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120. Questo stile deve essere uno stile integrale, che abbraccia il pensiero e l’azione, i comportamenti personali e la testimonianza pubblica, la vita interna delle nostre comunità e il loro slancio missionario. Così si conferma l’attenzione educativa e la dedizione premurosa ai poveri, la capacità di ogni cristiano di prendere la parola negli ambienti in cui vive e lavora per comunicare il dono cristiano della speranza. Questo stile deve fare suo l’ardore, la fiducia e la libertà di parola (la parresia) che si manifestavano nella predicazione degli Apostoli (cf. At 4,31; 9,27-28). È questo lo stile che il mondo deve trovare nella Chiesa e in ogni cristiano, secondo la logica della nostra fede. Questo stile mette in gioco ognuno di noi personalmente, come ci ricorda Paolo VI: «accanto alla proclamazione fatta in forma generale del Vangelo, l’altra forma della sua trasmissione, da persona a persona, resta valida ed importante. [...] Non dovrebbe accadere che l’urgenza di annunziare la buona novella a masse di uomini facesse dimenticare questa forma di annuncio mediante la quale la coscienza personale di un uomo è raggiunta, toccata da una parola del tutto straordinaria che egli riceve da un altro».[60]

121. In questa prospettiva, l’invito che ci viene rivolto nell’Anno della Fede ad un’autentica e rinnovata conversione al Signore, unico Salvatore del mondo, è un’occasione da sfruttare al meglio, perché ogni comunità cristiana, ogni singolo battezzato possa essere il tralcio che, portando frutto, viene potato «perché porti più frutto» (Gv 15,2); e possa così arricchire il mondo e la vita degli uomini dei doni della vita nuova plasmata sulla radicale novità della risurrezione. Nella misura della sua libera disponibilità, i pensieri e gli affetti, la mentalità e il comportamento dell’uomo vengono lentamente purificati e trasformati, in un cammino mai compiutamente terminato in questa vita. La «fede che si rende operosa per mezzo della carità» (Gal 5,6) diventa un nuovo criterio di intelligenza e di azione che cambia tutta la vita dell’uomo (cf. Ef 4,20-29), portando nuovi frutti.

I frutti della fede

122. I frutti che questa trasformazione, resa possibile dalla vita di fede, genera dentro la Chiesa come segno della forza vivificante del Vangelo prendono forma nel confronto con le sfide del nostro tempo. Le risposte indicano così questi frutti: famiglie che sono segno vero di amore, di condivisione e di speranza aperta alla vita; comunità dotate di vero spirito ecumenico; il coraggio di sostenere iniziative di giustizia sociale e solidarietà; la gioia di donare la propria vita seguendo una vocazione o una consacrazione. La Chiesa che trasmette la sua fede nella nuova evangelizzazione in tutti questi ambiti mostra lo Spirito che la guida e trasfigura la storia.

123. Come la fede si manifesta nella carità, così la carità senza la fede sarebbe filantropia. Fede e carità nel cristiano si esigono a vicenda, così che l’una sostiene l’altra. In molte risposte si è sottolineato il valore testimoniale dei tanti cristiani che dedicano la loro vita con amore a chi è solo, emarginato o escluso, perché proprio in queste persone si riflette il volto stesso di Cristo. Grazie alla fede possiamo riconoscere in quanti chiedono il nostro amore il volto del Signore risorto: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40). È la fede che permette di riconoscere Cristo; ed è il suo stesso amore che spinge a soccorrerlo ogni volta che si fa nostro prossimo nel cammino della vita.

124. Sostenuti dalla fede, guardiamo con speranza al nostro impegno nel mondo, in attesa di «nuovi cieli e una terra nuova, nei quali abita la giustizia» (2Pt 3,13). È lo stesso impegno evangelizzatore a chiederci, come diceva Paolo VI, «di raggiungere e quasi sconvolgere mediante la forza del Vangelo i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti di interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita dell’umanità, che sono in contrasto con la Parola di Dio e col disegno della salvezza».[61] Molte risposte chiedono di stimolare tutti i battezzati a vivere con maggiore dedizione lo specifico compito di evangelizzare anche attraverso la Dottrina sociale della Chiesa vivendo la loro fede nel mondo alla ricerca del vero bene di tutti, nel rispetto e nella promozione della dignità di ogni persona, sino ad intervenire direttamente – in modo particolare i fedeli laici – nell’azione sociale e politica.

La carità è il linguaggio che nella nuova evangelizzazione più che a parole si esprime nelle opere di fraternità, di vicinanza e di aiuto alle persone in necessità spirituali e materiali.

125. Frutto ulteriore di una Chiesa che si lascia trasfigurare dal Vangelo di Gesù, dalla sua presenza, è un rinnovato impegno ecumenico. Come ricorda il Concilio Vaticano II, la divisione tra i cristiani è una controtestimonianza: «tale divisione da un lato contraddice apertamente alla volontà di Cristo, dall’altro è di scandalo al mondo e danneggia la santissima causa della predicazione del Vangelo a ogni creatura».[62] Il superamento delle divisioni è la condizione irrinunciabile per la piena credibilità della sequela di Cristo. Ciò che unisce i cristiani è molto più forte di ciò che li divide. Dobbiamo perciò stimolarci reciprocamente nel cercare di vivere con fedeltà la nostra testimonianza al Vangelo, imparando a crescere nell’unità. In questo senso, come sollecitano molte Chiese particolari, la causa dell’ecumenismo è sicuramente uno dei frutti da attendere dalla nuova evangelizzazione, poiché tutte e due queste azioni intendono promuovere la comunione nel corpo visibile della Chiesa, per la salvezza di tutti.

126. Anche la tensione dell’uomo verso la verità è uno dei frutti che molte risposte attendono dall’impulso della nuova evangelizzazione. Si costata che tanti settori della cultura attuale manifestano una sorta di insofferenza nei confronti di tutto ciò che viene affermato come verità, in contrapposizione al concetto moderno di libertà intesa come autonomia assoluta, che trova nel relativismo l’unica forma di pensiero atta alla convivenza tra le diversità culturali e religiose. Al riguardo, molte risposte raccomandano che le nostre comunità e i singoli cristiani – proprio in nome di quella verità che ci fa liberi (cf. Gv 8,32) – sappiano accompagnare gli uomini verso la verità, la pace e la difesa della dignità di ogni uomo, contro ogni forma di violenza e di soppressione dei diritti.

127. Banco di prova di tali cammini è sicuramente il dialogo interreligioso, che non può avere come condizione la rinuncia al tema della verità, valore invece connaturale all’esperienza religiosa: la ricerca di Dio è l’atto che qualifica in modo supremo la libertà dell’uomo. Questa ricerca però è veramente libera quando è aperta alla verità, che non si impone con la violenza, ma grazie alla forza attrattiva della verità stessa.[63] Come afferma il Concilio Vaticano II: «La verità però va cercata in modo rispondente alla dignità della persona umana e alla sua natura sociale, cioè con una ricerca libera, con l’aiuto del magistero cioè dell’insegnamento, della comunicazione e del dialogo con cui, allo scopo di aiutarsi vicendevolmente nella ricerca della verità, gli uni espongono agli altri la verità che hanno scoperta o che ritengono di avere scoperta; ma alla verità conosciuta si deve aderire fermamente con assenso personale».[64] Ci si attende che il Sinodo rilegga il tema dell’evangelizzazione, della trasmissione della fede, alla luce del principio evidenziato dal binomio verità-libertà.[65]

128. Infine, fa parte di questa logica del riconoscimento dei frutti anche il coraggio di denunciare le infedeltà e gli scandali che emergono nelle comunità cristiane, come segno e conseguenza di un calo di tensione in questo compito di annuncio. È necessario il coraggio di riconoscere le colpe, mentre si continua a testimoniare Gesù Cristo e il continuo bisogno di essere salvati. Come ci insegna l’apostolo Paolo, possiamo guardare le nostre debolezze perché in questo modo riconosciamo la potenza di Cristo che ci salva (cf. 2Cor 12,9; Rm 7,14s). L’esercizio della penitenza come conversione conduce alla purificazione e alla riparazione delle conseguenze degli errori nella fiducia che la speranza che ci è stata donata «non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5,5). Questi atteggiamenti sono frutto della trasmissione della fede e dell’annuncio del Vangelo, che in primo luogo non smette di rinnovare i cristiani, le loro comunità, mentre porta al mondo la testimonianza della fede cristiana.


Quarto capitolo
Ravvivare l’azione pastorale

«Fate discepoli tutti i popoli,
battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo,
insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato» (Mt 28,19-20)

129. Il comando di fare discepoli tutti i popoli e di battezzarli ha dato origine nelle diverse epoche della storia della Chiesa a delle pratiche pastorali dettate dalla volontà di trasmettere la fede e dalla necessità di annunciare il Vangelo con il linguaggio degli uomini, radicati nelle loro culture e in mezzo a loro.[66] È questa una legge espressa in modo chiaro dal Concilio Vaticano II: la Chiesa «fin dagli inizi della sua storia, imparò ad esprimere il messaggio di Cristo ricorrendo ai concetti e alle lingue dei diversi popoli; e inoltre si sforzò di illustrarlo con la sapienza dei filosofi: allo scopo, cioè, di adattare, quanto conveniva, il Vangelo, sia alla capacità di tutti sia alle esigenze dei sapienti. E tale adattamento della predicazione della parola rivelata deve rimanere legge di ogni evangelizzazione. […] È dovere di tutto il popolo di Dio, soprattutto dei pastori e dei teologi, con l’aiuto dello Spirito Santo, di ascoltare attentamente, discernere e interpretare i vari linguaggi del nostro tempo, e di saperli giudicare alla luce della Parola di Dio, perché la verità rivelata sia capita sempre più a fondo, sia meglio compresa e possa venire presentata in forma più adatta».[67]

130. Una comprensione sempre più chiara delle forme di trasmissione della fede, unitamente ai mutamenti sociali e culturali che si pongono di fronte al cristianesimo di oggi come una sfida, hanno dato avvio dentro la Chiesa ad un diffuso processo di riflessione e di revisione delle sue pratiche pastorali, in particolare di quelle specificatamente consacrate alla introduzione alla fede, alla educazione ad essa e all’annuncio del messaggio cristiano. Infatti «la Chiesa, avendo una struttura sociale visibile, che è appunto segno della sua unità in Cristo, può far tesoro, e lo fa, dello sviluppo della vita sociale umana, non come se le mancasse qualcosa nella costituzione datale da Cristo, ma per conoscere questa più profondamente, per meglio esprimerla e per adattarla con più successo ai nostri tempi».[68] Riprendendo le affermazioni di Paolo VI nell’Evangelii nuntiandi[69], Benedetto XVI conferma come l’evangelizzazione «non sarebbe completa se non tenesse conto del reciproco appello, che si fanno continuamente il Vangelo e la vita concreta, personale e sociale, dell’uomo. […] La testimonianza della carità di Cristo attraverso opere di giustizia, pace e sviluppo fa parte della evangelizzazione, perché a Gesù Cristo, che ci ama, sta a cuore tutto l’uomo. Su questi importanti insegnamenti si fonda l’aspetto missionario della dottrina sociale della Chiesa come elemento essenziale di evangelizzazione. La dottrina sociale della Chiesa è annuncio e testimonianza di fede. È strumento e luogo imprescindibile di educazione ad essa».[70] Si tratta di temi da approfondire nella nuova evangelizzazione. Essa concerne anche «il servizio della Chiesa in vista della riconciliazione, della giustizia e della pace».[71]

L’iniziazione cristiana, processo evangelizzatore

131. Il testo dei Lineamenta affermava che dal modo con cui la Chiesa saprà gestire la revisione in atto delle sua pratiche battesimali dipenderà il volto futuro del cristianesimo nel mondo, soprattutto in Occidente, e la capacità della fede cristiana di parlare alla cultura odierna. Le risposte pervenute mostrano una Chiesa molto impegnata in questo esame, che ha raggiunto alcune certezze, ma che su tante questioni mostra ancora i segni di un lavoro non concluso, di un itinerario non ben disegnato fino in fondo.

132. La prima certezza sta nella forma abituale d’ingresso alla vita cristiana che è il battesimo ricevuto da bambini, molto spesso nel periodo immediatamente successivo alla nascita. La grande maggioranza delle risposte riporta questo dato come risultato di un lavoro di osservazione ma anche come frutto di una scelta consapevole. Anche le Chiese più giovani vedono nel battesimo amministrato ai bambini un traguardo che dice un livello alto di inculturazione del cristianesimo anche nelle loro terre. Varie risposte invece rivelano una forte preoccupazione per l’apparire di scelte da parte di genitori battezzati di differire il battesimo del proprio bambino, in seguito a svariate motivazioni, delle quali la più frequente è legata alla possibilità di una libera scelta del soggetto, una volta divenuto adulto.

133. Una seconda certezza consiste nella presenza ormai stabile di domande di battesimo da parte di adulti e di adolescenti. Il fenomeno, decisamente meno rilevante a livello numerico rispetto al primo, è letto tuttavia come un dono che permette alle comunità cristiane di cogliere il contenuto profondo del battesimo: il cammino di preparazione, la celebrazione degli scrutini prebattesimali, la celebrazione del sacramento, sono momenti che nutrono la fede sia del catecumeno che della comunità.

134. Inoltre appare certo che la struttura del catecumenato, con riferimento all’Ordo Initiationis Christianae Adultorum,[72] è lo strumento adatto per operare una riforma del percorso di ingresso alla fede dei più piccoli. Tutte le Chiese hanno lavorato in questi decenni per dare alla introduzione ed educazione alla fede un carattere più testimoniale ed ecclesiale. Si è così riusciti a riservare al sacramento del battesimo una celebrazione più consapevole, in vista di una futura migliore partecipazione dei battezzati alla vita cristiana. Si sono fatti sforzi per dare forma agli itinerari di iniziazione cristiana, cercando di legare in unità i sacramenti (battesimo, cresima ed eucaristia) e coinvolgere in modo sempre più attivo anche i genitori e i padrini. Molte Chiese hanno di fatto dato forma ad una sorta di “catecumenato post-battesimale”, per riformare le pratiche di adesione alla fede e superare la frattura tra liturgia e vita, perché la Chiesa sia realmente una madre che genera alla fede i suoi figli.[73]

135. La nuova evangelizzazione viene vista in molte risposte come l’appello a consolidare gli sforzi fatti e le riforme introdotte per fortificare la fede: dei catecumeni, anzitutto, dei loro famigliari, della comunità che li sostiene e li accompagna. La pastorale battesimale è assunta come uno dei luoghi prioritari della nuova evangelizzazione.

136. Per quanto riguarda gli itinerari di iniziazione cristiana, le risposte ci consegnano due dati: una grande varietà, la pacifica coesistenza di forti diversità. L’ammissione alla prima comunione è in genere collocata nel momento della scolarizzazione primaria, preceduta da un itinerario di preparazione. Esistono anche esperienze di mistagogia, di accompagnamento successivo. Molto più variegata è la collocazione del sacramento della confermazione in tempi molto differenti anche tra diocesi limitrofe.

Appoggiandosi a quanto fu affermato al Sinodo sull’Eucaristia, che cioè la differenziazione delle pratiche non è di ordine dogmatico ma pastorale,[74] i soggetti implicati non appaiono intenzionati a un lavoro di revisione. Al contrario, si ritiene l’attuale situazione come una ricchezza che è utile mantenere.

Questa compresenza di pratiche differenti non suscita riflessioni tali da prendere in considerazione la differenza di prassi circa l’iniziazione cristiana nelle Chiese Cattoliche Orientali.

137. Al riguardo il lavoro che il Sinodo è chiamato a svolgere è ampio. Non soltanto si tratta di orientare una prassi variegata per evitare la dispersione. Si tratta anche, più profondamente, di realizzare quanto fu chiesto dal Sinodo sull’Eucaristia, raggiungendo «l’efficacia degli attuali percorsi di iniziazione, affinché il cristiano dall’azione educativa delle nostre comunità sia aiutato a maturare sempre di più, giungendo ad assumere nella sua vita un’impostazione autenticamente eucaristica, così da essere in grado di dare ragione della propria speranza in modo adeguato per il nostro tempo (cf. 1Pt 3,15)».[75] Bisogna comprendere meglio, dal punto di vista teologico, la sequenza dei sacramenti dell’iniziazione cristiana che culmina nell’Eucaristia, e riflettere su modelli per tradurre nella prassi l’approfondimento auspicato.

L’esigenza del primo annuncio

138. A più riprese, nelle risposte è emersa l’esigenza di aiutare le comunità cristiane locali, cominciando dalle parrocchie, ad adottare uno stile più missionario della propria presenza dentro il tessuto sociale. L’appello ricorrente è che le nostre comunità nell’annuncio del Vangelo sappiano suscitare l’attenzione degli adulti di oggi, interpretando le loro domande e la loro sete di felicità. In una società che ha espulso molte forme del discorso su Dio, il bisogno che le nostre istituzioni assumano senza paura anche un’attitudine apologetica, vivano con serenità forme di affermazione pubblica della propria fede, è sentito come una chiara urgenza pastorale.

139. È a questa situazione che guarda lo strumento del primo annuncio di cui parlava il testo dei Lineamenta. Inteso come strumento di proposta esplicita, meglio ancora di proclamazione, del contenuto fondamentale della nostra fede, il primo annuncio si dirige anzitutto a coloro che tuttora non conoscono Gesù Cristo, ai non credenti e a quelli che, di fatto, vivono nell’indifferenza religiosa. Esso chiama alla conversione e deve essere integrato nelle altre forme di annuncio e di iniziazione alla fede. Mentre queste forme mirano all’accompagnamento, alla maturazione di una fede che c’è già, il primo annuncio ha come suo scopo specifico la conversione, che poi rimane una costante nella vita cristiana.

140. La distinzione tra queste differenti forme dell’annuncio non è però sempre facile da fare, e non necessariamente deve essere affermata in modo netto. Si tratta di una duplice attenzione che fa parte della medesima azione pastorale. Lo strumento del primo annuncio spinge le comunità cristiane a dare spazio alla fede delle persone, sia di quelle interne alla comunità, come di quelle estranee. Suo compito è di ravvivarla o di suscitarla, per mantenere la comunità e i battezzati in una tensione costante e fedele verso l’annuncio e la testimonianza pubblica della fede che professano.

141. Il primo annuncio ha perciò bisogno di forme, luoghi, iniziative, eventi che consentano di portare dentro la società l’annuncio della fede cristiana. E in effetti, le risposte mostrano che non mancano forme generali di primo annuncio. Diverse Conferenze Episcopali hanno organizzato eventi ecclesiali nazionali. Sempre in questa linea molte risposte lodano gli eventi internazionali come le Giornate Mondiali della Gioventù, visti come vere e proprie forme di primo annuncio su scala mondiale. Anche i viaggi apostolici del Papa vengono letti nella medesima prospettiva, come anche la celebrazione della beatificazione o canonizzazione di un figlio o una figlia di una determinata Chiesa.

142. Al contrario, desta preoccupazione in molte risposte la scarsezza di primo annuncio nella vita quotidiana, che si svolge nel quartiere, dentro il mondo del lavoro. L’impressione diffusa è che a questo scopo occorra lavorare molto per sensibilizzare le comunità parrocchiali ad una urgente azione missionaria. L’Assemblea sinodale dalle risposte può rilevare un’indicazione ulteriore per il confronto e la riflessione. Diverse risposte evidenziano che il primo annuncio può trovare posto già in pratiche pastorali ben presenti nella vita ordinaria delle nostre comunità cristiane. Le azioni indicate sono tre: la predicazione, il sacramento della riconciliazione, la pietà popolare con le sue devozioni.

143. Quanto alla predicazione, anzitutto l’omelia domenicale e anche le tante forme di predicazione straordinaria (missioni popolari, novene, omelie in occasione di funerali, battesimi, matrimoni, feste) sono davvero strumento privilegiato di primo annuncio. Per questo motivo, come ha chiesto la precedente Assemblea Generale Ordinaria, vanno preparate con cura, facendo attenzione al cuore del messaggio che si vuole trasmettere, al carattere cristologico che devono avere, all’uso di un linguaggio che susciti l’ascolto e abbia come obiettivo la conversione dell’assemblea.[76]

144. Il sacramento della Riconciliazione ha il suo significato originario nella esperienza attuale del volto di misericordia di Dio Padre per la conversione e la crescita del singolo penitente e della comunità che celebra questo sacramento. Affinché questo sacramento favorisca l’evangelizzazione, suscitando il senso del peccato, basterebbe mettere in atto in modo ordinario e abituale ciò che è previsto dal Rito, ovvero, che esso inizi con la proclamazione di un brano biblico alla luce del quale si possa esaminare la propria coscienza, e discernere la propria distanza dalla volontà di Dio e dal Vangelo.[77] Si riprodurrebbe così l’itinerario ben noto degli Atti degli Apostoli: dalla proclamazione della Parola al pentimento per la remissione dei peccati (cf. At 2,14-47).

145. Infine, la pietà popolare con le sue devozioni rivolte a Maria, in particolare, e ai santi, nei luoghi sacri, i santuari, per vivere itinerari di penitenza e di spiritualità, si rivela sempre più come una via molto attuale e originale. Nei pellegrinaggi e nelle devozioni si viene introdotti per via esperienziale alla fede e alle grandi domande esistenziali che toccano anche la conversione della propria vita. Si vive un’esperienza comunitaria di fede, che apre nuove visioni del mondo e della vita. Lavorare perché la ricchezza della preghiera cristiana sia ben custodita in questi luoghi di conversione è sicuramente una sfida da affidare alla nuova evangelizzazione.

In particolare, per il culto mariano, la nuova evangelizzazione non può che far sue le parole del Concilio Vaticano II: «Il santo sinodo insegna espressamente questa dottrina cattolica, e insieme esorta tutti i figli della chiesa a promuovere generosamente il culto, specialmente liturgico, verso la beata Vergine, ad apprezzare le pratiche e gli esercizi di pietà verso di lei raccomandati lungo i secoli dal magistero. […] I fedeli si ricordino che la vera devozione non consiste né in uno sterile sentimentalismo passeggero né in una vana credulità, ma procede dalla vera fede che ci conduce a riconoscere la preminenza della Madre di Dio e ci stimola a un amore filiale verso la nostra madre e alla imitazione delle sue virtù».[78]

146. Le risposte elencano altre pratiche che meritano di essere portate all’attenzione del dibattito sinodale, come strumenti in grado di dare forma all’esigenza di primo annuncio. In primo luogo si fa riferimento alle missioni popolari, organizzate nel passato a scadenze regolari nelle parrocchie, come forma di risveglio spirituale dei cristiani del luogo. Rilanciare e dare forma oggi ad un simile strumento è una domanda contenuta in più di una risposta, integrando le missioni popolari nelle pratiche comunitarie di ascolto e di annuncio della Parola di Dio oggi diffuse nelle comunità cristiane. Così pure vengono ritenute ottime occasioni di primo annuncio tutte quelle azioni pastorali che hanno come proprio oggetto la preparazione al sacramento del matrimonio. Esse non sono considerate come una semplice e diretta preparazione a questo specifico sacramento, ma diventano sempre più veri e propri itinerari di riappropriazione e di maturazione della fede cristiana. Infine si chiede di includere nell’azione di primo annuncio anche la cura e l’attenzione che le comunità cristiane riservano al momento della sofferenza e della malattia.

Trasmettere la fede, educare l’uomo

147. I Lineamenta hanno proposto un legame tra iniziazione alla fede ed educazione che è stato colto nella sua profondità. Non si può evangelizzare senza al tempo stesso educare l’uomo ad essere veramente se stesso: l’evangelizzazione lo esige come legame diretto. Incontrando Cristo, trova la sua vera luce il mistero dell’uomo, come afferma il Concilio Vaticano II.[79] La Chiesa possiede al riguardo una tradizione di risorse pedagogiche, riflessione e ricerca, istituzioni, persone – consacrate e non, raccolte in ordini religiosi, in congregazioni, in istituti – in grado di offrire una presenza significativa nel mondo della scuola e dell’educazione.

148. Con differenze significative dettate dalla geografia della società e dalla storia del cattolicesimo nelle singole nazioni, è un dato condiviso che la Chiesa ha profuso e continua a profondere grandi energie nel compito educativo. Scuole e università cattoliche sono presenti nelle Chiese particolari. Le risposte al riguardo offrono descrizioni dettagliate del lavoro educativo svolto, e dei frutti che un simile lavoro ha generato e continua in molti luoghi a generare. Lo sviluppo passato e presente di alcune nazioni è debitore di questo sforzo educativo svolto dalla Chiesa.

149. Questo compito educativo, oggi si svolge in un contesto culturale in cui ogni forma di azione educativa appare più difficoltosa e critica, al punto che lo stesso Papa Benedetto XVI ha parlato di «emergenza educativa»,[80] intendendo alludere alla speciale urgenza di trasmettere alle nuove generazioni i valori base dell’esistenza e di un retto comportamento. Cresce perciò, da più parti, la domanda di un’educazione autentica e di educatori che siano davvero tali. Una simile richiesta vede accomunati genitori preoccupati per il futuro dei propri figli, insegnanti che vivono la triste esperienza del degrado della scuola, la stessa società che vede minate le basi stesse della convivenza.

150. In un simile contesto l’impegno della Chiesa per educare alla fede, alla sequela e alla testimonianza del Vangelo assume anche il valore di un contributo per far uscire la società dalla crisi educativa che la affligge. Nel campo educativo, le risposte descrivono una Chiesa che ha molto da dare, come l’idea di educazione che ha saputo diffondere nel mondo, con il primato della persona e della sua formazione, e la volontà di fornire un’educazione autentica, aperta alla verità, della quale fa parte anche l’incontro con Dio e l’esperienza della fede.

151. Ancora più profondamente, alcune risposte danno ulteriore valore e risalto a questo impegno educativo da parte della Chiesa, perché è uno strumento per mettere in evidenza la radice antropologica e metafisica dell’attuale sfida intorno alla educazione. Le radici dell’emergenza educativa attuale possono infatti essere ritrovate nell’imporsi di un’antropologia segnata dall’individualismo e di un duplice relativismo che riduce la realtà a mera materia manipolabile e la rivelazione cristiana a mero processo storico privo di carattere soprannaturale.

152. Così Papa Benedetto XVI descrive queste radici: «Una radice essenziale consiste – mi sembra – in un falso concetto di autonomia dell’uomo: l’uomo dovrebbe svilupparsi solo da se stesso, senza imposizioni da parte di altri, i quali potrebbero assistere il suo autosviluppo, ma non entrare in questo sviluppo. […] L’altra radice dell’emergenza educativa io la vedo nello scetticismo e nel relativismo o, con parole più semplici e chiare, nell’esclusione delle due fonti che orientano il cammino umano. La prima fonte dovrebbe essere la natura, la seconda la Rivelazione. […] Fondamentale è quindi ritrovare un concetto vero della natura come creazione di Dio che parla a noi; il Creatore, tramite il libro della creazione, parla a noi e ci mostra i valori veri. E poi così anche ritrovare la Rivelazione: riconoscere che il libro della creazione, nel quale Dio ci dà gli orientamenti fondamentali, è decifrato nella Rivelazione».[81]

Fede e conoscenza

153. Lo stesso tipo di legame che esiste tra fede ed educazione, è riscontrabile anche tra fede e conoscenza. Il testo dei Lineamenta esplicitava questo legame attraverso il concetto coniato da Papa Benedetto XVI di «ecologia della persona umana».[82] Indicando le conseguenze di una crisi che potrebbe minare la tenuta della società nel suo insieme, Papa Benedetto XVI indica la possibile via di uscita da un simile rischio nello sviluppo di un’ecologia dell’uomo, intesa in senso giusto, ovvero di un modo di impostare la comprensione del mondo e lo sviluppo della scienza che tenga conto di tutte le esigenze dell’uomo, compresa l’apertura alla verità e l’originaria relazione con Dio.

154. La fede cristiana sostiene l’intelligenza nella comprensione dell’equilibrio profondo che regge la struttura dell’esistenza e della sua storia. Svolge questa operazione non in modo generico o dall’esterno, ma condividendo con la ragione la sete di sapere, la sete di ricerca, orientandola verso il bene dell’uomo e del cosmo. La fede cristiana contribuisce alla comprensione del contenuto profondo delle esperienze fondamentali dell’uomo. È un compito – quello di questo confronto critico e di indirizzo – che il cattolicesimo svolge da tempo, come molte risposte hanno affermato elencando istituzioni, centri di ricerca, università, frutto della intuizione e del carisma di alcuni o della premura educativa delle Chiese particolari, che hanno fatto di questo confronto uno dei loro principali obiettivi.

155. Tuttavia è motivo di preoccupazione: costatare che non è facile entrare nello spazio comune della ricerca e dello sviluppo della conoscenza nelle diverse culture. Si ha infatti l’impressione che la ragione cristiana fatichi a trovare interlocutori in quegli ambienti che ai nostri giorni detengono le energie e il potere nel mondo della ricerca, soprattutto in campo tecnologico ed economico. Questa situazione va perciò letta come una sfida per la Chiesa e, pertanto, un campo di particolare attenzione per la nuova evangelizzazione.

156. In continuità con la Tradizione della Chiesa, sulla scia dell’Enciclica del beato Giovanni Paolo II Fides et ratio, Papa Benedetto XVI ha spesso ribadito la complementarità tra la fede e la ragione. La fede allarga gli orizzonti della ragione e la ragione preserva la fede da possibili derive irrazionali, o dagli abusi della religione. Sempre attenta alla dimensione intellettuale dell’educazione, di cui testimoniano numerose università e istituti superiori di studio, la Chiesa è impegnata nella pastorale universitaria per favorire il dialogo con gli scienziati. In tale campo un posto particolare spetta agli scienziati cristiani: tocca ad essi infatti testimoniare, con la loro attività e soprattutto con la loro vita, che la ragione e la fede sono due ali che portano a Dio,[83] che la fede cristiana e la scienza, rettamente intese, possono arricchirsi reciprocamente per il bene dell’umanità. L’unico limite del progresso scientifico è la salvaguardia della dignità della persona umana creata ad immagine di Dio, che non deve essere oggetto ma soggetto della ricerca scientifica e tecnologica.

157. In questo capitolo dedicato al rapporto tra fede e conoscenza va collocato anche il richiamo contenuto nelle risposte all’arte e alla bellezza come luogo di trasmissione della fede. Le ragioni che permettono di sostenere questo richiamo sono spiegate in modo articolato, soprattutto da quelle Chiese che, forti della loro tradizione, come le Chiese Cattoliche Orientali, hanno saputo mantenere una relazione molto stretta del binomio fede e bellezza. In queste tradizioni, il rapporto di fede e bellezza non è una semplice aspirazione estetica. Al contrario è visto come una risorsa fondamentale per rendere testimonianza alla fede e per sviluppare un sapere che sia veramente “integrale” servizio alla totalità dell’essere uomo.

Questa conoscenza portata dalla bellezza consente, come nella liturgia, di assumere la realtà visibile nel suo ruolo originario di manifestazione della comunione universale a cui l’uomo è chiamato da Dio. Occorre quindi che il sapere umano venga di nuovo coniugato con la sapienza divina, ovvero con la visione della creazione che Dio Padre ha e che, tramite lo Spirito e il Figlio, si trova nel creato.

Nel cristianesimo urge salvaguardare questo ruolo originario del bello. La nuova evangelizzazione ha al riguardo un ruolo importante da svolgere. La Chiesa riconosce che l’essere umano non vive senza bellezza. Per il cristiano la bellezza è dentro il mistero pasquale, nella trasparenza della realtà di Cristo.

Il fondamento di ogni pastorale evangelizzatrice

158. Il testo dei Lineamenta concludeva il capitolo dedicato all’analisi delle pratiche pastorali con l’intuizione di fondo di Paolo VI: per evangelizzare la Chiesa non ha bisogno soltanto di rinnovare le sue strategie, quanto piuttosto di aumentare la qualità della sua testimonianza; il problema dell’evangelizzazione non è una questione anzitutto organizzativa o strategica, quanto piuttosto spirituale. «L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni. […] È dunque mediante la sua condotta, mediante la sua vita, che la Chiesa evangelizzerà innanzitutto il mondo, vale a dire mediante la sua testimonianza vissuta di fedeltà al Signore Gesù, di povertà e di distacco, di libertà di fronte ai poteri di questo mondo, in una parola, di santità».[84] Molte Chiese particolari si sono riconosciute in queste parole, circa il bisogno di avere dei testimoni che sappiano evangelizzare anzitutto con la loro la vita e il loro esempio. Condividono la certezza che, alla fine, il segreto ultimo della nuova evangelizzazione è la risposta alla chiamata alla santità di ogni cristiano. Può evangelizzare solo chi a sua volta si è lasciato e si lascia evangelizzare, chi è capace di lasciarsi rinnovare spiritualmente dall’incontro e dalla comunione vissuta con Gesù Cristo. La testimonianza cristiana è un intreccio di gesti e parole.[85] Essa costituisce il fondamento di ogni pratica di evangelizzazione perché crea la relazione tra annuncio e libertà: «Diveniamo testimoni quando, attraverso le nostre azioni, parole e modo di essere, un Altro appare e si comunica. Si può dire che la testimonianza è il mezzo con cui la verità dell’amore di Dio raggiunge l’uomo nella storia, invitandolo ad accogliere liberamente questa novità radicale. Nella testimonianza si espone, per così dire, al rischio della libertà dell’uomo».[86]

Centralità delle vocazioni

159. In questa prospettiva si aspetta che il prossimo appuntamento sinodale metta a tema in modo esplicito la centralità della questione vocazionale per la Chiesa di oggi. Si spera che il Sinodo sulla nuova evangelizzazione aiuti tutti i battezzati a diventare consapevoli del loro impegno missionario ed evangelizzatore. Di fronte agli scenari della nuova evangelizzazione, i testimoni per essere credibili devono saper parlare i linguaggi del loro tempo, annunciando così dal di dentro le ragioni della speranza che li anima. Si attende che tutto il cammino di preparazione e di recezione del lavoro sinodale serva per rimotivare e aumentare lo slancio e la dedizione dei tanti cristiani che già operano per l’annuncio e la trasmissione della fede; che sia un momento di sostegno e di conferma per le famiglie e il ruolo che svolgono. Più specificatamente dovrà prestare un’attenzione particolare al ministero presbiterale e alla vita consacrata, auspicando che il Sinodo porti alla Chiesa il frutto di nuove vocazioni sacerdotali, rilanciando l’impegno di una chiara e decisa pastorale vocazionale.

160. Al riguardo, più di una risposta ha indicato come uno dei segni più evidenti dell’affievolirsi dell’esperienza cristiana sia proprio l’indebolimento vocazionale, che riguarda sia la diminuzione e la defezione delle vocazioni di speciale consacrazione nel sacerdozio ministeriale e nella vita consacrata, sia la diffusa debolezza riguardante la fedeltà alle grandi decisioni esistenziali, come ad esempio nel matrimonio. Queste risposte si attendono che la riflessione sinodale riprenda la problematica, che riguarda da vicino la nuova evangelizzazione, non tanto per costatare la crisi, e non soltanto per rinforzare una pastorale vocazionale che già viene fatta, quanto piuttosto, e più profondamente, per promuovere una cultura della vita intesa come vocazione.

161. Nella trasmissione della fede occorre tenere in debito conto l’educazione a concepire se stessi in rapporto con Dio che chiama. Valgono le parole di Papa Benedetto XVI: «Il Sinodo, nel sottolineare l’esigenza intrinseca della fede di approfondire il rapporto con Cristo, Parola di Dio tra noi, ha voluto anche evidenziare il fatto che questa Parola chiama ciascuno in termini personali, rivelando così che la vita stessa è vocazione in rapporto a Dio. Questo vuol dire che quanto più approfondiamo il nostro personale rapporto con il Signore Gesù, tanto più ci accorgiamo che Egli ci chiama alla santità, mediante scelte definitive, con le quali la nostra vita risponde al suo amore, assumendo compiti e ministeri per edificare la Chiesa. In questo orizzonte si comprendono gli inviti fatti dal Sinodo a tutti i cristiani di approfondire il rapporto con la Parola di Dio in quanto battezzati, ma anche in quanto chiamati a vivere secondo i diversi stati di vita».[87] Uno dei segni dell’efficacia della nuova evangelizzazione sarà la riscoperta della vita come vocazione ed il sorgere di vocazioni alla sequela radicale di Cristo.


Conclusione

«Avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi» (At 1,8)

162. Con la sua venuta tra noi, Gesù Cristo ci ha comunicato la vita divina che trasfigura la faccia della terra, facendo nuove tutte le cose (cf. Ap 21,5). La sua Rivelazione ci ha coinvolto non soltanto come destinatari della salvezza che ci è stata donata, ma anche come suoi annunciatori e testimoni. Lo Spirito del Risorto abilita così la nostra vita all’annuncio efficace del Vangelo in tutto il mondo. È l’esperienza della prima comunità cristiana, che vedeva il diffondersi della Parola mediante la predicazione e la testimonianza (cf. At 6,7).

163. Cronologicamente, la prima evangelizzazione ebbe inizio nel giorno della Pentecoste, quando gli Apostoli, riuniti tutti insieme nello stesso luogo in preghiera con la Madre di Cristo, ricevettero lo Spirito Santo (cf. At 1,14; 2,1-3). Colei, che secondo le parole dell’Arcangelo è «piena di grazia» (Lc 1,28), si trova così sulla via dell’evangelizzazione apostolica, e su tutte le vie sulle quali i successori degli Apostoli si sono mossi per annunciare il Vangelo.

164. Nuova evangelizzazione non significa un “nuovo Vangelo”, perché «Gesù Cristo è lo stesso ieri oggi e sempre» (Eb 13,8). Nuova evangelizzazione vuol dire risposta adeguata ai segni dei tempi, ai bisogni degli uomini e dei popoli di oggi, ai nuovi scenari che mostrano la cultura attraverso la quale esprimiamo la nostra identità e cerchiamo il senso delle nostre esistenze. Nuova evangelizzazione significa perciò promozione di una cultura più profondamente radicata nel Vangelo. Vuol dire scoprire «l’uomo nuovo» (Ef 4,24) che è in noi grazie allo Spirito donatoci da Gesù Cristo e dal Padre. La celebrazione della prossima Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi sia per la Chiesa come un nuovo Cenacolo, in cui i successori degli Apostoli, riuniti in preghiera insieme con la Madre di Cristo, che è stata invocata come «Stella della Nuova Evangelizzazione»,[88] preparano le vie della nuova evangelizzazione.

165. Lasciamo che siano ancora una volta le parole di Giovanni Paolo II, che si è tanto speso per essa, a spiegare la parola: nuova evangelizzazione significa «riaccendere in noi lo slancio delle origini, lasciandoci pervadere dall’ardore della predicazione apostolica seguita alla Pentecoste. Dobbiamo rivivere in noi il sentimento infuocato di Paolo, il quale esclamava: “Guai a me se non predicassi il Vangelo!” (1Cor 9,16). Questa passione non mancherà di suscitare nella Chiesa una nuova missionarietà, che non potrà essere demandata ad una porzione di “specialisti”, ma dovrà coinvolgere la responsabilità di tutti i membri del Popolo di Dio. Chi ha incontrato veramente Cristo, non può tenerselo per sé, deve annunciarlo. Occorre un nuovo slancio apostolico che sia vissuto quale impegno quotidiano delle comunità e dei gruppi cristiani».[89]

Gesù Cristo, Vangelo che dà speranza

166. Oggi noi avvertiamo il bisogno di un principio che ci dia speranza, che ci permetta di guardare al domani con gli occhi della fede, senza le lacrime della disperazione. Come Chiesa abbiamo questo principio, questa fonte di speranza: Gesù Cristo, morto e risorto, presente in mezzo a noi col suo Spirito, che ci dà l’esperienza di Dio. Tuttavia, abbiamo spesso l’impressione di non riuscire a dare concretezza a questa speranza, di non riuscire a “farla nostra”, di non riuscire a renderla parola viva per noi e per i nostri contemporanei, di non assumerla come fondamento delle nostre azioni pastorali e della nostra vita ecclesiale.

Al riguardo abbiamo una chiara parola d’ordine per una pastorale presente e futura: nuova evangelizzazione, cioè nuova proclamazione del messaggio di Gesù, che infonde gioia e ci libera. Questa parola d’ordine alimenta la speranza di cui sentiamo la necessità: la contemplazione della Chiesa nata per evangelizzare conosce la sorgente profonda delle energie per l’annuncio.

«Nel nostro Dio abbiamo avuto il coraggio di annunziarvi il Vangelo di Dio in mezzo a molte lotte» (1Ts 2,2). La nuova evangelizzazione ci spinge a una testimonianza della fede che spesso assume i contorni del combattimento e della lotta. La nuova evangelizzazione rende sempre più saldo il rapporto con Cristo Signore, poiché solo in Lui vi è la certezza per guardare al futuro e la garanzia di un amore autentico e duraturo.

La gioia di evangelizzare

167. Nuova evangelizzazione vuol dire rendere ragione della nostra fede, comunicando il Logos della speranza al mondo che aspira alla salvezza. Gli uomini hanno bisogno della speranza per poter vivere il proprio presente. Per questo la Chiesa è missionaria nella sua essenza e offre la Rivelazione del volto di Dio che in Gesù Cristo ha preso un volto umano e ci ha amati sino alla fine. Le parole di vita eterna che ci sono date nell’incontro con Gesù Cristo sono per tutti, per ogni uomo. Ogni persona del nostro tempo, lo sappia oppure no, ha bisogno di questo annuncio.

168. Proprio l’assenza di questa consapevolezza genera solitudine e sconforto. Tra gli ostacoli alla nuova evangelizzarne c’è proprio la mancanza di gioia e di speranza che simili situazioni creano e diffondono tra gli uomini del nostro tempo. Spesso questa mancanza di gioia e di speranza è così forte da intaccare lo stesso tessuto delle nostre comunità cristiane. La nuova evangelizzazione si propone in questi contesti anche come farmaco per dare gioia e vita contro ogni paura. In simili contesti diventa imperativo rinvigorire la nostra fede, come ci chiede Papa Benedetto XVI: «intenta a cogliere i segni dei tempi nell’oggi della storia, la fede impegna ognuno di noi a diventare segno vivo della presenza del Risorto nel mondo. Ciò di cui il mondo oggi ha particolarmente bisogno è la testimonianza credibile di quanti, illuminati nella mente e nel cuore dalla Parola del Signore, sono capaci di aprire il cuore e la mente di tanti al desiderio di Dio e della vita vera, quella che non ha fine».[90]

169. Affrontiamo perciò la nuova evangelizzazione con entusiasmo. Impariamo la dolce e confortante gioia di evangelizzare, anche quando sembra che l’annuncio sia una semina nelle lacrime (cf. Sal 126,6). Al mondo che cerca risposte alle grandi domande circa il senso della vita e la verità, possa accadere di vivere con rinnovata sorpresa la gioia di incontrare testimoni del Vangelo che con la semplicità e la credibilità della loro vita sanno mostrare la potenza trasfiguratrice della fede cristiana. Come affermava Paolo VI: «Sia questa la grande gioia delle nostre vite impegnate. Possa il mondo del nostro tempo, che cerca ora nell’angoscia, ora nella speranza, ricevere la Buona Novella non da evangelizzatori tristi e scoraggiati, impazienti e ansiosi, ma da ministri del Vangelo, la cui vita irradi fervore, che abbiano per primi ricevuto in loro la gioia del Cristo, e accettino di mettere in gioco la propria vita affinché il Regno sia annunziato e la Chiesa sia impiantata nel cuore del mondo».[91] «Non abbiate paura!»: è la parola del Signore (cf. Mt 14,27) e dell’angelo (cf. Mt 28,5) che sostiene la fede degli annunciatori, dando loro forza ed entusiasmo. Sia anche la parola degli annunciatori, che sostengono e nutrono il cammino di ogni uomo verso l’incontro con Dio. «Non abbiate paura!» sia la parola della nuova evangelizzazione, con la quale la Chiesa, animata dallo Spirito Santo, annuncia «fino ai confini della terra» (At 1,8) Gesù Cristo, Vangelo di Dio, per la fede degli uomini.