È soltanto un Pokémon con le armi o è un qualcosa di più? Vieni a parlarne su Award & Oscar!
 
Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
Stampa | Notifica email    
Autore

PARTE II LO SPIRITO CHE CONVINCE IL MONDO QUANTO AL PECCATO

Ultimo Aggiornamento: 19/04/2013 20:39
19/04/2013 20:37

PARTE II

LO SPIRITO CHE CONVINCE IL MONDO QUANTO AL PECCATO

1. Peccato, giustizia e giudizio

27. Allorché Gesù, durante il discorso nel Cenacolo, annuncia la venuta dello Spirito Santo «a prezzo» della propria dipartita e promette: «Quando me ne sarò andato, ve lo manderò», proprio nello stesso contesto aggiunge: «E quando sarà venuto, egli convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio». Il medesimo consolatore e Spirito di verità, già promesso come colui che «insegnerà» e «ricorderà», come colui che «renderà testimonianza», come colui che «guiderà alla verità tutta intera», con le parole ora citate viene annunciato come colui che «convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio». Significativo sembra anche il contesto. Gesù collega questo annuncio dello Spirito Santo alle parole che indicano la propria «dipartita» mediante la Croce, ed anzi ne sottolineano la necessità: «E bene per voi che io me ne vada, perché se non me ne vado, non verrà a voi il consolatore». Ma ciò che più conta è la spiegazione che Gesù stesso aggiunge a queste tre parole: peccato, giustizia, giudizio. Dice infatti così: «Egli convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio. Quanto al peccato, perché non credono in me; quanto alla giustizia, perché vado al Padre e non mi vedrete più; quanto al giudizio, perché il principe di questo mondo è stato giudicato». Nel pensiero di Gesù il peccato, la giustizia, il giudizio hanno un senso ben preciso, diverso da quello che forse qualcuno sarebbe propenso ad attribuire a queste parole indipendentemente dalla spiegazione di chi parla. Questa spiegazione indica, altresì, come sia da intendere quel «convincere il mondo», che è proprio dell'azione dello Spirito Santo. Qui è importante sia il significato delle singole parole, sia il fatto che Gesù le abbia unite tra loro nella stessa frase. «Il peccato», in questo passo, significa l'incredulità che Gesù incontrò in mezzo ai «suoi», cominciando dai concittadini di Nazareth. Significa il rifiuto della sua missione, che porterà gli uomini a condannarlo a morte. Quando successivamente parla della «giustizia», Gesù sembra avere in mente quella giustizia definitiva, che il Padre gli renderà circondandolo con la gloria della risurrezione e dell'ascensione al Cielo: «Vado al Padre». A sua volta, nel contesto del «peccato» e della «giustizia» così intesi, «il giudizio» significa che lo Spirito di verità dimostrerà la colpa del «mondo» nella condanna di Gesù alla morte di Croce. Tuttavia, il Cristo non è venuto nel mondo solamente per giudicarlo e condannarlo: egli è venuto per salvarlo. Il convincere del peccato e della giustizia ha come scopo la salvezza del mondo, la salvezza degli uomini. Proprio questa verità sembra essere sottolineata dall'affermazione che «il giudizio» riguarda solamente il «principe di questo mondo», cioè Satana colui che sin dall'inizio sfrutta l'opera della creazione contro la salvezza, contro l'alleanza e l'unione dell'uomo con Dio: egli è «già giudicato» sin dall'inizio. Se lo Spirito consolatore deve convincere il mondo proprio quanto al giudizio, e per continuare in esso l'opera salvifica di Cristo.

28. Qui vogliamo concentrare la nostra attenzione principalmente su questa missione dello Spirito Santo che è di «convincere il mondo quanto al peccato», ma rispettando al tempo stesso il contesto generale delle parole di Gesù nel Cenacolo. Lo Spirito Santo, che assume dal Figlio l'opera della redenzione del mondo, assume con ciò stesso il compito del salvifico «convincere del peccato». Questo convincere è in costante riferimento alla «giustizia», cioè alla definitiva salvezza in Dio, al compimento dell'economia che ha come centro il Cristo crocifisso e glorificato. E questa economia salvifca di Dio sottrae, in certo senso, l'uomo dal «giudizio», cioè dalla dannazione, con la quale è stato colpito il peccato di Satana, «principe di questo mondo», colui che a causa del suo peccato è divenuto «dominatore di questo mondo di tenebra». Ed ecco che, mediante tale riferimento al «giudizio», si schiudono vasti orizzonti per la comprensione del «peccato», nonché della «giustizia». Lo Spirito Santo, mostrando sullo sfondo della Croce di Cristo il peccato nell'economia della salvezza (si potrebbe dire: «il peccato salvato»), fa comprendere come sia sua missione «convincere» anche del peccato che è già stato giudicato definitivamente («il peccato condannato»).

29. Tutte le parole, pronunciate dal Redentore nel Cenacolo alla vigilia della sua passione, si inscrivono nel tempo della Chiesa; prima di tutto, quelle sullo Spirito Santo come Paraclito e Spirito di verità. Esse vi si inscrivono in modo sempre nuovo, in ogni generazione, in ogni epoca. Ciò è confermato, per quanto riguarda il nostro secolo, dall'insieme dell'insegnamento del Concilio Vaticano II, specialmente della Costituzione pastorale «Gaudium et spes». Molti passi di questo documento indicano chiaramente che il Concilio, aprendosi alla luce dello Spirito di verità, si presenta come l'autentico depositario degli annunci e delle promesse fatte da Cristo agli apostoli ed alla Chiesa nel discorso di addio: in modo particolare, di quell'annuncio, secondo il quale lo Spirito Santo deve «convincere il mondo quanto al peccato alla giustizia e al giudizio». Ciò indica già il testo, nel quale il Concilio spiega come intende il «mondo»: «Il mondo che esso (il Concilio stesso) ha presente è perciò quello degli uomini, ossia l'intera famiglia umana nel contesto di tutte quelle realtà, entro le quali essa vive. il mondo che è teatro della storia del genere umano e reca i segni dei suoi sforzi, delle sue sconfitte e delle sue vittorie; il mondo che i cristiani credono creato e conservato dall'amore del Creatore, mondo certamente posto sotto la schiavitù del peccato, ma liberato da Cristo crocifisso e risorto, con la sconfitta del Maligno, affinché, secondo il disegno di Dio, sia trasformato e giunga al suo compimento». In riferimento a questo testo molto sintetico bisogna leggere nella medesima Costituzione gli altri passi, intesi ad esporre con tutto il realismo della fede la situazione del peccato nel mondo contemporaneo, nonché di spiegare la sua essenza, partendo da diversi punti di vista. Quando Gesù, la vigilia di Pasqua, parla dello Spirito Santo come di colui che «convincerà il mondo quanto al peccato», da una parte si deve dare a questa sua affermazione la portata più vasta possibile, in quanto comprende tutto l'insieme dei peccati nella storia dell'umanità. D'altra parte, però, quando Gesù spiega che questo peccato consiste nel fatto che «non credono in lui», tale portata sembra restringersi a coloro che hanno rifiutato la missione messianica del Figlio dell'uomo, condannandolo alla morte di Croce. Ma è difficile non notare come questa portata più «ridotta» e storicamente precisata del significato del peccato si dilati fino ad assumere un'ampiezza universale a motivo dell'universalità della redenzione, che si è compiuta per mezzo della Croce. La rivelazione del mistero della redenzione apre la strada a una comprensione, nella quale ogni peccato, dovunque ed in qualsiasi momento commesso, viene riferito alla Croce di Cristo--e, dunque, indirettamente anche al peccato di coloro che «non hanno creduto in lui» condannando Gesù Cristo alla morte di Croce. Da questo punto di vista occorre ritornare all'evento della Pentecoste.

2. La testimonianza del giorno della Pentecoste

30. Nel giorno della Pentecoste trovarono la loro più esatta e diretta conferma gli annunci di Cristo nel discorso di addio e, in particolare, l'annuncio del quale stiamo trattando: «Il consolatore... convincerà il mondo quanto al peccato». Quel giorno, sugli apostoli raccolti in preghiera insieme con Maria, Madre di Gesù, nello stesso Cenacolo, discese lo Spirito Santo promesso, come leggiamo negli Atti degli Apostoli: «Ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito dava loro il potere di esprimersi», «riconducendo in tal modo all'unità le razze disperse e offrendo al Padre le primizie di tutte le nazioni». È chiaro il rapporto tra l'annuncio fatto da Cristo e questo evento. Noi vi scorgiamo il primo e fondamentale compimento della promessa del Paraclito. Questi viene mandato dal Padre, «dopo» la dipartita di Cristo, «a prezzo» di essa. Questa è dapprima una dipartita mediante la morte in Croce, e poi, quaranta giorni dopo la risurrezione, mediante l'ascensione al Cielo. Ancora nel momento dell'ascensione Gesù ordina agli apostoli «di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere che si adempisse la promessa del Padre»; «sarete battezzati in Spirito Santo, fra non molti giorni»; «riceverete forza dallo Spirito Santo, che scenderà su di voi, e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra»"'. Queste ultime parole racchiudono un'eco, o un ricordo dell'annuncio fatto nel Cenacolo. E il giorno della Pentecoste tale annuncio si avvera in tutta esattezza. Agendo sotto l'influsso dello Spirito Santo, ricevuto dagli apostoli durante la preghiera nel Cenacolo, davanti ad una moltitudine di gente di diverse lingue, radunata per la festa, Pietro si presenta e parla. Proclama ciò che certamente non avrebbe avuto il coraggio di dire in precedenza: «Uomini d'Israele, ... Gesù di Nazareth--uomo accreditato da Dio presso di voi per mezzo di miracoli, prodigi e segni, che Dio stesso operò fra voi per opera sua--dopo che, secondo il prestabilito disegno e la prescienza di Dio, fu consegnato a voi, voi l'avete inchiodato sulla croce per mano di empi e l'avete ucciso. Ma Dio lo ha risuscitato, sciogliendolo dalle angosce della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere». Gesù aveva predetto e promesso: «Egli mi renderà testimonianza, ... e anche voi mi renderete testimonianza». Nel primo discorso di Pietro a Gerusalemme tale «testimonianza» trova il suo chiaro inizio: è la testimonianza intorno a Cristo crocifisso e risorto. Quella dello Spirito-Paraclito e degli apostoli. E nel contenuto stesso di tale prima testimonianza lo Spirito di verità per bocca di Pietro «convince il mondo quanto al peccato»: prima di tutto, quanto a quel peccato che è il rifiuto del Cristo fino alla condanna a morte, fino alla Croce sul Golgota. Proclamazioni di analogo contenuto si ripeteranno, secondo il testo degli Atti degli Apostoli, in altre occasioni e in diversi luoghi.

31. Fin da questa iniziale testimonianza della Pentecoste, l'azione dello Spirito di verità, che «convince il mondo quanto al peccato» del rifiuto di Cristo, è legata in modo organico con la testimonianza da rendere al mistero pasquale: al mistero del Crocifsso e del Risorto. E in questo legame lo stesso «convincere quanto al peccato» rivela la propria dimensione salvifica. È, infatti, un «convincere» che ha come scopo non la sola accusa del mondo, tanto meno la sua condanna. Gesù Cristo non è venuto nel mondo per giudicarlo e condannarlo, ma per salvarlo. Ciò viene sottolineato già in questo primo discorso, quando Pietro esclama: «Sappia, dunque, con certezza tutta la casa d'Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù, che voi avete crocifisso». E in seguito, quando i presenti domandano a Pietro e agli apostoli: «Che cosa dobbiamo fare, fratelli?», ecco la risposta: «Pentitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei vostri peccati; dopo riceverete il dono dello Spirito Santo». In questo modo il «convincere quanto al peccato» diventa insieme un convincere circa la remissione dei peccati, nella potenza dello Spirito Santo. Pietro nel suo discorso di Gerusalemme esorta alla conversione, come Gesù esortava i suoi ascoltatori all'inizio della sua attività messianica. La conversione richiede la convinzione del peccato, contiene in sé il giudizio interiore della coscienza, e questo, essendo una verifica dell'azione dello Spirito di verità nell'intimo dell'uomo, diventa nello stesso tempo il nuovo inizio dell'elargizione della grazia e dell'amore: «Ricevete lo Spirito Santo». Così in questo «convincere quanto al peccato» scopriamo una duplice elargizione: il dono della verità della coscienza e il dono della certezza della redenzione. Lo Spirito di verità è il consolatore. Il convincere del peccato, mediante il ministero dell'annuncio apostolico nella Chiesa nascente, viene riferito--sotto l'impulso dello Spirito effuso nella Pentecoste --alla potenza redentrice di Cristo crocifisso e risorto. Così si adempie la promessa relativa allo Spirito Santo, fatta prima di pasqua: «Egli prenderà del mio e ve l'annuncerà». Quando dunque, durante l'evento della Pentecoste, Pietro parla del peccato di coloro che «non hanno creduto» ed hanno consegnato ad una morte ignominiosa Gesù di Nazareth, egli rende testimonianza alla vittoria sul peccato: vittoria che si è compiuta, in certo senso, mediante il peccato più grande che l'uomo poteva commettere: l'uccisione di Gesù, Figlio di Dio, consostanziale al Padre! Similmente, la morte del Figlio di Dio vince la morte umana: «Ero mors tua, o mors», come il peccato di aver crocifisso il Figlio di Dio «vince» il peccato umano! Quel peccato che si consumò a Gerusalemme il giorno del Venerdì santo--e anche ogni peccato dell'uomo. Infatti, al più grande peccato da parte dell'uomo corrisponde, nel cuore del Redentore, l'oblazione del supremo amore, che supera il male di tutti i peccati degli uomini. Sulla base di questa certezza la Chiesa nella liturgia romana non esita a ripetere ogni anno, durante la Veglia pasquale, «Ofelix culpa!», nell'annuncio della risurrezione dato dal diacono col canto dell'«Exsultet!».

32. Di questa verità ineffabile, però, nessuno può «convincere il mondo», l'uomo, l'umana coscienza, se non egli stesso, lo Spirito di verità. Egli è lo Spirito, che «scruta le profondità di Dio». Di fronte al mistero del peccato bisogna scrutare «le profondità di Dio» fino in fondo. Non basta scrutare la coscienza umana, quale intimo mistero dell'uomo, ma bisogna penetrare nell'intimo mistero di Dio, in quelle «profondità di Dio» che si riassumono nella sintesi: al Padre--nel Figlio--per mezzo dello Spirito Santo. È proprio lo Spirito Santo che le «scruta», e da esse trae la risposta di Dio al peccato dell'uomo. Con questa risposta si chiude il procedimento del «convincere quanto al peccato», come mette in evidenza l'evento della Pentecoste. Convincendo il «mondo» del peccato del Golgota, della morte dell'Agnello innocente, come avviene nel giorno della Pentecoste, lo Spirito Santo convince anche di ogni peccato commesso in ogni luogo ed in qualsiasi momento nella storia dell'uomo: egli dimostra, infatti il suo rapporto con la Croce di Cristo. Il «convincere» è la dimostrazione del male del peccato, di ogni peccato, in relazione alla Croce di Cristo. Il peccato, mostrato in questa relazione, viene riconosciuto nell'intera dimensione del male, che gli è propria, per il «mistero dell'iniquità» , che in se contiene e nasconde. L'uomo non conosce questa dimensione--non la conosce in alcun modo al di fuori della Croce di Cristo. Perciò, non può essere «convinto» di essa se non dallo Spirito Santo: Spirito di verità, ma anche consolatore. Infatti, il peccato, mostrato in relazione alla Croce di Cristo, nello stesso tempo viene identificato nella piena dimensione del «mistero della pietà», come ha indicato l'Esortazione Apostolica post-sinodale Reconciliatio et paenitentia. Anche questa dimensione del peccato l'uomo non la conosce in alcun modo al di fuori della Croce di Cristo. E anche di essa egli non può essere «convinto» se non dallo Spirito Santo: da colui che «scruta le profondità di Dio».


19/04/2013 20:38

3. La testimonianza dell'inizio: la realtà originaria del peccato

33. È la dimensione del peccato che troviamo nella testimonianza dell'inizio, annotata nel Libro della Genesi. È il peccato che, secondo la Parola di Dio rivelata, costituisce il principio e la radice di tutti gli altri Ci troviamo di fronte alla realtà originaria del peccato nella storia dell'uomo e, al tempo stesso, nell'insieme dell'economia della salvezza. Si può dire che in questo peccato ha inizio il «mistero dell'iniquità», ma anche che è questo il peccato, in ordine al quale la potenza redentrice del «mistero della pietà» diventa particolarmente trasparente ed efficace. Ciò esprime san Paolo, quando alla «disobbedienza» del primo Adamo contrappone l'«obbedienza» di Cristo, il secondo Adamo: «L'obbedienza fino alla morte». Stando alla testimonianza dell'inizio, il peccato nella sua realtà originaria avviene nella volontà--e nella coscienza --dell'uomo, prima di tutto, come «disobbedienza», cioè come opposizione della volontà dell'uomo alla volontà di Dio. Questa disobbedienza originaria presuppone il rifiuto o, almeno, l'allontanamento dalla verità contenuta nella Parola di Dio, che crea il mondo. Questa Parola è lo stesso Verbo, che era «in principio presso Dio», che «era Dio» e senza il quale «niente è stato fatto di tutto ciò che esiste», poiché «il mondo fu fatto per mezzo di lui». È il Verbo che è anche eterna legge, fonte di ogni legge, che regola il mondo e specialmente gli atti umani. Quando dunque, alla vigilia della sua passione, Gesù Cristo parla del peccato di coloro che «non credono in lui», in queste sue parole, piene di dolore, vi è quasi un'eco lontana di quel peccato, che nella sua forma originaria si inscrive oscuramente nel mistero stesso della creazione. Colui che parla, infatti, è non solo il Figlio dell'uomo, ma anche colui che è «il primogenito di fronte ad ogni creatura», «poiché per mezzo di lui sono state create tutte le cose:.... per mezzo di lui e in vista di lui». Alla luce di questa verità si capisce che la «disobbedienza», nel mistero dell'inizio, presuppone in certo senso la stessa «non-fede», quel medesimo «non hanno creduto», che si ripeterà nei riguardi del mistero pasquale. Come abbiamo detto, si tratta del rifiuto o, almeno, dell'allontanamento dalla verità contenuta nella Parola del Padre. Il rifiuto si esprime in pratica come «disobbedienza», in un atto compiuto come effetto della tentazione, che proviene dal «padre della menzogna». Dunque, alla radice del peccato umano sta la menzogna come radicale rifiuto della verità contenuta nel Verbo del Padre, mediante il quale si esprime l'amorevole onnipotenza del Creatore: l'onnipotenza ed insieme l'amore «di Dio Padre, creatore del cielo e della terra».

34. «Lo Spirito di Dio», che secondo la descrizione biblica della creazione «aleggiava sulle acque», indica lo stesso «Spirito, che scruta le profondità di Dio»; scruta le profondità del Padre e del Verbo-Figlio nel mistero della creazione. Non solo è il testimone diretto del loro reciproco amore, dal quale deriva la creazione, ma è egli stesso questo amore. Egli stesso, come amore, è l'eterno dono increato. In lui è la fonte e l'inizio di ogni elargizione alle creature. La testimonianza dell'inizio, che troviamo in tutta la Rivelazione, a cominciare dal Libro della Genesi, su questo punto è univoca. Creare vuol dire chiamare all'esistenza dal nulla; dunque, creare vuol dire donare l'esistenza. E se il mondo visibile viene creato per l'uomo, dunque all'uomo viene donato il mondo. E contemporaneamente lo stesso uomo nella propria umanità riceve in dono una speciale «immagine e somiglianza» di Dio. Ciò significa non solo razionalità e libertà come proprietà costitutiva della natura umana, ma anche, sin dall'inizio, capacità di un rapporto personale con Dio, come «io» e «tu» e, dunque, capacità di alleanza che avrà luogo con la comunicazione salvifica di Dio all'uomo. Sullo sfondo dell'«immagine e somiglianza» di Dio, «il dono dello Spirito» significa, infine, chiamata all'amicizia, nella quale le trascendenti «profondità di Dio» vengono, in qualche modo, aperte alla partecipazione da parte dell'uomo. Il Concilio Vaticano II insegna: «Dio invisibile (Col1,15); (1Tm1,17) nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici (Es33,11); (Gv15,14) e si intrattiene con loro (Bar3,38), per invitarli e ammetterli alla comunione con sé».

35. Pertanto, lo Spirito, che «scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio», conosce sin dall'inizio «i segreti dell'uomo». Proprio per questo egli solo può pienamente «convincere del peccato» che ci fu all'inizio, di quel peccato che è la radice di tutti gli altri e il focolaio della peccaminosità dell'uomo sulla terra, che non si spegne mai. Lo Spirito di verità conosce la realtà originaria del peccato, causato nella volontà dell'uomo ad opera del «padre della menzogna»--di colui che già «è stato giudicato». Lo Spirito Santo convince, dunque, il mondo del peccato in rapporto a questo «giudizio», ma costantemente guidando verso la «giustizia», che è stata rivelata all'uomo insieme con la Croce di Cristo: mediante l'«obbedienza fino alla morte». Solo lo Spirito Santo può convincere del peccato dell'inizio umano, proprio egli che è l'amore del Padre e del Figlio, egli che è dono, mentre il peccato dell'inizio umano consiste nella menzogna e nel rifiuto del dono e dell'amore, i quali decidono dell'inizio del mondo e dell'uomo.

36. Secondo la testimonianza dell'inizio, che troviamo nella Scrittura e nella Tradizione, dopo la prima (ed anche più completa) descrizione nel Libro della Genesi il peccato nella sua forma originaria è inteso come «disobbedienza», il che significa semplicemente e direttamente trasgressione di un divieto posto da Dio. Ma alla luce di tutto il contesto è pure palese che le radici di questa disobbedienza vanno ricercate in profondità nell'intera situazione reale dell'uomo. Chiamato all'esistenza, l'essere umano--uomo e donna--è una creatura. L'«immagine di Dio», consistente nella razionalità e nella libertà, dice la grandezza e la dignità del soggetto umano, che è persona. Ma questo soggetto personale è pur sempre una creatura: nella sua esistenza ed essenza dipende dal Creatore. Secondo la Genesi, «l'albero della conoscenza del bene e del male» doveva esprimere e costantemente ricordare all'uomo il «limite» invalicabile per un essere creato. In questo senso va inteso il divieto da parte di Dio: il Creatore proibisce all'uomo e alla donna di mangiare i frutti dell'albero della conoscenza del bene e del male. Le parole dell'istigazione, cioè della tentazione, come è formulata nel testo sacro, inducono a trasgredire questo divieto -- cioè a superare quel «limite»: «Quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio («come dèi») conoscendo il bene e il male». La «disobbedienza» significa appunto il superamento di quel limite, che rimane invalicabile alla volontà e libertà dell'uomo, come essere creato. Dio creatore è, infatti, l'unica e definitiva fonte dell'ordine morale nel mondo, da lui creato. L'uomo non può da se stesso decidere ciò che è buono e ciò che è cattivo--non può «conoscere il bene e il male, come Dio». Sì, Dio nel mondo creato rimane la prima e suprema fonte per decidere del bene e del male, mediante l'intima verità dell'essere, la quale è il riflesso del Verbo, l'eterno Figlio, consostanziale al Padre. All'uomo creato ad immagine di Dio lo Spirito Santo dà in dono la coscienza, affinché in essa l'immagine possa rispecchiare fedelmente il suo modello, che è insieme la sapienza e la legge eterna, fonte dell'ordine morale nell'uomo e nel mondo. La «disobbedienza», come dimensione originaria del peccato, significa rifiuto di questa fonte, per la pretesa dell'uomo di diventare fonte autonoma ed esclusiva nel decidere del bene e del male. Lo Spirito, che «scruta le profondità di Dio» e che, al tempo stesso, è per l'uomo la luce della coscienza e la fonte dell'ordine morale, conosce in tutta la sua pienezza questa dimensione del peccato, che si inscrive nel mistero dell'inizio umano. E non cessa di «convincerne il mondo» in rapporto alla Croce di Cristo sul Golgota.

37. Secondo la testimonianza dell'inizio, Dio nella creazione ha rivelato se stesso come onnipotenza, che è amore. Nello stesso tempo ha rivelato all'uomo che, come «immagine e somiglianza» del suo Creatore, egli è chiamato a partecipare alla verità e all'amore. Questa partecipazione significa una vita di unione con Dio, che è la «vita eterna». Ma l'uomo, sotto l'influenza del «padre della menzogna», si è distaccato da questa partecipazione. In quale misura? Certamente non nella misura del peccato di un puro spirito, nella misura del peccato di Satana. Lo spirito umano è incapace di raggiungere una tale misura. Nella stessa descrizione della Genesi è facile notare la differenza di grado tra «il soffio del male» da parte di colui che «è peccatore (ossia permane nel peccato) fin dal principio» e che già «è stato giudicato», ed il male della disobbedienza da parte dell'uomo. Questa disobbedienza, tuttavia, significa pur sempre il voltare le spalle a Dio e, in un certo senso, il chiudersi della libertà umana nei suoi riguardi. Significa anche una certa apertura di questa libertà--della conoscenza e della volontà umana--verso colui che è il «padre della menzogna». Questo atto di scelta consapevole non è solo «disobbedienza», ma porta con sé anche una certa adesione alla motivazione contenuta nella prima istigazione al peccato e incessantemente rinnovata durante tutta la storia dell'uomo sulla terra: «Dio sa che, quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male». Ci troviamo qui al centro stesso di ciò che si potrebbe chiamare l'«anti-Verbo», cioè l'«anti-verità». Viene, infatti, falsata la verità dell'uomo: chi è l'uomo e quali sono i limiti invalicabili del suo essere e della sua libertà. Questa «anti-verità» è possibile, perché nello stesso tempo viene falsata completamente la verità su chi è Dio. Il Dio creatore viene posto in stato di sospetto, anzi addirittura in stato di accusa, nella coscienza della creatura. Per la prima volta nella storia dell'uomo appare il perverso «genio del sospetto». Esso cerca di «falsare» il Bene stesso, il Bene assoluto, che proprio nell'opera della creazione si è manifestato come il bene che dona in modo ineffabile: come bonum diffusivum sui, come amore creativo. Chi può pienamente «convincere del peccato», ossia di questa motivazione della disobbedienza originaria dell'uomo, se non colui che solo è il dono e la fonte di ogni elargizione, se non lo Spirito, che «scruta le profondità di Dio» ed è l'amore del Padre e del Figlio?

38. Infatti, malgrado tutta la testimonianza della creazione e dell'economia salvifica ad essa inerente, lo spirito delle tenebre è capace di mostrare Dio come nemico della propria creatura e, prima di tutto, come nemico dell'uomo, come fonte di pericolo e di minaccia per l'uomo. In questo modo viene innestato da Satana nella psicologia dell'uomo il germe dell'opposizione nei riguardi di colui che «sin dall'inizio» deve essere considerato come nemico dell'uomo--e non come Padre. L'uomo viene sfidato a diventare l'avversario di Dio! L'analisi del peccato nella sua originaria dimensione indica che, ad opera del «padre della menzogna», vi sarà lungo la storia dell'umanità una costante pressione al rifiuto di Dio da parte dell'uomo, fino all'odio: «Amore di sé fino al disprezzo di Dio», come si esprime sant'Agostino. L'uomo sarà incline a vedere in Dio prima di tutto una propria limitazione, e non la fonte della propria liberazione e la pienezza del bene. Ciò vediamo confermato nell'epoca moderna, nella quale le ideologie atee tendono a sradicare la religione in base al presupposto che essa determini una radicale «alienazione» dell'uomo come se l'uomo venisse espropriato della propria umanità, quando, accettando l'idea di Dio, attribuisce a lui ciò che appartiene all'uomo, ed esclusivamente all'uomo! Di qui un processo di pensiero e di prassi storico-sociologica, in cui il rifiuto di Dio è pervenuto fino alla dichiarazione della sua «morte». Un'assurdità, questa, concettuale e verbale! Ma l'ideologia della «morte di Dio» minaccia piuttosto l'uomo, come indica il Vaticano II, quando, sottoponendo ad analisi la questione dell'«autonomia delle cose temporali», scrive: «La creatura... senza il Creatore svanisce... Anzi, l'oblio di Dio priva di luce la creatura stessa». L'ideologia della «morte di Dio» nei suoi effetti dimostra facilmente di essere, sul piano teoretico e pratico, l'ideologia della «morte dell'uomo».

4. Lo Spirito, che trasforma la sofferenza in amore salvifico

39. Lo Spirito, che scruta le profondità di Dio, è stato chiamato da Gesù nel discorso del Cenacolo il Paraclito. Infatti, sin dall'inizio «viene invocato» per «convincere il mondo quanto al peccato». Egli viene invocato in modo definitivo per mezzo della Croce di Cristo. Convincere del peccato vuol dire dimostrare il male in esso contenuto. Il che equivale a rivelare il mistero dell'iniquità. Non è possibile raggiungere il male del peccato in tutta la sua dolorosa realtà senza «scrutare le profondità di Dio». Sin dall'inizio l'oscuro mistero del peccato è apparso nel mondo sullo sfondo del riferimento al Creatore della libertà umana. Esso è apparso come un atto di volontà della creatura-uomo contrario alla volontà di Dio: alla volontà salvifica di Dio; anzi, è apparso in opposizione alla verità, sulla base della menzogna ormai definitivamente «giudicata»: menzogna che ha posto in stato di accusa, in stato di permanente sospetto, lo stesso amore creativo e salvifico. L'uomo ha seguito il «padre della menzogna», ponendosi contro il Padre della vita e lo Spirito di verità. Il «convincere del peccato» non dovrà, dunque, significare anche il rivelare la sofferenza? Rivelare il dolore inconcepibile ed inesprimibile, che, a causa del peccato, il Libro sacro nella sua visione antropomorfica sembra intravvedere nelle «profondità di Dio» e, in un certo senso, nel cuore stesso dell'ineffabile Trinità? La Chiesa ispirandosi alla Rivelazione, crede e professa che il peccato è offesa di Dio. Che cosa nell'imperscrutabile intimità del Padre, del Verbo e dello Spirito Santo corrisponde a questa «offesa», a questo rifiuto dello Spirito che è amore e dono? La concezione di Dio, come essere necessariamente perfettissimo, esclude certamente da Dio ogni dolore, derivante da carenze o ferite; ma nelle «profondità di Dio» c'è un amore di Padre che dinanzi al peccato dell'uomo, secondo il linguaggio biblico, reagisce fino al punto di dire: «Sono pentito di aver fatto l'uomo». «Il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra... E il Signore si pentì di aver fatto l'uomo sulla terra e se ne addolorò in cuor suo... Il Signore disse: "Sono pentito di averli fatti"». Ma più spesso il Libro sacro ci parla di un Padre, che prova compassione per l'uomo, quasi condividendo il suo dolore. In definitiva, questo imperscrutabile e indicibile «dolore» di padre genererà soprattutto la mirabile economia dell'amore redentivo in Gesù Cristo, affinché, per mezzo del mistero della pietà, nella storia dell'uomo l'amore possa rivelarsi più forte del peccato. Perché prevalga il «dono»! Lo Spirito Santo, che secondo le parole di Gesù «convince del peccato», è l'amore del Padre e del Figlio e, come tale, è il dono trinitario e, al tempo stesso, l'eterna fonte di ogni elargizione divina al creato. Proprio in lui possiamo concepire come personificata e attuata in modo trascendente quella misericordia, che la tradizione patristica e teologica, sulla linea dell'Antico e del Nuovo Testamento, attribuisce a Dio. Nell'uomo la misericordia include dolore e compassione per le miserie del prossimo. In Dio lo Spirito-amore traduce la considerazione del peccato umano in una nuova elargizione di amore salvifico. Da lui, nell'unità col Padre e col Figlio nasce l'economia della salvezza, che riempie la storia dell'uomo con i doni della redenzione. Se il peccato, rifiutando l'amore, ha generato la «sofferenza» dell'uomo che in qualche modo si è riversata su tutta la creazione, lo Spirito Santo entrerà nella sofferenza umana e cosmica con una nuova elargizione di amore, che redimerà il mondo. E sulla bocca di Gesù Redentore, nella cui umanità si invera la «sofferenza» di Dio, risuonerà una parola in cui si manifesta l'eterno amore, pieno di misericordia: «Misereor». Così da parte dello Spirito Santo il «convincere del peccato» diventa un manifestare davanti alla creazione «sottomessa alla caducità» e, soprattutto, nel profondo delle coscienze umane, come il peccato viene vinto mediante il sacrificio dell'Agnello di Dio, il quale è divenuto «fino alla morte» il servo obbediente che, riparando alla disobbedienza dell'uomo, opera la redenzione del mondo. In questo modo lo Spirito di verità, il Paraclito, «convince del peccato».

40. Il valore redentivo del sacrificio di Cristo è espresso con parole molto significative dall'autore della Lettera agli Ebrei, il quale, dopo aver ricordato i sacrifici dell'Antica Alleanza, in cui «il sangue dei capri e dei vitelli... purifica nella carne», soggiunge: «Quanto più il sangue di Cristo, il quale con uno Spirito eterno offrì se stesso senza macchia a Dio, purificherà la nostra coscienza dalle opere morte, per servire il Dio vivente»? Pur consapevoli di altre possibili interpretazioni, le nostre considerazioni sulla presenza dello Spirito Santo in tutta la vita di Cristo ci portano a ravvisare in questo testo come un invito a riflettere sulla presenza del medesimo Spirito anche nel sacrificio redentore del Verbo Incarnato. Riflettiamo prima sulle parole iniziali che trattano di questo sacrificio e, in seguito, separatamente, sulla «purificazione della coscienza», da esso operata. È, infatti, un sacrificio offerto «con (= per opera di) uno Spirito eterno», il quale da esso «attinge» la forza di «convincere del peccato» in ordine alla salvezza. È lo stesso Spirito Santo che, secondo la promessa del Cenacolo, Gesù Cristo «porterà» agli apostoli il giorno della sua risurrezione, presentandosi loro con le ferite della crocifissione, e che «darà» loro «per la remissione dei peccati»: «Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi». Sappiamo che «Dio consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nazareth», come diceva Simon Pietro nella casa del centurione Cornelio. Conosciamo il mistero pasquale della sua «dipartita», secondo il Vangelo di Giovanni Le parole della lettera agli Ebrei ora ci spiegano in quale modo Cristo «offrì se stesso senza macchia a Dio» e come ciò fece «con uno Spirito eterno». Nel sacrificio del Figlio dell'uomo lo Spirito Santo è presente ed agisce così come agiva nel suo concepimento, nella sua venuta al mondo, nella sua vita nascosta e nel suo ministero pubblico. Secondo la Lettera agli Ebrei, sulla via della sua «dipartita» attraverso il Getsemani e il Golgota, lo stesso Cristo Gesù nella propria umanità si è aperto totalmente a questa azione dello Spirito-Paraclito, che dalla sofferenza fa emergere l'eterno amore salvifico. Egli è stato, dunque, «esaudito per la sua pietà. Pur essendo Figlio, imparò l'obbedienza dalle cose che patì». In questo modo tale Lettera dimostra come l'umanità, sottomessa al peccato nei discendenti del primo Adamo, in Gesù Cristo è diventata perfettamente sottomessa a Dio ed a lui unita e, nello stesso tempo, piena di misericordia verso gli uomini. Si ha così una nuova umanità, che in Gesù Cristo mediante la sofferenza della Croce è ritornata all'amore, tradito da Adamo col peccato. Essa si è ritrovata nella stessa fonte divina dell'elargizione originaria: nello Spirito, che «scruta le profondità di Dio» ed è amore e dono egli stesso. Il Figlio di Dio Gesù Cristo, come uomo, nell'ardente preghiera della sua passione, permise allo Spirito Santo, che già aveva penetrato fino in fondo la sua umanità, di trasformarla in un sacrifcio perfetto mediante l'atto della sua morte, come vittima di amore sulla Croce. Da solo egli fece questa oblazione. Come unico sacerdote, «offrì se stesso senza macchia a Dio». Nella sua umanità era degno di divenire un tale sacrificio, poiché egli solo era «senza macchia». Ma l'offrì «con uno Spirito eterno»: il che vuol dire che lo Spirito Santo agì in modo speciale in questa assoluta autodonazione del Figlio dell'uomo, per trasformare la sofferenza in amore redentivo.

41. Nell'Antico Testamento più volte si parla del «fuoco dal cielo», che bruciava le oblazioni presentate dagli uomini. Per analogia si può dire che lo Spirito Santo è il «fuoco dal cielo», che opera nel profondo del mistero della Croce. Provenendo dal Padre, egli indirizza verso il Padre il sacrificio del Figlio, introducendolo nella divina realtà della comunione trinitaria. Se il peccato ha generato la sofferenza, ora il dolore di Dio in Cristo crocifisso acquista per mezzo dello Spirito Santo la sua piena espressione umana. Si ha così un paradossale mistero d'amore: in Cristo soffre un Dio rifiutato dalla propria creatura: «Non credono in me!». ma, nello stesso tempo dal profondo di questa sofferenza--e, indirettamente, dal profondo dello stesso peccato «di non aver creduto» --lo Spirito trae una nuova misura del dono fatto all'uomo e alla creazione fin dall'inizio. Nel profondo del mistero della Croce agisce l'amore, che riporta nuovamente l'uomo a partecipare alla vita, che è in Dio stesso. Lo Spirito Santo come amore e dono discende, in un certo senso, nel cuore stesso del sacrifcio che viene offerto sulla Croce. Riferendoci alla tradizione biblica, possiamo dire: egli consuma questo sacrifcio col fuoco dell'amore, che unisce il Figlio col Padre nella comunione trinitaria. E poiché il sacrificio della Croce è un atto proprio di Cristo, anche in questo sacrificio «egli riceve lo Spirito Santo». Lo riceve in modo tale, che poi egli--ed egli solo con Dio Padre--può «darlo» agli apostoli, alla Chiesa, all'umanità. Egli solo lo «manda» dal Padre. Egli solo si presenta davanti agli apostoli riuniti nel Cenacolo, «alita su di loro» e dice: «Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi», come aveva preannunciato Giovanni Battista: «Egli vi battezzerà nello Spirito Santo e nel fuoco». Con quelle parole di Gesù lo Spirito Santo è rivelato ed insieme è reso presente come amore che opera nel profondo del mistero pasquale, come fonte della potenza salvifica della Croce di Cristo, come dono della vita nuova ed eterna. Questa verità sullo Spirito Santo trova quotidiana espressione nella liturgia romana, quando il sacerdote, prima della comunione, pronuncia quelle significative parole: «Signore Gesù Cristo, Figlio del Dio vivo, che per volontà del Padre e con l'opera dello Spirito Santo morendo hai dato la vita al mondo...». E nella III Preghiera Eucaristica, riferendosi alla stessa economia salvifica, il sacerdote chiede a Dio che lo Spirito Santo «faccia di noi un sacrificio perenne a te gradito».


19/04/2013 20:39

5. Il sangue, che purifica la coscienza

42. Abbiamo detto che, al culmine del mistero pasquale, lo Spirito Santo è definitivamente rivelato e reso presente in un mondo nuovo. Il Cristo risorto dice agli apostoli: «Ricevete lo Spirito Santo». Viene in questo modo rivelato lo Spirito Santo, perché le parole di Cristo costituiscono la conferma delle promesse e degli annunci del discorso nel Cenacolo. E con ciò il Paraclito viene anche reso presente in un modo nuovo. Egli, in realtà, operava sin dall'inizio nel mistero della creazione e lungo tutta la storia dell'antica Alleanza di Dio con l'uomo. La sua azione è stata pienamente confermata dalla missione del Figlio dell'uomo come Messia, che è venuto nella potenza dello Spirito Santo. Al culmine della missione messianica di Gesù, lo Spirito Santo diventa presente nel mistero pasquale in tutta la sua soggettività divina: come colui che deve ora continuare l'opera salvifica, radicata nel sacrificio della Croce. Senza dubbio quest'opera viene affidata da Gesù ad uomini: agli apostoli, alla Chiesa. Tuttavia, in questi uomini e per mezzo di essi, lo Spirito Santo rimane il trascendente soggetto protagonista della realizzazione di tale opera nello spirito dell'uomo e nella storia del mondo: l'invisibile e, al tempo stesso, onnipresente Paraclito! Lo Spirito che «soffia dove vuole». Le parole, pronunciate da Cristo risorto, il giorno «primo dopo il sabato», mettono in particolare rilievo la presenza del Paraclito consolatore, come di colui che «convince il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio». Infatti, solo in questo rapporto, si spiegano le parole che Gesù pone in diretto riferimento col «dono» dello Spirito Santo agli apostoli. Egli dice: «Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi, e a chi non li rimetterete resteranno non rimessi». Gesù conferisce agli apostoli il potere di rimettere i peccati, perché lo trasmettano ai loro successori nella Chiesa. Tuttavia, questo potere, concesso ad uomini, presuppone e include l'azione salvifica dello Spirito Santo. Divenendo «luce dei cuori», cioè delle coscienze, lo Spirito Santo «convince del peccato», ossia fa conoscere all'uomo il suo male e, nello stesso tempo lo orienta verso il bene. Grazie alla molteplicità dei suoi doni, per cui è invocato come il «settiforme», ogni genere di peccato dell'uomo può essere raggiunto dalla potenza salvifica di Dio. In realtà--come dice san Bonaventura--«in virtù dei sette doni dello Spirito Santo tutti i mali sono distrutti e sono prodotti tutti i beni». Sotto l'influsso del consolatore si compie, dunque quella conversione del cuore umano, che è condizione indispensabile del perdono dei peccati. Senza una vera conversione, che implica una interiore contrizione e senza un sincero e fermo proposito di cambiamento, i peccati rimangono «non rimessi», come dice Gesù e con lui la Tradizione dell'Antica e della Nuova Alleanza. Infatti, le prime parole pronunciate da Gesù all'inizio del suo ministero, secondo il Vangelo di Marco, sono queste: «Convertitevi e credete al vangelo». La conferma di questa esortazione è il «convincere quanto al peccato» che lo Spirito Santo intraprende in modo nuovo in forza della redenzione, operata dal sangue del Figlio dell'uomo. Perciò, la Lettera agli Ebrei dice che questo «sangue purifica la coscienza». Esso, dunque, per così dire, apre allo Spirito Santo la via verso l'intimo dell'uomo, cioè il santuario delle coscienze umane.

43. Il Concilio Vaticano II ha ricordato l'insegnamento cattolico sulla coscienza, parlando della vocazione dell'uomo e, in particolare, della dignità della persona umana. Proprio la coscienza decide in modo specifico di questa dignità. Essa, infatti, è «il nucleo più segreto e il sacrario dell'uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nell'intimo». Essa chiaramente «dice alle orecchie del cuore: Fa' questo, fuggi quest'altro». Una tale capacità di comandare il bene e di proibire il male, inserita dal Creatore nell'uomo, è la principale proprietà del soggetto personale. Ma, al tempo stesso, «nell'intimo della coscienza l'uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale deve invece obbedire». La coscienza, dunque, non è una fonte autonoma ed esclusiva per decidere ciò che è buono e ciò che è cattivo; invece, in essa è inscritto profondamente un principio di obbedienza nei riguardi della norma oggettiva, che fonda e condiziona la corrispondenza delle sue decisioni con i comandi e i divieti che sono alla base del comportamento umano, come traspare fin dalla pagina del Libro della Genesi, già richiamato. Proprio in questo senso la coscienza è l'«intimo sacrario», in cui «risuona la voce di Dio». Essa è «la voce di Dio» persino quando l'uomo riconosce esclusivamente in essa il principio dell'ordine morale, di cui umanamente non si può dubitare, anche senza un diretto riferimento al Creatore: proprio in questo riferimento la coscienza trova sempre il suo fondamento e la sua giustificazione. L'evangelico «convincere quanto al peccato» sotto l'influsso dello Spirito di verità non può realizzarsi nell'uomo per altra via se non per quella della coscienza. Se la coscienza è retta, allora serve «per risolvere secondo verità i problemi morali, che sorgono tanto nella vita dei singoli quanto in quella sociale»; allora «le persone e i gruppi sociali si allontanano dal cieco arbitrio e si sforzano di conformarsi alle norme oggettive della moralità». Frutto della retta coscienza è, prima di tutto, il chiamare per nome il bene e il male, come fa ad esempio la stessa Costituzione pastorale: «Tutto ciò che è contro la vita stessa, come ogni specie di omicidio, il genocidio l'aborto, l'eutanasia e lo stesso suicidio volontario; tutto ciò che viola l'integrità della persona umana, come le mutilazioni, le torture inflitte al corpo e alla mente; gli sforzi di costrizione psicologica. tutto ciò che offende la dignità umana, come le condizioni di vita infraumana, le incarcerazioni arbitrarie, le deportazioni, la schiavitù, la prostituzione, il mercato delle donne e dei giovani, o ancora le ignominiose condizioni di lavoro, con le quali i lavoratori sono trattati come semplici strumenti di guadagno, e non come persone libere e responsabili»; e, dopo aver chiamato per nome i molteplici peccati, così frequenti e diffusi nel nostro tempo, essa aggiunge: «Tutte queste cose e altre simili sono certamente vergognose e, mentre corrompono la civiltà umana, inquinano coloro che così si comportano ben più di quelli che le subiscono; e offendono al massimo l'onore del Creatore». Chiamando per nome i peccati che più disonorano l'uomo, e dimostrando che essi sono un male morale che grava negativamente su qualsiasi bilancio del progresso dell'umanità, il Concilio insieme descrive tutto ciò come una tappa «della lotta drammatica tra il bene e il male, tra la luce e le tenebre», che caratterizza «tutta la vita umana, sia individuale che collettiva». L'assemblea del Sinodo dei Vescovi del 1983 sulla riconciliazione e la penitenza ha precisato ancor meglio il significato personale e sociale del peccato dell'uomo.

44. Ebbene, nel Cenacolo, la vigilia della sua Passione, e poi la sera di Pasqua, Gesù Cristo si è appellato allo Spirito Santo come a colui, il quale testimonia che nella storia dell'umanità perdura il peccato. Tuttavia, il peccato è sottoposto alla potenza salvifica della redenzione. Il «convincere il mondo del peccato» non si esaurisce nel fatto che esso viene chiamato per nome e identificato per quello che è su tutta la scala che gli è propria. Nel convincere il mondo del peccato, lo Spirito di verità s'incontra con la voce delle coscienze umane. Su questa via si giunge alla dimostrazione delle radici del peccato, che sono nell'intimo dell'uomo, come mette in rilievo la stessa Costituzione pastorale: «In verità, gli squilibri di cui soffre il mondo contemporaneo si collegano con quello squilibrio più fondamentale, radicato nel cuore dell'uomo. È nell'uomo stesso che molti elementi si contrastano a vicenda. Da una parte, infatti, come creatura fa l'esperienza dei suoi molteplici limiti; dall'altra, si sente illimitato nelle sue aspirazioni e chiamato ad una vita superiore. Sollecitato da molte attrattive, è costretto sempre a sceglierne qualcuna e a rinunciare alle altre. Inoltre, debole e peccatore, non di rado fa quello che non vorrebbe e non fa quello che vorrebbe». Il testo conciliare fa qui riferimento alle note parole di san Paolo. Il «convincere quanto al peccato», che accompagna la coscienza umana in ogni approfondita riflessione su se stessa, porta dunque alla scoperta delle sue radici nell'uomo, come anche dei condizionamenti della coscienza stessa nel corso della storia. Ritroviamo in questo modo quella realtà originaria del peccato, della quale si è già parlato. Lo Spirito Santo «convince quanto al peccato» in rapporto al mistero dell'inizio, indicando il fatto che l'uomo è un essere creato e, dunque, è in una totale dipendenza ontologica ed etica dal Creatore, e ricordando, al tempo stesso, l'ereditaria peccaminosità della natura umana. Ma lo Spirito Santo consolatore «convince del peccato» sempre in relazione alla Croce di Cristo. In questa relazione il cristianesimo respinge ogni «fatalità» del peccato. È «una dura lotta contro le potenze delle tenebre, lotta che, cominciata fin dall'origine del mondo, continuerà, come dice il Signore, fino all'ultimo giorno»--insegna il Concilio. «Ma il Signore stesso è venuto a liberare l'uomo e a dargli forza». L'uomo, dunque, lungi dal lasciarsi «irretire» nella sua condizione di peccato, appoggiandosi alla voce della propria coscienza, «deve combattere senza soste per aderire al bene, né può conseguire la sua unità interiore se non a prezzo di grandi fatiche, con l'aiuto della grazia di Dio». Il Concilio giustamente vede il peccato come fattore della rottura, che grava sia sulla vita personale che su quella sociale dell'uomo; ma, nello stesso tempo, ricorda instancabilmente la possibilità della vittoria.

45. Lo Spirito di verità, che «convince il mondo del peccato», s'incontra con quella fatica della coscienza umana, di cui i testi conciliari parlano in modo così suggestivo. Tale fatica della coscienza determina anche le vie delle conversioni umane: il voltare le spalle al peccato, per ricostruire la verità e l'amore nel cuore stesso dell'uomo. Si sa che riconoscere il male in se stessi a volte costa molto. Si sa che la coscienza non solo comanda o proibisce, ma giudica alla luce degli ordini e divieti interiori. Essa é anche fonte di rimorsi: l'uomo soffre interiormente a causa del male commesso. Non è questa sofferenza quasi un'eco lontana di quel «pentimento di aver creato l'uomo», che con linguaggio antropomorfico il Libro sacro attribuisce a Dio? di quella «riprovazione» che, inscrivendosi nel «cuore» della Trinità, in forza dell'eterno amore si traduce nel dolore della Croce, nell'obbedienza di Cristo fino alla morte? Quando lo Spirito di verità consente alla coscienza umana di partecipare a quel dolore, allora la sofferenza della coscienza diventa particolarmente profonda, ma anche particolarmente salvifica. Allora, mediante un atto di contrizione perfetta, si opera l'autentica conversione del cuore: è l'evangelica «métanoia». La fatica del cuore umano, la fatica della coscienza, in cui si compie questa «métanoia», o conversione, è il riflesso di quel processo per cui la riprovazione viene trasformata in amore salvifico, che sa soffrire. Il dispensatore nascosto di questa forza salvatrice è lo Spirito Santo: egli, che viene chiamato dalla Chiesa «luce delle coscienze», penetra e riempie «la profondità dei cuori» umani. Mediante una tale conversione nello Spirito Santo, l'uomo si apre al perdono, alla remissione dei peccati E in tutto questo mirabile dinamismo della conversione-remissione, si conferma la verità di ciò che scrive sant'Agostino sul mistero dell'uomo, commentando le parole del Salmo: «L'abisso chiama l'abisso». Proprio nei riguardi di questa «abissale profondità» dell'uomo della coscienza umana, si compie la missione del Figlio e dello Spirito Santo. Lo Spirito Santo «viene» in forza della «dipartita» di Cristo nel mistero pasquale: viene in ogni fatto concreto di conversione-remissione, in forza del sacrificio della Croce: in esso, infatti, «il sangue di Cristo... purifica le coscienze dalle opere morte, per servire il Dio vivente». Si adempiono così di continuo le parole sullo Spirito Santo come «un altro consolatore», le parole rivolte nel Cenacolo agli apostoli e indirettamente a tutti: «Voi lo conoscete, perché egli dimora presso di voi sarà in voi».

6. Il peccato contro lo Spirito Santo

46. Sullo sfondo di ciò che abbiamo detto finora, diventano più comprensibili alcune altre parole, impressionanti e sconvolgenti, di Gesù. Le potremmo chiamare le parole del «non-perdono». Esse ci sono riferite dai Sinottici in rapporto ad un particolare peccato, che è chiamato «bestemmia contro lo Spirito Santo». Eccole come sono state riferite nella triplice loro redazione.

Matteo:

«Qualunque peccato e bestemmia sarà perdonata agli uomini, ma la bestemmia contro lo Spirito non sarà perdonata. A chiunque parlerà male del Figlio dell'uomo sarà perdonato; ma la bestemmia contro lo Spirito non gli sarà perdonata né in questo secolo, né in quello futuro».

Marco:

«Tutti i peccati saranno perdonati ai figli degli uomini, e anche tutte le bestemmie che diranno, ma chi avrà bestemmiato contro lo Spirito Santo, non avrà perdono in eterno: sarà reo di colpa eterna».

Luca:

«Chiunque parlerà contro il Figlio dell'uomo gli sarà perdonato, ma a chi bestemmierà lo Spirito Santo non sarà perdonato».

Perché la bestemmia contro lo Spirito Santo è imperdonabile?

Come intendere questa bestemmia? Risponde san Tommaso d'Aquino che si tratta di un peccato:

«irremissibile secondo la sua natura, in quanto esclude quegli elementi, grazie ai quali avviene la remissione dei peccati». Secondo una tale esegesi la «bestemmia» non consiste propriamente nell'offendere con le parole lo Spirito Santo; consiste, invece, nel rifiuto di accettare la salvezza che Dio offre all'uomo mediante lo Spirito Santo, operante in virtù del sacrificio della Croce. Se l'uomo rifiuta quel «convincere quanto al peccato», che proviene dallo Spirito Santo ed ha carattere salvifico, egli insieme rifiuta la «venuta» del consolatore--quella «venuta» che si è attuata nel mistero pasquale, in unità con la potenza redentrice del sangue di Cristo: il sangue che «purifica la coscienza dalle opere morte». Sappiamo che frutto di una tale purificazione è la remissione dei peccati. Pertanto, chi rifiuta lo Spirito e il sangue rimane nelle «opere morte», nel peccato. E la bestemmia contro lo Spirito Santo consiste proprio nel rifiuto radicale di accettare questa remissione, di cui egli è l'intimo dispensatore e che presuppone la reale conversione, da lui operata nella coscienza. Se Gesù dice che la bestemmia contro lo Spirito Santo non può essere rimessa né in questa vita né in quella futura, è perché questa «non-remissione» è legata, come a sua causa, alla «non penitenza», cioè al radicale rifiuto di convertirsi. Il che significa il rifiuto di raggiungere le fonti della redenzione, le quali, tuttavia, rimangono «sempre» aperte nell'economia della salvezza, in cui si compie la missione dello Spirito Santo. Questi ha l'infinita potenza di attingere a queste fonti: «Prenderà del mio», ha detto Gesù. In questo modo egli completa nelle anime umane l'opera della redenzione, compiuta da Cristo, dispensandone i frutti. Ora la bestemmia contro lo Spirito Santo è il peccato commesso dall'uomo, che rivendica un suo presunto «diritto» di perseverare nel male--in qualsiasi peccato--e rifiuta così la redenzione. L'uomo resta chiuso nel peccato, rendendo da parte sua impossibile la sua conversione e, dunque, anche la remissione dei peccati, che ritiene non essenziale o non importante per la sua vita. È, questa, una condizione di rovina spirituale, perché la bestemmia contro lo Spirito Santo non permette all'uomo di uscire dalla sua autoprigionia e di aprirsi alle fonti divine della purificazione delle coscienze e della remissione dei peccati.

47. L'azione dello Spirito di verità, che tende al salvifico «convincere quanto al peccato», incontra nell'uomo che si trova in tale condizione una resistenza interiore, quasi un'impermeabilità della coscienza, uno stato d'animo che si direbbe consolidato in ragione di una libera scelta: è ciò che la Sacra Scrittura di solito chiama «durezza di cuore». Nella nostra epoca a questo atteggiamento di mente e di cuore corrisponde forse la perdita del senso del peccato, alla quale dedica molte pagine l'Esortazione Apostolica Reconciliatio et paenitentia. Già il Papa Pio XII aveva affermato che «il peccato del secolo è la perdita del senso del peccato», e tale perdita va di pari passo con la «perdita del senso di Dio». Nell'Esortazione citata leggiamo: «In realtà, Dio è la radice e il fine supremo dell'uomo, e questi porta in sé un germe divino. Perciò, è la realtà di Dio che svela e illumina il mistero dell'uomo. È vano, quindi, sperare che prenda consistenza un senso del peccato nei confronti dell'uomo e dei valori umani, se manca il senso dell'offesa commessa contro Dio, cioè il senso vero del peccato». La Chiesa, perciò, non cessa di implorare da Dio la grazia che non venga meno la rettitudine nelle coscienze umane, che non si attenui la loro sana sensibilità dinanzi al bene e al male. Questa rettitudine e sensibilità sono profondamente legate all'intima azione dello Spirito di verità. In questa luce acquistano particolare eloquenza le esortazioni dell'Apostolo: «Non spegnete lo Spirito». «Non vogliate rattristare lo Spirito Santo». Soprattutto, però, la Chiesa non cessa di implorare con sommo fervore che non aumenti nel mondo quel peccato chiamato dal Vangelo «bestemmia contro lo Spirito Santo»; che esso, anzi, retroceda nelle anime degli uomini--e per riflesso negli stessi ambienti e nelle varie forme della società--, cedendo il posto all'apertura delle coscienze, necessaria per l'azione salvifica dello Spirito Santo. La Chiesa implora che il pericoloso peccato contro lo Spirito lasci il posto ad una santa disponibilità ad accettare la sua missione di consolatore, quando egli viene per «convincere il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio».

48. Nel suo discorso di addio Gesù ha unito questi tre àmbiti del «convincere» come componenti della missione del Paraclito: il peccato, la giustizia e il giudizio. Essi segnano lo spazio di quel mistero della pietà, che nella storia dell'uomo si oppone al peccato, al mistero dell'iniquità. Da un lato, come si esprime sant'Agostino, c'è l'«amore di sé fino al disprezzo di Dio»; dall'altro, c'è l'«amore di Dio fino al disprezzo di sé». La Chiesa di continuo innalza la sua preghiera e presta il suo servizio, perché la storia delle coscienze e la storia delle società nella grande famiglia umana non si abbassino verso il polo del peccato col rifiuto dei comandamenti divini «fino al disprezzo di Dio», ma piuttosto si elevino verso l'amore, in cui si rivela lo Spirito che dà la vita. Coloro che si lasciano «convincere quanto al peccato» dallo Spirito Santo, si lasciano anche convincere quanto «alla giustizia e al giudizio». Lo Spirito di verità, che aiuta gli uomini, le coscienze umane, a conoscere la verità del peccato, al tempo stesso fa sì che conoscano la verità di quella giustizia che entrò nella storia dell'uomo con Gesù Cristo. In questo modo, coloro che «convinti del peccato» si convertono sotto l'azione del consolatore, vengono, in un certo senso, condotti fuori dall'orbita del «giudizio»: di quel «giudizio», col quale «il principe di questo mondo è stato giudicato». La conversione, nella profondità del suo mistero divino-umano, significa la rottura di ogni vincolo col quale il peccato lega l'uomo nell'insieme del mistero dell'iniquità. Coloro che si convertono, dunque, vengono condotti dallo Spirito Santo fuori dall'orbita del «giudizio», e introdotti in quella giustizia, che è in Cristo Gesù, e vi è perché la riceve dal Padre, come un riflesso della santità trinitaria. Questa è la giustizia del Vangelo e della redenzione, la giustizia del Discorso della montagna e della Croce, che opera la purificazione della coscienza mediante il sangue dell'Agnello. È la giustizia che il Padre rende al Figlio ed a tutti coloro, che sono uniti a lui nella verità e nell'amore. In questa giustizia lo Spirito Santo, Spirito del Padre e del Figlio, che «convince il mondo quanto al peccato», si rivela e si rende presente nell'uomo come Spirito di vita eterna.
 


Amministra Discussione: | Chiudi | Sposta | Cancella | Modifica | Notifica email Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
Nuova Discussione
 | 
Rispondi
Feed | Forum | Bacheca | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra | Regolamento | Privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 18:37. Versione: Stampabile | Mobile - © 2000-2024 www.freeforumzone.com