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Lettera IV IL SANTISSIMO SACRAMENTO DELL’ALTARE


Gesù, confido in Te! 06. 08 1942. Carissime Sorelle in Cristo,

Visitando otto anni fa la Terra Santa, sono rimasto particolarmente impressionato dalla vista, sul Monte Tabor, del luogo della Trasfigurazione del Signore. Il Signore Gesù, consapevole dell’avvicinarsi della Sua passione, volle consolidare nella fede nella sua divinità gli apostoli prescelti (Pietro, Giacemmo e Giovani) e si manifestò loro in tutto lo splendore della Sua gloria e della maestà. Offrendo in quel luogo a Dio il sacrificio incruento, mi sono ricordato, o meglio, mi sono reso conto che il Cristo Signore fa il miracolo della Trasfigurazione ogni giorno, non solo davanti agli Apostoli prescelti, ma davanti a tutti i presenti, in tutti i nostri santi templi, durante 
la santa messa, ove, benché non manifesti apertamente lo splendore della Sua gloria e maestà, operando la transustanziazione del pane in carne e del vino in sangue, risveglia la nostra fede agli stessi sentimenti che ebbero gli apostoli sul Monte Tabor.

Il Santissimo Sacramento è la manifestazione dell’illimitata misericordia di Dio. La misericordia di Dio consiste nel rivolgersi del creatore alle creature, allo scopo di farle uscire dalle miserie e cancellare le mancanze.

Ebbene, nel santissimo sacramento dell’altare, la parola eterna, “per la quale tutto si è fatto”, non solo si rivolge, ma si offre come dono perfetto alla gente, donandosi continuamente con la Sua somma saggezza, potenza e generosità. “Prendete e mangiatene, questa è la mia carne” – dice il Salvatore.

Com’è straordinaria questa espressione! Nutrirsi di Dio, incarnare in sé Dio, diventare il tabernacolo vivente di Dio, ricevere il corpo di Gesù, il quale morì sulla croce, giacque nella tomba, salì al cielo, siede alla destra del Padre, ove è la gioia degli angeli, la gloria del cielo, lo stupore degli spiriti benedetti. Assieme al corpo c’è il sangue, l’anima e la divinità, che ne sono inseparabili. “Fate questo in memoria di me” – cioè prendete il pane, dite come dico io: “Questo è il mio corpo” e, in quel momento, il pane diventerà il Mio corpo sulle mani di tutti i sacerdoti senza eccezione, perché la potenza delle Mie parole non dipende dai meriti di colui che le pronuncia.

Questo sarà il Mio corpo per tutti i secoli, in tutti i luoghi, Mi moltiplicherò su milioni di altari, in miliardi di ostie e particelle, però in ognuna rimarrò intero, vivo, presente con umanità e divinità. Come si può estrinsecare la perfezione di quel dono misericordioso, come paragonarlo con qualunque altro? Gli altri doni di Dio, anche tutti i sacramenti trapassano, ma il santissimo sacramento è un dono continuo che dura in ogni momento, sia di notte sia di giorno, fino alla fine dei tempi. Egli rimane con noi pronto ad ascoltarci, continua ad intercedere per noi presso al Padre celeste, a contemplare le Sue perfezioni, a lodarle, si umilia nel nostro nome per dare gloria a Dio, continua a ringraziare nel nostro nome, implora il perdono dei nostri peccati, ricompensa e rende soddisfazione, incessantemente si offre come il nostro mediatore davanti al Padre celeste, per allontanare il colpo della giustizia ed ottenere la misericordia.

Quando il nostro emisfero è sommerso nel sonno, nell’altro emisfero i sacerdoti tengono in mano l’olocausto per i peccati del mondo. In tal modo il nostro mediatore è continuamente sospeso tra il cielo e la terra dinanzi al Padre celeste, coprendo il mondo peccaminoso con le sue piaghe come lo vide suor Faustina in un’estasi. Noi lo dimentichiamo, Egli non cessa di ricordarsi di noi; noi lo offendiamo, Egli persiste ad offrirsi per noi; noi lo attristiamo, Egli ci consola; noi cadiamo sotto i colpi delle tentazioni, Egli continua ad alzarci, ci fortifica e ci chiama:“Venite da me che siete affaticati ed oppressi ed io vi darò sollievo”. Possiamo, perciò, arguire che il Santissimo Sacramento è un dono continuo della misericordia; che il nostro cuore sarebbe duro, se non si spronasse all’amore ed alla gratitudine sempre più grande verso Gesù, nostro Signore e la santa comunione, ricevuta in maniera sempre più dignitosa. Ella è un tesoro infinito di grazie che possiamo ricavare ininterrottamente senza mai diminuire, con cui possiamo ripagare i nostri debiti e soddisfare le nostre necessità e quelle del mondo intero.

La misericordiosa offerta da Cristo, nostro Signore alla gente, nel santissimo sacramento, è la manifestazione della saggezza, della potenza e della generosità divina. La saggezza sta nel trovare il fine adeguato ed i mezzi che consistono in tutto ciò che troviamo nel sacramento dell’Altare. Il Signore Gesù è tornato al Padre, però non ci abbandona, ha nascosto il suo splendore sotto il velo eucaristico, donandoci la possibilità di esercitarci con fede in ciò che non vediamo, ci insegna, indossando su di Sè la semplice forma del pane, la semplicità e la modestia nel modo di vestirci, ci insegna l’umiltà, la vita nascosta, il distacco dal mondo, il sacrificio e il rinnegamento della propria volontà, nell’obbedienza, il rinnegamento dei beni materiali, nella povertà; ricevendoLo sotto la forma di nutrimento, c’incoraggia ed esercita non solo a rimanere strettamente uniti a Lui, ma a lasciarci costantemente trasformare e edificare. La saggezza eterna ci ha preparato una lezione esplicita sulla misericordia di Dio, che continua a persistere, a rialzare l’uomo volto a partecipare alla vita divina ed all’unione sempre più stretta col Redentore.   

La potenza divina si manifesta nei miracoli che si ripetono continuamente nel santissimo sacramento: il miracolo della trasfigurazione del pane nell’essenza del corpo di Cristo e del vino nell’essenza del Suo sangue, il miracolo della presenza Sua sugli altari, senza cessare di rimanere nel cielo, il miracolo della Sua presenza in ogni particola, anzi, in ogni particella, il miracolo della forma del pane e del vino che mantengono il proprio gusto e colore, il miracolo che tutto ciò succede dopo che il sacerdote ha pronunciato sull’altare le parole di consacrazione. Sant’Agostino, riflettendo sulla potenza divina che si manifesta nel sacramento dell’altare, escalmò: “Iddio, benché Tu fossi il più saggio, non potresti fare niente di migliore; sebbene Tu fossi onnipotente, non potresti fare niente di più perfetto; ancorché Tu fossi il più ricco, non avresti niente di più prezioso che il Santissimo Sacramento”. San Giovanni apostolo, nel suo Vangelo, fin dall’inizio, parla della Parola Eterna, che si fece carne e venne ad abitare in mezzo noi e, cominciando il racconto dell’Ultima Cena, in cui fu instaurato il Santissimo Sacramento, innanzitutto ricorda che Dio  Padre aveva dato, nelle mani del Figlio, ogni potenza e forza.

Riconosciamo la generosità di uno che ci ama dal dono offertoci, particolarmente quando non c’è dovuto e quando non aspettiamo niente da costui. Da Gesù nostro Signore non c’è dovuto niente; nonostante ciò, Egli ci dona non solo le grazie, ma se stesso. Ci si dona in un modo che rovescia tutte le leggi della natura, tramite i miracoli più straordinari, umiliandosi per la sua misericordia, sopportando disonore, insulto, sacrilegio, come risulta dal giorno in cui ha stabilito il santissimo sacramento. Che cosa aspettava? Sapeva che dalla gran parte della gente avrebbe ottenuto indifferenza, tiepidezza, abbandono, talvolta le peggiori insolenze e bestemmie. Malgrado 
ciò lo accettò per la sua misericordia.            

Mediante il sacramento dell’altare, continua a mantenersi la relazione tra il cielo ed il purgatorio. Per un verso il Salvatore, nell’offerta della santa messa, si dona al Padre celeste per l’umanità, per alto verso il Padre celeste ci dona il Suo Figlio nella santa comunione, la cui l’efficacia si stende su vivi e morti. Ai vivi dà forza, consolazione e gioia, alle anime sofferenti nel purgatorio, tramite le nostre preghiere, dà sollievo, li addolcisce nelle sofferenza. L’esperienza ci convince di questa verità. L’anima che vede che Dio le si dona per prima, sente come la cosa giusta donarsi a Lui completamente. Non solo lo desidera, ma è piena di buona volontà e di santo zelo che 
la trasformano, che le fanno trovare la gioia, nei sacrifici, e la forza, per superare gli ostacoli. 
Il Sacramento dell’Altare non solo rialza l’anima, ma anche indebolisce il nemico, perché come dicono i Padri del Concilio di Trento, indebolisce il fuoco della passione e decresce l’impulso della carne.

Oh, quale tristezza ci sarebbe stata senza il santissimo sacramento! Nelle Chiese niente  avrebbe parlato al nostro cuore (come si vede nelle chiese protestanti). Il mondo sarebbe stato un esilio senza la consolazione nelle sofferenze, senza la luce nelle tenebre e senza consiglio nei dubbi. Il Santissimo Sacramento, invece, cambia tutto in gioia: le chiese diventano il paradiso, ove si può pregustare la patria ed ove si può inneggiare con il salmista: “Quanto sono amabili le tue dimore, \ Signore degli eserciti! \ Il mio cuore e la mia carne \ esultano nel Dio vivente.”(Sal 84, 2.3b) 
Come siamo felici malgrado le calamità dell’ambiente. Come siamo sicuri, nonostante i pericoli. 
Come siamo ricchi, anche se la miseria ci circonda! Come siamo forti, malgrado l’enormità dei nemic! Come siamo gioiosi, a dispetto del fiume di lacrime! Come sono straordinarie la gloria e grandezza in noi, nonostante l’umiliazione e il disprezzo. Dio ci rende onore, scendendo dalla dimora della Sua gloria per poterci visitare ed esserci compagno nel nostro pellegrinaggio. Per Sua misericordia, ogni giorno si ripetono questa discesa e visita Sua in tutti i templi: anche adesso, in vari posti, Egli si fa  quasi prigioniero solitario perché possiamo avere facile acceso a Lui, perché Egli possa ascoltare le nostre richieste. Quale questa gloria è per noi!

Tramite il Santissimo Sacramento si realizza la comunione dei santi sulla terra, nel cielo e nel purgatorio. Come due misure equivalenti ad una terza sono uguali tra di loro, così tutte le anime che ricevono lo stesso corpo del Salvatore nell’unico amore di un solo sposo, si uniscono strettamente, nonostante lo spazio terreno ed il diverso stato di vita dopo la morte. In Lui ci uniamo con i santi nel cielo, da cui otteniamo aiuto. In Lui ci uniamo anche con le anime del purgatorio ed a loro assicuriamo consolazione e refrigerio. “Per ipsum, cum ipso, et in ipso” – per Cristo, con Cristo ed in Cristo si realizza la comunione dei santi come professiamo nel nostro Credo.

I santi nel cielo gioiscono soprattutto per l’umanità di Cristo, sempre presente anche nel santissimo sacramento, per il Suo dolcissimo volto, sorgente di ogni loro bellezza, bontà e felicità, per il Suo cuore, la cui la misericordia essi hanno sperimentato su di sé. Gioiscono delle Sue ferite, attraverso le quali leggono con quale prezzo sono stati ripagati i loro tradimenti. Come un naufrago sopravvissuto, quando già nel porto, con gioia e gratitudine, rinfrancato dal timore dei pericoli passatiti, si stringe ai piedi di colui che si è gettato nella corrente per salvarlo,  con lo stesso trasporto essi inneggiano quegli inni di ringraziamento che Giovanni sentì e scrisse nell’Apocalisse: “A Colui che siede sul trono e all’Agnello lode, onore, gloria e potenza, nei secoli dei secoli” (Ap 5, 13) “(…) perché sei stato immolato e hai riscattato per Dio con il tuo sangue uomini di ogni tribù, lingua, popolo e nazione e li hai costituiti per il nostro Dio un regno di sacerdoti e regneranno sopra la terra.” (Ap 5, 9). Anche noi sulla terra gioiamo della presenza del Cristo-Uomo sui nostri altari e, pur non vedendoLo direttamente, grazie alla fede, vi ritroviamo i Suoi tratti con le perfezioni divino-umane e, tramite Lui, ci uniamo ai santi nel cielo e alle anime che del purgatorio, sotto la sua giustizia, e intercediamo per loro alla Sua misericordia.

Nel santissimo sacramento veniamo continuamente innondati dalla misericordia di Dio. Ciò 
ci obbliga a rispettarLo e amarLo, a fare la santa comunione di frequente ed in modo degno, 
a visitarLo nella Chiesa.

Quanto è terribile questo luogo!” (Gn 28, 17) disse Giaccone, dopo essersi svegliato dal sonno in cui aveva visto la scala che univa la terra al cielo. Tanto più può rispettare queste parole un cristiano credente di fronte al tabernacolo, in cui viene conservato il santissimo sacramento. “Questa è proprio la casa di Dio” (Gn 28, 17), cui si deve la somma gloria. Quanto più il Signor Gesù si umilia nel santissimo sacramento, tanto più dobbiamo renderGli onore.

Il Padre celeste ce ne diede esempio, quando fece scendere gli angeli verso la mangiatoia 
del figlio, perché onorassero il re dei re e perché annunziassero la Sua gloria a quanti abitavano nelle vicinanze. Sulle rive del Giordano aprì il cielo e rese testimonianza ai peccatori del Suo amatissimo figlio, di cui si era compiaciuto. Quando la malizia umana Lo inchiodò in croce e Lo coprì di sommo disprezzo, il Padre celeste fece oscurare tutta la terra, resuscitare i morti, mentre un terremoto  spezzava le rocce. Questo ci spiega quanto grande dovrebbe essere il nostro amore nei confronti del Signore Gesù, che si è umiliato nel santissimo sacramento, perché lì davvero si è voluto umiliare. Nella mangiatoia almeno aveva la forma di un neonato, sulla croce conservava la forma umana,
invece qui non ha più niente di simile all’uomo e tanto meno a Dio. Agli occhi umani ha una forma poco pregevole, in cui, comunque, è nascosto un raggio della stessa grandezza che illuminò Mosè sul Monte Sinai ed i discepoli sul Monte Tabor. Questa particola sulla patena contiene Dio infinito, che i cieli non sono in grado di racchiudere 
in se stessi. Quanto grande è la Sua umiliazione, per cui tante anime pie, tra cui suor Faustina, videro gli eserciti degli angeli rendere onore senza sosta al re dei cieli, ivi nascosto, come san Giovanni Evangelista quando vide ventiquattro vegliardi con quattro esseri viventi di fronte al trono (Apocalisse 4 e 5.6)!

Tutto questo ci fa capire quale dovrebbe essere il nostro rispetto nei confronti del santissimo sacramento. Qui, davanti al quale tutto il cielo trema e Gli rende onore, possiamo noi stare con la mente dispersa ed il cuore indifferente, con un vestito inadeguato e futile?. Non siamo soltanto i servi del Signore, ma anche debitori di fronte al giudice, creature difronte al creatore. Noi siamo polvere e cenere della terra. Perciò santa Teresa di frequente ripeteva in monastero: “Mie sorelle, dovreste essere di fronte al Santissimo Sacramento come le anime benedette nel cielo”. Suor Faustina, invece, di fronte al santissimo sacramento sempre, quando nessuno la guardava, rimaneva in ginocchio con le mani incrociate. Da un tale rispetto esteriore sgorga l’effusione della pietà interiore, perché un atteggiamento esteriore influisce sul raccoglimento, e Dio lo ripaga subito e rende in sovrabbondanza all’anima la grazia della pietà e dello zelo. Da un tale rispetto deriva anche l’insegnamento necessario al prossimo, un certo tipo di apostolato verso coloro che ci osservano. All’opposto la mancanza di rispetto in chiesa o cappella, troppa libertà, sussurrio raffreddano 
ed inibiscono la pietà negli altri e, in certi casi, causano titubanza nella fede.

Il nostro secondo obbligo verso il santissimo sacramento è l’amore nei confronti di Gesù Cristo, 
ivi  presente. Molte le ragioni. Lì è presente il padre della misericordia, Dio, degno d’amore tanto sulla terra quanto in cielo, ove gli angeli ed i santi, proprio nell’amarLo, trovano la più grande felicità. Lì è presente Dio, per la Sua misericordia, quale gli angeli non hanno sperimentato su loro stessi, come noi, per Sua misericordia. La riflessione su questo è il mezzo migliore per risvegliare l’amore. Lì è presente Dio-Uomo, il più bello ed il più perfetto tra i figli dell’uomo. Questa presenza di Cristo tra gli uomini ha, per alcuni aspetti, di più ragione di essere che quella in cielo. Perché nel cielo non viene umiliato, si trova al Suo posto, all’apice della gloria, che riceve dagli angeli e dai santi per i quali, come ho già detto, la sua umanità è fonte di felicità permette inesprimibile. Qui per sua misericordia discende dall’alto, si dona ai peccatori, che non lo amano, di parlare con Lui, di riceverLo, pur esposto a disprezzo, ingiuria e sacrilegio. Nel cielo è come il re sul suo trono, invece qui si fa la vittima per i peccatori,  per i servi che si sono ribellati; si fa il mediatore che implora la misericordia e li protegge dalle pene divine. Oh, come siamo poco o niente riconoscenti, se non siamo pieni d’amore verso il nascosto prigioniero eucaristico, a cui ci abituiamo e che totalmente dimentichiamo! Per questo bisogna esaminare il proprio comportamento ed imitare Santa Maria Maddalena de Pazzi, Santa Catterina di Siena, Santa Teresa e gli altri cuori giusti che avevano un grande amore verso il Santissimo Sacramento.

L’amore dovrebbe dare un valore ad ogni momento che possiamo trascorrere in adorazione 
in chiesa oppure almeno col pensiero volto al Santissimo Sacramento, durante il lavoro. L’amore ci spinge a fare un’ora santa, durante la giornata o almeno per settimana, dove offrire tutte le nostre azioni (preghiere, impegni, passatempi) al prigioniero eucaristico, in espiazione dei peccati. L’amore fa sì che, nonostante i lavori più impegnativi, l’anima si unisca a Lui con le giaculatorie. Gli offre le sue sofferenze, umiliazioni, difficoltà e pesi. Prima di tutto l’amore ci prepara ad ascoltare degnamente la santa messa, durante la quale viene celebrata l’eucarestia e si compie quella meravigliosa trasfigurazione che ci spinge alla nostra trasfigurazione interiore, ad estirpare i vizi, le imperfezioni e tanto di più i peccati e ad innestare e praticare le virtù che sono necessarie, anzi indispensabili a rinnovare l’immagine e la somiglianza divina. Lo potremo fare esclusivamente in unione con Cristo Signore, se Lo riceviamo spesso e devotamente nella santa comunione.            

Il terzo obbligo nostro verso il Santissimo Sacramento comporta l’impegno a una frequente 
e degna comunione, che è un mezzo salvifico sia per l’ anima sia per il corpo. Anche se il peccato originale viene tolto con il santo battesimo e i peccati commessi col sacramento della penitenza, nella natura umana rimangono le ferite dell’ignoranza, la ferita della debolezza e dell’inclinazione al male della volontà, le ferite della concupiscenza carnale, dei desideri e del disordine in tutta la natura, in cui non c’è più armonia tra le facoltà spirituali e corporali: le facoltà corporali disobbediscono alle facoltà spirituali, le quali, a loro volta, disobbediscono alla volontà divina. Nessuno con i propri sforzi è in grado di far ritornare tale armonia.

Soltanto la cura divina, che agisce piano piano, come un rimedio, può arrivare a tal fine. 
Tale cura sta nel ricevere frequentemente la santa comunione, perciò il Signor Gesù disse: “Io sono il pane vivo disceso dal cielo. Chi mangia di questo pane vivrà in eterno”, vivrà qui, sulla terra, una vita piena, armoniosa, divino-umana e, dopo la morte, nella gloria eterna. “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, anche se muore, vivrà in eterno”.
Tramite la santa comunione ci uniamo in modo il più stretto possibile con il Signor Gesù – Dio abita in noi e noi in Lui, noi ci trasformiamo in Lui fino a diventare, si può dire, un solo corpo ed un solo sangue. Colui che Lo riceve degnamente è come un altro Cristo; non perché Cristo si sia trasformato in noi, ma perché noi ci trasformiamo in Lui. RicevendoLo di frequente, ci rendiamo conto che non è accettabile che la nostra lingua, su cui si poserà il corpo di Gesù, sparli oppure dica parole senza pensare; che il nostro corpo, che sarà il vivo ciborio del santissimo sacramento, sia inquinato dalla lussuria anche se minima; che il cuore, che diventerà dimora divina, abbia accesso a ciò che non è santo e puro. Perciò si capisce che la santa comunione smorza le concupiscenze, estingue il fuoco del desiderio e così guarisce la nostra impotenza spirituale. La donna che soffriva di emorragia era sicura che sarebbe stata guarita dopo aver toccato il lembo del mantello del Salvatore. Quanto di più coloro che non solo ne toccano la veste, ma decorosamente ricevono il Corpo ed il Sangue del Signor Gesù. Le parole sono inadeguate e inefficaci, bisogna vivere e sperimentare i benefici del frumento degli eletti e del vino che dà la vita alle vergini, come dice l’autore ispirato: “Chi  mangia di me, vivrà per me”. Ciò significa che la sua vita non sarà più la vita né terrena, né carnale, ma la vita di Cristo Gesù; ne imiterà umiltà, purezza, obbedienza, mitezza, povertà e pazienza. Potrà ripetere con l’Apostolo Paolo: “Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me”. San Brnardo, invece, dice: “Se sperimenti meno rabbia, invidia, impurità e le altre ingiurie, ringrazia di tutto ciò il Santissimo Corpo di Cristo Gesù”.

Per ottenere buoni effetti, bisogna ricevere il santissimo sacramento degnamente. Soprattutto bisogna prepararsi bene, sia per il Signore sia per noi stessi; per il Signore, perché stiamo per ricevere il re dei re, per noi stessi invece, perché la comunione, senza preparazione, è causa di condanna. Non è possibile leggere senza tremore la parabola evangelica sul commensale al banchetto nuziale, che, privo dell’abito nuziale, fu gettato fuori, con le mani e i piedi legati, 
nelle tenebre, ove è pianto e stridore di denti. Questo abito nuziale è, per noi, la grazia santificante, cioè la libertà dal peccato mortale e l’intenzione pura. I peccati veniali, che senza la grazia particolare non si possono evitare, 
non sono in sé un ostacolo, perché il Signor Gesù li toglie con la Sua presenza. Se non sono volontari, commessi con consapevolezza e volontà cattiva (per esempio l’attaccamento alle creature dovuto dalle occasioni liberamente scelte, le piccole rabbie, maldicenze ecc.), possono talvolta costituire un ostacolo che almeno abbassa se non toglie addirittura gli effetti buoni della santa comunione. Bisogna, allora, prendere su serio quel grande pensiero: “Mi preparerò alla santa comunione e perciò durante questa preparazione decido di compiere devotamente tutte 
le mie azioni di sera, di notte e di mattino; occorre compiere di frequente atti d’amore verso Dio 
e chiedere se stessi chi è Colui che verrà a me e perché  lo farà? Chi sono io?”. Alla fine bisogna risvegliare in sé il desiderio di ricevere il Signore Gesù e, quando non lo sentiamo, chiedere questa grazia, offrendo in cambio l’atteggiamento della Santissima Vergine e di tutti i santi.

Ricevendo la santa comunione, bisogna risvegliare l’ atto di fede, di speranza e carità, dolore, desiderio ed avvicinarsi con la grandissima umiltà, piena di rispetto, ripetere, non solo con e labbra ma con attenzione, le parole del centurione oppure quelle del figlio prodigo: “Ho peccato contro il Cielo e contro di te, non sono più degno di essere chiamato tuo figlio” (Lc 15, 19). L’amore pieno di fiducia sarà il coronamento della preparazione ed accompagnerà lo stesso atto. Talvolta non sperimentiamo tale amore, allora possiamo chiederlo con fiducia: “Gesù, confido in Te” Tuttavia l’amore di Dio non sta nel sentimento, ma si racchiude nella volontà e nella disponibilità a servirLo e dedicarsi totalmente a Lui.            

Subito dopo la santa comunione, evitiamo di parlare e, nel raccoglimento, ascoltiamo ciò che 
ci dice Gesù Cristo in un momento così prezioso e seguiamo il movimento della grazia. Dopo risvegliamo in noi l’atto di adorazione, di meraviglia e amore. Umiliamoci di fronte all’infinita grandezza del Salvatore, offriamo lode agli angeli e ai santi per completare i nostri onori indegni. Restiamo affascinati dalla misericordia di Dio che si abbassa alla miseria della creatura. Desideriamo appartenere solo a Gesù, rinneghiamo tutto ciò che è terreno. 
Successivamente manifestiamo un atto di ringraziamento per quell’inesprimibile misericordia e supplichiamo lo stesso Salvatore affinché ringrazi il Padre celeste da parte nostra, che siamo indegni. Chiediamo con semplicità e fiducia, presentiamo a Lui sinceramente le nostre miserie e le varie mancanze, le necessità del prossimo, dei compatriotti dispersi nel mondo intero e dei sofferenti, le necessità dei  nemici e alla fine quelle di tutto il mondo. Questo è un momento in cui possiamo chiedere e ricevere tutto. Poi possiamo offrire noi stessi, tutto ciò che abbiamo e che siamo perché ci guidi secondo la Sua volontà. Alla fine facciamo un proposito adeguato, che dovrebbe essere frutto della santa comunione. Tali atti dovrebbero durare circa mezz’ora. Si può accorciare quel tempo solo in caso di urgenza però, anche in tal caso, bisogna continuare, di ritorno dalla chiesa oppure durante il lavoro o durante un dialogo inevitabile con un’altra persona. Diamo importanza al ringraziamento dopo la santa comunione, perché lo esige la religiosità, la gratitudine ed il nostro proprio interesse, perché in questi momenti l’anima sperimenta la più grande dolcezza nel rapporto col Signore Gesù. Allora Egli è disposto ad illuminarla molto volentieri, a riscaldarla, commuoverla, allora quel sacramento porta i frutti. Chi trascura il ringraziamento, ostacola la grazia, imita un povero che non vuole accettare l’elemosina che un ricco gli sta per dare.

La comunione senza la preparazione e senza il ringraziamento adeguato non solo non porta frutto, ma anche danno, causando la tiepidezza spirituale volontaria. Allora colui che la riceve non esce dai vizi, non fa progresso nel cammino della virtù, abusa delle grazie divine di cui dovrà rendere conto. Per tale anima la religione non rappresenta nessun valore, diventa fredda, come marmo, insensibile e dura, come una pietra. Tale uomo non fa nessun tipo di penitenza, cerca la consolazione nelle creature, non pensa alla santificazione ed è incline alla caduta. “Perché tu sei tiepido, cioè nè caldo nè freddo” dice lo Spirito Santo (Apocalisse 3,16).            

Attualmente tante persone rimangono senza la santa comunione nei luoghi lontani dalle chiese 
e dai sacerdoti, per esempio in prigione, in lavoro, durante le vacanze ecc. Ciononostante si può usufruire dei frutti buoni di cui parlavo sopra ricevendo la comunione spirituale. Essa consiste nel fervente desiderio di ricevere il Signore Gesù, mossi da un amore che ci riempie il cuore. Quella comunione di desiderio, chiamata la comunione spirituale, è molto utile all’anima, perché risveglia l’inclinazione alle cose divine ed il desiderio a una vita perfetta, dà la forza di esercitarsi nelle virtù e talvolta porta più profitto della stessa comunione sacramentale, se ricevuta con meno amore. Oltre a ciò può essere ricevuta in qualsiasi luogo, non solo nelle chiese e nella cappella, ma anche a casa, durante il lavoro ed, in modo particolare, durante la visita del santissimo sacramento. Il modo di ricevere la santa comunione è il seguente: in quel momento ci raccogliamo e col pensiero ci mettiamo di fronte al tabernacolo dove è racchiuso il santissimo sacramento. Risvegliamo gli atti di fede, di speranza, di amore, di dolore, di lode e di desiderio. Raffiguriamo con il pensiero il sacerdote che ci dà il santissimo sacramento. RiceviamoLo in spirito con grande umiltà, rispetto ed amore fiducioso. Rendiamo poi grazie, come dopo la Comunione sacramentale. Proprio con la comunione spirituale l’angelo del Signore nutrì suor Faustina tredici volte durante la sua malattia, rivelandole come fosse gradita a Dio tale pratica, che voi, serve della misericordia di Dio praticherete e verso cui incoraggerete altre anime di buona volontà.

La visita al santissimo sacramento è il nostro quarto obbligo verso Gesù, prigioniero eucaristico. Se Gesù fosse venuto visibilmente in un luogo sulla terra, come fece in Giudea, e lì avesse parlato con quelli a cui Egli avesse fatto una visita, senza dubbio avremmo considerato obbligo, ma anche motivo di gioia poter raggiungerLo. E se si fosse seduto tra di noi, nella nostra città, ed avesse detto: “Venite a me, mi piace molto intrattenermi con voi”, sicuramente avremmo considerato degno di pena colui che non Gli fosse andato incontro. La fede, però, ci assicura che in ogni santissimo sacramento abbiamo lo stesso Gesù, davanti al quale si sono presentati i tre magi 
per prostrarsi alla Sua presenza, davanti al quale si inginocchiano tutti gli angeli e che ci invita: “Venite da me tutti”, “Chiedete e vi sarà dato”, “I miei tesori sono inesauribili”. “Qui riceverete le grazie non solo per voi stessi, ma anche per i vostri vicini, per le anime del purgatorio e per il mondo intero”. La chiesa ci incoraggia a tale pratica.            

Il modo presentarci a visitare il Signore Gesù nel santissimo sacramento può variare, però sempre deve esserci la pietà esteriore ed interiore. La prima è condizione indispensabile alla seconda, la quale, invece, condiziona la possibilità di trarre profitto dalla visita. Prima dobbiamo raccoglierci e risvegliare la gioia di poter passare un attimo in compagnia con Signore Gesù. Successivamente rendiamo lode esteriore ed omaggi interiori. Dopo parliamo con Gesù, con  semplicità, di tutto ciò che ci indica il cuore, esprimiamo la nostra gioia e tristezza, le difficoltà 
e le preoccupazioni. E se non sappiamo che cosa dire, esprimiamoci con semplicità, umiliandoci di fronte a Lui nellanostra miseria, Gli presentiamo le nostre richieste, quali mendicanti ai piedi di un ricco, le nostre necessità e quelle della chiesa, quelle della patria, del nostro popolo, del prossimo e dei nemici. Passiamo di seguito a riflettere sulla vita del Salvatore nel santissimo sacramento, sulla lode che Egli rende al Padre, sulla Sua misericordia, mitezza e pazienza verso gli uomini, sulla Sua umiltà, povertà e mortificazione, e facciamo il proposito di vivere secondo nobili esempi. Allontaniamoci dal santissimo sacramento, lasciamo il nostro cuore nel ciborio e controlliamo i sensi per non dissipare e disperdere le grazie ricevute. Se il tempo ce lo permetta, recitiamo una diecina del rosario. Compiendo i suddetti obblighi verso il santissimo sacramento, voi, quali serve della misericordia di Dio diventerete sempre più perfette, trasformandovi interiormente. A questo invita il Signore Gesù nella Sua trasfigurazione, in ogni santa messa. Vi auguro questo e con questa intenzione prego  per voi senza sosta. Dedicato a Dio da don Michele

 

Lettera V  LA DIREZIONE SPIRITUALE

Gesù, confido in Te! Carissime sorelle in Cristo, 

La solennità di Cristo Re dell’universo ricorda al mondo che Gesù, nostro Signore, è il sommo sovrano sulla terra, alla cui l’autorità sono sottomessi ogni uomo, ogni società, ogni nazione e ogni stato, che inoltre Egli governa ogni anima, particolarmente quella che aspira alla perfezione, pur tramite il suo vicario, confessore oppure padre spirituale. Perciò, quando Paolo si convertì, Gesù stesso non gli rivelò i Suoi progetti, ma lo rimandò da Anania, perché sentisse dalla sua bocca quanto doveva fare.

La perfezione è una lunga ed ardua scalata in alto, su un ripido sentiero, circondato da  abissi. Avventurarsi in quel percorso, senza una guida esperta, è una grande imprudenza, perché è molto facile lasciarsi trascinare dalle illusioni, per quanto riguarda lo stato dell’ anima. Occorre un medico spirituale, capace di diagnosticare lo stato di salute della nostra anima, per poterci indicare un rimedio efficace. Poichè non siamo neppur in grado di essere artefici della nostra propria salute corporale, tanto di più non lo siamo di quella spirituale.

Il direttore spirituale è necessario ai principianti, perché li sostenga nell’esercizio della penitenza e ne attenui il fervore iniziale, perché, nei momenti delle consolazioni spirituali, li avverta che esse non dureranno per sempre, viceversa, nel momento del dubbio, li consoli, calmi e fortifichi, spiegando che la desolazione spirituale è un mezzo ottimo per consolidare l’anima sulla via della virtù e per purificare il nostro amore. Tanto di più occorre il padre spirituale sulla via illuminativa, per poter discernere le virtù necessarie ed indicare gli esercizi ed i metodi per farle crescere, prevenire lo scoraggiamento, confortare, incoraggiare alla continua tensione nello sforzo, indicare il frutto che ci aspetta, dopo aver superato la prova.

Ancora di più occorre il padre spirituale quando bisogna salire sulla via unitiva, quando bisogna custodire in sé, con i sacrifici ed l’accondiscendenza continua alle ispirazioni della grazia, i doni dello Spirito Santo, che vanno distinti dalle istigazioni di satana e della propria natura inquinata, cosa che l’anima non è in grado di fare da sola. Nella formazione spirituale dell’anima, la presenza del padre spirituale è indispensabile. La confessione si limita a riconoscere le proprie colpe. La direzione spirituale si estende molto oltre. Cerca il fondamento del peccato, 
le inclinazioni profondamente radicate in noi, fa riferimento al temperamento, alle tentazioni, alla imprudenza; lo fa per trovare un rimedio che combatta la malattia alla radice.      Per lottare in modo efficace con i nostri vizi, il direttore spirituale indica le virtù opposte ad essi, sia quelle comuni a tutti i cristiani, sia quelle particolari ai vari gruppi delle persone, aiuta a trovare i mezzi migliori nella pratica delle virtù, negli esercizi spirituali (la riflessione, l’esame di coscienza, la devozione particolare al Sacro cuore di Gesù, alla Maria Vergine, ecc.). Aiuta anche a discernere la propria vocazione e dopo aiuta a capire i compiti di ogni stato.

Perché il direttore spirituale possa guidare l’anima sulla retta via, dovrebbe conoscere le vicende più importanti della sua vita, i peccati più frequenti, gli sforzi sostenuti per uscirne, i risultati ottenuti, per sapere come ancora conviene operare. Dovrebbe inoltre essere a conoscenza della disposizione attuale, delle inclinazioni, ripugnanze, stile di vita, tentazioni e tattica di combattimento, delle virtù necessarie e dei mezzi per acquistarle. La persona che vuole usufruire della direzione spirituale deve presentare tutto alla sua guida. Allora il direttore spirituale può più facilmente preparare un programma adeguato allo stato dell’anima, perché tutte le anime non possono essere guidate allo stesso modo, bisogna adeguarsi al livello in cui uno si trova per poterlo aiutarlo ad andare in alto, senza fretta, sul sentiero ripido della perfezione. Alcune anime sono più ferventi ed inclinate al sacrificio, altre invece più quiete e più lente, in quanto non tutte sono chiamate allo stesso grado di perfezione. Perciò sbagliano molto coloro che vogliono che uno solo padre spirituale guidi (per esempio in una congregazione) in modo uguale, che formi tutti secondo lo stesso modello e assicuri a tutti la stessa direzione. Questo è assolutamente impossibile e, ovunque venga praticato, porta danno al progresso delle singole anime, anzi, quell’ atteggiamento contrasta con il diritto canonico.            

Non vi parlerò delle qualificazioni dei direttori spirituali, né dei loro compiti, che loro devono conoscere; menzionerò solo che dovrebbero essere caratterizzati dalla bontà, dalla scienza necessaria, ma soprattutto dalla prudenza, dalla prudenza soprannaturale, rafforzata dal dono del consiglio dello Spirito Santo, che sia il padre spirituale sia le anime guidate devono pregare. Santa Teresa, avendo la possibilità scegliere tra un confessore prudente e santo ed uno prudente e saggio, per quanto meno santo, preferì il secondo. Devo qui accennare agli obblighi delle persone guidate.

Nel direttore spirituale bisogna veder lo stesso Cristo. Se com’è vero che il potere viene da Dio, tanto più vale questo nei riguardi del potere esercitato sulle anime da un sacerdote; Egli è un ambasciatore di Cristo, che esercita il potere Divino: “Siamo messaggeri di Cristo e quanto vi rammettiamo in realtà è Dio che vi rammette”.

Perciò è ovvio che bisogna rispettare il padre spirituale, fidarsi in lui ed ascoltarlo. Bisogna rispettarlo come il rappresentante di Dio. Se un direttore avesse qualche vizio, non bisogna soffermarsi su questo, ma, vista la sua importanza  e la missione che svolge, evitare la critica amara quanto la familiarità esagerata.

Il rispetto dev’essere  accompagnato dalla fiducia piena, filiale e una grande apertura del cuore sincero e la fedele, disposto ad esprimere apertamente le cose buone e quelle cattive, senza pensarci troppo e senza nascondere le tentazioni e le debolezze, i desideri ed i propositi, le buone opere e le intenzioni, in poche parole tutto ciò che riguarda il bene dell’anima. Quanto più il padre ci conosce, tanto più gli è facile darci sagge indicazioni, incoraggiamenti, consolazione, per rafforzarci, consolarci e guidarci. Le persone timide parlino delle loro difficoltà e quelle invece inclini a parlare troppo che non trasformino la direzione spirituale in una pia chiacchierata ma si limitino a riferire il necessario.

Se si vuole che la direzione sia vera, occorre l’obbedienza al padre spirituale. Non c’è niente di peggio che eludere al direttore spirituale le proprie emozioni ed opinioni. Non c’è niente i più dannoso per l’anima perché, cosi facendo, non si cerca la volontà di Dio ma quella propria, inoltre si elude un mezzo divino per scopi egoistici. L’unico desiderio nostro dev’essere quello di conoscere la volontà divina, tramite l’obbedienza al nostro direttore spirituale, invece di costringerlo a ricorrere all’autorità con i mezzi più o meno convincenti. Si può ingannare il padre spirituale, ma non Colui il cui posto egli sostituisce. Se vediamo che un certo consiglio ci risulta difficile od impossibile da realizzare, dobbiamo dirglielo con semplicità. Il direttore può sbagliare, ma noi non sbagliamo quando gli siamo obbedienti. Se ci consigliasse qualcosa che va contro la fede o il decoro, allora bisogna cambiare il direttore.

Si può cambiare il direttore soltanto per una ragione grave e dopo matura riflessione perché occorre una continuità della direzione, cosa che diventa impossibile se il direttore viene cambiato di frequente.

Alcune anime vorrebbero tale cambiamento solo per la curiosità di conoscerne un altro. Questo accade particolarmente quando un direttore continua a ripetere gli stessi consigli spiacevoli per la natura dell’anima guidata. Altre invece desiderano cambiare per personale instabilità, superbia, una certa scontentezza permanente  per quello che hanno, per il desiderio di aprirsi ai vari confessori, volendo attirare attenzione, per vergogna o semplicemente per nascondere al confessore  alcune debolezze umilianti. Questi sono motivi non validi e bisogna combatterli, 
se si vuole progredire con coerenza e costanza nella vita spirituale.           

La Chiesa sempre di più insiste sulla libertà dell’anima nella scelta del confessore. Le opinioni però variano, fino a non riconoscere la direzione spirituale e a rigettare le sue condizioni. Chi non riconosce la direzione spirituale, rifiuta il progresso spirituale e allo stesso modo la santità, perché solo in casi eccezionali, quando vengono a mancare i direttori, lo stesso Dio diventa il padre spirituale delle anime elette.

Quando ci sono le ragioni sufficienti per cambiare il direttore, non bisogna ritardare ad andare da un altro.Tale ragioni possono essere seguenti: quando, nonostante gli sforzi, non siamo in grado di avere rispetto, di essere aperti e fiduciosi nei confronti del direttore, perché allora sarebbe  impossibile usufruire dei suoi consigli, quando veniamo a sapere che il direttore ci allontana dalla perfezione a causa delle sue idee troppo mondane, oppure per la sua simpatia troppo vivacemente visibile, con prove palesi in alcune circostanze; quando siamo sicuri che al direttore mancano scienza, prudenza e previdenza necessarie. Per poter cambiare il direttore non occorre sapere che le nostre accuse sono giuste od ingiuste, basta che ci portano danno.

Queste riflessioni mi sono venute in mente all’approssimarsi della ricorrenza della festa di Cristo Re. Condividendole insieme a voi, vi auguro che Cristo, tramite i direttori spirituali, regni nei cuori degli adoratori della Misericordia e a loro doni la Sua benedizione.

Don Michal Sopocko