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L’occhio puro e la retta intenzione.

22. 76. Dunque l’occhio purificato e reso sereno sarà abile e idoneo a percepire e ad esprimere logicamente la sua luce interiore. Questo è l’occhio del cuore. E ha un occhio simile chi stabilisce il fine delle proprie opere buone, affinché siano veramente buone, non nell’intento di essere graditi agli uomini, ma anche se avverrà di essere graditi, lo riferisce piuttosto alla loro salvezza e alla gloria di Dio e non alla propria ostentazione. Quindi non compie il bene per la salvezza del prossimo per esigere da lui le cose necessarie a trascorrere la vita; inoltre non condanna avventatamente l’intenzione e la volontà dell’uomo in quell’azione, in cui non si evidenzia con quale intenzione e volontà sia stata compiuta; poi qualsiasi obbligo esegue per l’altro, lo esegue con l’intenzione con cui vuole che sia eseguito per sé, ossia che da lui non attenda qualche vantaggio nel tempo. Così sarà il cuore sereno e puro, nel quale si cerca Dio. Beati quindi i puri di cuore perché vedranno Dio 209.



La beatitudine dei pacifici nella sincerità e coerenza (23, 77 - 27, 87)

Porta stretta e via angusta.

23. 77. Ma poiché questo stato è di pochi, ormai il Signore comincia a parlare della ricerca e possesso della saggezza che è l’albero della vita 210. Ma per ricercarla e possederla, cioè per contemplarla, un tale occhio è stato indirizzato a tutti gli antecedenti ammaestramenti, affinché con esso possa esser veduta la via angusta e la porta stretta. Dice il Signore: Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione e sono molti quelli che entrano per essa; quanto stretta è invece la porta e quanto angusta la via che conduce alla vita e sono pochi quelli che la trovano 211. Non dice questo perché il giogo del Signore è aspro e il carico pesante, ma perché pochi vogliono porre un termine alle tribolazioni in quanto non credono a lui che grida: Venite a me voi tutti che siete affaticati ed oppressi e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me perché sono mite e umile di cuore; infatti il mio giogo è dolce e il mio carico leggero 212. Per questo appunto il discorso ha preso lo spunto dagli umili e miti di cuore 213. Però molti respingono, pochi accettano il giogo dolce e il carico leggero e ne consegue che angusta è la via che conduce alla vita e stretta la porta per cui vi si entra.

Riconoscere dai frutti.

24. 78. A proposito dunque bisogna soprattutto guardarsi da coloro che promettono la sapienza e la conoscenza della verità che non hanno, come sono gli eretici, i quali spesso si fanno valere per il loro scarso numero. Quindi il Signore, dopo aver detto che son pochi quelli che imboccano la porta stretta e la via angusta, affinché essi non si intromettano col pretesto dello scarso numero, subito soggiunse: Guardatevi dai falsi profeti che vengono da voi in veste da pecore, ma dentro sono lupi rapaci 214. Ma essi non ingannano l’occhio sereno che dai frutti sa distinguere l’albero; dice infatti: Dai loro frutti li riconoscerete. Quindi aggiunge alcune analogie: Raccolgono forse uva dalle spine o fichi dai rovi? Così ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi. Non può un albero buono produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni. Ogni albero che non produce frutti buoni viene tagliato e gettato nel fuoco. Dai loro frutti dunque li riconoscerete 215.

Albero buono e cattivo simbolo dell’uomo.

24. 79. A questo punto bisogna guardarsi soprattutto dall’errore di coloro, i quali suppongono che dai due alberi sono indicate due nature, una delle quali è di Dio, l’altra né di Dio né da Dio. Di questo errore è già stato discusso diffusamente in altri libri e se è ancora poco, se ne discuterà; ora si deve dimostrare che questi due alberi non li suffragano. Prima di tutto è evidente che il Signore parla degli uomini, sicché chi ha letto i brani che vengono prima e dopo, si meraviglia della cecità di costoro. Poi rivolgono l’attenzione alla frase: Non può un albero buono produrre frutti cattivi e un albero cattivo frutti buoni 216 e pensano che non può avvenire che un’anima cattiva diventi buona e una buona diventi cattiva come se si avesse questo concetto: Non può un albero buono diventare cattivo né un albero cattivo diventare buono. Ma il concetto è questo: Non può un albero buono produrre frutti cattivi né un albero cattivo frutti buoni. L’albero invece è l’anima, cioè l’uomo e i frutti le azioni dell’uomo. Quindi l’uomo cattivo non può compiere il bene né il buono il male. Perciò il cattivo, se vuole fare del bene, prima diventi buono. In un altro passo più evidentemente il Signore afferma: O producete l’albero buono o producete l’albero cattivo 217. Che se con i due alberi simboleggiava le due nature, non avrebbe detto: Producete. Chi degli uomini infatti può produrre una natura. Quindi anche in quel brano, dopo aver parlato degli alberi, soggiunse: Ipocriti, come potete dire cose buone se siete cattivi 218. Finché dunque un tale è cattivo, non può produrre frutti buoni, perché se produce frutti buoni, ormai non è più cattivo. Allo stesso modo con assoluta verità si poteva dire: La neve non può essere calda, perché se cominciasse a essere calda, non la consideriamo più neve ma acqua. Può avvenire dunque che quella che era neve non lo sia più, ma non può avvenire che la neve sia calda. Così può avvenire che chi è stato cattivo non lo sia più, ma non può avvenire che un cattivo agisca bene. E sebbene egli talora si rende utile, non lui lo pone in atto, ma da lui proviene con l’intervento della Divina Provvidenza, come è stato detto dei Farisei: Fate quello che vi dicono, ma non fate quello che essi fanno 219. Il fatto che proponevano il bene e venivano ascoltate e osservate con vantaggio le cose che dicevano non era merito loro. Difatti, dice il Signore, sono seduti sulla cattedra di Mosè 220. Dunque con la Divina Provvidenza coloro che insegnano la parola possono essere utili agli ascoltatori, sebbene non lo siano a se stessi. Di essi in un altro passo è stato detto mediante il profeta: Seminate il grano e raccogliete le spine 221, perché ingiungono il bene e fanno del male. Quindi coloro che li ascoltavano ed eseguivano quel che dicevano non raccoglievano l’uva dalle spine, ma l’uva dalla vite attraverso le spine. È il caso di uno che mette la mano attraverso la siepe o anche coglie l’uva dalla vite avvoltolata sulla siepe; quel frutto non è certamente delle spine ma della vite.

Sincerità e menzogna nel bene.

24. 80. Con retto criterio si pone il problema dei frutti, ai quali il Signore vuole che poniamo l’attenzione per poter distinguere l’albero. Molti ascrivono ai frutti alcune proprietà che appartengono al pelame delle pecore e così sono ingannati dai lupi, come sono i digiuni, le preghiere e le elemosine. Che se tutti questi atti non potessero essere eseguiti anche dagli ipocriti, non avrebbe detto in precedenza: Guardatevi dal praticare la vostra virtù davanti agli uomini per essere osservati da loro 222. Nel proporre tale insegnamento tiene presenti le tre pratiche: elemosina preghiera digiuno. Molti infatti distribuiscono ai poveri non per commiserazione ma per vanagloria; molti pregano o meglio sembra che preghino non perché tengono presente Dio, ma perché bramano di essere ammirati dagli uomini; e molti digiunano e ostentano un’astinenza che desta meraviglia a coloro ai quali questi usi sembrano difficili e degni di onore. E con tali astuzie li attirano, mentre ostentano un aspetto per ingannare, e ne mostrano un altro per derubare e uccidere coloro che non riescono a scoprire i lupi coperti col pelame di pecore. Non sono dunque questi i frutti da cui il Signore esorta a riconoscere l’albero. Se essi si compiono con buona intenzione secondo verità sono il pelame proprio delle pecore; se con intenzione cattiva nell’errore, servono soltanto a coprire i lupi. Ma non per questo le pecore debbono odiare il proprio pelame per il fatto che spesso vi si dissimulano i lupi.

I frutti del bene e del male.

24. 81. L’Apostolo insegna quali sono i frutti, riconosciuti i quali, riconosciamo l’albero cattivo: Son ben note le opere della carne: fornicazione, impurità, libertinaggio, idolatria, stregoneria, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, eresie, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere; circa queste cose vi preavviso, come già ho detto, che chi le commette non erediterà il regno di Dio. Ed egli di seguito insegna quali sono i frutti, dai quali possiamo riconoscere l’albero buono: Frutto dello spirito è invece amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé 223. È opportuno riflettere che nel brano gioia è stata usata in senso proprio, poiché non si può dire con proprietà che i cattivi gioiscono ma che sono ebbri di gioia. Così precedentemente abbiamo parlato della volontà che in senso proprio non hanno i cattivi, come si rileva dalla frase: Quanto volete facciano gli uomini per voi, fatelo per loro 224. Secondo questa proprietà, per cui la gioia si dice soltanto dei buoni, anche il profeta afferma: Non c’è gioia per i malvagi, dice il Signore 225. Così la fede, di cui si è parlato, certamente non una fede qualunque ma la vera fede, e gli altri concetti, di cui si è parlato, hanno una certa apparenza negli uomini cattivi e impostori, sicché ingannano se l’altro non ha ormai l’occhio puro e sincero, con cui è consapevole di questi fatti. Quindi con un’ottima sequenza si è trattato prima della purificazione dell’occhio e poi sono state esposte le evenienze da cui esimersi.

La volontà del Padre.

25. 82. Ma poiché, sebbene ognuno possa avere l’occhio puro, cioè vivere con sincerità e semplicità di cuore, tuttavia non può raffigurarsi il cuore dell’altro, si palesa dalle tentazioni quanto non potrà essere esperibile dalle azioni e dalle parole. E duplice è la tentazione: o nella speranza di conseguire un vantaggio nel tempo o nell’angoscia di perderlo. E dobbiamo evitare che nel tendere alla saggezza, la quale si può conseguire soltanto in Cristo, nel quale sono nascosti tutti i tesori della saggezza e della scienza 226, dobbiamo evitare dunque di essere ingannati, nel nome stesso di Cristo, da eretici, da tutti coloro che male interpretano e dagli amatori di questo mondo. Perciò continua con l’ammonire: Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio, che è nei cieli, egli entrerà nel regno dei cieli 227. Non dobbiamo quindi pensare che è già di spettanza di quei frutti se qualcuno dice a nostro Signore: Signore, Signore e non per questo a noi deve sembrare un albero buono. Ma questi sono i frutti: eseguire la volontà del Padre che è nei cieli, perché per eseguirla Gesù si è degnato di offrirsi come modello.

Il dire in senso proprio e figurato.

25. 83. Ma giustamente può render perplessi come si accordi a questo ammaestramento quel che dice l’Apostolo: Nessuno che parla sotto l’azione dello Spirito di Dio può dire: Gesù è anatema; e nessuno può dire: Gesù è Signore, se non sotto l’azione dello Spirito Santo 228. In verità noi non possiamo dire che alcuni, i quali hanno lo Spirito Santo, non entreranno nel regno dei cieli, se persevereranno sino alla fine e non possiamo dire che hanno lo Spirito Santo quelli che dicono: Signore, Signore e tuttavia non entreranno nel regno dei cieli. In che senso dunque nessuno dice: Gesù è Signore, se non sotto l’azione dello Spirito Santo, se non perché l’Apostolo ha usato con proprietà la parola dice per indicare la volontà e l’intelligenza di chi dice? Invece il Signore ha usato in senso generico quella parola nel dire: Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli 229. Sembra infatti che lo dice anche colui che non vuole e non pensa quel che dice, ma lo dice con proprietà chi enunzia la propria volontà e il proprio pensiero col suono della voce. Allo stesso modo quello stato, che poco fa è stato indicato come gioia, è stato indicato in senso proprio, nei frutti dello Spirito, e non nel senso con cui in un altro passo lo ha indicato l’Apostolo stesso: Non gioisce dell’ingiustizia 230, come se si possa gioire dell’ingiustizia, dato che questa è altezzosità della coscienza che tripudia disordinatamente e non gioia; questa soltanto i buoni l’hanno. Dunque apparentemente dicono anche quelli che non comprendono con l’intelletto e non eseguiscono con la volontà quel che proferiscono, ma lo proferiscono soltanto con la voce; e in questo senso il Signore ha detto: Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli. Invece lo dicono con verità e proprietà quelli, il cui discorso non discorda dalla volontà e dal pensiero; e con questo significato dice l’Apostolo: Nessuno può dire: Gesù è Signore, se non con l’azione dello Spirito Santo.

I cattivi e gli eventi prodigiosi.

25. 84. E attiene all’argomento soprattutto che non siamo ingannati, nel tendere alla conoscenza della verità rivelata, non solo dal nome di Cristo per l’influsso di coloro che ne hanno il nome e non le opere, ma anche da alcuni avvenimenti prodigiosi. Sebbene il Signore li operò per coloro che non credevano, ammonì tuttavia che non ne fossimo tratti in errore supponendo che vi sia l’invisibile sapienza dell’alto dovunque noi scorgiamo un visibile evento meraviglioso. Quindi prosegue e dice: Molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato i dèmoni nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome? Io allora dirò a loro: Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi che compite azioni cattive 231. Dunque conosce soltanto chi compie buone azioni. E ha proibito perfino ai suoi discepoli di godere dei fatti meravigliosi, cioè che i dèmoni si fossero sottomessi a loro; ma godete, disse, che i vostri nomi sono scritti nel cielo 232, suppongo nella città di Gerusalemme che è nel cielo, in cui regneranno soltanto i virtuosi e i santi. Non sapete, dice l’Apostolo, che i malvagi non erediteranno il regno di Dio? 233

Eventi prodigiosi e verità.

25. 85. Ma qualcuno potrebbe obiettare che i malvagi non possono compiere quei prodigi e supporre che piuttosto mentiscono coloro che diranno: Nel tuo nome abbiamo profetato, cacciato i dèmoni e compiuto miracoli? Legga dunque quante opere meravigliose compirono i maghi dell’Egitto nell’opporsi al servo di Dio, Mosè 234. O se non vuol leggere quel brano perché quelli non agirono nel nome di Cristo, legga quel che il Signore stesso dice dei falsi profeti: Allora se qualcuno vi dirà: Ecco, il Cristo è qui o è là, non ci credete. Verranno infatti falsi cristi e falsi profeti e faranno grandi portenti e miracoli così da indurre in errore anche gli eletti. Ecco ve l’ho predetto 235.

L’occhio puro e la pace.

25. 86. È dunque necessario l’occhio puro e schietto per trovare la via della saggezza che ingombrano i tanti inganni ed errori dei malvagi e perversi. Evitarli tutti significa giungere a una consapevole pace e all’immobile stabilità della saggezza. Si deve fortemente temere che nell’impegno di discutere e disputare uno non noti quel che da pochi si può notare, cioè che è trascurabile lo strepito di coloro che obiettano, se anche egli non sa porsi l’obiezione. Attiene al caso anche quel che dice l’Apostolo: Un servo del Signore non deve essere litigioso, ma mite con tutti, disposto ad apprendere, paziente, dolce nel riprendere gli oppositori nella speranza che Dio voglia loro concedere di convertirsi per conoscere la verità 236. Quindi dice il Signore: Beati gli operatori di pace perché saranno chiamati figli di Dio 237.

Edificare sulla pietra.

25. 87. Si deve riflettere attentamente con quale logicità che suggerisce il timore sia dedotta la conclusione di tutto il discorso. Quindi, dice il Signore, chiunque ascolta le mie parole e le mette in pratica è simile a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia 238. Infatti soltanto con la pratica uno rende effettivo quel che ascolta e pensa. E se Cristo è la pietra, come affermano molti testi della Sacra Scrittura 239, edifica in Cristo chi pone in atto quello che da lui ascolta. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa ed essa non cadde perché era costruita sulla roccia 240. L’uomo in parola quindi non teme le nuvolose superstizioni, perché non si può intendere diversamente la pioggia quando si usa a simbolo di un male; non teme le ciarle degli uomini che suppongo siano in analogia con i venti, ovvero il fiume di questa vita che scorre, per così dire, sulla terra con gli stimoli carnali. Chi si lascia condurre dal corso favorevole di queste tre evenienze è travolto dall’invertirsi del corso. Invece non teme nulla da esse chi ha la casa costruita sulla roccia, ossia chi non solo ascolta ma anche pratica la parola del Signore. E a tutti questi casi è subordinato con rischio chi la ascolta e non la pratica; non ha difatti un fondamento solido, ma ascoltando e non praticando costruisce la caduta. Quindi il Signore continua: E chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica è simile a un uomo stolto che ha costruito la sua casa sulla sabbia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa ed essa cadde e la sua rovina fu grande. Quando Gesù ebbe finito questi discorsi, le folle rimasero stupite del suo insegnamento; egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità e non come i loro scribi 241. Quest’ultimo pensiero corrisponde a quello, di cui precedentemente ho detto che dal profeta è stato espresso nel salmi, quando ha detto: Io mi affiderò con fiducia a lui. I detti del Signore sono puri, argento raffinato nel crogiuolo, purificato sette volte 242. Sul fondamento di questo numero ho preso la decisione di riferire anche questi insegnamenti alle massime che il Signore ha enunziato all’inizio di questo discorso, quando parlava delle beatitudini, e alle sette operazioni dello Spirito Santo che enumera il profeta Isaia 243. Ma se in esse sia da prendere in considerazione questa serie o un’altra, si deve mettere in pratica quel che abbiamo udito del Signore, se vogliamo costruire sulla pietra.