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VEGLIA-PASQUALE

Ultimo Aggiornamento: 30/03/2013 09:58
30/03/2012 20:31

LA VEGLIA PASQUALE

Di questo gioisce il mio cuore, esulta la mia anima;
anche il mio corpo riposa al sicuro,
perché non abbandonerai la mia vita nel sepolcro,
né lascerai che il tuo santo veda la corruzione
.

(Sal 16, 9-10)


Eccomi Madre, è stata fatta la volonta del Padre Dio Amen

INTRODUZIONE
Dopo una giornata di silenzio, preghiera e digiuno, durante la quale la Chiesa contempla la deposizione di Gesù Cristo nel Sepolcro, la comunità cristiana si raduna sul far della sera per vivere la celebrazione vigiliare più importante dell’Anno Liturgico. Agostino definisce la veglia di Pasqua come la madre di tutte le veglie: "È questa infatti la nostra veglia grande; a nessun’altra veglia solenne corre il nostro pensiero quando in questo senso si chiede o si dice: Quando si farà la veglia?". (Serm. 221, 2) Dal buio della notte una luce avanza: Cristo risorto da morte ha vinto la morte! La Chiesa proclama il lieto annuncio: Cristo nostra Pasqua è stato immolato (1 Cor 5, 7).

 

DAI "SERMONI"DI SANT’AGOSTINO, VESCOVO  (Serm. 221, 1)

È questa la nostra grande veglia!

Siccome il Signore nostro Gesù Cristo ha reso glorioso con la sua risurrezione il giorno che aveva reso luttuoso con la morte, noi, rievocando i due momenti in un'unica commemorazione solenne, vegliamo ricordando la sua morte, esultiamo aspettando la sua risurrezione. Questa è la nostra festa annuale, questa è la nostra Pasqua, non più figurata nell'uccisione dell'agnello, come per il popolo antico, ma portata a compimento per il popolo nuovo nell'immolazione del Salvatore, perché Cristo nostra Pasqua, è stato immolato (1 Cor 5, 7), e le cose vecchie son passate ed ora ne sono nate delle nuove (2 Cor 5, 17). È se piangiamo è per il peso dei nostri peccati, e se esultiamo, è perché giustificati dalla sua grazia, perché egli è stato messo a morte per i nostri peccati, ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione (Rm 4, 25). Per quelli piangiamo, di questo ci rallegriamo, e sempre siamo nella gioia. Quanto per causa nostra e a nostro vantaggio è stato compiuto di triste o anticipato di lieto, non lo lasciamo passare con ingrata dimenticanza, ma lo celebriamo con riconoscente memoria. Vegliamo dunque, carissimi, perché la sepoltura di Cristo si è protratta fino a questa notte, cosicché proprio in, questa notte è avvenuta la risurrezione di quella sua carne che allora fu oltraggiata sul legno, adesso è adorata in cielo e sulla terra. Naturalmente questa notte si considera come facente parte del giorno di domani, che per noi è il giorno del Signore. Ed era opportuno che risorgesse di notte, perché con Ia sua risurrezione ha rischiarato le nostre tenebre; non per nulla già poco tempo prima si cantava a lui: Illuminerai la mia lampada, Signore; mio Dio, illuminerai le mie tenebre (Sal 17, 29). Così la nostra stessa pietà mette in risalto questo mistero così grande; come la nostra fede, rafforzata dalla sua risurrezione, è già sull'attenti, così anche questa notte, già così piena di luci, sia ancor più luminosa per il nostro vegliare, in modo che noi, insieme a tutta la Chiesa diffusa per il mondo intero, possiamo badare in modo giusto a non esser trovati nella notte. Per tanti e tanti popoli, che dovunque questa fulgida solennità ha radunato insieme nel nome di Cristo, il sole è già tramontato, ma il fulgore non se n'è andato, perché a un cielo pieno di luce ha fatto seguito una terra ugualmente piena di luce.

IN BREVE...
Umilmente vegliamo, umilmente preghiamo, con piissima fede, con saldissima speranza, con ferventissima carità, pensando quanto la nostra glorificazione risplenderà come giorno, se già la nostra umiliazione cambia la notte in giorno. (Serm. 223/I, 1)

[Modificato da MARIOCAPALBO 29/03/2013 10:54]

30/03/2013 09:56

VEGLIA PASQUALE NELLA NOTTE SANTA OMELIA DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II


VEGLIA PASQUALE NELLA NOTTE SANTA

OMELIA DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II

Sabato Santo, 30 marzo 2002

 

1. "Dio disse: «Sia la luce!». E la luce fu" (Gn 1,3).      

Un'esplosione di luce, che la parola di Dio trasse dal nulla, squarciò la prima notte, la notte della creazione.

Scriverà l'apostolo Giovanni: "Dio è luce e in lui non ci sono tenebre" (1 Gv 1,5). Dio non ha creato le tenebre, ma la luce! E il Libro della Sapienza, rivelando chiaramente che l'opera di Dio obbedisce da sempre ad una finalità positiva, così si esprime: "Egli ha creato tutto per l'esistenza; / le creature del mondo sono sane, / in esse non c'è veleno di morte, / né gli inferi regnano sulla terra" (Sap 1,14).

In quella prima notte, la notte della creazione, affonda le sue radici il mistero pasquale che, dopo il dramma del peccato, costituisce la restaurazione e il coronamento di quel primo inizio. La divina Parola ha chiamato all'esistenza tutte le cose e, in Gesù, si è fatta carne per salvarci. E se destino del primo Adamo fu ritornare alla terra da cui era stato tratto (cfr Gn 3,19), l'ultimo Adamo è disceso dal cielo per risalirvi vincitore, primizia della nuova umanità (cfr Gv 3,13; 1 Cor 15,47). 

2. Un'altra notte costituisce l'evento fondamentale della storia d'Israele: è il prodigioso esodo dall'Egitto, di cui ogni anno si legge il racconto nella solenne Veglia pasquale.

"Il Signore durante tutta la notte risospinse il mare con un forte vento d'oriente, rendendolo asciutto; le acque si divisero. Gli Israeliti entrarono nel mare sull'asciutto, mentre le acque erano per loro una muraglia a destra e a sinistra" (Es 14,21-22). Il popolo di Dio è nato da questo "battesimo" nel Mare Rosso, quando sperimentò la mano potente del Signore che lo strappava alla schiavitù per condurlo alla sospirata terra della libertà, della giustizia e della pace.

Questa è la seconda notte, la notte dell'esodo.

La profezia del Libro dell'Esodo si compie oggi anche per noi, che siamo israeliti secondo lo Spirito, discendenza di Abramo grazie alla fede (cfr Rm 4,16). Nella sua Pasqua, quale nuovo Mosè, Cristo ci ha fatto passare dalla schiavitù del peccato alla libertà dei figli di Dio. Morti con Gesù, con Lui risorgiamo a vita nuova, grazie alla potenza del suo Spirito. Il suo Battesimo è diventato il nostro. 

3. Riceverete questo Battesimo, che genera l'uomo a vita nuova, anche voi, carissimi Fratelli e Sorelle catecumeni, provenienti da diversi Paesi: dall'Albania, dalla Cina, dal Giappone, dall'Italia, dalla Polonia, dalla Repubblica Democratica del Congo. Due di voi, una mamma giapponese ed una cinese, portano con sé anche il figlio, così che, nella stessa celebrazione, le madri saranno battezzate insieme coi loro bambini.

"In questa santissima notte", in cui Cristo è risuscitato dai morti, si compie per voi un "esodo" spirituale: lasciate alle spalle la vecchia esistenza ed entrate nella "terra dei viventi". Questa è la terza notte, la notte della risurrezione. 

4. "O notte beata, tu sola hai meritato di conoscere il tempo e l'ora in cui Cristo è risorto dagli inferi". Così abbiamo cantato nel Preconio pasquale, all'inizio di questa solenne Veglia, madre di tutte le Veglie.

Dopo la notte tragica del Venerdì Santo, quando l'"impero delle tenebre" (Lc 22,53) sembrò aver la meglio su Colui che è "la luce del mondo" (Gv 8,12), dopo il grande silenzio del Sabato Santo, in cui Cristo, compiuta la sua opera sulla terra, trovò riposo nel mistero del Padre e portò il suo messaggio di vita negli abissi della morte, ecco finalmente la notte che precede "il terzo giorno", nel quale, secondo le Scritture, il Messia sarebbe risorto, come Egli stesso aveva più volte preannunciato ai suoi discepoli.

"O notte veramente gloriosa, che ricongiunge la terra al cielo e l'uomo al suo Creatore!" (Preconio pasquale).

5. Questa è la notte per eccellenza della fede e della speranza. Mentre tutto è immerso nel buio, Dio - la Luce - veglia. Con Lui vegliano quanti confidano e sperano in Lui.

O Maria, questa è per eccellenza la tua notte! Mentre si spengono le ultime luci del sabato, e il frutto del tuo grembo riposa nella terra, anche il tuo cuore veglia! La tua fede e la tua speranza guardano avanti. Oltre il pesante masso, intravedono già la tomba vuota; oltre gli spessi veli delle tenebre, scorgono l'alba della risurrezione.

Fa, o Madre, che anche noi vegliamo nel silenzio della notte, credendo e sperando nella parola del Signore. Incontreremo così, nella pienezza della luce e della vita, Cristo, primizia dei risorti, che regna col Padre e lo Spirito Santo, nei secoli dei secoli. Alleluia!

   


30/03/2013 09:58

OMELIA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI Basilica Vaticana Sabato Santo, 22 marzo 2008
VEGLIA PASQUALE NELLA NOTTE SANTA Benedetto XVI


OMELIA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI

Basilica Vaticana
Sabato Santo, 22 marzo 2008

 

Cari fratelli e sorelle!

Nel suo discorso d’addio, Gesù ha annunciato ai discepoli la sua imminente morte e risurrezione con una frase misteriosa. Dice: “Vado e vengo da voi” (Gv 14, 28). Il morire è un andare via. Anche se il corpo del deceduto rimane ancora – egli personalmente è andato via verso l’ignoto e noi non possiamo seguirlo (cfr Gv 13, 36). Ma nel caso di Gesù c’è una novità unica che cambia il mondo. Nella nostra morte l’andare via è una cosa definitiva, non c’è ritorno. Gesù, invece, dice della sua morte: “Vado e vengo da voi”. Proprio nell’andare via, Egli viene. Il suo andare inaugura un modo tutto nuovo e più grande della sua presenza. Col suo morire Egli entra nell’amore del Padre. Il suo morire è un atto d’amore. L’amore, però, è immortale. Per questo il suo andare via si trasforma in un nuovo venire, in una forma di presenza che giunge più nel profondo e non finisce più. Nella sua vita terrena Gesù, come tutti noi, era legato alle condizioni esterne dell’esistenza corporea: a un determinato luogo e a un determinato tempo. La corporeità pone dei limiti alla nostra esistenza. Non possiamo essere contemporaneamente in due luoghi diversi. Il nostro tempo è destinato a finire. E tra l’io e il tu c’è il muro dell’alterità. Certo, nell’amore possiamo in qualche modo entrare nell’esistenza dell’altro. Rimane, tuttavia, la barriera invalicabile dell’essere diversi. Gesù, invece, che ora mediante l’atto dell’amore è totalmente trasformato, è libero da tali barriere e limiti. Egli è in grado di passare non solo attraverso le porte esteriori chiuse, come ci raccontano i Vangeli (cfr Gv 20, 19). Può passare attraverso la porta interiore tra l’io e il tu, la porta chiusa tra l’ieri e l’oggi, tra il passato ed il domani. Quando, nel giorno del suo ingresso solenne in Gerusalemme, un gruppo di Greci aveva chiesto di vederLo, Gesù aveva risposto con la parabola del chicco di grano che, per portare molto frutto, deve passare attraverso la morte. Con ciò aveva predetto il proprio destino: Non voleva allora semplicemente parlare con questo o quell’altro Greco per qualche minuto. Attraverso la sua Croce, mediante il suo andare via, mediante il suo morire come il chicco di grano, sarebbe arrivato veramente presso i Greci, così che essi potessero vederLo e toccarLo nella fede. Il suo andare via diventa un venire nel modo universale della presenza del Risorto, in cui Egli è presente ieri, oggi ed in eterno; in cui abbraccia tutti i tempi e tutti i luoghi. Ora può oltrepassare anche il muro dell’alterità che separa l’io dal tu. Questo è avvenuto con Paolo, il quale descrive il processo della sua conversione e del suo Battesimo con le parole: “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Gal 2, 20). Mediante la venuta del Risorto, Paolo ha ottenuto un’identità nuova. Il suo io chiuso si è aperto. Ora vive in comunione con Gesù Cristo, nel grande io dei credenti che sono divenuti – come egli definisce tutto ciò – “uno in Cristo” (Gal 3, 28).

Cari amici, così appare evidente, che le parole misteriose di Gesù nel Cenacolo ora – mediante il Battesimo – si rendono per voi di nuovo presenti. Nel Battesimo il Signore entra nella vostra vita per la porta del vostro cuore. Noi non stiamo più uno accanto all’altro o uno contro l’altro. Egli attraversa tutte queste porte. È questa la realtà del Battesimo: Egli, il Risorto, viene, viene a voi e congiunge la vita sua con quella vostra, tenendovi dentro al fuoco aperto del suo amore. Voi diventate un’unità, sì, una cosa sola con Lui, e così una cosa sola tra di voi. In un primo momento questo può sembrare assai teorico e poco realistico. Ma quanto più vivrete la vita da battezzati, tanto più potrete sperimentare la verità di questa parola. Le persone battezzate e credenti non sono mai veramente estranee l’una per l’altra. Possono separarci continenti, culture, strutture sociali o anche distanze storiche. Ma quando ci incontriamo, ci conosciamo in base allo stesso Signore, alla stessa fede, alla stessa speranza, allo stesso amore, che ci formano. Allora sperimentiamo che il fondamento delle nostre vite è lo stesso. Sperimentiamo che nel più profondo del nostro intimo siamo ancorati alla stessa identità, a partire dalla quale tutte le diversità esteriori, per quanto grandi possano anche essere, risultano secondarie. I credenti non sono mai totalmente estranei l’uno all’altro. Siamo in comunione a causa della nostra identità più profonda: Cristo in noi. Così la fede è una forza di pace e di riconciliazione nel mondo: è superata la lontananza, nel Signore siamo diventati vicini (cfr Ef 2, 13).

Questa intima natura del Battesimo come dono di una nuova identità viene rappresentata dalla Chiesa nel Sacramento mediante elementi sensibili. L’elemento fondamentale del Battesimo è l’acqua; accanto ad essa c’è in secondo luogo la luce che, nella Liturgia della Veglia Pasquale, emerge con grande efficacia. Gettiamo solo uno sguardo su questi due elementi. Nel capitolo conclusivo della Lettera agli Ebrei si trova un’affermazione su Cristo, nella quale l’acqua non compare direttamente, ma che, per il suo collegamento con l’Antico Testamento, lascia tuttavia trasparire il mistero dell’acqua e il suo significato simbolico. Là si legge: “Il Dio della pace ha fatto tornare dai morti il Pastore grande delle pecore in virtù del sangue di un’alleanza eterna” (cfr 13, 20). In questa frase echeggia una parola del Libro di Isaia, nella quale Mosè viene qualificato come il pastore che il Signore ha fatto uscire dall’acqua, dal mare (cfr 63, 11). Gesù appare come il nuovo Pastore, quello definitivo che porta a compimento ciò che Mosè aveva fatto: Egli ci conduce fuori dalle acque mortifere del mare, fuori dalle acque della morte. Possiamo in questo contesto ricordarci che Mosè dalla madre era stato messo in un cestello e deposto nel Nilo. Poi, per la provvidenza di Dio, era stato tirato fuori dall’acqua, portato dalla morte alla vita, e così – salvato egli stesso dalle acque della morte – poteva condurre gli altri facendoli passare attraverso il mare della morte. Gesù è per noi disceso nelle acque oscure della morte. Ma in virtù del suo sangue, ci dice la Lettera agli Ebrei, è stato fatto tornare dalla morte: il suo amore si è unito a quello del Padre e così dalla profondità della morte Egli ha potuto salire alla vita. Ora eleva noi dalla morte alla vita vera. Sì, è ciò che avviene nel Battesimo: Egli ci tira su verso di sé, ci attira dentro la vera vita. Ci conduce attraverso il mare spesso così oscuro della storia, nelle cui confusioni e pericoli non di rado siamo minacciati di sprofondare. Nel Battesimo ci prende come per mano, ci conduce sulla via che passa attraverso il Mar Rosso di questo tempo e ci introduce nella vita duratura, in quella vera e giusta. Teniamo stretta la sua mano! Qualunque cosa succeda o ci venga incontro, non abbandoniamo la sua mano! Camminiamo allora sulla via che conduce alla vita.

In secondo luogo c’è il simbolo della luce e del fuoco. Gregorio di Tours racconta di un’usanza che qua e là si è conservata a lungo, di prendere per la celebrazione della Veglia Pasquale il fuoco nuovo per mezzo di un cristallo direttamente dal sole: si riceveva, per così dire, luce e fuoco nuovamente dal cielo per accendere poi da essi tutte le luci e i fuochi dell’anno. È questo un simbolo di ciò che celebriamo nella Veglia Pasquale. Con la radicalità del suo amore, nel quale il cuore di Dio e il cuore dell’uomo si sono toccati, Gesù Cristo ha veramente preso la luce dal cielo e l’ha portata sulla terra – la luce della verità e il fuoco dell’amore che trasforma l’essere dell’uomo. Egli ha portato la luce, ed ora sappiamo chi è Dio e come è Dio. Così sappiamo anche come stanno le cose riguardo all’uomo; che cosa siamo noi e per che scopo esistiamo. Venir battezzati significa che il fuoco di questa luce viene calato giù nel nostro intimo. Per questo, nella Chiesa antica il Battesimo veniva chiamato anche il Sacramento dell’illuminazione: la luce di Dio entra in noi; così diventiamo noi stessi figli della luce. Questa luce della verità che ci indica la via, non vogliamo lasciare che si spenga. Vogliamo proteggerla contro tutte le potenze che intendono estinguerla per rigettarci nel buio su Dio e su noi stessi. Il buio, di tanto in tanto, può sembrare comodo. Posso nascondermi e passare la mia vita dormendo. Noi però non siamo chiamati alle tenebre, ma alla luce. Nelle promesse battesimali accendiamo, per così dire, nuovamente anno dopo anno questa luce: sì, credo che il mondo e la mia vita non provengono dal caso, ma dalla Ragione eterna e dall’Amore eterno, sono creati dal Dio onnipotente. Sì, credo che in Gesù Cristo, nella sua incarnazione, nella sua croce e risurrezione si è manifestato il Volto di Dio; che in Lui Dio è presente in mezzo a noi, ci unisce e ci conduce verso la nostra meta, verso l’Amore eterno. Sì, credo che lo Spirito Santo ci dona la Parola di verità ed illumina il nostro cuore; credo che nella comunione della Chiesa diventiamo tutti un solo Corpo col Signore e così andiamo incontro alla risurrezione e alla vita eterna. Il Signore ci ha donato la luce della verità. Questa luce è insieme anche fuoco, forza da parte di Dio, una forza che non distrugge, ma vuole trasformare i nostri cuori, affinché noi diventiamo veramente uomini di Dio e affinché la sua pace diventi operante in questo mondo.

Nella Chiesa antica c’era la consuetudine, che il Vescovo o il sacerdote dopo l’omelia esortasse i credenti esclamando: “Conversi ad Dominum” – volgetevi ora verso il Signore. Ciò significava innanzitutto che essi si volgevano verso Est – nella direzione del sorgere del sole come segno del Cristo che torna, al quale andiamo incontro nella celebrazione dell’Eucaristia. Dove, per qualche ragione, ciò non era possibile, essi in ogni caso si volgevano verso l’immagine di Cristo nell’abside o verso la Croce, per orientarsi interiormente verso il Signore. Perché, in definitiva, si trattava di questo fatto interiore: della conversio, del volgersi della nostra anima verso Gesù Cristo e così verso il Dio vivente, verso la luce vera. Era collegata con ciò poi l’altra esclamazione che ancora oggi, prima del Canone, viene rivolta alla comunità credente: “Sursum corda” – in alto i cuori, fuori da tutti gli intrecci delle nostre preoccupazioni, dei nostri desideri, delle nostre angosce, della nostra distrazione – in alto i vostri cuori, il vostro intimo! In ambedue le esclamazioni veniamo in qualche modo esortati ad un rinnovamento del nostro Battesimo: Conversi ad Dominum – sempre di nuovo dobbiamo distoglierci dalle direzioni sbagliate, nelle quali ci muoviamo così spesso con il nostro pensare ed agire. Sempre di nuovo dobbiamo volgerci verso di Lui, che è la Via, la Verità e la Vita. Sempre di nuovo dobbiamo diventare dei “convertiti”, rivolti con tutta la vita verso il Signore. E sempre di nuovo dobbiamo lasciare che il nostro cuore sia sottratto alla forza di gravità, che lo tira giù, e sollevarlo interiormente in alto: nella verità e l’amore. In questa ora ringraziamo il Signore, perché in virtù della forza della sua parola e dei santi Sacramenti Egli ci orienta nella direzione giusta e attrae verso l’alto il nostro cuore. E lo preghiamo così: Sì, Signore, fa che diventiamo persone pasquali, uomini e donne della luce, ricolmi del fuoco del tuo amore. Amen.

 

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