00 17/03/2016 19:49
Pensare è vivere più elevato.

7. 17. E. - Per me non v'è più dubbio. Continua verso il tuo obiettivo. So con certezza che altro è vivere ed altro esser coscienti di vivere.
A. - Quale ti sembra più elevato?
E. - Certamente la coscienza di vivere.
A. - E ti sembra più elevata la coscienza della vita che la vita stessa? Oppure pensi che la coscienza è una vita più elevata e pura poiché soltanto un soggetto che pensa ne può esser cosciente? E che cos'è pensare se non vivere più consapevolmente e perfettamente nella luce dell'intelligenza? Pertanto tu, salvo mio errore, non hai anteposto alla vita un altro concetto, ma ad una certa vita una vita più elevata.
E. - Proprio bene hai compreso ed esposto il mio pensiero, se tuttavia non è mai possibile che la coscienza sia un male.
A. - Assolutamente impossibile, salvo quando figuratamente si dice coscienza in luogo di esperienza. Avere esperienza non sempre è un bene, come avere esperienza di tormenti. Come potrebbe essere un male quella che, con termine adeguatamente proprio, si chiama coscienza? Essa si attua appunto con atto di puro pensiero.
E. - Comprendo anche questa differenza; continua.

La mente è dominio.

8. 18. A. - Questo voglio dire. V'è nell'uomo una determinata facoltà, per cui è superiore agli animali, si chiama mente o spirito o meglio l'uno e l'altro. Nei Libri divini si trova appunto l'uno e l'altro. Se essa domina pienamente su tutte le facoltà da cui è costituito l'uomo allora egli è pienamente razionale. Si può constatare infatti che noi abbiamo molte proprietà in comune non solo con gli animali ma anche con le piante e le erbe. Si constata appunto che nutrirsi, crescere, riprodursi e irrobustirsi è dato anche agli alberi che hanno il grado più basso di vita. Si osserva inoltre e si deve ammettere che le bestie, e parecchie con maggiore acutezza di noi, possono vedere, udire e percepire i sensibili con l'olfatto, il gusto e il tatto. Aggiungi la forza, l'energia e la robustezza delle membra, la celerità e gli agilissimi movimenti, nei quali alcune ne superiamo, con altre ci eguagliamo, da talune siamo perfino superati. Noi tuttavia abbiamo in comune con le bestie certamente un determinato genere di fenomeni. Ogni attività della vita del bruto consiste appunto nel tendere alle soddisfazioni fisiologiche e nell'eliminare il bisogno. Vi sono altre manifestazioni che non sembrano spettare alle bestie, ma anche nell'uomo non sono le più elevate, come scherzare e ridere. Sono cose umane, ma le giudica infime chi secondo ragione giudica la natura umana. Vi sono poi l'amore della lode e della gloria e la frenesia di dominare. Non appartengono alle bestie; eppure non si deve presumere di essere superiori alle bestie in base al desiderio immoderato di questi beni. Tale inclinazione infatti, quando non è soggetta alla ragione, rende infelici. E nessuno ha mai pensato di esser più perfetto di un altro perché infelice. Quando dunque la ragione domina simili movimenti psicologici, l'uomo deve esser considerato nell'ordine razionale. Infatti non si deve considerare razionalità piena, ma addirittura neanche razionalità, se le cose migliori sono soggette alle peggiori. Non ti sembra?
E. - È chiaro.
A. - Quando dunque la ragione, oppure mente o spirito, guida i movimenti irrazionali, domina nell'uomo quel principio, al quale il dominio è dovuto per legge che abbiamo considerata eterna.
E. - Comprendo pienamente.

La mente nell'individuo non sempre è dominio.
9. 19. A. - Dunque allorché l'individuo è così stabilito nell'ordine, secondo te, è sapiente?.
E. - Non saprei quale altro individuo, secondo me, lo sia, se non lo è lui.
A. - Sai anche, suppongo, che parecchi uomini sono insipienti.
E. - Anche questo è abbastanza noto.
A. - Avendo noi già il concetto di sapiente, comprendi ormai chi sia l'insipiente se insipiente è opposto a sapiente.
E. - Ma a chi non è evidente che sarà colui, nel quale la mente non ha il dominio sovrano?
A. - Che dire, quando l'uomo si trova in simili condizioni? Che gli manca la mente, oppure, sebbene sia in lui, che è priva di dominio?
E. - Ovvio, quel che hai detto per secondo.
A. - Vorrei proprio udire da te con quali prove dimostreresti con certezza che la mente è in un individuo senza esercitare il suo dominio.
E. - Vorresti difendere tu la tesi. Per me non è facile provare il tuo assunto.
A. - Ti deve esser facile ricordare però quel che abbiamo detto dianzi, in che modo le bestie ammansite dagli uomini li servono facilmente. Gli uomini a loro volta, come è stato provato, potrebbero subire questa condizione dalle bestie se non fossero superiori in qualche cosa. Questo qualche cosa non l'abbiamo trovato nei corpo. E siccome ci è sembrato evidente che è nello spirito, abbiamo trovato che si deve chiamare ragione. In seguito abbiamo ricordato che si chiama anche mente e spirito. Ma nell'ipotesi che altro sia la ragione, altro la mente, è assolutamente certo che la mente ha per funzione la ragione. Se ne conclude che se si ha la ragione non si può esser privi di mente.
E. - Ricordo bene e son d'accordo.
A. - Credi dunque che i domatori di bestie siano necessariamente sapienti? Considero sapienti soltanto quelli che la verità consente, quelli cioè che con l'assoggettamento della passione hanno conseguito la serenità nel dominio della mente.
E. - È degno di scherno ritenere sapienti costoro che in gergo popolare si chiamano ammansatori, come pure i pastori, i mandriani e i cocchieri, sebbene sia possibile osservare che gli animali addestrati sono loro soggetti e che i non addestrati sono costretti alla soggezione dalla loro abilità.
A. - Ed ecco che hai una prova irrefutabile per dimostrare che si può dare nell'uomo la mente senza dominio. In costoro essa c'è poiché compiono azioni che è impossibile compiere senza la mente. Tuttavia non domina perché sono insipienti. Ed è assiomatico che il dominio spirituale è soltanto dei sapienti.
E. - Mi stupisco che il tema era stato già chiarito da noi e che io non sono stato capace di ricordare cosa rispondere.

Il dominio nello spirito sapiente...

10. 20. Ma continuiamo nel sistemare altri concetti. È stato già accertato che la sapienza umana è dominio della mente umana, ma che questa può anche non avere dominio.
A. - Pensi che la passione sia più imperante della mente, alla quale, come abbiamo accertato, il dominio sulle passioni è stato concesso dalla legge eterna? Io dico di no, assolutamente. Non sarebbe affatto razionale che le cose meno imperanti dominassero sulle più imperanti. Penso che necessariamente abbia maggiore imperatività la mente che il desiderio immoderato per il fatto stesso che essa con perfetta giustizia domina sul desiderio.
E. - La penso così anche io.
A. - E si potrà dubitare di anteporre in senso assoluto la virtù al vizio sicché la virtù, quanto è più idealmente perfetta, tanto è più sicuramente invincibile?
E. - Che dubbio?
A. - Dunque lo spirito vizioso non può superare uno spirito armato di virtù.
E. - Verissimo.
A. - Non negherai, penso, che lo spirito sia assolutamente più perfetto e dominante del corpo.
E. - Non si può negare se si considera, ed è facile farlo, che la sostanza vivente è da giudicarsi più perfetta della non vivente, o meglio quella che dà la vita di quella che la riceve.
A. - Dunque a più forte ragione un corpo, quale sia, non può superare lo spirito dotato di virtù.
E. - Evidentissimo.
A. - E uno spirito giusto ed una mente che esercita la propria competenza al dominio possono forse gettare giù dalla fortificazione, per sottomettere alla passione, un'altra ragione che esercita il dominio con egual giustizia e virtù?
E. - No, assolutamente, non solo a motivo della medesima superiorità in entrambe, ma anche perché la prima mente decadrebbe dalla giustizia. Diviene viziosa una mente che volesse render tale un'altra e per ciò stesso sarebbe più debole.

...non gli è tolto se non vuole...

10. 21. A. - Bene. Ti rimane da rispondere, qualora tu ne sia in grado, se secondo te esiste un essere superiore a una ragione capace di pensiero sapienziale.
E. - No, salvo Dio, penso.
A. - Questa è anche la mia opinione. Ma l'argomento è difficile e non è questo il momento adatto ad esaminarlo per averne pura conoscenza, sebbene sia fondato su una fede incrollabile. Quindi rimanga in programma una discussione diligente e approfondita del problema.

...quindi se il dominio va alla passione...

11. 21. - Per adesso ci è possibile sapere, qualunque sia l'essenza divina, che non può assolutamente essere ingiusta perché è superiore alla mente dotata di virtù. Quindi neanche essa, sebbene ne abbia il potere, costringerà una mente ad essere schiava della passione.
E. - Questa verità si ammette universalmente senza esitazione.
A. - Rimane dunque che un essere eguale o superiore alla mente dotata d'imperatività e in possesso della virtù non la può rendere schiava della passione a causa della giustizia e che un essere inferiore non lo può a causa dell'insufficiente potere. Lo provano i motivi emersi dal nostro dialogo. Dunque nessuna altra cosa può rendere la mente compagna del desiderio disordinato se non la propria volontà e il libero arbitrio.
E. - È assolutamente logico.

...responsabile libero arbitrio.

11. 22. A. - Ma ora devi anche ritenere, per logica conseguenza, che essa giustamente subisce la pena per tanto peccato.
E. - Mi è impossibile dir di no.
A. - E allora si deve stimare leggera la pena che la passione la domini e defraudatala della ricchezza della virtù la trascini estremamente povera in opposte direzioni. Difatti ora accetta il falso in luogo del vero e talora ne tenta perfino la difesa, ora riprova quel che aveva accettato per finire tuttavia in altri errori, ora sospende il proprio assenso e spesso respinge dimostrazioni evidenti, ora dispera radicalmente di trovare il vero e s'immerge a fondo nelle tenebre dell'esperienza sensibile, ora si sforza verso la luce del puro pensare e di nuovo ripiega per stanchezza. Contemporaneamente il dominio della passione furoreggia dispoticamente e perturba l'intera vita spirituale dell'uomo con tempeste contrarie, da una parte col timore, dall'altra col desiderio, da una parte con l'ansietà, dall'altra con una letizia vuota e ingannevole, da una parte con l'irritazione per una cosa perduta, dall'altra con l'orgasmo di averne una che non si aveva, da una parte con lo sdegno per una ingiustizia ricevuta, dall'altra con la brama bruciante di vendicarla. E da ogni parte può renderla meschina l'avarizia, farla sperperare la prodigalità, asservirla l'ambizione, gonfiarla la superbia, tormentarla l'invidia, renderla inerte l'indolenza, eccitarla l'ostinazione, affliggerla la sconfitta e le altre innumerevoli perturbazioni che rendono vario e attuale il dominio della passione. E possiamo noi infine considerare inesistente la pena che, come vedi, subiscono tutti coloro i quali non s'adeguano alla sapienza?

Stato originario di sapienza?

11. 23. E. - Penso che è una pena grave e assolutamente giusta se un individuo, già posto nelle altezze della sapienza, avesse scelto di discenderne e rendersi schiavo della passione. Ma è soltanto opinabile che vi possa esser qualcuno che abbia voluto o voglia fare tale scelta. Noi per fede accettiamo che l'uomo da Dio è stato creato e stabilito nella felicità con tale ordinamento al fine che l'uomo stesso per propria volontà è caduto nelle sofferenze della vita mortale. Tuttavia, quantunque io accetti questa verità con fede assai ferma, non l'ho mai raggiunta con un atto di ragione. E se tu pensi di rimandare per ora l'attento esame di questo argomento, lo fai contro il mio desiderio.

Ragione e volontà buona (12, 24 - 16, 35)

Il volere è immediato e innegabile.

12. 24. Mi turba soprattutto il problema del motivo per cui si devono soffrire pene tanto grandi perché si è insipienti, nell'ipotesi che mai siamo stati sapienti. Sarebbe più giusto dire che si soffre per avere abbandonato il dominio della virtù e avere scelto la schiavitù sotto la passione. Non consento che tu differisca di chiarire con una trattazione il problema, se ti è possibile.
A. - Parli come se avessi la certezza che mai si è stati sapienti, perché consideri soltanto il tempo da cui si è nati alla vita terrena. Ma la sapienza è nello spirito. È quindi un gran problema di ordine metafisico e da trattarsi a suo luogo se lo spirito ha vissuto un'altra vita prima della unione col corpo e se allora è vissuto nella sapienza. Ciò non impedisce che si chiarisca, nei limiti possibili, l'argomento che abbiamo fra mano.

La volontà buona e il bene.

12. 25. Ti chiedo allora se si ha in noi la volontà.
E. - Non lo so.
A. - Ma non vuoi saperlo?
E. - Non so neanche questo.
A. - Quindi non dialogare più con me.
E. - E perché?
A. - Prima di tutto perché, quando chiedi, non devo risponderti se non vuoi sapere ciò che chiedi. Inoltre se tu non volessi giungere alla sapienza, non si deve tenere con te un discorso su simili argomenti. Infine non potresti essermi amico se non volessi che io sia nel bene. Per quanto ti riguarda poi, te la vedrai tu se non hai alcun volere della tua felicità.
E. - È innegabile, lo ammetto, che abbiamo la volontà. Ma continua, vediamo un po' cosa ne concludi.
A. - Sì, ma dimmi prima se hai coscienza di avere anche la volontà buona.
E. - E che cos'è la volontà buona?
A. - È la volontà con cui si tende a vivere nella onestà morale e giungere alla perfetta sapienza. Ora esaminati se non tendi ad una vita moralmente onesta e se non desideri ardentemente di esser sapiente oppure se osi affermare che nel desiderare questi beni non si ha la volontà buona. E. - Non posso negare simili cose. Dunque ammetto che ho non soltanto la volontà, ma anche la volontà buona.
A. - E, scusa, quanto apprezzi questa volontà? Penseresti forse che le si possono mettere in confronto le ricchezze, gli onori o i piaceri sensibili o tutte queste cose insieme?
E. - Dio mi liberi da simile sciagurata pazzia.
A. - Ed è forse motivo di trascurabile godimento avere nello spirito un tale valore, intendo appunto la volontà buona, al cui paragone sono spregevoli i beni che abbiamo ricordati? Eppure si vede che un gran numero d'individui, per conquistarli, non rifiuta sofferenze e pericoli.
E. - È motivo di godimento, anzi di grandissimo godimento.
A. - E, secondo te, quelli che non sono in possesso di tale godimento, subiscono un danno leggero per la mancanza di tanto bene?
E. - Anzi gravissimo.

Volontà unico vero bene.

12. 26. A. - Puoi dunque già intendere, come penso, che si fondano sulla nostra volontà il possesso o la carenza di un così grande e vero bene. Che cosa infatti è così immediato alla volontà che la volontà stessa?. E chi ha buona la volontà ha un valore che si deve assolutamente anteporre a tutti i regni della terra e a tutti i piaceri sensibili. E chi ne è privo è privo certamente di un bene che, essendo più nobile di tutti i beni non dipendenti dal nostro volere, soltanto la volontà immediatamente potrebbe dargli. Costui si compiangerebbe come il più infelice di tutti gli uomini se perdesse una splendida fama, le grandi ricchezze ed altri beni terreni. E, sebbene sia ricolmo di questi beni, tu non lo compiangerai come il più infelice perché è intensamente attaccato a beni che può perdere e che non ha nell'atto che li vuole, mentre è privo della volontà buona che non si può confrontare con essi e che, pur essendo un grandissimo bene, basta soltanto volerlo per averlo?
E. - Sì, è vero.
A. - Con piena giustizia dunque gli uomini insipienti sono soggetti a simile infelicità, anche nell'ipotesi, peraltro discutibile e di ordine metafisico, che non furono mai sapienti.
E. - Son d'accordo.

Volontà buone e virtù.

13. 27. A. - Rifletti ora se è tua opinione che la prudenza è conoscenza razionale di cose che si devono desiderare e fuggire.
E. - Sì.
A. - E la fortezza è disposizione spirituale, con cui si disprezzano i disagi e la perdita di cose indipendenti dal nostro volere?
E. - Penso.
A. - Inoltre la temperanza è disposizione che frena e reprime il desiderio di cose che si desiderano disordinatamente. La pensi diversamente?
E. - Anzi la penso proprio come te.
A. - E come considereremo la giustizia se non come virtù per cui si distribuisce a ciascuno il suo?
E. - Non ho altra idea della giustizia.
A. - Ma poni che un individuo, il quale ha la volontà buona, della cui dignità da tempo stiamo parlando, con essa soltanto s'immedesimi per amore perché è il bene più alto che possiede, che di essa soltanto si diletti, che da essa tragga soddisfazione e godimento in quanto la tiene in pregio e ne apprezza il valore e che infine non gli possa essere sottratta né con la forza né con la lusinga contro il suo volere. Si potrà dubitare che egli si opponga a tutte le cose che son nemiche di questo unico bene?
E. - È logico che si opponga.
A. - E si può pensare che non sia dotato di prudenza egli che sa di dover desiderare questo bene ed evitare le cose che ad esso sono contrarie?
E. - Secondo me, è del tutto impossibile senza la prudenza.
A. - Bene, ma perché non gli accorderemo anche la fortezza? Infatti è impossibile che ami o stimi molto tutte le cose che non sono in nostro potere. Esse si amano con volontà cattiva, ma egli deve necessariamente resisterle perché è nemica del suo grande bene. Se non le ama, non si duole nel perderle e le disprezza addirittura. Ed è stato già logicamente dimostrato che questa è funzione della fortezza.
E. - Certo che dobbiamo accordargliela. Non so chi potrei considerare più veramente forte di colui che, con coscienza sempre eguale e serena, rimane privo di beni che non dipende da noi né conseguire né mantenere. Ed egli lo fa, come è stato detto.
A. - Considera se possiamo rifiutargli la temperanza giacché è la virtù che frena le passioni. Che cosa di tanto contrario dalla volontà buona che la passione? Ne concludi certamente che questo amatore della sua volontà buona si oppone con tenace resistenza alle passioni e che perciò giustamente si considera temperante.
E. - Va avanti, son d'accordo.
A. - Rimane la giustizia, ma non vedo come possa mancare a questo individuo. Chi ha ed ama la volontà buona e resiste alle cose che, come è stato detto, le sono contrarie, non può voler male ad alcuno. Ne seguirà che non fa ingiustizia, ma gli è impossibile non farla se non dà a ciascuno il suo. E ti ricordi, credo, di avere approvato quando ho detto che questa è competenza della giustizia.
E. - Me ne ricordo e ammetto che in questo individuo, il quale stima e ama la propria volontà buona, si trovano tutte e quattro le virtù, da te poco fa definite con la mia approvazione.

Volontà buona e felice.

13. 28. A. - Che cosa dunque ci impedisce di considerare moralmente degna la vita di questo uomo?
E. - Nulla, certamente, tutto ci invita a farlo, anzi costringe.
A. - E si può per qualche motivo ritenere che l'infelicità non si deve evitare?
E. - E principalmente, penso, anzi ritengo che altro non si deve fare.
A. - E certamente non ritieni che si deve evitare la dignità morale.
E. - Ritengo anzi che si deve conseguire con ogni impegno.
A. - Dunque la dignità morale non è infelicità.
E. - Sì, ne consegue.
A. - Dunque non ti rimane difficile, suppongo, affermare con certezza che la non infelicità è felicità.
E. - Evidentissimo.
A. - Stiamo stabilendo quindi che è felice l'individuo il quale ama la propria volontà buona e che in confronto disprezza ogni altro bene, la cui perdita possa avvenire, anche se persiste la volontà di possederlo.
E. - Perché non stabilire una conclusione se ad essa logicamente ci inducono le premesse accettate?
A. - Bene. Ma rispondi, ti prego: amare la propria volontà buona e considerarla tanto degna, come è stato detto, è buona volontà anche questa?
E. - Vero.
A. - E se con ragione si giudica felice costui, con altrettanta ragione non si giudica forse infelice chi è di opposta volontà?
E. - Con molta ragione.
A. - Che motivo si ha dunque di dover dubitare che, anche se in precedenza non siamo mai stati sapienti, per libera scelta si vive meritatamente una vita degna e felice, per libera scelta una vita indegna e infelice?.
E. - Ammetto che la conclusione è derivata da principi certi e innegabili.

Immediata la felicità nella volontà buona.

13. 29. A. - Esamina anche un altro tema. Credo che ricordi come abbiamo definito la volontà buona; mi pare che è stata definita quella con cui si tende a vivere secondo onestà morale.
E. - Sì, ricordo.
A. - Se dunque si amasse con dedizione la volontà buona con volontà ugualmente buona e si anteponesse a tutte le cose che avere non dipende dal volerle, ne consegue anche che le quattro virtù, come la dimostrazione ha accertato, orneranno lo spirito; e averle significa appunto vivere secondo onestà morale. Ne consegue che chi vuol vivere secondo onestà morale, se lo vuol volere in luogo dei beni caduchi, consegue un tanto bene con tanta immediatezza che il volere si identifica col conseguire l'oggetto voluto. 
E. - Ti devo proprio dire che a stento mi trattengo dal gridare di gioia perché all'improvviso mi appare un bene tanto grande e raggiungibile con tanta immediatezza.
A. - Ora il godimento, che sorge dal conseguimento di tanto bene, nell'atto che in una continua serenità e pace nobilita lo spirito, si dice appunto felicità, a meno di una tua opinione che felicità non coincida col godimento di beni veri e stabili.
E. - No, la penso così.

Desiderio di felicità e onestà.

14. 30. A. - Bene. Ma penseresti che ogni individuo non scelga deliberatamente e con pieno impegno la felicità?
E. - Che dubbio che ogni individuo la vuole?
A. - Perché allora non tutti la conseguono? Avevamo detto, ed era emerso dal nostro dialogo, che gli uomini per volontà meritano la felicità, per volontà l'infelicità, e così la meritano da conseguirla. Ora sorge non saprei quale controsenso e se non indaghiamo attentamente, esso rischia di invalidare la precedente dimostrazione tanto diligentemente convalidata. Come è possibile che per volontà s'incorra nell'infelicità se nessuno assolutamente vuol vivere nell'infelicità? O come si consegue per volontà la felicità se molti sono infelici e tutti vogliono esser felici? Si arriva forse al punto che altro è il volere buono o malvagio e altro meritare qualche cosa con volontà buona o malvagia. Ma in verità coloro che sono felici, e perciò anche necessariamente buoni, non sono felici perché hanno voluto vivere nella felicità - lo vogliono anche i malvagi - ma perché, a differenza dei malvagi, l'hanno voluto secondo ragione. Non c'è da stupirsi dunque se gli uomini infelici non conseguono il fine voluto, cioè la felicità. Non vogliono infatti allo stesso modo l'oggetto che le è congiunto e senza di cui non si può esserne degni e conseguirla, cioè vivere ordinatamente. La legge eterna, alla quale è tempo di ricondurre l'attenzione, con invariabile durata ha stabilito che il merito consista nella volontà, il premio e la pena nella felicità e infelicità. Pertanto quando si dice che per volontà gli uomini sono infelici, non si dice nel senso che vogliono essere infelici, ma perché si costituiscono in una volontà, alla quale, anche contro il loro desiderio, necessariamente segue l'infelicità. Dunque non si oppone alla precedente dimostrazione il tema che tutti vogliono esser felici e non lo possono; il fatto sta che non tutti vogliono vivere secondo ragione. Soltanto a tale volere è dovuta la felicità. Non hai nulla da obiettare, suppongo.
E. - No, nulla.

Due categorie d'individui e due leggi.

15. 31. Ma esaminiamo ormai come questi concetti attengano al problema già proposto delle due leggi.
A. - Sì; ma prima rispondimi sulla condizione di chi sceglie di vivere secondo ragione e se ne diletta al punto che per lui non è soltanto secondo ragione, ma anche sorgente di soddisfazione. Ama costui la legge eterna e la tiene in onore perché sa che in virtù di lei è data la felicità alla buona volontà, l'infelicità alla malvagia?
E. - L'ama con amore totale perché proprio col seguirla vive così.
A. - E amandola ama un oggetto mutevole e temporale ovvero stabile ed eterno?
E. - Certamente eterno e immutevole.
A. - Ed è possibile che coloro, i quali, perseverando nella volontà malvagia desiderano nondimeno di esser felici, amino una legge che proprio a tali individui commina giustamente la pena?
E. - No assolutamente, penso.
A. - E non amano altro?
E. - Anzi moltissime cose e quelle proprio che la volontà malvagia persiste nel raggiungere oppure conservare.
A. - Penso che alludi alle ricchezze, onori, piaceri, alla bellezza fisica e a tutti gli altri beni che è possibile non raggiungere pur desiderandoli o perdere pur non desiderandolo.
E. - Proprio questi sono.
A. - E ritieni che siano eterni, quantunque li veda in balia del fluire del tempo?
E. - Ma chi, anche se veramente pazzo, lo penserebbe?
A. - Dunque è chiaro che vi sono alcuni uomini amanti delle cose eterne ed altri delle temporali. Abbiamo stabilito inoltre che si danno due leggi, una eterna, l'altra temporale. Dunque se hai sentimento d'equità, fra le due categorie quali uomini giudichi subordinati alla legge eterna e quali alla temporale?
E. - Penso che la risposta sia a portata. Ritengo che gli uomini felici mediante l'amore ai beni eterni si pongono sotto la legge eterna, agli infelici invece viene imposta la temporale.
A. - Giudichi rettamente purché tu ritenga assiomatico il principio, già reso evidente dalla dimostrazione, che coloro i quali sono schiavi della legge temporale non possono esser liberi dalla legge eterna, da cui deriva, come abbiamo detto, tutto ciò che è giusto e che con giustizia è nel divenire. Comprendi poi con certezza, in quanto evidente, che coloro i quali mediante la volontà buona si conformano alla legge eterna, non hanno bisogno della legge temporale.
E. - Ammetto ciò che dici.

Funzione della legge civile...

15. 32. A. - Dunque la legge eterna ordina di distogliere l'amore dai beni temporali e volgerlo purificato ai beni eterni.
E. - Sì, certamente.
A. - E, secondo te, che cosa ordina la legge temporale se non che gli uomini posseggano, quando li richiedono per la soddisfazione del bisogno, quei beni che nel tempo si possono considerar propri con una norma tale che siano garantiti il rapporto e la società umana quanto è possibile in questo ordine di cose? Tali beni sono appunto, prima di tutto il corpo e quei fattori che sono considerati i suoi beni, come la salute, l'integrità dei sensi, le forze, la bellezza e altri se ve ne sono, alcuni indispensabili alle arti superiori e quindi più pregevoli e altri più ordinari. Viene in secondo luogo la libertà. Preciso che è vera libertà soltanto quella degli uomini felici e osservanti della legge eterna. Adesso però sto parlando della libertà per cui sono considerati liberi gli individui i quali non sono proprietà di altri individui e che è desiderata da coloro che vogliono essere emancipati dagli individui di cui son proprietà. In terzo luogo sono i genitori, i fratelli, il coniuge, i figli, i parenti, gli affini e familiari e tutti quelli che sono a noi congiunti con qualche vincolo. In quarto luogo la società civile che di solito è considerata una patria, e in essa gli onori, il prestigio e quella che si dice la celebrità. Infine viene la ricchezza. Con questo termine si comprendono tutte le cose, di cui siamo giuridicamente proprietari e nei cui confronti manifestiamo di avere il potere di vendere e donare. È arduo e lungo, e in definitiva non necessario al nostro intento, spiegare come la legge temporale, nell'ordine di questi beni, distribuisca a ciascuno il suo. Basta precisare che il potere coattivo della legge temporale si riduce a privare il reo dei beni suddetti o di parte di essi. Dunque reprime col timore e per raggiungere il proprio fine esercita una norma costrittiva sulla coscienza degli infelici, al cui ordinamento è stata predisposta. Ed essi, nell'atto che temono di perdere questi beni, nell'usarli osservano una determinata norma adatta al vincolo civile, quale può essere costituito da individui in quelle condizioni. Ma la legge non reprime la colpa quando si amano le cose temporali, ma quando si sottraggono illegalmente agli altri. Rifletti dunque se siamo giunti alla soluzione che sembrava senza limiti. Eravamo partiti appunto col chiederci in quali limiti la legge, con cui si amministrano i cittadini e gli stati, ha il diritto di punire.
E. - Sì, vi siamo giunti, lo veggo.