiamo nell'Apocalisse: «Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice» (Ap 2, 7), fa eco l'esemplare disponibilità del profeta Isaia: «Lo ascolterò, come [il discepolo ascolta] il maestro» (Is 50, 4).

 

 

[Credo nel]la santa Chiesa cattolica

 

   Simile al nostro organismo, in cui l'anima diffonde la vita nelle varie parti, la Chiesa cattolica è un corpo [mistico], composto di numerosi membri vivificati dallo Spirito Santo. Dobbiamo quindi professare l'atto di fede nella Chiesa, santa e cattolica, menzionata negli articoli del simbolo: 'Credo la Chiesa'.

   Il nome chiesa significa riunione, società, sicché la Chiesa è l'assemblea dei fedeli come, dal canto suo, ciascun cristiano è membro del corpo ecclesiale, cui sembra far cenno il libro dell'Ecclesiastico (cf. Sir 51, 31).

   Quattro sono le note essenziali della Chiesa di Cristo: essa è una, santa, cattolica ( ossia universale) e apostolica [salda, ben fondata].

 

    I. Proprio il fatto che le sette ereticali si siano succedute tanto numerose e in contrasto l'una con l'altra già le esclude dall'appartenere alla Chiesa, armoniosa in se stessa e unica, simile alla «colomba», l'amata dello Sposo (cf. Ct 6, 8).

    L'unità della Chiesa promana dall'unica fede, da un'identica speranza e dalla comunione nella carità.

    Infatti i cristiani, membri di una stessa società, professano le medesime verità rivelate. Raccomanda loro l'apostolo Paolo: «Tra voi non ci siano divisioni ma siate perfettamente uniti, d'uno stesso pensiero, concordi» (I Cor I, 10), sicché mostriate d'avere «un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio, Padre di tutti» (Ef 4, 5).

     Ciascun fedele nutre la ferma aspirazione di pervenire alla vita eterna: unica è la speranza verso cui siamo orientati mediante la vocazione cristiana (cf. Ef 4, 4).

    I fedeli si ritrovano uniti anche nell'amore verso Dio e in una vicendevole carità, sì da realizzare il profondo desiderio del Cristo, che tutti i cristiani siano - come il Padre, il Verbo e lo Spirito - una sola realtà.

    Tale amore, quando è autentico, si manifesta attraverso una mutua sollecitudine [nel servizio reciproco] e nella comprensione degli uni per gli altri. Di particolare eloquenza questo passo dell'Apostolo: «Vivendo secondo un' autentica carità, cerchiamo di crescere sotto ogni aspetto, in colui che è il Capo, Cristo, dal quale tutto il corpo [mistico], ben compaginato e connesso, mediante l'apporto d'ogni giuntura e secondo l'energia di ogni membro, riceve forza per crescere, in maniera da edificare se stesso nella carità» (Ef 4, 15-16). D'ogni grazia che Dio ci concede dobbiamo farne partecipe il nostro prossimo.

    Nessuno perciò deve prender alla leggera il meritare d'essere scacciato ed escluso dalla Chiesa [cattolica] dove si trova la salvezza, come non fu possibile salvarsi per quanti rimasero, al tempo del diluvio, fuori dell'arca.

 

    2. Anche gli uomini orientati verso il male costituiscono una specie di congrega, ed è l'alleanza dei malvagi che Dio aborre (cf. Sal 25, 5).

    La società fondata dal Cristo, al contrario, è protesa a realizzare la santificazione dei suoi membri (75). È  la «santa Chiesa».

    I fedeli cristiani vengono santificati in più modi.

    Quando un nuovo tempio vien consacrato, lo si comincia a lavare, materialmente; così i fedeli: entrando a far parte della Chiesa vengono purificati [mediante il battesimo], grazie al sacrificio cruento del Cristo. « [Gesù] ci ha liberati dalle nostre colpe con il suo sangue» (Ap I, 5), egli che «per santificare il popolo col proprio sangue, patì fuori della porta della città» (Eb 13, 12).

    Il rito di consacrazione d'una nuova chiesa prevede poi l'unzione [dell'altare]; e altrettanto i fedeli: essi infatti ricevono l'unzione del crisma, attraverso cui agisce lo Spirito Santo nella sua opera santificatrice. Sono così, potenzialmente, resi simili al Cristo, l'Unto (76) per eccellenza.

    Dovunque Dio inabiti, quello diviene un luogo santificato dalla, sua presenza (cf. Gn 28, 16) ed è conveniente che il cristiano, tempio dello Spirito, si custodisca irreprensibile (cf. Sal 92, 5).

    Infine, anche l'invocare Dio ha un'azione santificante. «Tu sei in noi, Signore, e sopra di noi è stato invocato il nome tuo» (Ger 14, 9).

    Stiamo perciò ben attenti - considerando di quali e quante santificazioni sia stata oggetto la nostra anima - a non offuscare lo splendore di questo tempio di Dio. E grave la minaccia che leggiamo in san Paolo: «Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di lui abita in voi? Se uno vìola il suo santuario, Dio lo distruggerà (I Cor 3, 17).

 

    3. Altra nota della Chiesa è la cattolicità. Essa, cioè, è universale, nel senso che va diffondendosi praticamente su tutta la terra, contro la tesi dei donatisti (77). La testimonianza di Paolo nei confronti dei fedeli di Roma («La fama della vostra fede si espande nel mondo» (Rm I, 8)) è una risposta alla missione evangelica affidata da Cristo agli apostoli: «Andate per tutto il mondo, predicate il vangelo a ogni creatura» (Mc 16, 15). Mentre in passato il vero Dio era noto solo entro i confini della Giudea, adesso la sua rivelazione ha raggiunto le più lontane regioni della terra (78).

    A ciò s'aggiunga l'universalità che dilata ulteriormente la Chiesa: essa infatti comprende, oltre alla terra, il purgatorio e il paradiso.

  È universale, poi, quanto alle diverse condizioni sociali delle persone chiamate a fame parte. Nessuno ne è pregiudizialmente escluso, né il servo né il padrone, né l'uomo né la donna.

    Universale anche riguardo al tempo. Certuni dissero che la Chiesa avrebbe avuto soltanto una sua durata temporale, il che è falso. Essa durerà, dal tempo di Abele (79), sino al concludersi della fase terrena, assistita dal Cristo (cf. Mt 28, 20), per trasformarsi alfine nell'unica Chiesa trionfante in eterno.

 

    4. Possiede la dote della stabilità. Un edificio può esser detto solido se innanzi tutto poggia su buone fondamenta. Ebbene, la Chiesa è sorretta dal Cristo. «Nessuno può porvi un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Cristo Gesù» (I Cor 3, 11).

    Poggia inoltre sugli apostoli e sulla loro dottrina. La celeste Gerusalemme descrittaci dall'Apocalisse aveva dodici strati per fondamenta, e su ognuno v'era il nome dei dodici apostoli dell'Agnello (cf. Ap 21, 14). La Chiesa è detta perciò apostolica, e Pietro viene indicato espressamente quale pietra di base, onde sottolinearne la solidità (80).

    Ancora. Una costruzione merita d'essere giudicata stabile se regge quando sia soggetta a violente scosse. Ebbene, la Chiesa non è stata mai demolita: non vi riuscirono i persecutori, anzi fu sotto il loro imperversare che essa si accrebbe ulteriormente; i persecutori invece e gli avversari d'ogni sorta scomparvero uno dopo l'altro. «Chi cadrà su questa pietra andrà in pezzi; e qualora essa cada su qualcuno, lo stritolerà» (Mt 21, 44).

    Le eresie produssero un effetto analogo: col loro moltiplicarsi, offrirono occasioni per un ulteriore chiarimento della verità. «[Gli eretici] si oppongono alla verità essendo uomini dissennati nel modo di giudicare, che hanno perduto la fede. Costoro però non andranno molto innanzi perché la loro stoltezza sarà manifesta a tutti» (2 Tm 3, 8).

    Gli stessi assalti diabolici non raggiungono miglior risultato: simile a una torre, la Chiesa costituisce anzi un solido baluardo entro cui trova riparo chiunque si opponga all'avversario. Il giusto vi si rifugia ed è al sicuro (cf. Prv 18, 10).

    Perciò il diavolo raddoppia i propri assalti contro la Chiesa; ma non potrà prevalere, avendo il Signore assicurato che «le porte degli inferi non riusciranno a riportare la vittoria su di essa» (Mt 16, 18). Quasi dica: la battaglia infurierà contro di lei, ma a vincere non saranno i tuoi nemici.

    Comprendiamo meglio adesso come la sola Chiesa di Pietro (al quale toccò l'Italia quando i discepoli si misero a predicare il vangelo) restò sempre salda nella [vera] fede. Altrove, o la dottrina di Cristo è sconosciuta, oppure è inquinata da errori. Non deve stupirci. A Pietro il Signore ha promesso: «Io ho pregato per te, che la tua fede non venga meno» (Lc 22, 32).

 

 

[Credo nel]la comunione dei santi e [nel]la remissione dei peccati

 

    Come in un organismo vivente l'attività di un membro torna a vantaggio dell'insieme, qualcosa di simile accade nel corpo mistico che è la Chiesa. Il bene compiuto da uno, si comunica agli altri fedeli; infatti «pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo e ciascuno per la sua parte siamo membra gli uni degli altri» (Rm 12, 5). Sicché, tra le altre verità di fede, gli apostoli ci hanno tramandato questa, della «comunione dei santi», ossia la comunanza nei beni spirituali.

    Cristo è il capo; la Chiesa ne costituisce il mistico organismo, secondo l'espressione paolina: «[Egli] è il capo di tutta la Chiesa, la quale è il suo corpo» (Ef I, 22-23) e quanto di bene c'è in lui, si diffonde nei cristiani mediante i sacramenti. Agisce in essi l'efficacia del sacrificio di Gesù, la grazia in remissione dei peccati.

    Come sappiamo, i sacramenti sono sette.

        

    I. Il battesimo equivale a una rinascita spirituale. Un uomo inizia la sua esistenza terrena con la propria nascita e così pure la vita spirituale comincia in lui mediante la rinascita operata dal battesimo. «Se uno non rinasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio» (Gv 3, 5).

    Si nasce una sola volta, e una sola volta si riceve il sacramento del battesimo. «Credo - perciò - in un solo battesimo».

    La sua funzione consiste nel purificare l'uomo da qualunque peccato, sia riguardo alla colpa e sia alla [relativa] pena. Tant'è vero che ai neo-battezzati non viene imposta alcuna penitenza riparatrice, si fosse pure trattato dei peggiori uomini del mondo. Morendo subito dopo il battesimo, un uomo entrerebbe direttamente in paradiso. Questa è la ragione per cui, sebbene spetti d'ufficio soltanto al sacerdote amministrare il battesimo, in caso di necessità può fare altrettanto chiunque; basterà osservare la formula sacramentale: «Io ti battezzo nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo».

    La virtù del primo sacramento promana dalla passione di Cristo: «Non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte?» (81). La triplice immersione vuole simboleggiare i tre giorni durante i quali Gesù rimase entro il sepolcro.

 

     2. Cresima o confermazione. A ogni essere che nasce sono necessarie le forze per poter agire; così l'uomo che rinasce spiritualmente ha bisogno di essere corroborato dallo Spirito Santo. Gli apostoli stessi, affinché la loro azione risultasse vigorosa, ricevettero lo Spirito, dopo l'ascensione di Cristo (cf. Lc 24, 49).

    A noi, tale aiuto viene conferito nel sacramento della confermazione. Perciò, chi ha cura dei fanciulli dev'essere molto diligente affinché vengano cresimati, trattandosi di una grazia assai importante. Il cristiano che muore col sacramento della cresima - e quindi dopo aver ricevuto un aumento di grazia - riceve un maggior grado di gloria.

 

     3. Eucarestia. Nato che sia e raggiunto un certo sviluppo, un essere umano ha necessità di assumere regolarmente cibo; per la vita spirituale esso è costituito dal corpo di Cristo, in base alle sue stesse parole: «Se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita soprannaturale» (Gv 6, 54). Quindi, secondo le norme stabilite dalla Chiesa, ogni cristiano riceverà almeno una volta all'anno l'eucarestia, dopo essersi debitamente preparato e purificato: chi infatti «mangia il pane o beve il calice del Signore in modo indegno» (I Cor II, 27) - ossia con la coscienza d'esser in colpa grave, di cui non si sia confessato né si proponga di evitare in futuro - «mangia e beve la propria condanna» (82).

 

    4. Confessione o penitenza. Succede anche al nostro organismo di ammalarsi e - qualora non intervenga a tempo un rimedio efficace -, di morire. Nell'ordine spirituale è il peccato che produce le infermità [spesso gravissime, come nel caso del peccato mortale] (83). Sicché, per recuperare la salute, è indispensabile una medicina: la grazia contenuta nel sacramento della penitenza. «Egli perdona tutte le tue colpe e ti risana dalle infermità» (Sal 102, 3).

I requisiti di una buona confessione sono tre: il dolore perfetto dell'animo per aver offeso Dio, un'accusa integrale dei peccati e la riparazione mediante opere penitenziali.

 

    5. Estrema unzione (84). Sono tante le cause che impediscono all'uomo di purificarsi in maniera completa dalle conseguenze [punitive] del peccato; e siccome nessuno può partecipare della vita eterna se prima non sia perfettamente mondato, si rese opportuna la istituzione di un altro sacramento in forza del quale l'uomo gravemente ammalato sia purificato dalle colpe e, a Dio piacendo, riottenga la sanità del corpo. Il sacramento della estrema unzione prepara l'uomo all'ingresso nel regno celeste.

    (Quando non si verifichi l'effetto di una guarigione fisica, ciò dipende dal fatto che un prolungamento della vita terrena non sarebbe giovevole alla salute spirituale). Ne parla diffusamente l'apostolo Giacomo: «Chi è malato, chiami presso di sé i presbiteri della Chiesa e preghino su di lui, dopo averlo unto con l'olio, nel nome del Signore. E la preghiera fatta con fede salverà il malato: il Signore lo rialzerà, e se ha commesso peccati gli saranno perdonati» (Gc 5, 14-15).

 

    6. Ordine. Dovrebbe risultare evidente, ormai, che facendo ricorso ai cinque sacramenti fin qui esaminati, il cristiano può condurre una soddisfacente vita spirituale.

    Occorrono ovviamente degli uomini che li amministrino. Ecco il sacramento dell'ordine sacro, che abilita all'esercizio della consacrazione e amministrazione sacramentaria.

    Se la loro vita [personale] non appare esemplare, dobbiamo fermare l'attenzione sulla virtù del Cristo, da cui i sacramenti traggono efficacia. Quanti hanno ricevuto l'ordine sacro diventano «ministri di Cristo e dispensatori dei misteri di Dio» (I Cor 4, 1).

 

    7. Matrimonio. Grazie al settimo sacramento, i coniugi che lo vivano onestamente possono non soltanto salvarsi ma acquistare dei meriti. Difficile per loro evitare quei peccati veniali causati dalla stessa concupiscenza; che se poi non rispettassero i fini del matrimonio la loro colpa diverrebbe grave (85).

    I sette sacramenti perfezionano la remissione dei peccati, cui fa riferimento il Credo.

    Furono gli apostoli a ricevere la facoltà di concedere il perdono delle colpe morali e da essi, come a loro volta essi medesimi dal Cristo, uguale potestà viene conferita ai ministri della Chiesa. La nostra fede ci insegna che appartiene al Papa il pieno potere «di sciogliere e di legare» e, secondo una gradualità, agli altri prelati.

    I cristiani partecipano non solo all' efficacia del sacrificio di Cristo, ma ai suoi meriti, e addirittura partecipano dei meriti dei santi; tali meriti si propagano in tutti coloro che vivono nella grazia, dal momento che formiamo assieme il corpo mistico di Cristo.

    Ne deriva che, vivendo nella carità, ciascuno di noi partecipa della sia pur minima opera virtuosa che si compia nel mondo. Ne godranno però in modo particolare quelle persone che siano presenti nelle intenzioni di chi fa il bene. Uno potrà pagare al posto di un altro, e lo si vede ad esempio nel caso delle congregazioni religiose che ammettono altri a valersi dei meriti di una data famiglia spirituale (86).

    In forza della comunione tra i santi, i meriti di Gesù sono distribuiti a ciascun fedele, e così i nostri meriti personali. Gli scomunicati, trovandosi a essere estromessi dalla società ecclesiale, perdono gran parte del tesoro dei meriti comuni. E questo è un danno tutt'altro che trascurabile, giacché supera qualunque altro fallimento nei beni temporali.

    Inoltre, mentre il diavolo si trova ostacolato nella sua opera malefica proprio dai suffragi cui accenniamo, chi se ne priva facilita l'azione deleteria del Tentatore [per tutto il tempo che uno vive separato dalla Chiesa].

    Accadeva spesso così, nella Chiesa primitiva, che non appena qualcuno era scomunicato, immediatamente diveniva preda del diavolo, anche fisicamente.

 

 

Aspetto la risurrezione dei morti

 

   Lo Spirito santifica la Chiesa non solo riguardo alle anime: in virtù del suo intervento infatti i nostri corpi risorgeranno. Egli «ha risuscitato dai morti Gesù Cristo, nostro Signore» (Rom 4, 24) e «in virtù di un uomo [che è appunto Gesù Cristo] c'è una risurrezione dei morti» (I Cor 15, 21).

    Perciò, sorretti dalla fede cattolica noi crediamo che un giorno avverrà la risurrezione [dell'intero genere umano]. Il che ci suggerisce alcune considerazioni: l'utilità derivante dal credere nella risurrezione stessa; le prerogative dei corpi risorti, in generale; le qualità dei giusti resuscitati, e

quelle dei reprobi.

    I. La fede e la speranza nella risurrezione ci offrono diversi vantaggi, e prima di tutto la liberazione dalla tristezza derivante dal pensiero dei morti. Infatti, pur essendo impossibile non dolersi per la morte dei propri cari, tuttavia la speranza d'incontrarli nuovamente il giorno della risurrezione tempera notevolmente il dolore causatoci dalla separazione. Ci esorta l'Apostolo:

  «Non vogliamo poi lasciarvi nell'ignoranza, o fratelli, circa i defunti, affinché non continuiate ad affliggervi come gli altri che non hanno speranza» (1 Ts 4, 1 3).

    Cessa il timore per la morte [che ci attende]. Se nel morire l'uomo non sperasse in una vita migliore dell'attuale, senza dubbio la morte risulterebbe tremendamente assurda; e l'uomo si sentirebbe autorizzato a compiere ogni sorta di iniquità, nel tentativo di sfuggire alla morte. Ma poiché siamo certi che esiste una vita migliore di questa, una vita cui approderemo attraverso la morte, è chiaro che nessuno ha più motivi di temere, come pure, per timor della morte, di compiere scelte immorali; Cristo infatti prese un corpo [umano] «per ridurre all'impotenza mediante la morte colui che ha il potere della morte, cioè il diavolo» (Eb 2, 14-15).

    Un tale pensiero, ci rende solleciti e diligenti nel compiere il bene; se infatti l'uomo dovesse vivere solo questa vita temporale, non troverebbe in ciò un efficace incentivo a ben fare: qualunque cosa gli sembrerebbe inadeguata dal momento che il desiderio umano non è vincolato ad alcuno dei beni particolari e per un tempo determinato, bensì è rivolto alle realtà eterne e senza limitazioni di sorta.

    Ora, siccome noi crediamo che tutto ciò che andiamo compiendo sulla terra riceverà un'eterna ricompensa alla risurrezione finale, ci ingegniamo d'agire rettamente. «Se riponessimo la nostra speranza nel Cristo soltanto in questa vita - scrive san Paolo - siamo da compiangere più di tutti gli uomini» (I Cor 15, 19).

    Infine ci ritrae dal male. Difatti, come induce al bene la speranza del premio, così il timore delle pene che sappiamo essere riservate ai reprobi ci tien lontani dal peccato. Vedi il Vangelo: «Quelli che hanno operato il bene usciranno dai sepolcri per la risurrezione di vita; quelli invece che fecero il male, per una condanna» (Gv 5, 29).

 

    2. Riguardo poi alle prerogative dei corpi risorti, bisogna sapere che talune note interesseranno tutti indistintamente.

    L'identità dei corpi risuscitati: riavrà il soffio vitale lo stesso corpo che abbiamo ora (stessa carne, stesse ossa ecc.), sebbene tal'uno sostenga il contrario; ma è tesi che si allontana dall'insegnamento dell'Apostolo. Egli dichiara infatti: «E' necessario che questo corpo corruttibile si rivesta d'incorruttibilità e che il nostro corpo mortale si rivesta d'immortalità» (1 Cor 15, 53).

    Anche altrove la sacra Scrittura afferma che, per virtù divina, riprenderà a vivere lo stesso e medesimo corpo; vedi Giobbe: «Nuovamente rivestito della mia pelle, attraverso questi sensi vedrò Dio!» (Gb 19, 26).

    La condizione dei corpi che riprenderanno a vivere sarà però differente dalla condizione terrena: beati e reprobi riceveranno corpi incorruttibili, senonché i primi vivranno immersi nella gloria, i secondi per sempre nelle pene [infernali]. Abbiamo già citato l'espressione della lettera ai Corinti (1 Cor 15, 53). Trattandosi di corpo incorruttibile e immortale, non ha senso parlare più di cibo né di piaceri sessuali. Secondo l'evangelista «dopo la risurrezione non si ammoglieranno né si mariteranno, ma saranno simili agli angeli di Dio in cielo» (87).

    Questa è una verità [rivelata], contro le credenze dei sadducei e dei saraceni. «Chi scende nello sheol più non ne risale; non ritorna nella propria casa» (Gb 7, 9-10).

    Tutti, buoni e cattivi, risorgeranno con quella integrità corporale che attiene all'individuo. Non vi saranno più ciechi, zoppi o menomati in altra maniera. L'Apostolo scrisse ai Corinti: «I morti risorgeranno incorrotti» (I Cor 15, 52), ossia immutabili, rispetto alle presenti imperfezioni.

    Riguardo all'età, tutti risorgeranno in un'età congrua, sui trentadue-trentatré anni; e la ragione è questa; chi morì prima d'esservi giunto, non conobbe l'età che esprime il vigore ideale dell'uomo, mentre i vecchi riavranno la perfezione della giovinezza (88). Sulla parola dell'Apostolo «tutti arriveremo allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo» (Ef 4, 13).

 

    3. Circa la risurrezione dei buoni in particolare bisogna sapere che li attende una gloria specifica: i santi riceveranno dei corpi glorificati, con quattro specifiche qualità: lo splendore cui accenna Matteo: «I giusti splenderanno come il sole, nel regno del loro Padre» (Mt 13, 43). La liberazione dal dolore o impassibilità, secondo che afferma san Paolo: «[Il corpo] seminato spregevole, risorge glorioso; si semina debole e risorge vigoroso» (I Cor 15, 43). E nell'Apocalisse: «Egli tergerà ogni lacrima dai loro occhi e non vi sarà più la morte né lutto né lamento né affanno» (Ap 21, 4). E l'agilità: «Nel giorno della loro ricompensa risplenderanno e scorreranno leggeri, simili a scintille nella stoppia» (Sap 3, 7). Infine la sottigliezza: «Si semina corpo materiale, risorge spirituale» (I Cor 15, 44). Non nel senso di puro spirito, bensì di corpo materiale ma totalmente assoggettato allo spirito.

 

    4. A proposito della condizione dei dannati, essa sarà l'opposto della condizione beata: in essi si avrà pena eterna, con le seguenti caratteristiche. Riceveranno corpi tenebrosi. Vi accenna Isaia: «I loro visi saranno visi riarsi» (Is 13, 8). Corpi sensibilissimi [a ogni sofferenza], che tuttavia mai potranno ridursi in cenere, e pur ardendo eternamente non ne risulteranno consunti; è il concetto di Isaia: «Il loro fuoco non sarà mai estinto» (Is 46, 24). Saranno inoltre, i loro, dei corpi estremamente materiati: difatti l'anima rimarrà come reclusa in un carcere angusto. «I re - dice un salmo - saranno avvinti in catene» (Sal 149, 8).

    E infine quell'anima diverrà, come il corpo, in certo modo incarnita. Si rammentino le parole di Gioele: «I giumenti finirono per marcire tra i loro stessi rifiuti» (89).

 

 

E [aspetto] la vita eterna. Amen.

 

    Queste parole concludono il Simbolo della fede, alludendo al coronamento di ogni desiderio del cuore umano, e cioè la vita eterna.

    E' una proposizione che contraddice quanti opìnano una morte dell'anima, assieme a quella che la separa dal corpo. Se ciò fosse vero, la condizione umana non sarebbe diversa da quella degli animali bruti, che morendo ritornano nel nulla (cf. Sal 48, 21).

    La nostra anima invece è quasi un riflesso della immortalità di Dio, e può essere paragonata alle bestie solo per gli eccessi della concupiscenza. Sostenendo che essa muoia assieme al corpo, ci si allinea con quelli [abbrutiti dal peccato] di cui sta scritto: «Non conoscono i segreti di Dio; non sperano ricompensa per il retto vivere né credono a un premio destinato alle anime pure. Sì, Dio ha creato l'uomo per l'immortalità; lo fece a immagine della propria natura. Ma la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo; e ne fanno [la più amara] esperienza (90) coloro che gli appartengono» (Sap 2, 22-23).

    Cos'è la vita eterna?

    Essa è innanzi tutto la comunione [perfetta e interminabile] dell'anima con Dio, che diviene così premio e coronamento di ogni nostra fatica. Nel significato più ampio sarà vera la sua promessa: «Io sono il tuo protettore e la tua ricompensa infinitamente grande» (Gn 15, 1).

    Questa fusione tra l'anima e Dio si attua attraverso la perfetta visione della divina essenza. «Adesso [infatti] vediamo [Dio] come in uno specchio, in maniera confusa, allora invece a faccia a faccia» (I Cor 13, 12). La nostra lode diverrà anch'essa un cantico perfetto, poiché per usare le parole di Agostino «vedremo, ameremo, loderemo» e nella visione beatifica troveremo gaudio e allegrezza, e l'anima sarà tutta un inno di ringraziamento e di lode (cf. Is 51, 3).

    Perfetta la sazietà dei nostri desideri: nella vita eterna infatti ogni beato avrà ben più di quanto possa desiderare e sperare; e la ragione è evidente: quaggiù è impossibile soddisfare l'umana brama di felicità; quaggiù non c'è alcun bene creato [neppure l'intero universo] che sia capace di placare appieno gli aneliti dell'uomo. Dio soltanto vi riesce, anzi supera qualunque nostro desiderio, all'infinito. Agostino ha scritto con ragione: «Ci hai fatti per te, o Signore, e il nostro cuore non troverà quiete fin quando non riposi in te».

    Ora, i santi possedendo Dio perfettamente nella gloria beatifica, sono saziati in ogni loro desiderio. La ricchezza della gloria celeste sarà sempre superiore a ogni nostra aspettativa. Il servo buono e fedele prenderà parte alla gioia del suo Signore (cf. Mt 25, 21) e, secondo che osserva Agostino, non sarà tanto il gaudio divino a entrare nel cuore umano quanto piuttosto l'uomo e ogni sua facoltà a immergersi interamente nella stessa beatitudine di Dio. Contempleremo il suo volto, ci sazieremo della sua presenza (cf. Sal 16, 15), in una giovinezza eternamente rinnovata (cf. Sal 102, 5).

    Tutto ciò che di piacevole possiamo immaginare lo troveremo con la visione beatifica, in maniera sovrabbondante. L'uomo trova in Dio - sommo bene - il massimo diletto: nell'Onnipotente avremo ogni delizia (cf. Gb 22, 26), gioia piena alla sua presenza, dolcezza senza fine derivante dal trovarci, tra gli eletti, alla sua destra (cf. Sal 15, l1).

    Vi troveremo il più alto grado di onore. Gli uomini laici considerano il massimo degli onori diventare re, i chierici ambiscono alla dignità episcopale; ebbene, nella gloria celeste, sarà piena la nobiltà regia e sacerdotale dei figli di Dio (cf. Ap 5, 10; cf. Sap 5, 5).

    La sete di sapere riceverà completa soddisfazione: i segreti della natura e qualunque verità che vorremmo investigare, tutto quello che può essere oggetto dell'umana conoscenza l'avremo assieme alla vita eterna (cf. Prv 10, 24).

    Essa poi porterà con sé quella perfetta sicurezza che invano cerchiamo qui in terra. Quanto più possediamo di beni materiali o siamo insigniti di alte cariche, tanto più temiamo di perdere gli uni o le altre, e dobbiamo far ricorso a mille accorgimenti per difenderne il possesso. Nella vita eterna, al contrario, è sconosciuta la minima tristezza, la minima angustia, il minimo timore. Vi sarà piena tranquillità e sicurezza da qualunque apprensione (cf. Prv I, 33).

    Infine, la vita eterna consiste nella beatificante convivenza tra i beati: la più amabile delle società, essendovi la piena comunione dei beni. Là, veramente, ognuno ama il prossimo suo come se stesso, e godrà del bene posseduto da altri quanto del proprio. Ne deriva che il gaudio generale accrescerà la letizia del singolo, in un vicendevole apporto di felicità (cf. Sal 86, 7).

    I santi godranno, in patria, di questi beni accennati e di molti altri che non riusciamo a descrivere.

    I reprobi, invece, cominceranno a vivere la morte eterna, soffrendo nell'anima e nei sensi non meno di quanto gli eletti godranno nella gloria.

    Il loro tormento sarà accresciuto:

    - dalla separazione da Dio e da qualsiasi altro bene. E' la cosiddetta pena del danno, correlativa all'avversione [da essi nutrita durante la vita terrena riguardo a Dio], e supera quella dei sensi. Quaggiù il peccatore visse nelle tenebre dello spirito, ma dopo il giudizio finale anche i suoi occhi conosceranno la totale privazione della luce: verrà gettato nelle tenebre, tra il pianto e lo stridere dei denti (cf. Mt 25, 30);

    - dai rimorsi della coscienza, che [in nome di Dio] gli ripeterà: «Ti rimprovero: ti pongo innanzi i tuoi peccati» (Sal 49, 21). Gemerà senza sosta il loro spirito tormentato (cf. Sap 5, 3). Ma un simile pentimento e i gemiti più accorati saranno del tutto inutili non traendo ormai più origine dalla compunzione di aver peccato, bensì dalle insostenibili pene;

    - vi si aggiunga la pena riservata ai sensi, il fuoco infernale, capace di tormentare e il corpo e l'anima. Sarà una delle sofferenze peggiori, e si troveranno nella condizione di chi stia sempre sul punto di morire e invece non muore mai. Ecco perché la loro condanna si usa chiamarla morte eterna. «Come pecore sono avviati agli inferi, loro pastore sarà la morte (...). L'inferno sarà la loro dimora» (91).

    E li avvinghierà la disperazione nel sapersi irrimediabilmente perduti. Se infatti restasse in loro appena un barlume di speranza d'essere liberati dalle pene, già questo costituirebbe un lenimento del loro [eterno] soffrire. Venendo meno qualunque ragionevole speranza, tutto diviene più atroce.

    Resta chiarita la radicale differenza tra il bene e il mal'operare: l'uno conduce alla vita, l'altro alla morte [eterna]. Gli uomini perciò dovrebbero ricordarsi spesso di queste verità atte a stimolare al bene e a frenarli dinanzi al male.

    Efficace la chiusa del Credo, col suo richiamo alla vita eterna, affinché si imprima a fondo nella memoria l'anelito verso la vita immortale, cui voglia condurci il Signore, Gesù Cristo, Dio benedetto nei secoli dei secoli. Amen.

 

 



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