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10. 14. Non si pecca dunque se non mediante la volontà. Ora a noi la nostra volontà è ben nota: io infatti non saprei che io voglio se non sapessi che cosa è la volontà stessa. Pertanto si definisce così: la volontà è un movimento dell’anima, senza che nessuno la costringa, che tende o a non perdere una cosa o ad acquisirla. Perché dunque ora non potrei definirla così? Sarebbe difficile vedere che il costretto è il contrario del volontario, però nel senso in cui diciamo che la sinistra è il contrario della destra e non nel senso in cui diciamo che il nero è il contrario del bianco? Infatti, mentre la stessa cosa non può essere nello stesso tempo e nera e bianca, invece un uomo, posto in mezzo a due, è alla sinistra dell’uno e alla destra dell’altro. Un solo uomo dunque occupa simultaneamente l’una e l’altra posizione, ma in nessun modo le occupa simultaneamente in rapporto ad un solo identico uomo. Così, un solo animo può essere contemporaneamente costretto e volontario, ma non può nello stesso tempo non volere e volere una sola ed identica cosa. Quando infatti un uomo fa qualcosa costretto, se gli domandassi se vuole farla, egli direbbe di non volerla fare; allo stesso modo, se gli domandassi se vuole non farla, risponderebbe di si. Così lo troverai costretto a fare senza voler fare, cioè troverai un solo animo che dispone nello stesso tempo di entrambe le possibilità, che però si riferiscono ciascuna ad un oggetto diverso. Perché dico queste cose? Perché, se chiediamo di nuovo per quale causa faccia ciò suo malgrado, dirà che è stato costretto. Infatti, chiunque agisce suo malgrado, è costretto e chiunque è costretto, se agisce, non lo fa se non suo malgrado. Resta da esaminare come colui che vuole sia libero da costrizione, anche se qualcuno pensa di essere costretto. In questo caso infatti ognuno che agisce volontariamente, non è costretto, e ognuno che non è costretto, o agisce volontariamente o si astiene dall’agire. Queste cose la natura stessa le proclama in tutti gli uomini che possiamo interrogare in modo sensato: dal bambino al vecchio, da colui che frequenta la scuola elementare fino a colui che ricopre la cattedra del sapiente. Perché allora io non dovrei vedere che la definizione della volontà deve includere l’assenza di costrizione, come appunto ora, in modo assai prudente, ho provveduto a precisare a motivo, per così dire, di una maggiore esperienza? Ma se ciò è manifesto ovunque ed è visibile a tutti non per istruzione ma per natura, che cosa rimane ancora di oscuro se non che per caso a qualcuno è ignoto che quando vogliamo qualche cosa, e verso tale cosa è mosso il nostro animo tale cosa o l’abbiamo o non l’abbiamo, e, se l’abbiamo, vogliamo conservarla mentre, se non l’abbiamo, vogliamo acquisirla? Perciò chiunque vuole, o non vuole perdere qualche cosa o vuole acquisire qualche cosa. Se dunque tutto ciò è più chiaro di questa luce, come lo è, e, per la liberalità della stessa verità, non è stato affidato alla mia conoscenza soltanto ma a quella del genere umano, perché mai a quell’epoca non avrei potuto dire: la volontà è un movimento dell’animo senza che nessuno la costringa in vista o di non perdere una cosa o di acquisirla?

Definizione del peccato.

11. 15. Qualcuno dirà: " E ciò in che cosa ti avrebbe aiutato contro i Manichei? " Aspetta, permetti che prima definiamo anche il peccato, a proposito del quale ogni mente legge dentro di sé, iscritto da Dio, che senza volontà non può esistere. Il peccato è dunque la volontà di conservare o di acquisire ciò che la giustizia vieta e da cui ci si può liberamente astenere. Benché, se non c’è libertà, non c’è volontà. Ma io ho preferito definirlo in modo piuttosto approssimativo anziché scrupoloso. Avrei dovuto scrutare ancora questi oscuri libri per apprendere che non è meritevole di biasimo o di condanna nessuno che o voglia ciò che la giustizia non vieta di volere o non faccia ciò che non si può fare? Non sono queste le verità evidenti che cantano i pastori sui monti, i poeti nei teatri, gli ignoranti nei crocicchi, i dotti nelle biblioteche, i maestri nelle scuole, i sommi sacerdoti nei luoghi sacri e il genere umano in tutto l’universo? Che se nessuno è meritevole di biasimo o di condanna quando non agisce contro il divieto della giustizia o quando si astiene da ciò che non può, e se invece ogni peccato merita il biasimo o la condanna, chi dubiterà allora che si pecca ogni volta che si vuole una cosa ingiusta e si è liberi di non volerla? Di conseguenza, la definizione è vera e molto facile a comprendersi, e non ora soltanto ma anche allora avrei potuto dire che il peccato è la volontà di conservare o di acquisire ciò che la giustizia vieta e da cui si è liberi di astenersi.

Il genere "anima malvagia" non esiste.

12. 16. Su dunque, vediamo quale aiuto ci sarebbe potuto venire da queste verità. Un aiuto grandissimo al punto da non desiderare niente di più: di certo metterebbero fine all’intera questione. Infatti chiunque consulti i segreti della sua coscienza e le leggi divine riposte nel profondo della sua natura, cioè nell’intimità dell’animo, dove esse sono più evidenti e più sicure, concederà che queste due definizioni della volontà e del peccato sono vere e condannerà senza alcuna esitazione l’intera eresia dei Manichei con pochissimi e semplicissimi ragionamenti, ma assolutamente inconfutabili. La questione può essere così esaminata. Dicono che ci sono due generi di anime, l’uno buono, in quanto è venuto da Dio senza che lo si possa dire creato da qualche materia o tratto dal nulla, ma che procede dalla sua stessa sostanza come una parte di essa; l’altro invece malvagio, e di esso credono e raccomandano di credere che in nessuna parte affatto si ricollega a Dio. Sostengono pertanto che le anime del primo genere sono il sommo bene e quelle del secondo genere il sommo male, e che questi due generi un tempo furono separati, ora invece mescolati. In verità non ho ancora udito di quale genere di mescolanza si tratti e quale ne sia la causa, ma tuttavia l’avrei potuto cercare se il genere malvagio di anime avesse avuto qualche volontà, prima che fosse mescolato al genere buono. Se infatti ne era privo, era senza peccato e innocente, e pertanto in nessun modo malvagio. Supponiamo invece che era malvagio, perché è possibile che fosse senza volontà; in tal caso, come fuoco, avrebbe violato e corrotto il genere buono, se è pur vero che l’abbia toccato. Ma non è una nefandezza molto grande credere sia che la natura del male è talmente potente da poter cambiare qualche parte di Dio, sia che il sommo bene possa essere corrotto e violato? Se invece aveva la volontà, di certo aveva questo movimento dell’anima, senza che nessuno la costringesse, in vista o di non perdere qualche cosa o di acquisire qualche cosa. Ora questo qualche cosa o era buono o era ritenuto buono, altrimenti infatti non avrebbe potuto essere desiderato. Ma nel sommo male, prima della mescolanza su cui insistono, non ci fu mai alcun bene. Da dove dunque è potuta provenire in questo genere di anime o la conoscenza o la congettura del bene? Non volevano niente di ciò che era in esse e desideravano quel vero bene che era fuori di esse? Bisogna dichiarare che è eccellente e degna di grande lode questa volontà con la quale si desidera il sommo e vero bene. Da dove dunque può venire nel sommo male un movimento d’animo pienamente degno di così grande lode? È per desiderio di nuocere che esse aspiravano al bene? In primo luogo, con questa ragione si ritorna al medesimo punto. Chi infatti vuole nuocere, vuole privare un altro di qualche bene in vista di qualche bene suo proprio. C’era dunque in esse o la conoscenza o la congettura del bene, che in nessun modo dovevano essere nel sommo male. In secondo luogo, quel bene posto fuori di esse e a cui aspiravano per nuocere, dove avevano appreso che esistesse veramente? Se lo avevano colto con l’intelligenza, che cosa di più illustre di tale mente? Che cosa sollecita a grandi sforzi ogni aspirazione al bene, se non il fatto che si conosce il bene sommo e perfetto? Ciò dunque che ora è appena concesso a pochi uomini buoni e giusti, questo puro male allora lo avrebbe potuto avere senza che nessun bene lo aiutasse? Ma se queste anime governavano i corpi e ciò lo vedevano con i propri occhi, quali lingue, quali cuori, quali ingegni sono sufficienti per lodare e celebrare questi occhi, ai quali appena possono essere paragonate le menti dei giusti? Quanti beni troviamo nel sommo male! Se infatti vedere Dio è un male, Dio non è il bene; ma Dio è il bene, perciò è un bene vedere Dio e io non so che cosa si possa paragonare a questo bene. Inoltre, poiché vedere è un bene, come è possibile che poter vedere sia un male? Perciò, qualunque cosa ha fatto sì che o questi occhi o queste menti potessero vedere la divina sostanza, ha fatto un bene grande e pienamente degno di ineffabile lode. Se poi ciò non è stato fatto, ma era tale per se stesso ed eternamente, sarà difficile trovare qualcosa di migliore di questo male.

Le anime sono malvagie non per natura, ma per volontà.

12. 17. Infine, per stabilire che quelle anime non hanno nessuna di queste cose degne di lode, che, invece, in base ai loro argomenti, dovrebbero avere, io domanderei se Dio ne condanna alcune o nessuna. Se nessuna, non c’è nessun giudizio dei meriti e nessuna provvidenza e il mondo è governato dal caso anziché dalla ragione, o piuttosto non è governato, perché il governo non si può affidare al caso. Ora, se per tutti i fedeli di qualsiasi concezione religiosa è una nefandezza credere ciò, resta che o alcune anime sono condannate oppure non c’è alcun peccato. Ma se non c’è alcun peccato, non c’è neppure alcun male, affermazione questa che, se proferita da costoro, avrebbe distrutto la loro eresia con un solo colpo. Convengo dunque con loro che alcune anime sono condannate dalla legge e dal giudizio divino. Ma, se sono buone, questa che giustizia è? Se sono malvagie, lo sono per natura o per volontà? Ma le anime in nessun modo possono essere malvagie per natura. Da dove lo apprendiamo? Dalle precedenti definizioni di volontà e di peccato. Perché dire che le anime sono malvagie e che non hanno commesso alcun peccato è un dire pieno di follia; d’altra parte, dire che hanno peccato senza volontà è una grande stravaganza; e, infine, ritenere uno colpevole di peccato perché non ha fatto ciò che non poteva fare è un comportamento sommamente iniquo e dissennato. Perciò quelle anime qualunque cosa facciano, se la fanno per natura e non per volontà, cioè se sono prive del libero movimento dell’animo per cui possono sia fare sia non fare, e se, infine, non dispongono affatto del potere di astenersi dal loro operare, non possiamo sostenere che hanno peccato. Ma tutti riconoscono che le anime malvagie sono giustamente condannate e quelle indenni dal peccato sono ingiustamente condannate. Si ammette dunque che quelle che peccano sono malvagie. Invece le anime di cui essi parlano, com’è evidente, non peccano. Non esiste perciò il genere piuttosto strano delle anime malvagie, introdotto dai Manichei.

Le anime sono buone per natura.

12. 18. Esaminiamo ora quell’altro genere, quello delle anime buone, che di nuovo essi lodano al punto di dire che sono la sostanza stessa di Dio. Quanto sarebbe meglio invece che ciascuno conosca il proprio ordine e merito, e non si gonfi di sacrilega superbia, così che, quando si sente esposto a tanti mutamenti, crede di essere la sostanza di quel sommo bene che la pia ragione riconosce e insegna come immutabile! Ecco, essendo manifesto che le anime non peccano nei casi in cui non sono tali quali non possono essere, da qui appare evidente ormai che quelle anime non meglio identificate introdotte dai Manichei in nessun modo peccano ed esse pertanto non esistono affatto. Poiché concedono che esistono i peccati, resta che essi non trovano a chi imputarli, se non al genere buono e alla sostanza di Dio. Ma a questo proposito sono incalzati soprattutto dalla dottrina cristiana; infatti non hanno mai negato che il perdono dei peccati è concesso a chiunque si sia convertito a Dio; e non hanno mai detto - come in molti altri casi -, che ciò sia stato introdotto nelle Sacre Scritture da qualche falsificatore. A queste anime dunque i peccati sono rimessi? Quanto a quelle dell’altro genere, quelle malvagie, se possono diventare anche buone, esse possono possedere con Cristo il regno di Dio. Ma poiché questo lo escludono, e non hanno un altro genere di anime, se non quelle che presentano come provenienti dalla sostanza divina, sono costretti a riconoscere che non solo anche queste commettono peccato, ma anzi che esse sono le uniche a commetterlo. Io non mi oppongo all’opinione che siano le uniche a peccare; tuttavia peccano. Ma allora vi sono costrette dalla mescolanza del male? Se vi sono costrette al punto che non hanno alcun potere di resistere, non peccano. Se invece è in loro potere di resistere e vi acconsentono di propria volontà, perché ci sono tanti beni nel sommo male, perché questo male nel sommo bene? Questo è quanto dobbiamo trovare nella loro dottrina, a meno che non esista né quel male che introducono per supposizione, né questo sommo bene che sconvolgono per superstizione.

La deliberazione esclude la possibilità di ammettere la dottrina delle due anime.

13. 19. Ma se fossi riuscito a mostrare che, intorno a questi due generi di anime, essi farneticano ed errano, o di certo io stesso l’avessi appreso, quale altra ragione avrebbe potuto esserci perché mi sembrasse ancora opportuno ascoltarli o consultarli su qualche argomento? Forse per apprendere che l’esistenza di due generi di anime è dimostrato dal fatto che, nel deliberare, l’assenso ora si inclina verso la parte malvagia ora verso la parte buona? Ma perché questo non è piuttosto il segno che c’è una sola anima, la quale con la sua libera volontà può portarsi di qua e di là, ritirarsi da una parte e dall’altra? Quando ciò mi capita, infatti, percepisco di essere uno soltanto, io che considero l’una e l’altra cosa, che scelgo l’una o l’altra cosa. Ma per lo più l’una cosa ci piace, l’altra è conveniente, per cui noi, posti in mezzo, siamo indecisi. Né c’è da meravigliarsi; infatti ora siamo costituiti in modo che possiamo essere, in ragione del corpo, influenzati dal piacere e, in ragione dello spirito, dall’onestà. Per quale motivo, a questo proposito, non sono costretto ad ammettere due anime? È perché possiamo comprendere meglio e in modo più spedito che ci sono due generi di cose buone, dei quali tuttavia né l’uno né l’altro è estraneo al Dio creatore, e che solleticano una sola anima da diverse parti, da quella inferiore e da quella superiore o, potendoci esprimere più correttamente, dalla sua parte esteriore e dalla sua parte interiore. Questi sono i due generi che poco fa abbiamo esaminato sotto i nomi di realtà sensibili e di realtà intelligibili, e che più volentieri e in modo più familiare noi chiamiamo cose carnali e cose spirituali. Ma ci è divenuto difficile astenerci dalle cose carnali, benché il nostro vero pane è spirituale. È con fatica infatti che ora mangiamo di questo pane: non è appunto senza alcun tormento che da immortali siamo diventati mortali in seguito al peccato di trasgressione. Capita così che, quando ci sforziamo di tendere verso le cose migliori, la consuetudine con il corpo e i nostri peccati si mettano contro di noi in un modo, per così dire, bellicoso e comincino a farci difficoltà. Per questo, molti sciocchi con una stupidissima superstizione suppongono che esista un altro genere di anime che non proviene da Dio.

13. 20. Peraltro, anche se si concedesse loro che è per un altro genere inferiore di anime che noi siamo allettati a fare cose turpi, non ne possono trarre la conseguenza né che le une sono malvagie per natura né che le altre sono il sommo bene. Infatti può accadere che le prime, col desiderare con la propria volontà ciò che non era consentito, cioè col peccare, da buone sono diventate malvagie; e che possano ritornare buone, ma che, come di fatto avviene, per tutto il tempo in cui restano nel peccato, esse attirino a se stesse le altre con qualche segreta influenza. Può accadere inoltre che non siano affatto malvagie, ma che esercitino senza alcun peccato l’attività relativa al proprio genere, per inferiore che sia, di modo che le anime superiori, alle quali la somma giustizia che governa le cose del mondo ha conferito un’attività di gran lunga più eccellente, qualora volessero seguire ed imitare quelle inferiori, peccando diventano malvagie, non perché le imitano in quanto malvagie, ma perché è male imitarle. Le une infatti fanno quello che è loro proprio, le altre invece desiderano ciò che non appartiene loro; perciò le prime non vengono meno al loro grado, le altre invece si immergono nelle cose inferiori, come quando gli uomini seguono i comportamenti delle bestie. Il cavallo infatti ha un bell’incedere con le sue quattro zampe, ma se l’uomo lo imita nelle mani e nei piedi, chi lo giudicherà degno perfino di mangiare la paglia? Giustamente dunque per lo più riproviamo colui che imita, anche quando apprezziamo colui che è imitato; lo riproviamo poi non perché non vi è riuscito, ma proprio per il fatto che ha voluto riuscirvi. Infatti ciò che apprezziamo nel cavallo, lo disprezziamo nell’uomo, che anteponiamo al cavallo nella stessa misura in cui siamo mortificati per il fatto che ricerca le cose inferiori. E che ne è tra gli uomini stessi? Nel gridare, forse, l’araldo non fa bene ciò che fa? E anche se il senatore lo fa in modo più chiaro e raffinato dell’araldo, quest’ultimo è forse folle? Prendi gli astri: la luna è lodata per il suo splendore, ma piace abbastanza anche per il suo corso e per le sue fasi a coloro che la considerano attentamente; tuttavia, se il sole la volesse imitare (supponiamo infatti che possa avere simile aspirazione), chi non ne sarebbe sommamente dispiaciuto e a buon diritto? Da queste cose voglio che si comprenda quanto segue: ammesso che ci siano anime dedite alle attività corporee, non per peccato ma per natura (cosa che è comunque incerta) e, sebbene siano inferiori, tuttavia siano in rapporto con noi per qualche affinità interiore, non dovremo ritenerle malvagie perché, nel seguirle e nell’amare le cose corporali, noi facciamo del male. Nell’amare le cose corporee, infatti, noi pecchiamo, perché la giustizia ci ordina di amare le cose spirituali e la natura ce ne dà la possibilità. Nel nostro genere pertanto noi possiamo essere perfettamente buoni e felici.

13. 21. Che cosa prova dunque la deliberazione che oscilla verso l’una e verso l’altra parte, ora incline al peccato, ora portata al bene? Ci obbliga forse ad ammettere due generi di anime, dei quali la natura dell’uno proviene da Dio e quella dell’altro non proviene da Dio, quando invece è consentito congetturare tante altre cause dell’oscillazione del pensiero? Ma chi sa ben stimare le cose, vede che queste questioni sono oscure e che non è di nessuna utilità l’essere affrontate da spiriti dallo sguardo malato. Perciò, quanto è stato detto sulla volontà e sul peccato, cioè quanto la somma giustizia esige che conosca ogni uomo che usa la ragione, se ci viene tolto, non resta niente su cui la disciplina della virtù si fondi, niente che ci liberi della morte dei vizi. Se lo si esamina ancora più a lungo, ci convince abbastanza chiaramente e nettamente che l’eresia dei Manichei è falsa.

Anche la necessità di pentirsi esclude la dottrina delle due anime.

14. 22. Simile a ciò è quanto ora dirò della penitenza. Infatti, come sanno tutti gli uomini di mente sana e gli stessi Manichei non solo riconoscono ma anche insegnano, è utile pentirsi del peccato. Ebbene, su questo argomento dovrei ora raccogliere le testimonianze delle Sacre Scritture che sono ben note ovunque? Tale è anche la voce della natura. Questa nozione non è venuta meno neppure nello stolto: se non fosse profondamente radicata in noi, periremmo. Un uomo può dire che non pecca; ma nessuno, per rozzo che sia, oserà negare che, se ha peccato, si deve pentire. Stando così le cose, chiedo a quale dei due generi di anime spetti di pentirsi del peccato. So infatti che non può spettare né a quello che non può fare il male né a quello che non può fare il bene. Perciò, per servirmi delle loro parole, se si pente del peccato l’anima delle tenebre, essa non proviene dalla sostanza del male supremo; se si pente del peccato l’anima della luce, essa non proviene dalla sostanza del sommo bene. Infatti la disposizione a pentirsi efficace è quella mediante la quale il penitente dichiara che ha fatto il male e che avrebbe potuto fare il bene. In che modo dunque da me non proviene niente di male, se ho agito male? O come potrò pentirmi giustamente, se non ho fatto niente di male? E, d’altra parte, in che modo non proviene niente di bene da me in cui è presente la buona volontà? O come mi pentirò giustamente, se la buona volontà non è in me presente? Perciò bisogna che costoro o neghino che è grande l’utilità del pentimento, per cui sono rifiutati non solo dalla religione cristiana, ma anche da tutta la ragione umana, perfino da quella basata su immagini, o smettano ormai di dire e di insegnare quei due generi di anime, dall’uno dei quali non verrebbe niente di male e dall’altro niente di bene. Se lo fanno, i Manichei cessano ormai definitivamente di esistere; infatti tutta questa setta si sorregge sulla distinzione o piuttosto sulla disastrosa diversità delle due anime.

14. 23. A me quindi è sufficiente sapere che i Manichei sono in errore, così come so che bisogna pentirsi del peccato. E tuttavia se ora, per i diritti dell’amicizia, mettessi alle strette uno dei miei amici, che tuttora crede di dover ascoltare i Manichei e gli dicessi: " Sai che è utile pentirsi, quando si è peccato? ", senza dubbio egli giurerà che lo sa. " Se dunque ti farò sapere così che è falsa l’eresia dei Manichei, desidererai ancora dell’altro? ". Risponderà: " Che cosa potrei desiderare di più in tale questione? ". Bene dunque fin qui. Ma quando avrò cominciato a mostrargli le ben salde e necessarie ragioni, che scaturiscono da questa proposizione unite tra loro, come si suol dire, in catene di acciaio, avrò portato l’intera questione ad una conclusione dalla quale quella setta è annientata; allora potrà forse dire di non conoscere l’utilità del pentimento che nessun uomo, dotto e non dotto, ignora? E ancora, basandosi sul fatto che esitiamo a deliberare, pretenderà di sapere che le due anime che sono in noi portano ciascuna il proprio patrocinio a ciascun partito? O abitudine del peccato! O pena, compagna del peccato! Voi allora mi avete distolto dalla considerazione di cose così manifeste. Ma voi nuocevate ad uno che non ne aveva coscienza; ora invece che ne ho coscienza mi colpite e mi ferite in coloro che mi sono più intimi e che similmente non ne hanno coscienza.

Preghiera di Agostino per gli amici che ne hanno condiviso gli errori.

15. 24. Rivolgete l’attenzione a queste cose, ve ne prego, o carissimi: conosco bene i vostri ingegni. Se voi ora mi accordate l’intelligenza e la ragione di un uomo qualsiasi, sappiate che queste cose sono molto più certe di quelle che allora o ci sembrava di imparare o piuttosto eravamo costretti a credere. Grande Dio, onnipotente Dio, Dio di somma bontà, che è doveroso credere e comprendere come inviolabile ed immutabile, unità trina che la Chiesa cattolica venera, ti prego umilmente, avendo sperimentato in me la tua misericordia, di non permettere che gli uomini con i quali fin dall’infanzia fui in perfetto accordo in ogni occasione di vita in comune, dissentano da me per quanto attiene al culto a te dovuto. Vedo che in questa sede ci si aspettava soprattutto di sapere o come già allora difendevo le Sacre Scritture accusate dai Manichei (se, come suppongo, fossi stato guardingo), o come ora dimostro che possono essere difese. Ma Dio mi aiuterà a realizzare questo mio proposito in altri scritti; infatti la lunghezza di questo, benché non eccessiva per quanto ritengo, già chiede di essere perdonata.