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INSEGNAMENTO DEL PAPA SULLA FAMIGLIA

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    MARIOCAPALBO
    00 20/05/2016 20:37

    TERZO INSEGNAMENTO DEL PAPA SULLA FAMIGLIA


    Tre parole: permesso, grazie, scusa



    Per portare avanti una famiglia è necessario usare tre parole. Voglio ripeterlo. Tre parole: permesso, grazie, scusa. Tre parole chiave! Chiediamo permesso per non essere invadenti in famiglia. “Posso fare questo? Ti piace che faccia questo?”. Col linguaggio del chiedere permesso. Diciamo grazie, grazie per l’amore! Ma dimmi, quante volte al giorno tu dici grazie a tua moglie, e tu a tuo marito? Quanti giorni passano senza dire questa parola, grazie! E l’ultima: scusa. Tutti sbagliamo e alle volte qualcuno si offende nella famiglia e nel matrimonio, e alcune volte – io dico – volano i piatti, si dicono parole forti, ma sentite questo consiglio: non finire la giornata senza fare la pace. La pace si rifà ogni giorno in famiglia! “Scusatemi”, ecco, e si rincomincia di nuovo. Permesso, grazie, scusa! […] Facciamo queste tre parole in famiglia! Perdonarsi ogni giorno!» (Discorso alle famiglie in pellegrinag35 gio a Roma nell’Anno della fede, 26 ottobre 2013).

    «Queste parole aprono la strada per vivere bene nella famiglia, per vivere in pace. Sono parole semplici, ma non così semplici da mettere in pratica! Racchiudono una grande forza: la forza di custodire la casa, anche attraverso mille difficoltà e prove; invece la loro mancanza, a poco a poco apre delle crepe che possono farla persino crollare. […] La prima parola è “permesso?”. Quando ci preoccupiamo di chiedere gentilmente anche quello che magari pensiamo di poter pretendere, noi poniamo un vero presidio per lo spirito della convivenza matrimoniale e famigliare. Entrare nella vita dell’altro, anche quando fa parte della nostra vita, chiede la delicatezza di un atteggiamento non invasivo, che rinnova la fiducia e il rispetto.

    La confidenza, insomma, non autorizza a dare tutto per scontato. E l’amore, quanto più è intimo e profondo, tanto più esige il rispetto della libertà e la capacità di attendere che l’altro apra la porta del suo cuore. A questo proposito ricordiamo quella parola di Gesù nel libro dell’Apocalisse: “Ecco, io sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me” (3,20). Anche il Signore chiede il permesso per entrare! Non dimentichiamolo. 

    Prima di fare una cosa in famiglia: “Permesso, posso farlo? Ti piace che io faccia così?”. Quel linguaggio educato e pieno d’amore. E questo fa tanto bene alle famiglie. La seconda parola è “grazie”. Certe volte viene da pensare che stiamo diventando una civiltà delle cattive maniere e delle cattive parole, come se fossero un segno di emancipazione. Le sentiamo dire tante volte anche pubblicamente. La gentilezza e la capacità di ringraziare vengono viste come un segno di debolezza, a volte suscitano addirittura diffidenza. Questa tendenza va contrastata nel grembo stesso della famiglia.

    Dobbiamo diventare intransigenti sull’educazione alla gratitudine, alla riconoscenza: la dignità della persona e la giustizia sociale passano entrambe da qui. Se la vita famigliare trascura questo stile, anche la vita sociale lo perderà. La gratitudine, poi, per un credente, è nel cuore stesso della fede: un cristiano che non sa ringraziare è uno che ha dimenticato la lingua di Dio. Sentite bene: un cristiano che non sa ringraziare è uno che ha dimenticato la lingua di Dio.

    Ricordiamo la domanda di Gesù, quando guarì dieci lebbrosi e solo uno di loro tornò a ringraziare (cfr. Lc 17,18). Una volta ho sentito dire da una persona anziana, molto saggia, molto buona, semplice, ma con quella saggezza della pietà, della vita: “La gratitudine è una pianta che cresce soltanto nella terra delle anime nobili”. Quella nobiltà dell’anima, quella grazia di Dio nell’anima ci spinge a dire grazie, alla gratitudine. È il fiore di un’anima nobile. È una bella cosa questa!

    La terza parola è “scusa”. Parola difficile, certo, eppure così necessaria. Quando manca, piccole crepe si allargano – anche senza volerlo – fino a diventare fossati profondi. Non per nulla nella preghiera insegnata da Gesù, il “Padre nostro”, che riassume tutte le domande essenziali per la nostra vita, troviamo questa espressione: “Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori” (Mt 6,12). Riconoscere di aver mancato, ed essere desiderosi di restituire ciò che si è tolto – rispetto, sincerità, amore – rende degni del perdono. E così si ferma l’infezione. Se non siamo capaci di scusarci, vuol dire che neppure siamo capaci di perdonare. Nella casa dove non ci si chiede scusa incomincia a mancare l’aria, le acque diventano stagnanti. Tante ferite degli affetti, tante lacerazioni nelle famiglie incominciano con la perdita di questa parola preziosa: “Scusami”.

    Nella vita matrimoniale si litiga, a volte anche “volano i piatti”, ma vi do un consiglio: mai finire la giornata senza fare la pace! Sentite bene: avete litigato moglie e marito? Figli con i genitori? Avete litigato forte? Non va bene, ma non è il vero problema. Il problema è che questo sentimento sia presente il giorno dopo. Per questo, se avete litigato, mai finire la giornata senza fare la pace in famiglia. E come devo fare la pace? Mettermi in ginocchio? No! Soltanto un piccolo gesto, una cosina così, e l’armonia familiare torna. Basta una carezza! Senza parole. Ma mai finire la giornata in famiglia senza fare la pace! Capito questo? Non è facile, ma si deve fare. E con questo la vita sarà più bella.

    Queste tre parole-chiave della famiglia sono parole semplici, e forse in un primo momento ci fanno sorridere. Ma quando le dimentichiamo, non c’è più niente da ridere, vero? La nostra educazione, forse, le trascura troppo. Il Signore ci aiuti a rimetterle al giusto posto, nel nostro cuore, nella nostra casa, e anche nella nostra convivenza civile» (Udienza generale, 13 maggio 2015).


    [Modificato da MARIOCAPALBO 20/05/2016 20:39]