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DAL 16 AL 23 DICEMBRE

Ultimo Aggiornamento: 05/11/2012 11:04
05/11/2012 11:04

15/12

Preghiera

Esaudisci, o Signore, la [mia] voce interiore che con intenso desiderio ho diretto alle tue orecchie. Abbi pietà di me ed in essa esaudiscimi. (En. in Ps. 26, 7)

Lettura

La verecondia del corpo

Quanto alla verecondia del corpo, nessuno può violarla senza il consenso e l’approvazione dell’anima. Non è infatti impudicizia una cosa, qualunque sia, che ci raggiunga nel corpo per una violenza esterna senza che noi diamo alcun consenso, anzi restando contrari. Riguardo a questo, possono esserci dei motivi per permettere la cosa ma nessuno per acconsentirvi. Vi acconsentiamo quando approviamo il male e lo vogliamo; non lo vogliamo invece ma solo lo permettiamo quando lo facciamo per evitare una qualche sconcezza più grave. Se al contrario si acconsente all’impudicizia del corpo, un tale atto viola anche la castità del cuore. In effetti la castità del cuore consiste nella volontà rivolta al bene e nell’amore sincero, che non è violato se non quando amiamo e desideriamo ciò che la Verità ci insegna di non dover amare o desiderare. Occorre dunque conservare la nitidezza della dilezione tanto verso Dio quanto verso il prossimo, poiché è con essa che viene consacrata la castità del cuore. Con tutte le forze e con devote suppliche ci si deve impegnare affinché, quando fosse insidiata la pudicizia del nostro corpo, nessuna attrattiva venga a toccare i sensi dell’anima, nemmeno quelli che, essendo più all’esterno, sono collegati con la carne. Se questo non sarà possibile, si conservi la castità del cuore negando il consenso [a tali moti]. Nella castità del cuore è poi importante conservare i requisiti dell’innocenza e della benevolenza, per quel che riguarda l’amore del prossimo, e la pietà per quanto riguarda l’amore di Dio. (De mendacio 19.40)

 

Per la riflessione

L’innocenza sta nel non nuocere ad alcuno, la benevolenza si ha quando ci rendiamo utili a chi ci è possibile; la pietà consiste nell’onorare Dio. (De mendacio 19.40)

 

Pensiero agostiniano

L’integrità della castità esercita tanta influenza sull’anima che, rimanendo questa inviolata, la pudicizia non può rimanere violata neppure nel corpo, anche nel caso che le membra abbiano sofferto la violenza. (Ep. 111, 9)

 

 16/12

Preghiera

O Signore, libera la mia anima! (Sal 114, 4) In effetti io sono un uomo misero, e chi mi libererà da questo corpo mortale se non la grazia di Dio ad opera del nostro Signore Gesù Cristo? (Rom 7, 24) (En. in Ps. 114, 4)

Lettura

Nella solitudine, se l’anima è attenta, Dio si lascia vedere

Noi portiamo il prossimo e camminiamo verso Dio; e allo stesso modo che noi non vediamo ancora Colui verso il quale camminiamo, così quello non conosceva ancora Gesù. E’ un mistero che ci viene suggerito: noi crediamo in Colui che ancora non vediamo, ed Egli per non esser visto, scompare tra la folla. E’ difficile scorgere Cristo in mezzo alla folla. La nostra anima ha bisogno di solitudine. Nella solitudine, se l’anima è attenta, Dio si lascia vedere. La folla è chiassosa: per vedere Dio è necessario il silenzio. Prendi il tuo lettuccio, porta il tuo prossimo, dal quale sei stato portato; e cammina per raggiungere Dio. Non cercare Gesù tra la folla, perché egli non è uno della folla: ha preceduto in tutti i modi la folla. Quel grande Pesce salì per primo dal mare e siede in cielo ad intercedere per noi: egli solo, come grande sacerdote, è penetrato nel Santo dei Santi oltre il velo, mentre la folla rimane fuori. Cammina, tu che porti il prossimo; purché abbia imparato a portarlo, tu che eri abituato a farti portare. Insomma, tu ancora non conosci Gesù, ancora non vedi Gesù; ma ascolta ciò che segue. Siccome quello non abbandonò il suo lettuccio e seguitava a camminare, poco dopo Gesù lo incontrò nel tempio. Non lo aveva incontrato in mezzo alla folla, lo incontrò nel tempio. Il Signore Gesù vedeva lui sia tra la folla, sia nel tempio; l’infermo non riconobbe Gesù tra la folla, ma solo nel tempio. Quello, dunque, raggiunse il Signore: lo incontrò nel tempio, nel luogo sacro, nel luogo santo. (In Io. Ev. 17, 11)

Per la riflessione

Aspettate, vi prego, di aver fatto ulteriori progressi nella via di Dio. Per vedere questo bisogna essere arrivati nel tempio di Dio, nel luogo santo. Caricatevi del prossimo e camminate. Arriverete a vedere Dio là dove non avrete più bisogno di parole umane. (In Io. Ev. 17, 14)

Pensiero agostiniano

Per poter vedere Dio, purifichiamo i nostri cuori con la fede, risaniamoli con la carità, rafforziamoli nella pace. (Sermo 23, 18)

17/12

Preghiera

Sia quando ci accarezzi perché non ci affatichiamo nella via, sia quando castighi perché non andiamo fuori strada: O Signore, tu sei diventato per noi un rifugio.(Sal 89, 1) (Sermo 55, 6.6)

Lettura

Il prestigio del corpo umano

Quanta bontà di Dio e quanta provvidenza del grande Creatore si manifesta nel corpo stesso, sebbene esso per la soggezione al morire sia comune con le bestie e più debole nell’uomo che in molte di esse. Infatti in esso la posizione dei sensi e le altre membra non sono forse così disposte, l’aspetto, l’atteggiamento e la statura di tutto il corpo non sono forse così regolati che esso si rivela organizzato per il servizio dell’anima razionale? Notiamo appunto che l’uomo non è stato creato come gli animali privi di ragione e chini verso la terra, ma la forma del corpo, che si erge verso il cielo, fa pensare che egli capisca le cose dell’alto. La sorprendente facilità di movimento, che è stata assegnata alla lingua e alle mani, appropriata e congiunta al parlare e allo scrivere e a compiere le opere di molte tecniche e servizi, non dimostra forse chiaramente a quale anima, per esserle sottomesso, è stato unito un corpo simile? Però a parte le inevitabili contingenze dell’agire, l’accordo di tutte le parti è così ritmico e attraente e si corrisponde con tale limpida simmetria che non sai se nel formarlo è stato osservato di più il criterio dell’utilità che della bellezza. (De civ. Dei XXII, 24.4)

Per la riflessione

La bellezza dei corpi è un bene che è dono di Dio, ma è concessa anche ai cattivi perché non sembri un gran bene ai buoni. (De civ. Dei XV, 22)

Pensiero agostiniano

La prosperità è un dono di Dio con cui ci vuole consolare, mentre l’avversità è un dono di Dio con cui ci vuole avvertire. (Ep. 210.1)

18/12
Preghiera

Tu sei lo stesso, non sei mutato. Vedo mutati i tempi, non muta il Creatore dei tempi. Tu sei lo stesso mio re e mio Dio. Tu sei solito guidarmi, tu reggermi, tu soccorrermi. (En. in Ps. 43, 5)

 

Lettura

La lode quotidiana per il Creatore

Il miracolo con cui nostro Signore Gesù Cristo cambiò l’acqua in vino, non sorprende se si considera che fu Dio a compierlo. Infatti, chi in quel banchetto di nozze fece comparire il vino in quelle sei anfore che aveva fatto riempire di acqua (Gv 2, 6-11), è quello stesso che ogni anno fa ciò nelle viti. Quel che i servi avevano versato nelle anfore, fu cambiato in vino per opera del Signore, come per opera del medesimo Signore si cambia in vino ciò che cade dalle nubi. Se questo non ci meraviglia, è perché avviene regolarmente ogni anno: la regolarità con cui avviene impedisce la meraviglia. Eppure questo fatto meriterebbemaggior considerazione di quanto avvenne dentro le anfore piene d’acqua. Come è possibile, infatti, osservare le risorse che Dio dispiega nel reggere e governare questo mondo, senza rimanere ammirati e come sopraffatti da tanti prodigi? Che meraviglia, ad esempio, e quale sgomento prova chi considera la potenza anche d’un granello di un qualsiasi seme! Ma siccome gli uomini, ad altro intenti, trascurano di considerare le opere di Dio, e trarne argomento di lode quotidiana per il Creatore, Dio si è come riservato di compiere alcune cose insolite, per scuotere gli uomini dal loro torpore e richiamarli al suo culto con nuove meraviglie. Risuscita un morto e tutti rimangono meravigliati; eppure ogni giorno ne nascono tanti e nessuno ci bada. Ma se consideriamo più attentamente, è un miracolo più grande creare ciò che non era, che risuscitare ciò che era. (In Io. Ev. 8, 1)

 

Per la riflessione

Noi contempliamo le opere del Signore e se in noi c’è il suo Spirito, ci piacciono e c’invitano a lodare l’artefice; eviteremo così di volgerci a queste opere allontanandoci dal loro artefice o di rivolgere, per così dire, il volto a queste creature voltando le spalle al loro creatore. (In Io. Ev. 8, 1)

 

Pensiero agostiniano

Dio è tutto per te, è tutto quello che ami. (In Io. Ev. 13, 5)

 

 

19/12

 

Preghiera

Mettimi alla prova e sperimentami, o Signore, perché nulla in me rimanga nascosto; rendimi noto, non a te, cui niente è nascosto, ma a me e agli uomini. (En. in Ps. 25, I, 3)

 

Lettura

Quel che hai è dono di Dio; tuo è solo il peccato

Considera dunque, o anima, tutte le retribuzioni di Dio ripensando a tutte le tue azioni malvagie, perché quante sono queste tue azioni malvagie, altrettante sono le retribuzioni buone che ti vengono da lui. E tu che cosa gli potrai offrire in contraccambio? Quali regali, quali doni, quali sacrifici? Dato che non dimentichi le sue retribuzioni, eccolo il sacrificio di cui egli si compiace: Benedici, anima mia, il Signore. Il sacrificio della lode mi darà gloria: immola a Dio il sacrificio della lode, e rendi all’Altissimo i tuoi voti (Sal 49, 14.23). Dio vuole essere lodato da te, e lo vuole per il tuo progresso spirituale, non per la sua esaltazione. Non esiste in assoluto qualcosa che tu gli possa rendere: ciò che richiede, non per sé, ma per te lo richiede e a te riuscirà utile, a te è riservato. Non desidera da te quel che possa ingrandirlo, ma quel che valga a condurti a lui. Per tale ragione i martiri cercavano qualcosa da offrirgli, e quasi venendo meno perché non trovavano nulla, ripetevano: Che cosa io renderò al Signore in cambio di tutto quel che mi ha retribuito? (Sal 115, 12s) Essi non trovarono altro da rendergli se non questo: Prenderò il calice di salvezza, ed invocherò il nome del Signore. Che cosa dunque renderai al Signore? Te lo sei domandato senza riuscire a trovare nulla: Prenderò il calice di salvezza. Che cosa? Questo calice di salvezza non te l’ha dato lo stesso Signore? Prova a rendergli qualcosa del tuo, se ci riesci. No anzi - vorrei dirti - non lo fare, non rendere qualcosa del tuo: è Dio che non vuole che gli renda qualcosa del tuo, perché in questo caso gli renderesti il peccato. Difatti tutto ciò che hai, l’hai in quanto ricevuto da lui: soltanto il peccato l’hai come cosa tua. Egli non vuole che gli sia reso qualcosa del tuo: lo vuole del suo. […] Ma che significa prendere il calice di salvezza? Significa imitare i patimenti del Signore. (En. in Ps. 102, 4)

 

Per la riflessione

Tu, nel rendere i tuoi voti, devi sempre ricordare di aver ricevuto quello che rendi; perciò la tua anima deve benedire il Signore, in modo da non dimenticare tutte le sue retribuzioni. (En. in Ps. 102, 4)

 

Pensiero agostiniano

Brutta cosa è il sonno dell’anima! Tanto brutta quanto bello è il sonno del corpo, con il quale si ristora la salute. Sonno dell’anima è dimenticare Dio. (En. in Ps. 62, 4)

 

 

20/12

 

Preghiera

O Signore, ascoltaci. Rinnovaci tu che ci hai creati. Tu che hai fatto di noi degli uomini illuminati, fa’ di noi dei buoni. Codesti biancovestiti, illuminati, ascoltano la tua parola per mio tramite. Poiché illuminati dalla tua grazia, sono alla tua presenza. Questo è il giorno che ha fatto il Signore. Ma tanto più s’impegnino, tanto più preghino affinché, quando saranno trascorsi questi giorni, i giorni [dell’Ottava di Pasqua] non diventino tenebre essi che sono diventati la luce dei prodigi e dei benefici di Dio. (Sermo 120, 3)

 

Lettura

Dio coronerà i suoi doni, non i nostri meriti

Si dà forse il caso che tu abbia cominciato a presumere di te, sentendo quel Ti corona. Forse hai concluso: io sono grande, perché io ho lottato. Con quali forze? Sì, con le tue, ma lui te le ha date. È evidente che tu stia lottando e sarai coronato perché vincerai; devi considerare però chi ha vinto per primo e chi, in secondo luogo, ha fatto di te un vincitore. Io - egli dice - ho vinto il mondo: rallegratevi! (Gv 16, 33)E come ci rallegriamo, se egli ha vinto il mondo? Come se lo avessimo vinto noi stessi? Sì, noi ci rallegriamo, perché noi l’abbiamo vinto: se siamo stati vinti in noi, in lui l’abbiamo vinto. Egli dunque ti corona, perché corona i suoi doni e non i tuoi meriti. Ben più di tutti quelli io ho faticato, dice l’Apostolo; ma considera quello che aggiunge: Non io però, ma la grazia di Dio insieme con me (1Cor 15, 10). E dopo tutte le sue fatiche egli si attende la propria corona, dicendo: Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede; per il resto è riservata per me la corona della giustizia, che mi darà in quel giorno il Signore come giudice giusto (2Tim 4, 7-8). E perché me la darà? Perché ho combattuto la battaglia, perché ho terminato la corsa, perché ho conservato la fede. E in che modo hai combattuto, in che modo hai conservato la fede? Non io però, ma la grazia di Dio insieme con me. Se dunque tu sei coronato, ciò avviene per la misericordia di Dio. Per nessuna ragione tu devi essere superbo: loda sempre il Signore, senza mai dimenticare tutte le sue retribuzioni. È una sua retribuzione che tu, pur essendo peccatore ed empio, sia stato chiamato alla grazia della giustificazione. È una sua retribuzione che tu sia stato rialzato e sorretto per più non cadere. È una sua retribuzione che ti siano state fornite le energie necessarie per perseverare fino alla fine. È una sua retribuzione che anche questa tua carne, di cui senti il peso continuo, risorga e non cada dalla tua testa neppure un capello. È una sua retribuzione che, dopo essere risorto, tu sia coronato. È una sua retribuzione che tu possa lodare eternamente il tuo Dio senza mai venir meno. (En. in Ps. 102, 7)

 

Per la riflessione

Se vuoi che la tua anima benedica il Signore, che ti corona con la sua compassione e misericordia, non dimenticare tutte le sue retribuzioni. (En. in Ps. 102, 7)

 

Pensiero agostiniano

Egli ti corona, perché corona i suoi doni e non i tuoi meriti. (En. in Ps. 102, 7)

 

 

21/12

 

Preghiera

Mi chiamasti, e il tuo grido sfondò la mia sordità; balenasti, e il tuo splendore dissipò la mia cecità; diffondesti la tua fragranza, e respirai e anelo verso di te, gustai e ho fame e sete; mi toccasti, e arsi di desiderio della tua pace. (Conf. X, 27.38)

 

Lettura

Umiltà di Cristo

La prima volta Cristo è venuto umile ed occulto; e tanto più occulto quanto più umile. Ma i popoli, disprezzando nella loro superbia l’umiltà di Dio, misero in croce il loro Salvatore, e ne fecero il loro giudice.

Ma colui che è venuto la prima volta in modo occulto, in quanto è venuto nell’umiltà, non dovrà forse venire poi in modo manifesto, nella sua gloria? Avete ascoltato poco fa il salmo: Il nostro Dio verrà in modo manifesto, e non tacerà (Sal 49, 3). Ha taciuto per consentire che lo giudicassero, ma non tacerà quando comincerà a giudicare. Non avrebbe detto il salmista: verrà in modo manifesto, se prima non fosse venuto in modo occulto; né avrebbe detto: non tacerà, se prima non avesse taciuto. In che senso ha taciuto? Ascolta Isaia: Come pecora fu condotto al macello e come agnello muto davanti a chi lo tosa, non ha aperto bocca (Is 53, 7). Ma verrà in modo manifesto, e non tacerà. Quale sarà questo modo manifesto? Lo precederà il fuoco, e sarà accompagnato da una potente tempesta (Sal 49, 3). Quella tempesta dovrà spazzar via dall’aia la paglia, che adesso viene battuta, e il fuoco consumerà quanto la tempesta avrà portato via. Egli ora tace; tace quanto al giudicare, ma non tace quanto al dar precetti. Se infatti Cristo tacesse del tutto, che senso avrebbero questi Vangeli, la voce degli Apostoli, il canto dei Salmi, gli oracoli dei Profeti? Tutte queste cose, infatti, dimostrano che Cristo non tace. Egli ora tace, in quanto non castiga; non tace, in quanto ammonisce. (In Io. Ev. 4, 1-2)

 

Per la riflessione

Badate - dice - al giorno della fine, al giorno del ritorno del figlio dell’uomo. Quel giorno faranno un cattivo incontro coloro che adesso sono sicuri, sono cioè sicuri di una falsa sicurezza: si credono sicuri assecondando le loro voglie mondane, mentre dovrebbero essere sicuri per averle domate. (En. in Ps. 147, 4)

 

Pensiero agostiniano

Verrà un giorno nella sua terribile potenza, e si mostrerà a tutti, anche a quelli che non credono in lui. (In Io. Ev. 4, 2)

 

 

22/12

 

Preghiera

Signore, tu sei diventato per noi un rifugio (Sal 89, 1). Tu ci dai i beni, ci accarezzi perché non ci affatichiamo nella via: tu ci punisci, ci picchi, ci percuoti, ci guidi perché non andiamo fuori dal retto sentiero. (Sermo 55, 6.6)

 

Lettura

Il fondamento dell’umiltà

Quando in un servo di Dio s’insinua la superbia, subito le si accompagna anche l’invidia. Non c’è superbo che non sia anche invidioso. L’invidia è figlia della superbia, e questa è una madre che non resta mai sterile: dove si trova, subito genera. Perché essa non entri in voi, considerate che nel tempo della persecuzione non ricevette la corona solo Agnese che era vergine, ma anche Crispina che era donna sposata; e risulta che alcuni dei consacrati cedettero, mentre molti dei coniugati sostennero il combattimento e vinsero. Non invano quindi l’Apostolo dice a tutti i membri di Cristo: Ciascuno di voi consideri gli altri superiori a se stesso, e ancora: Gareggiate nello stimarvi a vicenda (Fil 2, 3). Se questa è la vostra convinzione, non vi riterrete mai dei "grandi". Conviene che facciate attenzione più a quello che vi manca che a quello che avete: badate di non perdere quello che avete e fate suppliche per ricevere quello che ancora vi manca. Bisogna considerare in quante cose siamo inferiori, non in quante superiori. Se infatti vuoi misurare di quanto hai superato un altro, rischi di insuperbirti; se invece consideri tutto quello di cui ancora difetti, ne gemi, ma proprio questa pena serve a curarti, a mantenerti umile, e camminerai con più sicurezza, evitando sia di cadere sia di gonfiarti di orgoglio. (Sermo 354, 5.5)

 

Per la riflessione

Al posto più alto non si deve tendere per amore dell’altezza: solo mantenendosi nell’umiltà è dato di raggiungerlo. Se ti esalti, Dio ti abbassa; ma se ti abbassi, Dio ti innalza. (Sermo 354, 8.8)

 

Pensiero agostiniano

La superbia è fallace grandezza di chi è debole. E quando la superbia si sia impadronita di un animo, sollevandolo in alto lo fa precipitare, gonfiandolo lo svuota, riempiendolo lo spezza. (Sermo 353, 2.1)

 

 

23/12

 

Preghiera

Mi valga per il conseguimento della liberazione il prezzo tanto grande del sangue del mio Signore; e nei pericoli di questa vita, non mi abbandoni la tua misericordia. (En. in Ps. 25, I, 11)

 

Lettura

Umiltà e superbia

Ci viene proposto l’esempio di quei due uomini che pregano nel tempio, uno fariseo, l’altro pubblicano (Lc 18, 10): parabola detta per coloro che si credono giusti e disprezzano gli altri, e nella quale alla enumerazione dei meriti viene chiaramente preferita la confessione dei peccati. Il fariseo ringraziava il Signore per delle cose che lo riempivano di soddisfazione. Ti ringrazio –diceva – perché non sono come gli altri uomini, ingiusti, rapaci, adulteri, e nemmeno come questo pubblicano. Digiuno due volte la settimana; pago le decime di tutto ciò che possiedo. Il pubblicano, invece, se ne stava in lontananza e non ardiva neppure alzare gli occhi al cielo, ma si percuoteva il petto dicendo: O Dio, sii propizio a me peccatore. Segue la sentenza divina: In verità vi dico: Il pubblicano uscì dal tempio giustificato, molto più che non il fariseo. E si allega anche il motivo della giusta sentenza: Chi si esalta sarà umiliato; chi si umilia sarà esaltato (Lc 18, 11-14). Può capitare che qualcuno eviti effettivamente il male e trovi in se stesso dei beni veramente positivi, per i quali si sente obbligato a ringraziare il Padre dei lumi, da cui trae origine ogni grazia segnalata, ogni dono perfetto (Gc 1, 17).Nondimeno, costui non può incontrare l’approvazione divina e proprio per il vizio della superbia: se, cioè, orgogliosamente insulta, anche con il solo pensiero – che certamente Dio conosce –, gli altri peccatori, specialmente quelli che confessano i loro peccati nella preghiera. A costoro infatti non si deve il rimprovero superbo, ma la comprensione che non fa disperare. (De sancta virginitate 32.32)

 

Per la riflessione

Avanti dunque, o santi di Dio, fanciulli e giovinette, uomini e donne, celibi e nubili! Continuate con perseveranza sino alla fine! (…)Seguano pertanto l’Agnello i fedeli che hanno perso la verginità fisica: non però dovunque egli vada, ma fin dove essi lo potranno. (De sancta. virg. 27-28)

 

Pensiero agostiniano

Se pensi di costruire l’edificio alto della santità, prepara prima il fondamento dell’umiltà. (Sermo 69, 1.2)

 

 



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