00 13/09/2014 21:58
La Scrittura attesterebbe secondo Pelagio che Abele visse senza alcun peccato.

37. 44. Ma forse anche costui avvertì la debolezza della sua risposta e per questo soggiunge: "Passi però che in altri tempi la Scrittura abbia sorvolato sui peccati di tutti per il grande numero delle persone. Ma all'origine stessa del mondo, quando non esistevano che quattro persone soltanto, come spieghiamo che non abbia voluto ricordare i peccati di tutti? A causa dell'ingente moltitudine che non esisteva ancora? Non è forse perché ricorda soltanto i peccati di quelli che ne commisero e non poteva ricordare i peccati di chi non ne commise?". E aggiunge ancora altre parole che dànno una base più estesa e più chiara a questa sua sentenza. Scrive: "È certo che in un primo tempo si riferiscono esistenti soltanto quattro persone: Adamo ed Eva, dai quali nacquero Caino e Abele. Eva peccò e la Scrittura lo racconta 150. Adamo pure peccò e la Scrittura non lo tace 151. Che abbia peccato anche Caino l'attesta ugualmente la medesima Scrittura 152, e dei tre ci fa conoscere non solo il fatto dei peccati, ma anche la loro qualità. Se avesse peccato pure Abele, la Scrittura l'avrebbe detto certamente. Ma non l'ha detto e dunque Abele non peccò. Anzi lo presenta come giusto. Dobbiamo dunque credere a quello che si legge e credere illecito sostenere quello che non si legge".

La Scrittura non si ferma sui Peccati leggeri di Abele.

38. 45. Dicendo così tiene poco conto di quello che aveva già detto immediatamente prima, cioè che "cresciuta ormai la moltitudine del genere umano, la Scrittura per il grande numero delle persone poté sorvolare sui peccati degli uomini". Se avesse ben inteso la portata di queste sue parole, avrebbe visto che nemmeno di un uomo soltanto si poteva o si doveva, posta la possibilità, riferire tutta la fitta molteplicità dei peccati leggeri. I fatti riferiti dalla Scrittura sono necessariamente limitati e il lettore deve istruirsi da pochi esempi su molte verità necessarie. Delle stesse persone di allora, sebbene ancora poche, la Scrittura non ha voluto dire quante e quali fossero, cioè quanti figli e quante figlie abbiano procreato Adamo ed Eva e come li abbiano chiamati. - Per questo taluni, poco attenti a quante notizie la Scrittura passi sotto silenzio, hanno creduto che lo stesso Caino si sia unito con la madre per procreare la prole che gli si attribuisce 153, pensando che quei due figli di Adamo non avessero sorelle, perché la Scrittura le tace allora, mentre nella ricapitolazione successiva suppone quello che aveva omesso, cioè che Adamo procreò figli e figlie 154, senza manifestare né il tempo della loro nascita, né il loro numero, né i loro nomi -. Così non era necessario nemmeno che la Scrittura dicesse se Abele, benché meritamente chiamato giusto 155, abbia riso qualche volta un po' smodatamente, se abbia scherzato irriflessivamente o abbia guardato qualcosa con concupiscenza o se qualche volta abbia colto dei frutti oltre il giusto o abbia preso qualche piccola indigestione per eccesso di cibo o se durante la preghiera abbia pensato a qualcosa che lo distraesse, e quante volte gli siano scappati questi e molti altri simili peccati. O forse non sono questi i peccati dai quali ci esorta universalmente a guardarci e liberarci l'Apostolo ordinandoci: Non regni più dunque il peccato nel vostro corpo mortale, sì da sottomettervi ai suoi desideri 156? Per non obbedire ad essi in azioni che non sono lecite o sono meno convenienti dobbiamo combattere una battaglia quotidiana e continua. Da questo vizio di peccato dipende infatti che si lascia libero l'occhio di posarsi dove non dovrebbe e, se questo vizio diventa potente e prepotente, si commette anche l'adulterio nel corpo, mentre nel cuore è tanto più svelto quanto più veloce è il pensiero e nessuna remora gli fa ostacolo. Coloro che sono riusciti a frenare in gran parte questo peccato, cioè il richiamo di questo attaccamento vizioso, così da non obbedire alle sue brame e non mettere a sua disposizione le proprie membra come strumenti d'ingiustizia 157, hanno meritato anche d'esser chiamati giusti, e l'hanno meritato per l'aiuto della grazia di Dio. Tuttavia, poiché spesso questo peccato striscia insensibilmente nelle situazioni più banali e qualche volta incontrollate, ci furono alcuni che sono stati giusti e nello stesso tempo non sono stati immuni dal peccato! Infine, se nel giusto Abele la carità di Dio, che è la sola a rendere veramente giusto chiunque è giusto, era ancora tale da poter e dover crescere, quello che le mancava costituiva un difetto 158! E in chi può non esser manchevole la carità finché non si giunge a quella sua fortezza che ingoi in sé tutta l'umana debolezza?

Nulla si deve ritenere contro la Scrittura.

39. 46. Conclude questo passo proprio con una gran bella sentenza: "Dobbiamo credere a quello che si legge e credere illecito sostenere quello che non si legge: questo valga per sempre". Al contrario io dico che non dobbiamo credere a tutto quello che leggiamo, ammonendoci l'Apostolo: Leggete tutto e tenete ciò che è buono 159, e dico che non è illecito sostenere qualcosa anche senza averlo letto. Infatti possiamo sostenere in buona fede come testimoni quello che abbiamo sperimentato anche senza forse averlo letto. Costui risponderà probabilmente: "Io dicendo ciò parlavo delle Scritture sante". Magari non volesse sostenere nulla non dico che non abbia letto in quelle Lettere, ma nulla contro ciò che vi ha letto! Allora ascolterebbe fedelmente e obbedientemente quanto è scritto nel testo: A causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte e così ha raggiunto tutti gli uomini, che tutti hanno peccato in lui 160. Allora non svaluterebbe la grazia di un Medico così grande, rifiutandosi di riconoscere che la natura umana è rimasta viziata. Magari leggesse da cristiano che all'infuori di Gesù Cristo non esiste altro nome sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati 161 e non difendesse il potere della natura umana tanto da far credere che l'uomo può salvarsi con il libero arbitrio anche senza questo nome.

Gesù è necessario a noi più di quanto pensasse Pelagio.

40. 47. Ma forse costui pensa che il nome del Cristo è necessario soltanto perché impariamo mediante il suo Vangelo in che modo dobbiamo vivere e non anche perché siamo aiutati dalla sua grazia a vivere bene. Almeno per questo confessi che nell'animo dell'uomo ci sono delle tenebre miserevoli: sa in che modo deve domare un leone e non sa in che modo deve vivere. O anche per sapere in che modo deve vivere gli basta il libero arbitrio e la legge naturale? Questo è un discorso sapiente che rende vana la croce del Cristo 162. Ma colui che ha detto: Distruggerò la sapienza dei sapienti 163, poiché la croce non può essere resa vana, rovescia certamente tale sapienza mediante la stoltezza della predicazione che sana i credenti 164. Se infatti il potere naturale basta a se stesso mediante il libero arbitrio sia per conoscere come deve vivere, sia per vivere bene, allora il Cristo è morto invano 165, allora è annullato lo scandalo della croce 166. Perché qui non dovrei gridare anch'io? Ma sì che griderò e con dolore cristiano rimprovererò costoro: Non avete più nulla a che fare con il Cristo voi che cercate la giustificazione nella natura; siete decaduti dalla grazia 167: ignorando infatti la giustizia di Dio e volendo stabilire la propria, non vi siete sottomessi alla giustizia di Dio 168. Come il Cristo è infatti il termine della legge, così è anche il Salvatore della natura umana viziata, perché sia data la giustizia a chiunque crede 169!

Siamo tutti in peccato.

41. 48. All'obiezione che fa a se stesso come rivoltagli da coloro contro i quali scrive e desunta dalle parole: Tutti hanno peccato 170, risponde che "manifestamente l'Apostolo parlava di coloro che esistevano in quel tempo, ossia dei giudei e dei gentili". Veramente il passo da me ricordato: A causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte e così ha raggiunto tutti gli uomini, che tutti hanno peccato in lui 171, abbraccia con questa sua sentenza e gli antichi e i nostri predecessori e noi e i nostri posteri. Costui cita anche un altro testo per provare che non sempre quando si dice tutti bisogna intendere tutti assolutamente senza fare eccezioni. Il testo è questo: Come per la colpa di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna, così anche per l'opera di giustizia di uno solo si riversa su tutti gli uomini la giustificazione che dà vita 172. Costui commenta: "Non c'è dubbio che per la giustizia del Cristo non sono stati santificati tutti, ma soltanto quelli che gli hanno voluto obbedire e sono stati purificati dall'abluzione del suo battesimo". Con questo testo non dimostra davvero quello che vuole. Infatti allo stesso modo che è detto: Come per la colpa di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna 173, senza tralasciare nessuno, così anche nel testo dove è detto: Per l'opera di giustizia di un solo si riversa su tutti gli uomini la giustificazione che dà vita 174 non è stato tralasciato nessuno, non perché tutti credono in lui e vengono lavati dal suo battesimo, ma perché nessuno viene giustificato senza credere in lui e senza essere lavato dal suo battesimo. Si dice dunque tutti, perché non si creda che qualcuno possa salvarsi in qualche altro modo facendo a meno di lui. Se per esempio in una città c'è un solo maestro di lettere, diciamo giustissimamente: Egli insegna qui le lettere a tutti, non perché tutti i cittadini attendono a imparare le lettere, ma perché nessuno le impara se non da lui che le insegna. Similmente nessuno viene giustificato senza che sia il Cristo a giustificarlo!

È fuori discussione nell'uomo la possibilità di non peccare, ma per la grazia divina.

42. 49. Scrive costui: "Ma voglio ammettere che la Scrittura attesti che tutti gli uomini sono stati peccatori. Allora essa dice quello che sono stati, non dice che non potevano essere diversi. Perciò, anche quando si potesse dimostrare che tutti gli uomini sono peccatori, ciò non nuocerebbe tuttavia alla nostra tesi, perché noi non difendiamo tanto quello che gli uomini sono, quanto quello che gli uomini possono essere". Fa bene costui a riconoscere qui finalmente che nessun vivente è giusto davanti a Dio 175. Protesta tuttavia che la questione non sta qui, ma nella stessa possibilità di non peccare, nella quale nemmeno noi abbiamo bisogno di combattere contro di lui. Né m'interessa troppo infatti se siano esistiti sulla terra o esistano o possano esistere in futuro taluni che abbiano avuto o abbiano adesso o avranno la carità di Dio perfetta, a cui non ci fosse nulla da aggiungere - la carità è infatti la più vera, la più piena, la più perfetta giustizia -, perché ciò che confesso e difendo è che questo è possibile alla volontà umana solo se aiutata dalla grazia di Dio, senza l'affanno di sapere quando e dove e in chi si verifichi! Né dubito della possibilità stessa, perché tanto essa che la sua realizzazione provengono nei santi dalla volontà umana appena è sanata da Dio e aiutata da lui, quando la carità di Dio, nella massima pienezza in cui la può accogliere la nostra natura sana e pura, si diffonde nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato 176. Meglio dunque si difende la causa di Dio (patrocinando la quale costui dice di fare l'avvocato della natura), quando si riconosce e il Creatore e il Salvatore, piuttosto che quando si rende vano il soccorso del Salvatore difendendo la creatura come se fosse sana e integra nelle sue forze!

In causa è l'uomo decaduto.

43. 50. È vero però quello che asserisce costui: "Dio, tanto buono quanto giusto, fece l'uomo tale da bastare a se stesso per evitare il male del peccato, ma purché l'avesse voluto". Chi ignora infatti che l'uomo fu creato sano e senza colpa, dotato di libero arbitrio e in possesso del libero potere di vivere santamente? Ma ora si tratta dell'uomo che i ladri hanno lasciato semivivo sulla strada 177, dell'uomo piagato e trafitto da gravi ferite che non può ascendere più al culmine della giustizia con la stessa facilità con la quale poté discenderne, dell'uomo che per quanto già ricoverato in albergo ha bisogno ancora di cure. Dio dunque non comanda cose impossibili, ma comandando ti ordina sia di fare quello che puoi, sia di chiedere quello che non puoi! E vediamo ormai da dove viene all'uomo il potere e da dove gli viene il non potere. Costui dice: "Non dipende dalla volontà il potere che proviene dalla natura". Io dico: "Certamente dipende dalla volontà che l'uomo non sia giusto, se lo può per natura; ma sarà la medicina a dare alla natura dell'uomo il potere che non ha più per il vizio"!

Non ci può essere liberazione dal peccato se non in forza della fede in Gesù.

44. 51. Ma che bisogno c'è ormai di fermarci su tanti punti? Veniamo più addentro alla causa che sola o quasi sola abbiamo con costoro limitatamente alla presente questione! Come egli stesso dice, "il problema attuale non è di sapere se siano esistiti o se esistano alcuni uomini senza peccato in questa vita, ma se siano potuti o possano esistere". Anche se io ammettessi che siano esistiti o che esistano, tuttavia non riconoscerei in nessun modo che siano potuti o possano esistere se non in quanto giustificati dalla grazia di Dio per Gesù Cristo nostro Signore, e questi crocifisso 178. Sanò appunto gli antichi giusti la stessa fede che sana anche noi, cioè la fede nel mediatore tra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù 179, la fede nel suo sangue, la fede nella sua croce, la fede nella sua morte e risurrezione. Dunque, animati da quello stesso spirito di fede, anche noi crediamo e perciò parliamo 180.

L'ambiguità di Pelagio.

44. 52. Ma vediamo che cosa risponde costui ad una obiezione che muove a se stesso e in cui appare veramente intollerabile ai cuori cristiani. Ecco le suo parole: "Quello che urta parecchi, dirai, è che tu difenda la possibilità dell'uomo d'essere senza peccato facendo a meno della grazia di Dio". Proprio questo ci urta, proprio questo gli rinfacciamo. Questo appunto egli dice e noi ci soffriamo molto a sentirglielo dire. Che dei cristiani su tal punto facciano tali questioni non lo sopportiamo per l'amore che abbiamo verso gli altri e verso di loro stessi. Ascoltiamo dunque come costui si tiri fuori nella presente questione posta dalla nostra obiezione. Scrive: "O cieca ignoranza, o pigrizia di menti incolte! Si crede che io patrocini senza la grazia di Dio ciò che invece mi si sente dire doversi attribuire a Dio soltanto". Se non conoscessimo il seguito, a sentire unicamente queste parole, penseremmo d'aver creduto il falso su costoro andando dietro alle folate della fama e alle asserzioni di alcuni fratelli che ci sembravano testimoni attendibili. Che cosa infatti si sarebbe potuto dire con più brevità e verità di questo: la possibilità di non peccare, per quanta ce ne sia o ce ne sarà in un uomo, non si deve attribuire se non a Dio? Lo diciamo anche noi. Diamoci la mano.

Le spiegazioni di Pelagio.

45. 53. Dobbiamo ascoltare o no le altre dichiarazioni di costui? Le dobbiamo ascoltare interamente e anche le dobbiamo certamente correggere o schivare. Scrive costui: "Quando infatti si dice che lo stesso potere non è affatto dell'arbitrio umano, ma della natura, cioè dell'autore della natura, ossia di Dio, com'è mai possibile intendere senza la grazia di Dio ciò che si fa appartenere propriamente a Dio?". Comincia già ad apparire il senso del suo dire. Ma perché non corriamo il rischio d'ingannarci, lo spiega più estesamente e chiaramente. Scrive: "Affinché ciò si renda più manifesto, ne dobbiamo discutere un poco più a lungo. Noi diciamo infatti che ogni possibilità dell'uomo si fonda non tanto sul potere del suo arbitrio quanto sulla necessità della sua natura". Illustra la sua esposizione anche con degli esempi o similitudini. Dice: "Io per esempio ho la possibilità di parlare. Il poter parlare non dipende da me, ma il fatto di parlare dipende da me, cioè dalla mia propria volontà. E poiché il parlare dipende da me, io posso fare l'uno e l'altro, cioè parlare o non parlare. Ma poiché il poter parlare non dipende da me, cioè dal mio arbitrio e dalla mia volontà, la possibilità di parlare mi rimane necessariamente. Anche se desiderassi di non poter parlare, non potrei tuttavia perdere la possibilità di parlare, a meno che non mi strappassi l'organo che serve a parlare"! Molti invero possono dirsi i modi in cui l'uomo potrebbe privarsi della possibilità di parlare senza privarsi dell'organo della loquela. Se per esempio si fa qualcosa che tolga la voce stessa, nessuno potrà parlare, pur rimanendogli le membra: la voce umana non è infatti un membro. Si può causare l'impossibilità di parlare danneggiando molto qualche membro interno pur senza sopprimerlo. Ma non vorrei dare l'impressione d'insistere su di una parola e sentirmi dire che anche danneggiare è sopprimere. Ebbene, ci possiamo impedire di parlare anche chiudendo e tappando la bocca con delle bende in modo da non aver più né la forza né la possibilità d'aprirla, mentre avevamo prima la possibilità di chiuderla, continuando però a disporre di membra integre e sane.

La necessità naturale non esclude la volontà.

46. 54. Ma a noi che ce ne viene? Vediamo che cosa ne derivi costui. Scrive: "È privo d'arbitrio volontario e di deliberazione tutto ciò che è costretto da necessità naturale". Anche qui sorgerebbe qualche problema. È infatti assurdissimo dire che non appartiene alla nostra volontà volere essere beati per il fatto che in forza di non so quale buona costrizione di natura non possiamo in nessun modo non volerlo. Né osiamo dire che Dio non abbia la volontà della giustizia, ma ne abbia la necessità per il fatto che non può voler peccare.

La volontà umana influisce anche nel campo della necessità naturale.

47. 55. Notate anche quello che segue. Scrive: "Dell'udito pure, dell'odorato o della vista è possibile pensare lo stesso: udire, odorare, vedere dipende da noi; poter udire, poter odorare, poter vedere non dipende da noi, ma da necessità naturale". O sono io a non capire quello che dice o è lui. In che modo infatti non è in nostro potere la possibilità di vedere, se è in nostro potere la necessità di non vedere, perché è in nostro potere la cecità con la quale ci togliamo, se vogliamo, la stessa possibilità di vedere? E poi il vedere com'è in nostro potere, se vogliamo, atteso che, pur rimanendo intatta l'integrità del nostro corpo e dei nostri occhi, non possiamo vedere volendo, sia a causa della notte, se vengono tolte le luci che si accendono fuori, sia nel caso che qualcuno ci rinchiuda in un luogo tenebroso? Ugualmente, se non è in nostro potere la possibilità d'udire o di non udire, ma dipende da una costrizione di natura, e invece il fatto di udire o non udire dipende dalla nostra volontà, perché costui non si avvede quanti suoni udiamo senza volerlo, che penetrano nel nostro udito anche con gli orecchi turati, come lo stridore d'una sega o il grugnito di un porco? Sebbene il turarsi gli orecchi dimostri che non è in nostro potere non udire con gli orecchi aperti, tuttavia una tale otturazione che ci tolga lo stesso udito ottiene forse pure l'effetto che sia in nostro potere anche l'impossibilità di udire. Non si dimostra poi costui poco attento in quello che dice dell'odorato? Dice: "Non è in nostro potere la possibilità o l'impossibilità di odorare, ma è in nostro potere", cioè dipende dalla nostra libera volontà, "odorare o non odorare". Al contrario. Se ci trovassimo messi in mezzo a degli odori cattivi e molesti e qualcuno ci costringesse a rimanerci con le mani legate, noi, pur conservando assolutamente l'integrità e la salute delle membra, vorremmo non odorare e non lo potremmo affatto, perché, essendo costretti a tirare il fiato, tireremmo insieme anche il fetore che non vorremmo.

La nostra volontà non basta a non peccare.

48. 56. Alla stessa maniera dunque in cui sono sbagliate quelle similitudini, è sbagliata pure la tesi per la quale le ha volute adoperare. Costui infatti seguita e dice: "In modo simile dobbiamo intendere la possibilità di non peccare: dipende da noi non peccare, non dipende da noi il potere di non peccare". Anche se parlasse della natura integra e sana dell'uomo (che adesso non abbiamo, Poiché nella speranza noi siamo stati salvati. Ora, ciò che si spera, se visto, non è più speranza. Ma se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza 181), non avrebbe ragione di dire che non peccare dipende esclusivamente da noi, quantunque peccare dipenderebbe da noi: anche allora infatti ci sarebbe l'aiuto di Dio che si offrirebbe a farci volere, come la luce si offre ad occhi sani per farli vedere. Ma poiché parla della vita attuale in cui un corpo corruttibile appesantisce l'anima e la tenda d'argilla grava la mente dai molti pensieri 182, mi sorprende con che cuore costui anche senza l'aiuto della medicina del nostro Salvatore faccia dipendere da noi il non peccare e sostenga che il poter non peccare dipende dalla natura, la quale appare tanto viziata che il colmo del vizio è non vederlo.

Con le gambe rotte non si può camminare.

49. 57. Scrive costui: "Poiché non peccare è cosa nostra, possiamo peccare e non peccare". Allora se un altro dicesse: Poiché è cosa nostra non volere l'infelicità, possiamo volerla e non volerla? Eppure non ci è affatto possibile volerla. Chi può desiderare d'essere infelice, anche se vuole delle cose che poi contro la sua volontà lo renderanno infelice? Inoltre, poiché non peccare è molto più proprio di Dio, oseremmo forse dire che egli può peccare e non peccare? Ci mancherebbe che dicessimo che Dio può peccare. Ugualmente è chiaro, al contrario di quanto pensano gli stolti, che Dio non perderà la sua onnipotenza per il fatto di non poter né morire né rinnegare se stesso 183. Cos'è dunque quello che dice costui e con quali regole di retorica tenta di convincerci di quanto non vuole approfondire? Aggiunge ancora e dice: "Poiché la possibilità di non peccare non è cosa nostra, anche desiderando di non avere la possibilità di non peccare, non possiamo non avere la possibilità di non peccare". Lo dice con una frase contorta e quindi oscura. Lo possiamo rendere più chiaro in questo modo: poiché non è cosa nostra la possibilità di non peccare, vogliamo o non vogliamo abbiamo la possibilità di non peccare. Non dice infatti: Vogliamo o non vogliamo non pecchiamo. Senza dubbio pecchiamo se vogliamo. Ma asserisce piuttosto che, vogliamo o non vogliamo, noi continuiamo a possedere la possibilità di non peccare, che dice insita nella natura. Ma di un uomo che ha le gambe sane si può passabilmente dire che ha la possibilità di camminare, voglia o non voglia. Con le gambe rotte invece non ha più tale possibilità, anche se volesse camminare. È malata la natura di cui si dice: Perché mai si insuperbisce chi è terra e cenere 184? È malata, implora il Medico. Grida: Salvami, Signore 185. Grida: Guarisci l'anima mia 186. Perché costui soffoca queste voci con il risultato d'impedire la sanità futura difendendo una presunta possibilità presente?

Pelagio sostiene che la natura umana ha la possibilità inalienabile di non commettere alcun peccato.

50. 58. E notate che cosa soggiunge credendo di confermare il proprio pensiero. Scrive: "Nessuna volontà può togliere ciò che risulta inseparabilmente insito nella natura". Perché allora quell'affermazione: Voi non fate quello che vorreste 187? Perché anche l'altra affermazione: Io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio 188? Dov'è la possibilità che risulterebbe inseparabilmente insita nella natura? Ecco gli uomini non fanno le azioni che vogliono. E l'Apostolo parlava certamente di non peccare, non parlava di volare, perché erano uomini e non uccelli. Ecco l'uomo non fa il bene che vuole, ma fa il male che non vuole: in lui c'è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo 189. Dov'è la possibilità che risulterebbe inseparabilmente insita nella natura? Chiunque l'Apostolo rappresenti 190, se non parla di se stesso, certamente rappresenta l'uomo. Costui invece sostiene che la stessa natura umana ha la possibilità inalienabile di non commettere nessun peccato. Ora, l'effetto di queste parole, anche se le dice uno che non sa - ma non è uno che non sa, lui che queste parole mette in bocca agli incauti che pur temono Dio - è di annullare la grazia del Cristo, quasi che la natura umana sia sufficiente a se stessa per la propria giustizia.

La grazia è per Pelagio la stessa possibilità naturale di non peccare creata da Dio nell'uomo.

51. 59. Per calmare il malumore dei cristiani che gridano per la propria salvezza e dicono: Perché affermi che l'uomo può non peccare senza l'aiuto della grazia di Dio?, egli risponde: "La possibilità di non peccare non sta tanto in potere dell'arbitrio quanto nella necessità della natura. Tutto ciò che si basa sulla necessità naturale, indubbiamente appartiene all'autore della natura, cioè a Dio. Come mai dunque si stima che si dica senza grazia di Dio ciò che si indica come propriamente appartenente a Dio?". Si è fatto esplicito il pensiero che rimaneva nascosto: ora non c'è più modo di celarlo. In tanto attribuisce alla grazia di Dio la possibilità di non peccare in quanto Dio è il Creatore di quella natura nella quale dice inseparabilmente insita la possibilità di non peccare. L'uomo dunque se vuole fa, se non vuole non fa. Avendo infatti una possibilità indelebile, non gli può capitare d'esser debole di volontà o meglio d'avere il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo. Se dunque è così, perché allora le parole: C'è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo 191? Se l'autore di cotesto libro parlasse della natura umana che all'inizio fu creata innocente e sana, la sua affermazione si potrebbe in qualche modo accettare. Sebbene, non si sarebbe dovuta dire dotata di una possibilità inseparabile, cioè inalienabile, per usare la sua parola, una natura che poteva viziarsi e andare in cerca del Medico che guarisse gli occhi del cieco e restituisse il potere di vedere perduto con la cecità, perché credo che un cieco vuol vedere, ma non può; se poi vuole e non può, significa che c'è la volontà, ma è stata perduta la possibilità.

Pelagio si contraddice valutando diversamente la natura umana nei battezzati e nei non battezzati, pur essendo la stessa.

52. 60. Notate ancora quali massi tenti di rimuovere per aprire una possibile strada alla sua sentenza. Fa a sé un'obiezione scrivendo: "Dirai che secondo l'Apostolo la carne è contraria a noi 192". E risponde: "Com'è possibile che la carne sia contraria ad ogni battezzato, se il battezzato secondo il medesimo Apostolo non viene più considerato nella carne? Dice infatti: Voi però non siete nella carne 193". Bene, se dice che la carne non può essere contraria ai battezzati: vedremo in seguito se ciò sia vero. Per ora, non potendo dimenticare di esser cristiano, benché se ne sia ricordato debolmente, costui recede dalla difesa della natura. Dov'è dunque la possibilità inseparabile? Che forse i battezzati non appartengono alla natura umana? Qui potrebbe davvero aprire gli occhi e gli basterebbe per farlo appena un po' d'attenzione. Scrive: "Com'è possibile che la carne sia contraria ad ogni battezzato?". Dunque ai non battezzati la carne può essere contraria. Spieghi in che modo, esistendo anche nei non battezzati la medesima natura, da lui tanto difesa. Inevitabilmente ammette che almeno in essi la natura si è viziata, se nei battezzati quel ferito è ormai uscito sano dall'albergo o si trova sano nell'albergo dove l'ha condotto il misericordioso Samaritano per guarirlo 194. Ora, se ammette che almeno ai non battezzati la carne è contraria, dica che cos'è accaduto, essendo ambedue, la carne e lo spirito, creature di un unico e medesimo Creatore, creature buone senza dubbio perché creature di un Creatore buono. Non potrà dire nient'altro se non che è un vizio questo provocato nell'uomo dalla propria volontà. Per sanarlo nella natura è necessario quello stesso Salvatore che è stato il Creatore della medesima natura. Se di questo Salvatore e della sua medicina, a motivo della quale il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi 195, riconosciamo la necessità per i piccoli e per i grandi, ossia dai vagiti dell'infanzia fino alla canizie della vecchiaia, tutta la polemica esistente tra noi su questo punto è sparita.

La carne è contraria anche ai battezzati.

53. 61. Vediamo ora se nella Scrittura si legga che la carne è contraria anche ai battezzati. Mi domando in proposito a chi scriveva l'Apostolo le seguenti parole: La carne ha desideri contrari allo spirito e lo spirito ha desideri contrari alla carne; si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste 196. Le scriveva, penso, ai Galati ai quali domanda: Colui che dunque vi concede lo Spirito e opera portenti in mezzo a voi, lo fa grazie alle opere della legge o perché avete creduto alla predicazione 197? È chiaro quindi che egli parla a cristiani e a persone alle quali Dio aveva donato il suo Spirito; pertanto a persone anche battezzate. Ecco trovato che la carne è contraria pure ai battezzati e che non esiste quel potere che costui dice inseparabilmente insito nella natura. Che senso hanno allora le sue parole: "Com'è possibile che la carne sia contraria ad ogni battezzato?". Comunque intenda la carne, e realmente qui con il nome di carne non s'intende la sua natura che è buona, ma s'intendono i vizi carnali, ecco tuttavia che la carne è contraria anche ai battezzati. E in che modo contraria? In modo che essi non fanno quello che vorrebbero fare. Ecco nell'uomo la volontà c'è. Dov'è la possibilità della natura? Decidiamoci a riconoscere la necessità della grazia e gridiamo: Sono uno sventurato! Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte? E ci venga risposto: La grazia di Dio per Gesù Cristo nostro Signore 198!

Da non confondere la grazia della creazione con la grazia della redenzione.

53. 62. Quando giustissimamente si chiede a costoro: Perché dite che l'uomo può essere senza peccato facendo a meno dell'aiuto della grazia di Dio? allora non è in questione quella grazia da cui proviene la creazione dell'uomo, ma questa grazia da cui proviene la salvezza dell'uomo per Gesù Cristo nostro Signore. I fedeli infatti dicono pregando: Non c'indurre in tentazione, ma liberaci dal male 199. Perché mai pregano, se hanno la possibilità? O da quale malanno chiedono d'esser liberati se non soprattutto da questo corpo votato alla morte 200? E da esso non ci libera se non la grazia di Dio per Gesù Cristo nostro Signore 201. Non certo dalla sostanza del corpo che è buona, ma dai vizi carnali, dai quali l'uomo non viene liberato senza la grazia del Salvatore, nemmeno quando a causa della morte del corpo si separa dal corpo. Per dire questo che cosa aveva scritto precedentemente l'Apostolo? Eccolo: Nelle mie membra vedo un'altra legge che muove guerra alla legge della mia mente e mi rende schiavo della legge del peccato che è nelle mie membra 202. Ecco qual vizio la disobbedienza della volontà ha inflitto alla natura umana. La si lasci pregare, perché il male la lasci. Perché si presume così tanto della possibilità della natura? È stata ferita, piagata, danneggiata, rovinata: ha bisogno d'una sincera confessione e non d'una falsa protezione. La grazia di Dio che si deve cercare non è dunque quella con la quale Dio istituisce la natura, ma quella con la quale restituisce la natura: proprio l'unica grazia che costui per il fatto stesso che la taceva gridando che non è necessaria. Se egli non avesse detto assolutamente nulla della grazia di Dio e per non suscitare il malcontento da lui provocato non si fosse proposto la soluzione della questione, si sarebbe potuto credere che egli stesse dalla parte della verità, ma non avesse parlato della grazia, perché non in ogni occasione si deve dire tutto. Invece ha posto la questione della grazia e ha dato la risposta che aveva in cuore. È risolta la questione: non quella che noi volevamo, ma sul punto dove noi dubitavamo quale fosse la sua sentenza.

Dio ha creato la carne e lo spirito perché vivessero nell'uomo in bell'equilibrio tra loro.

54. 63. Successivamente con molte parole dell'Apostolo si adopera a dimostrare, cosa di cui nessuno discute, che "per la carne spesso nominata dall'Apostolo non va intesa la sostanza della carne, ma le opere della carne". Che c'entra questo? Sono i vizi della carne ad esser contrari alla volontà dell'uomo: non è che si accusi la natura, ma per i vizi si cerca il Medico. Che senso hanno gli interrogativi di costui? Domanda: "Chi fece lo spirito dell'uomo?" e risponde a se stesso: "Senza dubbio Dio". Chiede ancora: "La carne chi la creò?" e risponde ugualmente: "Lo stesso Dio, credo". Fa una terza domanda: "È buono Dio che creò ambedue?" e risponde: "Nessuno ne dubita". Chiede ancora: "E sono buone ambedue le cose create dal Creatore buono?" e a questo risponde: "Bisogna riconoscerle buone". Poi tira la conclusione: "Se dunque lo spirito è buono, se è buona la carne creata dal Creatore buono, com'è possibile che due cose buone si oppongano tra loro?". Ometto di dire che tutta questa sua logica crollerebbe appena uno gli domandasse: Chi fece il caldo e il freddo? Risponderebbe: Dio senza dubbio. Io non faccio altre domande. Concluda lui da solo se il caldo e il freddo possano dirsi cose non buone e non appariscono in reciproca opposizione tra loro. Costui forse dirà: "Queste sono qualità di sostanze e non sono sostanze". Proprio così, è vero. Ma sono qualità naturali e appartengono senza dubbio alla creazione di Dio. Le sostanze non si dicono contrarie tra loro per se stesse, bensì per le loro proprietà: come l'acqua e il fuoco. E non può essere questo il caso della carne e dello spirito? Noi non l'affermiamo, ma abbiamo detto tutto questo per dimostrare che il ragionamento di costui non ha uno sbocco logico. Elementi particolari che siano anche contrari tra loro, invece di opporsi possono equilibrarsi vicendevolmente e produrre un buono stato di salute: per esempio nel corpo la siccità e l'umidità, il freddo e il caldo, dal cui equilibrio dipende la buona salute corporale. Che però la carne sia contraria allo spirito in modo che non facciamo quello che vorremmo è un vizio e non è la nostra natura. Si cerchi la grazia della guarigione e si ponga fine alla discussione.

La contraddizione dovrebbe condurre Pelagio a riconoscere la grazia.

54. 64. A riguardo appunto di questi due beni, la carne e lo spirito, creati dal Dio buono, ci domandiamo contro il ragionamento di costui: In che modo possono esser contrari tra loro nelle persone non battezzate? O si pentirà costui anche d'aver fatta un'affermazione suggeritagli da un certo sentimento d'affezione alla fede cristiana? Quando infatti ha detto: "Com'è possibile che la carne sia contraria ad ogni persona già battezzata?", fa capire che la carne può esser contraria alle persone non battezzate. Perché infatti aggiunge: "Già battezzata"? Anche senza aggiungerlo poteva dire: "Com'è possibile che la carne sia contraria ad ogni persona?". E per poterlo dimostrare poteva seguitare con quel suo modo di ragionare: l'uno e l'altro bene è creato dal Dio buono e perciò l'uno non può esser contrario all'altro. Se dunque i non battezzati, ai quali afferma con certezza che la carne è contraria, lo incalzano con le loro interrogazioni e gli domandano: "Chi fece lo spirito dell'uomo?", costui risponderà: "Dio". E quelli: "Chi creò la carne?". Risponde costui: "Il medesimo Dio, credo". Essi per la terza domanda: "È buono il Dio che creò l'una e l'altra cosa?". E costui: "Nessuno ne dubita". Essi passano all'ultima domanda che resta da fare: "È buona l'una e l'altra cosa creata dal Creatore buono?". Costui assentirà. Allora essi lo sgozzeranno con la loro spada tirando la sua medesima conclusione: "Se dunque lo spirito è buono, se è buona la carne perché creata dal Creatore buono, com'è possibile che due cose buone si oppongano tra loro?". Forse costui risponderà: "Perdonatemi, perché non avrei dovuto dire che la carne non può esser contraria ai battezzati per non confessare in questo modo ch'essa è contraria a voi non battezzati, ma senza nessuna eccezione avrei dovuto dire che la carne non è contraria a nessuno". Ecco dove va a ficcarsi da se stesso, ecco come parla per non gridare con l'Apostolo: Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte? La grazia di Dio per Gesù Cristo nostro Signore 203. "Ma perché" dice "dovrei gridare io che sono già battezzato nel Cristo? Gridino coloro che non hanno ricevuto ancora tale beneficio e dei quali si faceva portavoce l'Apostolo: ammesso però che dicano almeno questo". Ma cotesta difesa della natura promossa da costui non consente ad essi nemmeno di gridare in tale maniera. Infatti non è che nelle persone battezzate esista la natura e nelle persone non battezzate non esista la natura. Oppure, se si ammette che essa è viziata almeno nelle persone non battezzate così che non senza motivo gridino: Sono uno sventurato! Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte 204? e si accorra in loro soccorso con l'affermazione successiva: La grazia di Dio per Gesù Cristo nostro Signore 205, si arrivi dunque una buona volta ad ammettere che la natura umana ha bisogno del Cristo come suo medico.

È necessaria la grazia del perdono e la grazia di essere abbastanza forti per non peccare ancora.

55. 65. Ma chiedo sotto quale aspetto la natura umana abbia perduto la libertà che desidera le venga data dicendo: Chi mi libererà 206? Nemmeno l'Apostolo infatti accusa la sostanza della carne quando manifesta il proprio desiderio di esser liberato da questo corpo votato alla morte 207, perché anche la natura del corpo, come la natura dell'anima, deve attribuirsi al Dio buono come suo autore. Paolo parla evidentemente invece dei vizi del corpo. Infatti è dal corpo che la morte del corpo separa l'anima, ma i vizi che l'anima ha contratti tramite il corpo rimangono addosso all'anima ed essi meritano una giusta pena, che anche quel ricco trovò nell'inferno 208. Non poteva certo liberare se stesso da tali vizi colui che dice: Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte 209? Ma sotto qualunque aspetto la natura umana abbia perduto questa sua libertà, è certamente inseparabile da essa quella sua famosa "possibilità": ha per dotazione naturale il potere, ha per libero arbitrio il volere, e perché allora va in cerca del sacramento del battesimo? Forse per i peccati commessi in passato, perché siano soltanto perdonati, dal momento che non si può far sì che non siano stati fatti? Lascialo stare questo pover'uomo, continui a gridare quello che gridava. Egli infatti non desidera solo di rimanere impunito dei peccati passati in forza del perdono, ma anche d'essere forte e capace di non peccare per l'avvenire. Egli acconsente nel suo intimo alla legge di Dio, ma nelle sue membra vede un'altra legge che muove guerra alla legge della sua mente 210: vede che c'è adesso, non ricorda che c'è stata, si sente pressato da lotte presenti, non ripensa a lotte passate. E non vede soltanto una legge che muove guerra, ma una legge che lo fa anche schiavo della legge del peccato 211 e che è presente nelle sue membra, non che c'è stata. Da qui viene il suo grido: Sono uno sventurato! Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte 212? Lo si lasci pregare, lo si lasci invocare l'aiuto del Medico potentissimo. Perché lo si rimbecca? Perché lo si subisce? Perché s'impedisce ad un misero di chiedere la misericordia del Cristo, e proprio da cristiani gli si impedisce? Già, anche quelli che impedivano al cieco di chiedere la luce gridando, camminavano con il Cristo. Ma il Cristo udì le sue grida anche tra le grida di quelli che lo sgridavano per farlo tacere 213, e perciò gli fu risposto: La grazia di Dio per Gesù Cristo nostro Signore 214.

55. 66. Ebbene, se otteniamo da costoro questo almeno che le persone non ancora battezzate implorino l'aiuto della grazia del Salvatore, non è poco contro la falsa difesa della natura quasi fosse sufficiente a se stessa e contro la difesa del potere del libero arbitrio; non basta infatti a sé chi esclama: Sono uno sventurato! Chi mi libererà 215? e non è da dire che sia in possesso di piena libertà chi domanda ancora d'essere liberato.

La grazia è necessana a tutti, battezzati e non battezzati.

56. 66. Ma vediamo tuttavia anche questo punto: se coloro che sono stati battezzati facciano il bene che vogliono senza essere contrastati da nessuna concupiscenza della carne. La risposta ci viene proprio da costui che concludendo questo suo passo ricorda: "Come abbiamo detto, la dichiarazione contenuta nelle parole: La carne ha desideri contrari allo Spirito 216 non la dobbiamo intendere della sostanza della carne, bensì delle sue opere". Noi pure diciamo lo stesso: ciò non è scritto della sostanza della carne, ma delle opere che vengono dalla concupiscenza carnale, ossia dal peccato, che Paolo comanda di non far regnare nel nostro corpo mortale così da sottometterci ai suoi desideri 217.

La legge del timore e lo Spirito della dilezione.

57. 67. Ma avverta anche costui che le parole: La carne ha desideri contrari allo spirito e lo spirito ha desideri contrari alla carne, sicché non fate quello che vorreste 218 sono rivolte a persone già battezzate. Inoltre per non rendere quei battezzati apatici riguardo alla stessa lotta e per togliere l'impressione che con questa sua sentenza avesse favorito la rilassatezza nel peccare, soggiunge: Se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete più sotto la legge 219. È infatti sotto la legge chi sente d'astenersi dall'opera del peccato per timore del castigo minacciato dalla legge e non per amore della giustizia, non ancora libero e distaccato dalla volontà di peccare. Nella sua stessa volontà è reo, perché, se fosse possibile, preferirebbe che non ci fosse nulla da temere per fare liberamente ciò che desidera occultamente! Dice dunque: Se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete più sotto la legge 220: si intende sotto la legge che incute il timore e non dona la carità, la quale carità di Dio è stata diffusa nei nostri cuori non per mezzo della lettera della legge, ma per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato 221. Questa è la legge della libertà e non della servitù, perché appunto legge di carità e non di paura. Di essa anche l'apostolo Giacomo scrive: Chi fissa lo sguardo sulla legge perfetta, la legge della libertà 222. Perciò lo stesso Paolo certamente non era più terrorizzato come schiavo dalla legge di Dio, ma nel suo intimo ne era dilettato 223. Tuttavia vede ancora nelle sue membra un'altra legge opposta alla legge della sua mente 224. E così qui dice: Se vi lasciate guidare dallo Spirito non siete più sotto la legge 225. Nella misura in cui uno è guidato dallo Spirito non è sotto la legge, perché nella misura in cui ha gusto della legge di Dio non è sotto il timore della sua legge, atteso che il timore suppone uno stato penoso 226 e non uno stato piacevole.

Tra i cattolici e i pelagiani il gran muro della preghiera.

58. 68. Perciò, se è retto il nostro modo di pensare, come dobbiamo ringraziare per le membra sanate, così dobbiamo pregare per le membra da sanare, perché godiamo la sanità più assoluta, alla quale non si possa più aggiungere nulla, la soavità perfetta di Dio e la libertà piena. Noi infatti non disconosciamo che la natura umana possa essere senza peccato, né dobbiamo negare in nessun modo che possa raggiungere la perfezione, dal momento che ne ammettiamo la perfettibilità: ma in virtù della grazia di Dio per Gesù Cristo nostro Signore 227. Diciamo: colui che creandola l'ha fatta essere, aiutandola la fa essere giusta e beata. È facile pertanto respingere l'obiezione che costui dice mossa da alcuni: "Il diavolo ci contrasta". Rispondiamo a questa obiezione con le sue stesse parole: "Resistiamogli e fuggirà. Il beato apostolo Giacomo dice: Resistete al diavolo ed egli fuggirà da voi 228. Dal che dobbiamo esser pronti a capire in che cosa possa nuocere il diavolo a coloro dai quali fugge o quale successo gli si debba attribuire, se può vincere solamente coloro che non gli si oppongono". Faccio anche mie queste sue parole, perché non ce ne potrebbero essere di più vere. Ma la differenza tra noi e costoro sta qui: noi, anche quando si resiste al diavolo, non solo non neghiamo, ma dichiariamo altresì che si deve chiedere l'aiuto di Dio, mentre costoro attribuiscono tanto potere alla volontà umana da togliere l'orazione dalla pietà umana. È proprio infatti per ottenere di resistere al diavolo e di farlo fuggire da noi che pregando diciamo: Non c'indurre in tentazione 229, ed è proprio per questo che siamo stati avvertiti come da un comandante che esorta i suoi soldati e dice: Vegliate e pregate per non entrare in tentazione 230!

L'equivoco silenzio di Pelagio sulla grazia.

59. 69. Ma il suo ragionamento contro coloro che dicono: "E chi non vorrebbe essere senza peccato, se ciò fosse in potere dell'uomo?" è giusto, sì, nell'osservare che "essi ne riconoscono la possibilità proprio perché molti o tutti lo vogliono essere", ma confessi da dove viene tale possibilità e c'è pace. È infatti dalla stessa grazia di Dio per Gesù Cristo nostro Signore 231 che viene tale possibilità e costui non ha mai in nessun luogo e in nessun modo voluto dire che, se noi preghiamo, siamo aiutati dalla grazia a non peccare. Se caso mai lo pensa in segreto, perdoni a coloro che sospettano il contrario. Egli ne è responsabile, perché, pur soffrendo per questo motivo di tanta avversione, vuole tenersi per sé la sua convinzione e non la vuole confessare o professare. Che gli costava dire il suo pensiero, atteso specialmente che ha preso a trattare e a spiegare questo argomento come oppostogli dagli avversari? Perché in quell'occasione ha voluto difendere solamente la natura e ha asserito che l'uomo è stato creato con il potere di non peccare se non avesse voluto peccare? Inoltre, per il fatto che l'uomo è stato creato così, ha dichiarato che quel suo potere, per il quale non pecca se non vuol peccare, appartiene alla grazia di Dio; ma non ha voluto dire alcunché del fatto che dalla grazia di Dio, per Gesù Cristo nostro Signore 232, la natura stessa o viene sanata perché è stata viziata o viene aiutata perché è insufficiente a se stessa.

La perfettibilità umana mediante la grazia è fuori discussione.

60. 70. Infatti la questione se in questo mondo sia esistito o esista o possa esistere qualcuno che viva con tanta giustizia da non avere assolutamente nessun peccato, può essere una delle questioni da discutere tra cristiani veri e pii; chi invece dubita che ciò sia sicuramente possibile dopo questa vita, vaneggia. Ma io non ne voglio dubitare nemmeno per la vita attuale. Sebbene infatti mi sembri che non si possano interpretare diversamente le parole: Nessun vivente davanti a te è giusto 233 e altre dello stesso tenore, tuttavia desidero e mi auguro o che si possa dimostrare più valida un'interpretazione diversa di questi testi o che si possa dimostrare che una giustizia così perfetta e piena che nulla assolutamente le si debba aggiungere è esistita in qualcuno durante la sua vita corporale ed esiste oggi ed esisterà domani. Tuttavia tanto più numerose sono le persone che, non dubitando di dover dire con sincerità fino all'ultimo giorno della vita presente: Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori 234, confidano nondimeno che sia vera, certa e ferma la loro speranza nel Cristo e nelle sue promesse. Ma è solo con l'aiuto della grazia del Cristo salvatore crocifisso e con il dono del suo Spirito che i primi possono giungere alla pienezza della perfezione nella giustizia vera e pia e i secondi possono giungere ad un qualsiasi progresso nella giustizia. Non so se avrebbero il diritto d'esser contati in una qualsiasi categoria di cristiani tutti coloro che osassero negare quest'aiuto della grazia!

Le testimonianze anonime di Lattanzio invocate da Pelagio per la propria tesi.

61. 71. Per la stessa ragione anche le testimonianze che costui riporta non dalle Scritture canoniche, ma da alcuni libri di scrittori cattolici, nell'intento di rispondere a quanti lo accusano d'esser lui solo a difendere tali opinioni, sono così indecise da non valere né contro la nostra dottrina né contro la sua. Tra queste testimonianze ha voluto riferire qualcosa anche dei miei libri, stimandomi qualcuno che gli sembrava degno d'esser citato insieme con quegli autori. Non me ne devo mostrare ingrato, ma non vorrei per eccesso di familiarità indurre in errore chi mi ha riservato quest'onore. Del primo testo da lui riportato non ho letto il nome dell'autore, o perché costui l'ha omesso, o perché a causa di qualche menda non si trova nel codice che mi avete mandato. Ma che bisogno ho di trattarne? Tanto più che io, libero di fronte agli scritti di tali autori (solo agli Scritti canonici devo un assenso incondizionato)!, non riscontro nulla che mi urti nei passi che cita dai libri dell'autore rimasto per me anonimo. "Era opportuno" dice quello scrittore "che il Maestro destinato ad insegnarci la virtù si facesse somigliantissimo all'uomo, perché vincendo il peccato insegnasse che l'uomo può vincere il peccato 235". Tocca allo stesso scrittore spiegare il senso di queste sue parole. Per noi tuttavia rimane indubitato che il Cristo non ebbe da vincere in se stesso il peccato 236, perché nacque in una carne simile a quella del peccato, ma non nella carne del peccato 237. Un altro testo del medesimo autore cita costui: "Inoltre sottomettendo i desideri della carne intendeva insegnare che il peccato non dipende da uno stato di necessità, ma dall'intenzione e dalla volontà 238". Per desideri della carne - a meno che qui non si dicano quelli delle concupiscenze illecite - io intendo per esempio la fame, la sete, il riposo dalla stanchezza e altre situazioni simili. A causa di esse, benché siano situazioni esenti da colpe, alcuni cadono in colpe. Ciò non avveniva nel nostro Salvatore, sebbene su testimonianza del Vangelo vediamo nella sua vita per la sua carne simile a quella del peccato la presenza delle medesime situazioni.

Le testimonianze di S. Ilario.

62. 72. Del beato Ilario riporta queste parole: "Soltanto quando avremo raggiunto la perfezione dello spirito e saremo stati trasformati dall'immortalità, che è riservata unicamente ai mondi di cuore, vedremo la natura immortale di Dio" 239. Che cosa abbiano queste parole contro di noi o a favore di lui non lo so, perché attestano solamente che l'uomo può essere mondo di cuore. E chi lo nega? Ma lo può in virtù della grazia di Dio per Gesù Cristo nostro Signore 240 e non con la sola libertà dell'arbitrio. Cita un altro testo in cui Ilario ha detto: "Quali libri poteva aver letto Giobbe per astenersi da ogni azione cattiva? Egli onorava veramente Dio con uno spirito tutto mondo da vizi, e onorare Dio è il dovere proprio della giustizia 241". Dice così quello che Giobbe fece 242, non dice con quanta perfezione lo fece in questo mondo né se lo fece, e per giunta perfettamente, senza la grazia del Salvatore che egli anche vaticinò. Da ogni azione cattiva si astiene pure chi ha il peccato, ma non lo lascia regnare nella sua persona 243, e alle sue furtive immaginazioni riprovevoli impedisce di concretarsi nei fatti. Ma altra cosa è non avere il peccato, altra cosa è non obbedire ai desideri del peccato. Altro è osservare il precetto: Non desiderare 244 e altro è lo sforzo dell'astinenza per rispettare almeno il precetto: Non andare dietro alle tue concupiscenze 245. Tuttavia sappiamo che senza la grazia del Salvatore non siamo veramente capaci dell'osservanza né dell'un comandamento né dell'altro. Nel vero culto di Dio "fare la giustizia" è dunque combattere la battaglia interna contro il male interno della concupiscenza, "fare la giustizia perfettamente" è invece non avere più assolutamente nessun avversario da combattere. Chi combatte si trova infatti ancora in pericolo e qualche volta rimane battuto, anche se non abbattuto. Chi invece non ha più avversari, gode di una pace piena. E proprio di uno nel quale non abita più nessun peccato si dice con tutta esattezza che è senza peccato, non di uno che, pur astenendosi dal cedere alla concupiscenza nel fare una cattiva azione, afferma: Non sono io a farla, ma il peccato che abita in me 246.

Ancora sulle testimonianze di S. Ilario.

62. 73. Lo stesso Giobbe non tace i suoi peccati e a cotesto nostro amico piace giustamente che l'umiltà non sia messa dalla parte della falsità. Quello dunque che confessa Giobbe 247, adoratore verace di Dio, è certamente detto da lui con sincerità. Anche Ilario spiegando il testo del salmo dove è scritto: Tu disprezzi chi abbandona i tuoi decreti 248, dice: "Se Dio disprezzasse i peccatori, disprezzerebbe tutti, perché nessuno è senza peccato. Disprezza invece coloro che lo abbandonano e li chiama apostati 249". Vedete come non dice che nessuno è stato senza peccato, in riferimento al passato, ma che nessuno è senza peccato: e da che dipenda questo io certo non ho dubbi, come ho già dichiarato. Ma chi non si arrende all'apostolo Giovanni, il quale pure non afferma: Se dicessimo che siamo stati senza peccato, bensì afferma: Se dicessimo che siamo senza peccato 250, come sarà disposto ad arrendersi al vescovo Ilario? Io sto gridando a favore della grazia del Cristo senza la quale nessuno è giustificato, contro chi dice che è sufficiente il libero arbitrio della natura. Anzi a difesa della grazia grida il Cristo stesso; ci si arrenda a lui che dichiara: Senza di me non potete far nulla 251.