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miamo: Nessuno si glori nell'uomo 147, e quindi neppure in se stesso; ma chi si gloria, si glori nel Signore 148affinché serviamo di lode alla sua gloria. Certo, Egli opera secondo il decreto suo, affinché serviamo di lode alla sua gloria con la nostra santità e purezza, ed è per questo che ci ha chiamati, predestinandoci prima della creazione del mondo. Da questo decreto deriva la chiamata propria degli eletti, per i quali Egli coopera in ogni cosa al bene, dato che sono stati chiamati secondo il decreto 149, e i doni e la chiamata di Dio sono senza ripensamenti.


Confutazione della tesi pelagiana secondo cui Dio ebbe prescienza unicamente della nostra fede e in base a questa ci predestinò.

19. 38. Ma forse questi nostri fratelli riguardo ai quali e per i quali discutiamo ora, dicono che i pelagiani sono confutati da questa testimonianza apostolica, dove si dice che noi siamo stati eletti in Cristo e predestinati prima della creazione del mondo perché fossimo santi e immacolati al suo cospetto per la carità. Essi infatti pensano: "Accolti i comandamenti attraverso l'arbitrio della libera volontà, diveniamo santi e immacolati al suo cospetto per la carità; e poiché Dio ebbe prescienza che ciò sarebbe accaduto, ci elesse prima della creazione del mondo e ci predestinò in Cristo". Ma non così dice l'Apostolo: Dio ci elesse non perché ebbe prescienza che noi saremmo stati tali, ma perché fossimo tali attraverso l'elezione della sua grazia, nella quale ci gratificò nel Figlio suo diletto. Dunque quando ci predestinò, ebbe prescienza del suo operato con il quale ci fa santi e immacolati. Per cui questa testimonianza mette giustamente sotto accusa l'errore dei pelagiani. "Ma noi diciamo - continuano a replicare - che Dio non ebbe prescienza se non della nostra fede, con la quale cominciamo a credere, e perciò ci scelse prima della creazione del mondo e ci predestinò affinché fossimo anche santi e immacolati per grazia e opera di lui". Ma prestino orecchio a loro volta a questa testimonianza, nel punto in cui dice: Abbiamo ottenuto l'eredità, predestinati secondo il decreto di Colui che opera tutte le cose. Dunque è lui che opera affinché cominciamo a credere, lui che opera tutte le cose. Infatti neanche la fede precede la chiamata della quale è detto: Senza ripensamenti sono i doni e la chiamata di Dio 150; ed anche: Non dalle opere, ma da Colui che chiama 151, dove avrebbe potuto dire: Da colui che crede. Così pure la fede non precede la scelta che il Signore ha indicato con le parole: Non siete voi che avete scelto me, ma io ho scelto voi 152. Infatti non ci ha scelti perché abbiamo creduto, ma affinché crediamo; e non si dica che noi prima l'abbiamo scelto, altrimenti diventa falsa, e questo non sia mai, l'asserzione: Non siete stati voi a scegliere me, ma io ho scelto voi. Non siamo chiamati perché abbiamo creduto, ma affinché crediamo: quella chiamata che è senza ripensamento suscita e completa la nostra fede. E non è il caso di ripetere su questo argomento i tanti ragionamenti che abbiamo già sviluppato.


Se non si giudica falso il ringraziamento dell'Apostolo, Dio dona l'inizio della fede.

19. 39. Anche nei passi che seguono di questa testimonianza, l'Apostolo rende grazie a Dio per quelli che hanno creduto; il suo ringraziamento non è rivolto al fatto che sia stato loro annunciato il Vangelo, ma al fatto che vi hanno creduto. Infatti dice: In lui anche voi udendo il verbo della verità, il Vangelo della vostra salvezza, e credendovi, siete stati segnati con il sigillo dello Spirito della promessa, lo Spirito Santo che è pegno della nostra eredità, per la redenzione del popolo che si è acquistato a lode della sua gloria; per questo anch'io, udita la vostra fede in Cristo Gesù e [la vostra carità] verso tutti i santi, non cesso di rendere grazie per voi 153. Era nuova e recente la loro fede dopo che avevano udito la predicazione del Vangelo, ma avendo saputo di questa fede, l'Apostolo rende grazie a Dio per loro. Se si ringraziasse una persona per una cosa che si pensa o si sa che costui non ha compiuto, si dovrebbe parlare di adulazione o irrisione più propriamente che di ringraziamento. Non ingannatevi: Dio non si può dileggiare 154; è un dono suo anche l'inizio della fede, a meno che non si voglia giudicare falso o ingannatore il ringraziamento dell'Apostolo. E ancora, non è chiaro forse che anche per i Tessalonicesi si tratta dell'inizio della fede? E anche di ciò l'Apostolo rende grazie a Dio, dicendo: Noi rendiamo grazie a Dio senza intermissione, perché avendo udito da noi la parola di Dio, l'avete accettata non come parola di uomini, ma come è veramente, parola di Dio che opera in voi che vi avete creduto 155. Che motivo c'è in tutto questo di rendere grazie a Dio? E' assolutamente vano ed inutile, se colui che si ringrazia non ha fatto nulla. Ma poiché il ringraziamento non è né vano né inutile, fu certo Dio, a cui per questa opera egli rende grazie, a fare sì che, avendo essi udito dall'Apostolo la parola di Dio, l'accettassero non come parola di uomini, ma come è veramente, parola di Dio. Dio dunque opera nei cuori degli uomini con quella chiamata secondo il suo decreto, della quale molto abbiamo parlato; e la sua chiamata fa sì che non odano inutilmente il Vangelo, ma dopo averlo udito si convertano e credano, ricevendolo non come parola di uomini, ma, com'è veramente, parola di Dio.


E' Dio che apre la porta del cuore alla fede.

20. 40. Che l'inizio della fede negli uomini sia anch'esso un dono di Dio ce lo ricorda l'Apostolo, facendolo capire con le parole dell'Epistola ai Colossesi:Insistete nella preghiera, vigilanti in essa e nel rendimento di grazie, pregando contemporaneamente anche per noi, perché Dio ci apra la porta della sua parola per annunziare il mistero di Cristo, per il quale io sono stato incatenato, perché io lo manifesti com'è mio dovere 156. Quando si può aprire la porta della parola, se non quando l'intelletto di chi ode si apre per credere e per accogliere dopo l'inizio della fede la predicazione e la chiarificazione delle cose che servono ad edificare la dottrina della salvezza? Chi ode non deve disapprovare e rifiutare quello che viene detto, serrando il cuore per la mancanza della fede. Perciò anche ai Corinzi l'Apostolo si rivolge così: Rimarrò ad Efeso fino alla Pentecoste; infatti mi si è spalancata una porta grande e promettente, e gli avversari sono molti 157. Cos'altro può voler dire qui se non che dopo aver predicato per la prima volta il Vangelo in quel luogo, molti credettero, ma si levarono anche molti avversari della fede, secondo la frase del Signore: Nessuno viene a me se non gli è stato concesso dal Padre mio 158; e l'altra: A voi è stato concesso di conoscere il mistero del regno dei cieli; ma a loro non è stato concesso 159? Dunque la porta si è aperta per quelli ai quali è stato concesso; ma molti tra coloro ai quali non è stato concesso sono diventati nemici.


Chiarissima dimostrazione di questa verità.

20. 41. E nella seconda Epistola ai Corinzi dice ancora l'Apostolo: Venuto a Troade per predicare il Vangelo di Cristo, pur essendomisi aperta una porta nel Signore, non ebbi requie nel mio spirito per il fatto che non vi trovai Tito, il fratello mio; perciò li salutai e mi recai in Macedonia 160. Chi sono quelli che salutò se non quelli che avevano creduto, nel cuore dei quali evidentemente si era aperta una porta all'evangelizzazione? E badate a quello che aggiunge: Si rendano grazie a Dio che sempre ci fa trionfare in Cristo, e in ogni luogo diffonde attraverso di noi la fragranza della sua conoscenza; perché noi siamo per Dio il soave odore di Cristo, sia in quelli che si salvano, sia in quelli che si perdono; per alcuni odore che conduce di morte in morte, ma per alcuni odore che conduce di vita in vita 161. Ecco il motivo per cui rende grazie quel combattente fervidissimo e difensore invincibile della grazia; ecco il motivo per cui rende grazie, perché gli Apostoli sono per Dio il buon odore di Cristo, sia in quelli che si salvano per la sua grazia, sia in quelli che si perdono per il suo giudizio. Ma per non provocare troppo risentimento in quelli che non capiscono bene queste parole, egli aggiunge l'avvertimento: E chi è all'altezza di simile compito? 162. Ma torniamo all'apertura della porta, immagine con la quale l'Apostolo vuole significare l'inizio della fede in chi ode. Infatti una simile frase: Pregando contemporaneamente anche per noi, perché Dio ci apra la porta della sua parola 163, che altro è se non la chiarissima dimostrazione che anche lo stesso inizio della fede è dono di Dio? Infatti nelle preghiere non gli si rivolgerebbe quella richiesta se non si credesse che la concessione viene da lui. Questo dono della grazia celeste era disceso in quella venditrice di porpora a cui, come dice la Scrittura negli Atti degli ApostoliDio aveva aperto il cuore, e prestava attenzione a ciò che Paolo diceva 164. Infatti ella era chiamata con quell'appello che ci rende credenti. Dio compie nel cuore degli uomini ciò che vuole, sia soccorrendo, sia giudicando, affinché anche per mezzo loro si compia ciò che la sua mano e il suo consiglio ha predestinato 165.


Il fatto che Dio piega le volontà degli uomini riguarda o no la presente questione?

20. 42. Abbiamo provato, traendo dai Libri dei Re e dai Paralipomeni le testimonianze scritturali, che quando Dio vuole far avvenire quello che necessariamente non avviene se non con la partecipazione della volontà umana, i cuori degli uomini si piegano a volerlo 166. Ma naturalmente è sempre lui a piegarli, lui che in modo mirabile ed ineffabile opera in noi anche il volere. Hanno obiettato invano che questo non appartiene alla questione che qui interessa 167. Che cos'è questo se non voler contraddire pur non avendo nulla da dire? A meno che non abbiano fornito a voi le ragioni del loro convincimento e voi nelle vostre lettere abbiate invece preferito tacerle. Ma io non so quali esse possano essere. Sarà forse perché abbiamo dimostrato che Dio ha influito sul cuore degli uomini e ha mosso la volontà di quelli che a lui piacque muovere, affinché fosse eletto re Saul oppure David. Pensano perciò che questi esempi non si adattano all'argomento perché regnare temporalmente in questo mondo non è la stessa cosa che regnare in eterno con Dio; e perciò pensano che Dio si riserva di piegare la volontà di chi vuole per creare i regni terreni, ma non lo fa quando si deve ottenere il regno celeste. Ma io penso che siano dette per il regno dei cieli, non per il regno terreno tutte le espressioni che seguono: Piega il mio cuore verso i tuoi precetti168I passi dell'uomo sono diretti dal Signore e le sue vie saranno approvate da lui 169La volontà è preparata dal Signore 170Sia con noi il nostro Signore, come era con i nostri padri; non ci abbandoni né ci allontani da sé; pieghi a sé i nostri cuori affinché avanziamo in tutte le sue vie 171Darò ad essi un cuore per conoscermi e orecchie che intendano 172Darò ad essi un cuore diverso e uno spirito nuovo darò ad essi 173. E ascoltino anche quest'altro passo:Metterò il mio spirito in voi e farò sì che camminiate nei miei giusti precetti e osserviate e applichiate le mie decisioni 174; e questo ancora: Dal Signore sono diretti i passi dell'uomo; un mortale come può intendere le sue vie175; e ancora: Ogni uomo sembra giusto a se stesso, ma è il Signore che dirige i cuori176; e ancora: Credettero tutti quelli che erano preordinati per la vita eterna 177. Facciano attenzione a queste testimonianze e a tutte le altre che non ho voluto citare, le quali dimostrano che Dio prepara e rivolge la volontà degli uomini anche quando il fine è il regno dei cieli e la vita eterna. E riflettete che assurdità sarebbe, se credessimo che Dio opera la volontà degli uomini per stabilire i regni terreni, mentre per conquistare il regno dei cieli sarebbero gli uomini stessi a mettere in opera il proprio volere.


Conclusione.

21. 43. Abbiamo esposto molti argomenti e forse ormai da tempo siamo riusciti a persuadere di ciò che volevamo i nostri fratelli; pure insistiamo a parlare ad ingegni tanto pronti come se fossero intelletti ottusi per i quali non è sufficiente nemmeno ciò che è troppo. Ma siano indulgenti: è la novità del problema che ci ha spinto a tanto. Nei nostri opuscoli precedenti abbiamo esposto con testimonianze abbastanza adeguate che anche la fede è un dono di Dio, ma ci è stata escogitata un'obiezione: che quelle testimonianze sono valide per dimostrare che è un dono di Dio l'accrescimento della fede, ma l'inizio della fede, con cui in principio si crede in Cristo, parte dall'uomo stesso; non è quindi un dono di Dio, anzi Dio lo esige; quando l'inizio c'è stato, tutti gli altri beni, che sono effettivamente doni di Dio, seguono secondo loro per questo merito; e nessuno di essi è dato gratuitamente. Eppure tra questi avversari si continua a sostenere la grazia, che non può essere se non gratuita. Vedete bene quanto ciò sia assurdo; per questa ragione abbiamo preso il partito di dimostrare, per quanto potevamo, che anche l'inizio della fede è un dono di Dio. Forse l'abbiamo fatto più prolissamente di quanto avrebbero voluto questi fratelli ai quali abbiamo dedicato la nostra opera; e su questo punto siamo pronti a ricevere i loro rimproveri, a una condizione però: benché ci siamo dilungati molto più di quanto avrebbero voluto, benché abbiamo inflitto fastidio e noia a chi comprende facilmente, noi abbiamo raggiunto il nostro scopo. Lo ammettano. Abbiamo cioè dimostrato che è un dono di Dio anche l'inizio della fede, come la continenza, la pazienza, la giustizia, la pietà e tutte le altre virtù riguardo alle quali non abbiamo nessuna controversia con costoro. E qui abbia termine questo volume, perché anche un libro solo finisce per urtare se è eccessivamente lungo.