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Segni conoscenza e insegnamento (8, 21 - 10, 35)

Il metodo usato nel dialogo.

8. 21. Ag. - Abbastanza bene hai richiamato con la memoria tutti i concetti che volevo e, per dirla francamente, ora essi mi sembrano analizzati con maggiore evidenza di quando, mediante la ricerca e la discussione, li tiravamo fuori da non saprei quale luogo riposto. Ma è difficile a dirsi a questo punto dove io intenda giungere assieme a te attraverso tante vie tortuose. Tu forse supponi che stiamo eseguendo esercizi scolastici e che intendiamo con l'analisi di alcune nozioni elementari allontanare lo spirito da occupazioni serie o che stiamo trattando un problema di scarso o mediocre interesse; ovvero se prevedi che la discussione debba ottenere un risultato considerevole, desideri di conoscerlo ormai o almeno di udirlo da me. Al contrario devi ritenere, vorrei, che con questo discorso non ho inteso eseguire un esercizio scolastico, sebbene forse lo stiamo facendo, ma non nel senso che esso vada dimensionato dal modo d'intendere dei fanciulli. Credi che non sto pensando a concetti di scarso o mediocre interesse. Direi invece che si tratta della vita felice e immortale, alla quale, con la guida di Dio, cioè della stessa verità, desidero che siamo condotti in un'ascensione proporzionata al nostro debole passo. Ma temo di sembrar ridicolo perché ho imboccato una lunga via nell'esame dei segni e non delle cose che ne sono significate. Mi scuserai se eseguo esercizi preliminari non per dilettarmi nell'esercizio, ma per temprare le forze e la penetrazione della mente con cui possiamo non solo tollerare, ma anche amare il calore e la luce della patria ideale in cui è felicità.
Ad. - Continuacome hai cominciato. Non penserei mai di disprezzare le cose che hai pensato di dire o fare.

Rilevanza dei significati ... .

8. 22. Ag. - Edora esaminiamo il settore dei segni che non son segni di altri segni, ma di oggetti che si denominano significabili. E dimmi prima di tutto se uomo è uomo?
Ad. - Oradavvero non so se stai facendo un giuoco.
Ag. - Perché?
Ad. - Perchéritieni di dovermi chiedere se uomo sia altro da uomo.
Ag. - Alloratu supporrai, penso, che io voglia prendermi giuoco di te, qualora ti chiedessi inoltre se la prima sillaba di questo nome non sia che " uo " e la seconda " mo ".
Ad. - Ma certo.
Ag. - Ma le due sillabe unite sono " uomo " o no?
Ad. - E chi lo negherebbe?
Ag. - Tichiedo dunque se tu sei queste due sillabe congiunte.
Ad. - No certamente, ma scorgo il tuo intento.
Ag. - E dillo dunque. Non pensare che ti voglio oltraggiare.
Ad. - Perte è valida la conclusione che non sono uomo.
Ag. - E per te non è valida? Hai già emesso come vere le premesse da cui la conclusione si deduce.
Ad. - Non ti dirò ciò che per me è valido prima di aver udito se, nel propormi la domanda se l'uomo è uomo, mi interrogavi su codeste due sillabe o sul concetto di cui sono segno.
Ag. - Rispondi tu piuttosto in qual senso hai inteso la mia domanda. Se è a doppio senso, avresti dovuto avvedertene e non rispondermi prima di averne compreso il senso.
Ad - Perchédovrebbe costituirmi difficoltà questo doppio senso se ho risposto per l'uno e per l'altro? L'uomo è innegabilmente l'uomo. Il bisillabo non è altro che le due sillabe. Il concetto che significano non è altro che quel concetto.
Ag. - Buona risposta. Ma perché hai preso nell'uno e nell'altro senso soltanto il termine " uomo " e non anche gli altri di cui abbiamo parlato?
Ad. - Perquale criterio dovrei persuadermi di non avere inteso così anche gli altri termini?
Ag. - Pertralasciare il resto, se tu avessi inteso la mia prima domanda soltanto dall'angolazione del suono delle sillabe, non mi avresti dovuto rispondere. Avresti anche potuto pensare che non ti avessi chiesto nulla. Ho pronunciato tre parole, e ho ripetuto quella di mezzo, chiedendo se uomo è uomo. Di esse tu hai inteso la prima e l'ultima non come segni ma come significati. Ne è la prova il fatto che hai creduto di poter rispondere subito con tranquilla sicurezza alla mia domanda.
Ad. - Èvero.
Ag. - Perchédunque hai ritenuto di dover intendere secondo suono e significato soltanto quella di mezzo?
Ad. - Ma ora intendo l'intera frase dall'angolazione del significato. Son d'accordo con te che è impossibile il discorso se, nell'udire le parole, l'intelligenza non si porta ai concetti, di cui esse sono segni. Ora dunque mostrami come sono stato tratto in errore dal ragionamento con cui si conclude che non sono uomo.
Ag. - Piuttostoti ripropongo la domanda perché da solo avverta l'errore in cui sei caduto.
Ad. - Va bene.

... per i quali si danno i segni ... .

8. 23. Ag. - Non ti chiederò quello che ti avevo chiesto prima. Lo hai già concesso. Osserva dunque attentamente se la sillaba " uo " sia altro che " uo " e " mo " altro che " mo ".
Ad. - Non ci osservo altro veramente.
Ag. - Puoiosservare anche che dal congiungimento di queste due sillabe si ha " uomo ".
Ad. - Non lo accorderei. Abbiamo già accertato, e giustamente, che, dato un segno, si pone mente al suo significato e dalla sua analisi si formula un enunciato affermativo o negativo. In quanto alle due sillabe pronunziate separatamente, per il fatto stesso che nell'atto che si pronunciano sono senza significato, è già stato ammesso che sono soltanto suono.
Ag. - Opinidunque e ritieni per certo che si deve rispondere alle domande soltanto in riferimento ai concetti significati dalle parole?
Ad. - Non vedo perché sarebbe improbabile; basta che siano parole.
Ag. - Vorreivedere come risponderesti ad un tale, di cui si racconta per facezia. Costui volle dimostrare che un leone era uscito dalla bocca del suo interlocutore. Chiese dunque se le cose di cui si parla ci escono dalla bocca. L'altro non poté negarlo. Ed egli fece in maniera che nel discorrere nominasse leone. E gli fu facile. Appena ciò avvenne, cominciò scherzosamente a motteggiarlo e a pressarlo come se l'altro, in fondo un buon uomo, per avere ammesso che le cose di cui si parla escono dalla bocca e non potendo negare di aver pronunciato leone, avesse fatto uscire dalla propria bocca una bestia tanto feroce.
Ad. - Non era affatto difficile ribattere questo buffone. Io non gli accorderei che dalla bocca escono le cose di cui si parla. Per parlare delle cose, noi le esprimiamo con segni e dalla bocca di chi parla non esce la cosa che è significata, ma il segno con cui è significata, salvo quando si significano i segni stessi. Ne abbiamo già parlato dianzi.

...e ai quali essi ci rimandano.

8. 24. Ag. - Così avresti risposto bene a quel tale. Ma che risponderai alla mia domanda se uomo è nome?
Ad. - Cheè nome appunto.
Ag. - E quando ti vedo, vedo un nome?
Ad. - No.
Ag. - Vuoidunque che dica io la conseguenza?
Ad. - No, per favore. Tu hai chiesto se uomo è nome. Ed io rispondendoti che uomo è nome, dichiaro da me stesso di non essere uomo. Avevamo già stabilito che si ha enunciato affermativo o negativo in riferimento alla cosa significata.
Ag. - Ma a me sembra che non invano ti sei imbattuto in tale risposta poiché la norma logica, propria della nostra intelligenza, ha eluso la tua vigilanza. Se io ti chiedessi che cos'è l'uomo, tu forse risponderesti che è un essere animato; e se ti chiedessi che parte del discorso è uomo, non potresti logicamente rispondere altro che nome. Si riscontra dunque che uomo è nome ed essere animato. Il primo si considera dall'aspetto per cui è segno, il secondo da parte dell'oggetto significato. A chi dunque chiede se uomo è nome dovrei rispondere che lo è certamente perché dimostra sufficientemente di volere una risposta dall'aspetto per cui è segno. Se poi chiede se è essere animato, risponderò affermativamente con maggiore sicurezza. Infatti se, non parlando di nome o essere animato, chiedesse soltanto che cos'è uomo, il pensiero, per quella già verificata legge del discorso, si porterebbe sull'oggetto significato dalle due sillabe. Si risponderebbe soltanto che è un essere animato, oppure si esprimerebbe tutta la definizione, cioè essere animato, ragionevole, mortale. Non ti pare?
Ad. - Sì, certamente. Ma se è stato ammesso che è nome, come si potrà evitare la conclusione troppo offensiva con cui ci si vuol convincere che non si è uomini?
Ag. - Come? Ma ribattendo che la conclusione non è tratta nel senso della nostra risposta all'interlocutore. Ed essa non è da temersi anche se quegli insiste che la trae in quel senso. In definitiva perché temere d'ammettere che io non sono uomo, cioè queste due sillabe?
Ad. - Verissimo. Ma perché allora, se date quelle premesse la conclusione è valida, offende il sentimento questa frase: " Dunque non sei uomo "?
Ag. - Perchénon posso non pensare che la conclusione si riferisca all'oggetto significato da queste due sillabe, nell'atto che quelle parole si pronunciano, in base a quella legge, naturalmente valida, che, uditi i segni, l'atto del pensiero si porta sui significati.
Ad. - Accettola tua tesi.

Vale di piú il significato che il segno....

9. 25. Ag. - Pertantodovresti intendere, ti prego, che gli oggetti significati devono essere valutati più dei segni. Tutto ciò che è mezzo, è necessariamente inferiore al fine cui è destinato. Non la pensi diversamente?
Ad. - Ritengo che in proposito non si deve concludere senza sufficiente esame. Penso che il termine coenum (sozzura), in quanto nome, è assai più nobile della cosa che significa. Il fatto che nell'udirlo ci nausea non deriva dalla parola anche perché coenum, in quanto nome, mutata una sola lettera, diventa coelum (cielo). Ma noi sappiamo la distanza che esiste fra gli oggetti significati da questi nomi. Pertanto non attribuirei in alcun modo al segno ciò che si detesta nell'oggetto significato e quindi giustamente lo valuto di più dell'oggetto stesso. Difatti volentieri lo percepiamo con l'udito, ma non con qualsiasi altro senso.
Ag. - Dettocon molta perspicacia. Dunque è falso che tutte le cose si devono valutare più dei loro segni.
Ad. - Sembra.
Ag. - Dimmi dunque che intenzione ebbero, secondo. te, coloro che hanno imposto un nome a una cosa tanto disgustosa e spregevole. Li approvi o disapprovi?
Ad. - Non oserei né approvarli né disapprovarli e non so che intenzione ebbero.
Ag. - Puoidire almeno che intenzione hai tu quando pronunci questo nome?
Ad. - Questosì certamente. Intendo usare quei segni per insegnare o far ricordare al mio interlocutore il concetto che, secondo me, è necessario impari o ricordi.
Ag. - Dunque l'insegnare o far ricordare, l'imparare o ricordare ciò che con questo nome tu strumentalmente offri o ti viene offerto, non deve ritenersi più pregevole del nome stesso?
Ad. - Ammettoche la conoscenza in sé, ottenuta con tale segno, si deve preferire al segno, ma non per questo lo ammetto anche della cosa.

... l'uso del segno che il segno ... .

9. 26. Ag. - Pertanto nella nostra tesi, sebbene sia falso che tutte le cose sono da valutarsi superiori ai propri segni, non è falso che il mezzo è meno pregevole dell'oggetto cui è destinato. La conoscenza della sozzura appunto, alla quale questo nome è destinato, è da considerarsi più pregevole del nome stesso che, a sua volta, come abbiamo stabilito, è più pregevole della stessa sozzura. E la conoscenza è stata considerata superiore al segno in parola soltanto perché è evidente che l'uno è per l'altra e non viceversa. A titolo d'esempio, un ghiottone e adoratore del ventre, come è detto dall'Apostolo 13, affermava che egli viveva per mangiare. Ma un individuo parco, che lo udì, replicò: " Quanto sarebbe meglio che tu mangiassi per vivere ". Tuttavia entrambi si espressero secondo la regola suddetta. Difatti il ghiottone fu rimproverato soltanto perché considerava tanto poco la vita da subordinarla al piacere della gola col dire che viveva per il cibo. E l'uomo sobrio giustamente fu lodato soltanto perché, comprendendo quale delle due cose si fa per l'altra, cioè qual è subordinata all'altra, avverti che bisogna mangiare per vivere e non vivere per mangiare. Egualmente un chiacchierone amante delle parole potrebbe dire: " Insegno per parlare ". Ma tu forse e qualsiasi individuo capace di valutare le cose gli rispondereste: " Buon uomo, perché piuttosto non parli per insegnare? ". Queste idee sono vere, come ben comprendi. Puoi capire dunque quanto siano da considerare meno pregevoli le parole del fine per cui le usiamo poiché anche l'uso è da considerarsi più pregevole delle parole. Ci son le parole per usarle e le usiamo per insegnare. Quanto dunque è più pregevole l'insegnare che il parlare, tanto è più pregevole il parlare che le parole. Dunque il contenuto dell'insegnamento è più pregevole delle parole. Ma vorrei sapere se hai da ribattere.

... la conoscenza della cosa che quella del segno.

9. 27. Ad. - Ammettoche il contenuto dell'insegnamento è più pregevole delle parole, ma non so se non esista una obiezione contro la legge cosi enunziata: " Ogni cosa ordinata ad un'altra è di minor pregio della cosa cui è ordinata ".
Ag. - Ne tratteremo altrove più opportunamente e diligentemente. Per il momento la tua ammissione è sufficiente a quanto intendo dimostrare. Concedi che la conoscenza d'un oggetto è più pregevole dei segni dell'oggetto. Pertanto la conoscenza degli oggetti significati è più pregevole della conoscenza dei segni. Non ti pare?
Ad. - Ma davvero ho concesso che la conoscenza degli oggetti è più pregevole della conoscenza dei segni o non piuttosto degli stessi segni? Sono esitante ad accordarmi con te su questo punto. Se il termine " sozzura " è più pregevole dell'oggetto significato, la conoscenza di questo termine è da preferirsi alla conoscenza di quell'oggetto, sebbene il nome stesso sia meno pregevole della relativa conoscenza. Quattro sono i termini in effetti: il nome e la cosa, la conoscenza del nome e la conoscenza della cosa. Come dunque il primo al secondo, perché il terzo non sarebbe preferibile al quarto? Ma dato che non lo sia, si dovrebbe anche subordinarlo?

Importanza della conoscenza della cosa.

9. 28. Ag. - Noto che veramente bene hai tenuto presente la tua ammissione e hai chiarito il tuo pensiero. Ma, come suppongo, tu comprendi che il termine " vizio ", risultante di sillabe nella sua espressione orale, è più pregevole del concetto che significa, mentre la conoscenza della parola è meno pregevole della conoscenza dei vizi. E anche ammesso che tu possa proporre alla considerazione i quattro termini " nome e oggetto, conoscenza del nome e conoscenza dell'oggetto ", giustamente noi anteponiamo nella considerazione il primo al secondo. Questa stessa parola, posta in una poesia di Persio che scrive: Ma costui è istupidito dal vizio 14, non solo non ha reso vizioso il verso, ma gli ha anche conferito una certa eleganza. Eppure l'oggetto significato dalla parola condiziona ad esser vizioso il soggetto in cui si ha. Ma ci è evidente che non cosi eccelle il terzo sul quarto, ma piuttosto il quarto sul terzo. La conoscenza di questa parola è appunto meno pregevole della conoscenza dei vizi.
Ad. - Ed anche se tale conoscenza rende più infelici, la ritieni superiore? Il medesimo Persio, fra tutte le pene che la crudeltà dei tiranni ha inventato e la loro cupidigia applica, considera superiore quella, per cui vengono tormentati gli individui, i quali sono costretti a riconoscere vizi che non possono evitare.
Ag. - Conquesto discorso vieni ad affermare che anche la conoscenza delle virtù è meno pregevole della conoscenza della parola relativa poiché è tormento conoscere e non praticare la virtù. Il medesimo poeta satirico ha augurato che ne fossero puniti i tiranni 15.
Ad. - Diociscampi da tale assurdità. Comprendo ormai che non si deve dare colpa alle conoscenze in sé, con cui la più nobile disciplina ci arricchisce la coscienza, ma che si devono considerare come i più infelici coloro, i quali sono cosi soggetti alla malattia, che non li guarisce neanche una medicina così efficace. Ritengo che Persio la pensasse così.
Ag. - Comprendi bene. Ma qualunque fosse il pensiero di Persio, che ce ne importa? In materia non siamo soggetti all'autorità dei poeti. D'altronde non è facile distinguere se una conoscenza è da preferirsi a un'altra. Mi basta il risultato conseguito, che la conoscenza dei concetti significati, anche se non è più pregevole della conoscenza dei segni, lo è certamente dei segni stessi. Esaminiamo dunque a fondo la categoria degli oggetti che senza segni possono essere indicati in sé, come parlare, camminare, sedere, giacere e simili.
Ad. - Stogià richiamando quanto dirai.

Non s'insegna senza segni ....

10. 29. Ag. - Secondo te, si possono indicare senza segno tutte le azioni che è possibile eseguire immediatamente dopo la richiesta o fai qualche eccezione?
Ad. - Ioin verità, dopo aver considerato più volte la categoria nel suo complesso, non trovo ancora altro che si possa indicare senza segno se non il parlare e l'atto dell'insegnare, se per caso qualcuno possa richiedere anche questo. Mi accorgo che, data la sua richiesta, qualunque azione compirò per farlo apprendere, non posso interrompere quella che mi chiede gli sia indicata. Se qualcuno infatti, come è stato già detto, mi chiede che cos'è camminare mentre sto fermo o faccio altro ed io tento, cominciando a camminare immediatamente, di insegnargli senza segno quanto mi ha chiesto, non potrò evitare la sua impressione che camminare è solo quel tanto che camminerò. Se lo penserà, s'ingannerà. Egli riterrà appunto che non è camminare quello di un individuo che avrà camminato più o meno a lungo di me. E quel che dico di questa sola parola si estende a tutte quelle che avevo ammesso potersi indicare senza segno, salvo le due che abbiamo incluso nell'eccezione.

... e parole.

10. 30. Ag. - D'accordo su questo tema. Ma non ritieni che altro è parlare ed altro insegnare?
Ad. - Certamente. Se fossero il medesimo concetto, non s'insegnerebbe se non parlando. Al contrario s'insegnano molte cose con altri segni oltre che con le parole, quindi non si può dubitare della differenza.
Ag. - E insegnare e significare non differiscono affatto o differiscono per qualche aspetto?
Ad. - Secondome non differiscono.
Ag. - Non si dice logicamente che si usano segni per insegnare?
Ad. - Certamente.
Ag. - E si potrà confutare sulla base del principio suddetto chi dicesse che si insegna per usar segni?
Ad. - Sì.
Ag. - Sedunque si usano segni per insegnare e non si insegna per usar segni, altro è insegnare ed altro significare.
Ad. - Giusto;ed io non ho risposto rettamente dicendo che si identificano.
Ag. - Ed ora rispondi se chi insegna che cos'è insegnare può farlo usando segni o in altro modo.
Ad. - Non vedo com'è possibile in altro modo.
Ag. - Dunque poco fa hai commesso un errore. Hai detto che quando si chiede cos'è l'insegnare stesso, se ne può insegnare il concetto senza segni. Al contrario stiamo notando che neanche questo si può ottenere senza l'uso di segni poiché hai concesso che altro è significare e altro insegnare. Se sono diversi, come è evidente, e se l'insegnare s'indica soltanto con l'uso di segni, è evidente che non s'indica di per sé, come a te è sembrato. Dunque si è trovato che si può indicare di per sé soltanto il linguaggio che è segno di se stesso oltre che di altri concetti. Ma siccome anche esso è segno, non v'è concetto che, come sembra, si può insegnare senza segni.
Ad. - Nulla in contrario.

Sospensione e aporeticità.

10. 31. Ag. - Siè raggiunta dunque la conclusione che non s'insegna senza segni e che è più pregevole la conoscenza che i segni con cui conosciamo, sebbene non tutte le cose conosciute con segni siano più pregevoli dei rispettivi segni.
Ad. - D'accordo.
Ag. - Rammenti, scusa, con quanto girovagare si è ottenuto finalmente un risultato cosi trascurabile? Dacché stiamo bersagliando con parole, ed è un bel po' che lo facciamo, ci siamo affaticati ad esaminare questi tre quesiti: se non è possibile insegnare senza segni, se vi sono segni più pregevoli degli oggetti di cui sono segni, se più pregevole dei segni è la conoscenza degli oggetti. Ma v'è un quarto quesito che vorrei sia da te chiarito, e cioè se, secondo te, i principi esposti sono stati cosi dimostrati che ormai non ti è più possibile dubitarne.
Ad - Vorreicertamente che attraverso tanti giri tortuosi si fosse giunti a risultati apodittici. Ma proprio codesta tua domanda mi inquieta e mi distoglie dall'apodissi. Non mi avresti posto questa domanda, mi pare, se tu stesso non avessi qualche dubbio in contrario. La difficoltà stessa dell'argomento non mi consente di vedere nell'insieme e di rispondere sicuro per timore che fra tante pieghe si celi qualche cosa che la penetrazione della mia mente non può raggiungere.
Ag. - Accolgocon piacere la tua esitazione perché è indice di una coscienza non sconsiderata. È la più grande difesa della tranquillità. È infatti assai difficile non turbarsi quando, a causa di dimostrazioni in contrario, crollano e quasi ci vengono sottratte di mano le opinioni che accettavamo con spontanea e irriflessa convinzione. Pertanto come è giusto cedere a ragionamenti attentamente vagliati, cosi è rischioso ritenere per apodittica una conoscenza che non è tale. C'è da temere appunto che se spesso son demolite conoscenze che pregiudizialmente si ritenevano stabili e durature, si potrebbe incorrere in tanto odio e timore della dialettica da sembrarci che non si deve ritenere per apodissi neanche la verità più evidente.

Infiniti significati senza segni.

10. 32. Ma ora torniamo ad esaminare più speditamente se con ragione hai ritenuto di dover dubitare di tali concetti. Ti pongo una domanda. Supponi che un tale, profano delle insidie per uccelli, preparate con canne e vischio, s'incontra con un uccellatore che, pur avendo i propri attrezzi, non li usa per l'uccellagione, ma è ancora in cammino. A tal vista, quegli accelera il passo e fra sé come avviene, pensa con meraviglia e si chiede a che serve l'attrezzatura dell'individuo. L'uccellatore, accorgendosi che l'altro lo osserva, tanto per esibirsi, allestisce le canne, poi col fusto della canna e col falcone immobilizza un uccellino che passa di là, lo accalappia e lo prende. Non ha egli insegnato a colui che l'osservava senza far segni ma con l'azione stessa?
Ad. - Temoche sia il medesimo caso di colui che, come ho detto, chiede che cosa sia camminare. Anche qui non vedo che sia stata mostrata tutta l'operazione della cattura.
Ag. - Èfacile liberarti da tale preoccupazione. Aggiungo appunto la clausola che l'osservatore sia tanto intelligente da capire da quanto ha visto tutto il significato dell'operazione. È sufficiente infatti all'assunto che sia possibile senza segno insegnare alcune cose, non tutte, e ad alcuni individui.
Ad. - Anche io posso aggiungere la clausola: se fosse tanto intelligente, indicato il camminare con pochi passi, comprenderà che cos'è il camminare in sé.
Ag. - Fallo pure. Non solo non mi oppongo, anzi ti favorisco. Il fatto sta che come puoi notare, da ciascuno di noi due si sta dimostrando che certi oggetti ad alcuni possono essere insegnati senza segni e che è falso quanto ritenevamo poco fa, cioè che non v'è oggetto il quale si possa indicare senza segni. E ormai di simili oggetti ne vengono in mente non l'uno o l'altro, ma migliaia che sono indicati per sé senza alcun segno. Ma, scusa, perché ne dubitiamo? Per omettere i molti spettacoli di attori che in tutti i teatri mostrano senza segni con le azioni stesse, Dio e la natura a chi osserva non mostrano direttamente di per sé questo sole e la luce che avvolge, fasciandole, tutte le cose, la luna e gli altri astri, le terre e i mari e gli esseri che in essi si producono?

Inutilità del segno ... .

10. 33.Ma a considerare più attentamente, forse non troverai oggetto che sia appreso mediante propri segni. Quando mi si mostra un segno, se io non so di quale oggetto è segno, è assurdo che m'insegni qualche cosa. Se poi lo so, cosa apprendo dal segno? La parola non mi mostra la cosa che significa, quando leggo: E le loro sarabare non sono state bruciate 16.Se con tale nome sono chiamati determinati copricapo, nell'udirlo, ho forse appreso che cos'è capo e che cosa lo copre? Li conoscevo già e non ne ho avuto conoscenza perché li ho intesi nominare da altri, ma perché li ho visti. Infatti quando per la prima volta le due sillabe del termine " capo " hanno colpito il mio udito, non ne ho conosciuto il significato ed egualmente quando per la prima volta ho udito o letto le sarabare. Ma " capo " è una parola molto usata. Ed io, avvertendola con intenzione, ho saputo che è il vocabolo di una cosa che mi era assai nota per averla vista. Prima di accorgermene, la parola per me era soltanto un suono; ho imparato che è anche un segno quando ho trovato di quale oggetto è segno. Ma, come ho detto, avevo appreso la cosa non mediante l'uso dei segni, bensì con la vista. Dunque si apprende il segno con la cosa conosciuta piuttosto che la cosa col segno.

... se non si conosce la cosa.

10. 34. Per comprendere meglio l'argomento, supponi che ora, per la prima volta, noi udiamo il termine " capo ". Non sapendo se la voce sia soltanto un suono o abbia anche un significato, domandiamo che cos'è capo. Ricorda che non desideriamo conoscere la cosa significata, ma il segno e che non lo conosciamo perché non sappiamo di che cosa è segno. Se dunque alla nostra domanda ci si mostra col dito la cosa stessa, appena la vediamo, apprendiamo il segno che avevamo soltanto udito e non ancora conosciuto. E poiché in questo segno ci si offrono due aspetti, il suono e il significato, noi non abbiamo colto il suono mediante il segno ma mediante lo stimolo uditivo, il significato mediante la percezione della cosa significata. L'indicare col dito appunto non può significare altro oggetto che quello, cui il dito si tende; ed esso è teso non al segno, ma verso quella parte del corpo che si chiama capo. Da quel gesto dunque non posso conoscere la cosa perché la conoscevo, né il segno a cui non era teso il dito. Ma non voglio preoccuparmi troppo della indicazione col dito perché mi sembra un segno della stessa indicazione anziché di cose che ne possono essere indicate. È lo stesso caso del termine avverbiale " ecco ". Anche nel pronunciare questo avverbio, di solito si tende il dito nel timore che non sia abbastanza un solo segno d'indicazione. Ed ora mi accingo a convincerti, se riuscirò, soprattutto che non si apprende mediante i segni, che sono detti parole. Piuttosto, come ho detto, si apprende la funzione della parola, cioè l'atto del significato nascosto dal suono, con la conoscenza dell'oggetto significato anziché l'oggetto con l'atto del significare.

Parola e insegnamento.

10. 35. E ciò che ho detto del capo, lo direi dei copricapo e di altre innumerevoli cose. Queste le conosco ma non so ancora cosa sono le sarabare. Ma se qualcuno me le indicasse col gesto o le dipingesse o mostrasse un oggetto, a cui si rassomigliano, non direi proprio che non me le ha insegnate, sebbene potrei provarlo facilmente se volessi dilungarmi, ma dico qualche cosa di molto simile, e cioè che non me le ha insegnate con le parole. E se scorgendole alla mia presenza, mi avvertirà: " Ecco le sarabare ", conoscerò l'oggetto che non conoscevo non per la mediazione delle parole dette, ma per percezione immediata dell'oggetto. Da essa è derivato inoltre che ho conosciuto e appreso anche il significato del nome. Infatti nell'apprendere l'oggetto, non mi son fidato delle parole altrui ma dei miei occhi. Delle parole però mi son fidato per osservare, cioè per cercare con lo sguardo l'oggetto da vedere.