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In cammino insieme allo Spirito Santo la via che conduce a Dio

Catechesi sul Credo, parte II: Gesu' Figlio e Salvatore Gennaio 1989

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    MARIOCAPALBO
    00 06/04/2013 10:20
    «Discese agli inferi»: la potenza della morte sacrificale del Cristo
    GIOVANNI PAOLO II

    UDIENZA GENERALE

    Mercoledì, 11 gennaio 1989



    1. Nelle catechesi più recenti abbiamo spiegato, con l’aiuto di testi biblici, l’articolo del Simbolo degli apostoli che dice di Gesù: “Patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso . . . e fu sepolto”. Non si trattava solo di narrare la storia della passione, ma di penetrare la verità di fede che vi è racchiusa e che il Simbolo ci fa professare: la Redenzione umana operata da Cristo col suo sacrificio. Ci siamo particolarmente soffermati nella considerazione della sua morte e delle parole da lui pronunciate durante l’agonia sulla Croce, secondo la relazione che ce ne hanno tramandato gli evangelisti. Tali parole ci aiutano a scoprire e a capire maggiormente in profondità lo spirito con cui Gesù si è immolato per noi.

    Quell’articolo di fede si conclude, come abbiamo appena ripetuto, con le parole: “. . . e fu sepolto”. Sembrerebbe una pura annotazione di cronaca: è invece un dato il cui significato rientra nell’orizzonte più ampio di tutta la cristologia. Gesù Cristo è il Verbo che si è fatto carne per assumere la condizione umana e farsi simile a noi in tutto, eccetto che nel peccato (cf. Eb 4, 15). È diventato veramente “uno di noi” (cf. Gaudium et Spes, 22), per potere operare la nostra redenzione, grazie alla profonda solidarietà instaurata con ogni membro della famiglia umana. In quella condizione di uomo vero, ha subìto interamente la sorte dell’uomo, fino alla morte, alla quale consegue abitualmente la sepoltura, almeno nel mondo culturale e religioso nel quale egli si è inserito ed è vissuto. La sepoltura di Cristo è dunque oggetto della nostra fede in quanto ci ripropone il suo mistero di Figlio di Dio che si è fatto uomo e s’è spinto fino all’estremo della vicenda umana.

    2. A queste parole conclusive dell’articolo sulla Passione e morte di Cristo, si ricollega in certo modo l’articolo successivo che dice: “Discese agli inferi”. In tale articolo si riflettono alcuni testi del nuovo testamento che vedremo subito. È bene però premettere che, se nel periodo delle controversie con gli ariani la formula suddetta si trovava nei testi di quegli eretici, essa però era stata introdotta anche nel cosiddetto “Simbolo di Aquileia”, che era una delle professioni della fede cattolica allora vigenti, redatta alla fine del IV secolo (cf. Denz-Schönm 16). Essa entrò definitivamente nell’insegnamento dei Concili col Lateranense IV (1215) e col II Concilio di Lione nella professione di fede di Michele Paleologo (1274).

    Va inoltre chiarito in partenza che l’espressione “inferi” non significa l’inferno, lo stato di dannazione, ma il soggiorno dei morti, ciò che in ebraico era detto “sheol” e in greco “hades” (cf. At 2, 31).

    3. I testi del nuovo testamento, dai quali è derivata quella formula, sono numerosi. Il primo si trova nel discorso di Pentecoste dell’apostolo Pietro, il quale, richiamandosi al Salmo 16 per confermare l’annunzio della Risurrezione di Cristo, ivi contenuto, afferma che il profeta Davide “previde la risurrezione di Cristo e ne parlò: questi non fu abbandonato negli inferi né la sua carne vide corruzione” (At 2, 31). Un significato simile ha la domanda che pone l’apostolo Paolo nella lettera ai Romani: “Chi discenderà nell’abisso? Questo significa far risalire Cristo dai morti” (Rm 10, 7).

    Anche nella lettera agli Efesini, vi è un testo che, sempre in relazione a un versetto dal Salmo 69: “Ascendendo in cielo ha portato con sé prigionieri, ha distribuito doni agli uomini” (Sal 69, 19), pone una domanda significativa: “Ma che significa la Parola “ascese” se non che prima era disceso nelle parti inferiori della terra? Colui che discese è lo stesso che anche ascese al di sopra di tutti i cieli per riempire tutte le cose” (Ef 4, 8-10). In questo modo l’autore sembra collegare la “discesa” di Cristo nell’abisso (in mezzo ai morti), di cui parla la lettera ai Romani, con la sua ascensione al Padre, che dà inizio al “compimento” escatologico di ogni cosa in Dio.

    A questo concetto corrispondono anche le parole messe in bocca a Cristo: “Io sono il Primo e l’Ultimo e il Vivente. Io ero morto, ma ora vivo per sempre e ho potere sopra la morte e sopra gli inferi” (Ap 1, 17-18).

    4. Come si vede dai testi riportati, l’articolo del Simbolo degli apostoli “discese agli inferi”, trova il suo fondamento nelle affermazioni del nuovo testamento sulla discesa di Cristo, dopo la morte sulla Croce, nel “paese della morte”, nel “luogo dei morti”, che nel linguaggio dell’antico testamento era chiamato l’“abisso”. Se nella lettera agli Efesini si dice “nelle parti inferiori della terra”, è perché la terra accoglie il corpo umano dopo la morte, e così accolse anche il corpo di Cristo spirato sul Golgota, come descrivono gli evangelisti (cf. Mt 27, 59 s. et par; Gv 19, 40-42). Cristo è passato attraverso un’autentica esperienza della morte, compreso il momento finale che generalmente fa parte della sua economia globale: è stato deposto nel sepolcro.

    È una conferma che la sua fu una morte reale, e non solo apparente. La sua anima, separata dal corpo, era glorificata in Dio, ma il corpo giaceva nel sepolcro allo stato di cadavere.

    Durante i tre giorni (non completi) passati tra il momento in cui “spirò” (cf. Mc 15, 37) e la Risurrezione, Gesù ha sperimentato lo “stato di morte”, cioè la separazione dell’anima dal corpo, nello stato e condizione di tutti gli uomini. Questo è il primo significato delle parole “discese agli inferi”, legate a ciò che lo stesso Gesù aveva preannunziato quando, riferendosi alla storia di Giona, aveva detto: “Come infatti Giona rimase tre giorni e tre notti nel ventre del pesce, così il Figlio dell’uomo resterà tre giorni e tre notti nel cuore della terra” (Mt 12, 40).

    5. Proprio di questo si trattava: il cuore, o il seno della terra. Morendo sulla Croce, Gesù ha rimesso il suo spirito nelle mani del Padre: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito” (Lc 23, 46). Se la morte comporta la separazione dell’anima dal corpo, ne consegue che anche per Gesù si è avuto da una parte lo stato di cadavere del corpo, e dall’altra la piena glorificazione celeste della sua anima sin dal momento della morte. La prima lettera di Pietro parla di questa dualità, quando, riferendosi alla morte subita da Cristo per i peccati, dice di lui: “Messo a morte nella carne, ma reso vivo nello spirito” (1 Pt 3, 18). Anima e corpo si trovano dunque nella condizione terminale rispondente alla loro natura, anche se sul piano ontologico l’anima tende a ricomporre l’unità col proprio corpo. L’Apostolo però aggiunge: “In spirito (Cristo) andò ad annunziare la salvezza anche agli spiriti che attendevano in prigione” (1 Pt 3, 19). Questa sembra essere una rappresentazione metaforica dell’estensione della presenza del Cristo crocifisso anche a coloro che erano morti prima di lui.

    6. Pur nella sua oscurità, il testo petrino conferma gli altri quanto alla concezione della “discesa agli inferi” come adempimento, fino alla pienezza, del messaggio evangelico della salvezza. È Cristo che, deposto nel sepolcro quanto al corpo, ma glorificato nella sua anima ammessa alla pienezza della visione beatifica di Dio, comunica il suo stato di beatitudine a tutti i giusti di cui, quanto al corpo, condivide lo stato di morte.

    Nella lettera agli Ebrei si trova descritta l’opera di liberazione dei giusti da lui compiuta: “Poiché . . . i figli hanno in comune il sangue e la carne, anch’egli ne è divenuto partecipe, per ridurre all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare così quelli che per timore della morte erano soggetti a schiavitù per tutta la vita” (Eb 2, 14-15). Come morto - e nello stesso tempo come vivo “per sempre” - Cristo ha “potere sopra la morte e sopra gli inferi” (cf. Ap 1, 17-18). In questo si manifesta e realizza la potenza salvifica della morte sacrificale di Cristo, operatrice di Redenzione nei riguardi di tutti gli uomini: anche di coloro che erano morti prima della sua venuta e della sua “discesa agli inferi”, ma che furono raggiunti dalla sua grazia giustificatrice.

    7. Nella prima lettera di san Pietro leggiamo ancora: “. . . è stata annunziata la buona Novella anche ai morti, perché pur avendo subìto, perdendo la vita del corpo, la condanna comune a tutti gli uomini, vivano secondo Dio nello spirito” (1 Pt 4, 6). Anche questo versetto, pur non essendo di facile interpretazione, ribadisce il concetto della “discesa agli inferi” come l’ultima fase della missione del Messia: fase “condensata” in pochi giorni dai testi che tentano di farne una presentazione accessibile a chi è abituato a ragionare e a parlare in metafore temporali e spaziali, ma immensamente vasto nel suo significato reale di estensione dell’opera redentrice a tutti gli uomini di tutti i tempi e di tutti i luoghi, anche di coloro che nei giorni della morte e della sepoltura di Cristo giacevano già nel “regno dei morti”. La Parola del Vangelo e della Croce tutti raggiunge, anche quelli appartenenti alle generazioni passate più lontane, perché tutti coloro che si sono salvati sono stati resi partecipi della Redenzione, anche prima che avvenisse l’evento storico del sacrificio di Cristo sul Golgota. La concentrazione della loro evangelizzazione e Redenzione nei giorni della sepoltura vuole sottolineare che nel fatto storico della morte di Cristo s’innesta il mistero super-storico della causalità redentiva dell’umanità di Cristo, “strumento” della divinità onnipossente. Con l’ingresso dell’anima di Cristo nella visione beatifica in seno alla Trinità, trova il suo punto di riferimento e di spiegazione la “liberazione dalla prigione” dei giusti, che prima di Cristo erano discesi nel regno della morte. Per Cristo e in Cristo si apre davanti ad essi la libertà definitiva della vita dello Spirito, come partecipazione alla vita di Dio (cf. S. Thomae, Summa Theologiae III, q. 52, a. 6). Questa è la “verità” che si può trarre dai testi biblici citati e che è espressa nell’articolo del Credo che parla di “discesa agli inferi”.

    8. Possiamo dunque dire che la verità espressa dal Simbolo degli apostoli con le parole “discese agli inferi”, mentre contiene una riconferma della realtà della morte di Cristo, nello stesso tempo proclama l’inizio della sua glorificazione. E non solo di lui, ma di tutti coloro che per mezzo del suo sacrificio redentore sono maturati alla partecipazione della sua gloria nella felicità del Regno di Dio.

    Ai pellegrini di lingua francese

    Chers Frères et Sœurs,

    JE SALUE CORDIALEMENT les pèlerins de langue française venus ce matin. Parmi eux j’adressé mes voeux aux Frères de l’Instruction chrétienne de Ploërmel en “second noviciat” pour leur vie religieuse et je les encourage vivement à poursuivre avec zèle leur précieuse mission d’éducateurs.

    A tous, je donne volontiers ma Bénédiction Apostolique.

    Ai pellegrini di lingua inglese

    Dear Brothers and Sisters,

    I WISH TO EXTEND a special welcome to the students of Immaculate Conception Seminary in Rockville Centre. Dear young men: Recognize the dignity of your vocation! Remember that as priests you will be called to be men of God, presenting the needs of your people before our Heavenly Father and proclaiming the Gospel effectively to the men and women of our time. I encourage you to make the most of your years of preparation.

    * * *

    MY GREETINGS go to the group of students from the California Lutheran University of Los Angeles. And I am happy to welcome the group of students from Vadstena and Motala in Sweden. I wish to assure you that I look forward very much to meeting the youth of Sweden and the other Nordic countries during my visit next June. God bless you all!

    On all the English-speaking visitors I invoke the divine gifts of joy and peace in our Lord Jesus Christ.

    Ai fedeli di lingua tedesca

    Liebe Brüder und Schwestern!

    HERZLICH GRÜßE ich mit dieser kurzen Betrachtung alle heutigen Audienzbesucher deutscher Sprache; darunter besonders die Schwestern verschiedener Kongregationen, die in La Storta an einem Monatskurs geistlicher Besinnung und Erneuerung teilnehmen. Besinnung besagt Rückkehr zu den Quellen unseres Glaubens. Möget ihr daraus unter der Führung des Heiligen Geistes neue Anregungen und Kraft für euer religiöses Leben und Wirken schöpfen. Für ein fruchtbares und auch persönlich erfülltes neues Jahr erteile ich euch und allen Pilgern deutscher Sprache von Herzen meinen besonderen Apostolischen Segen.

    Ai pellegrini di lingua spagnola

    Amadísimos hermanos y hermanas,

    ME CEMPLACE saludar ahora a los peregrinos de lengua española, venidos de España y de América Latina. En particular, saludo al grupo de niños mexicanos que realizan un curso de sus estudios en Irlanda. Os exhorto a todos a seguir siempre a Cristo, para poder participar con El eternamente de su gloria.

    Con gran afecto os imparto mi Bendición Apostólica.

    Ai pellegrini polacchi

    WITAM SERDECZNIE pielgrzymów Polaków z kraju i z emigracji; księdza biskupa Kazimierza Górnego z Krakowa, uczestników grup turystycznych Orbisu, Turysty i wszystkich innych indywidualnych pielgrzymów z kraju i z emigracji . . . Wszystkim składam życzenia szczęśliwego nowego roku.

    Ai fedeli in lingua italiana.

    Sono lieto di porgere il mio cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. Saluto in primo luogo voi, Direttori Salesiani dell’Ispettoria Lombardo-Emiliana e vi auguro che il Corso di aggiornamento, cui state partecipando ravvivi le vostre energie e consenta di approfondire l’intelligenza delle necessità dei giovani affidati alle vostre cure di sacerdoti e di educatori.

    * * *

    Rivolgo poi la mia parola affettuosa alle novizie e postulanti della Congregazione delle Figlie del Divin Zelo, che volentieri esorto a perseverare nel cammino vocazionale, per rispondere all’amore di predilezione, con cui il Redentore vi ha chiamate.

    * * *

    Giunga il mio saluto anche alle famiglie del Movimento dei Focolari. Cari fratelli e sorelle, l’aver meditato su “Maria modello di santità” vi conceda la serena disponibilità a rendere fruttuosa, quale prezioso talento, la grazia del sacramento nuziale, vivendo nello stesso spirito e clima spirituale della Santa Famiglia di Nazareth.

    * * *

    Dirigo la mia parola di apprezzamento agli architetti ed alle maestranze di Benedello di Pavullo nel Frignano: la vostra sensibilità verso i disabili vi ha spinto a collaborare generosamente alla realizzazione del “Centro Gesù Bambino, mio fratello”, dove non solo il sofferente è accolto, ma è pure aiutato a vivere conformemente alla sua umana dignità.

    * * *

    Mi è caro formare voti di civile e morale progresso per voi, pellegrini del Comune di Pescaglia e per la cittadinanza che rappresentate. A questo augurio unisco l’invito ad ispirarvi sempre nella vostra vita ai principi del Vangelo.

    * * *

    Saluto infine voi, soci del Leo Club Cava-Vietri, che siete intervenuti a questa Udienza con i vostri familiari, per esprimere al Papa la vostra devozione. Ve ne ringrazio e volentieri corrispondo a tale gesto con l’auspicio di ogni bene.

    A tutti voi, pellegrini italiani qui presenti, imparto la Benedizione Apostolica, che estendo alle vostre famiglie ed a quanti portate nel cuore e nella preghiera.

    Ai giovani, agli ammalati, agli sposi novelli.

    Rivolgo ora il mio saluto ai giovani, agli ammalati, agli sposi novelli, presenti a questa Udienza.

    Abbiamo celebrato pochi giorni fa la festa del battesimo di Gesù: essa ci ha portato a prendere rinnovata coscienza degli impegni assunti col nostro battesimo. Siamo, infatti, chiamati a testimoniare Dio, che è in noi, trasformando la nostra vita in maniera da renderla più che mai trasparenza del Signore, che vive nella nostra mente e nel nostro cuore.

    Voi, giovani, potete testimoniare Dio con la gioia di vivere nella generosità e nella purezza.

    Voi, ammalati, col dono fecondo e incalcolabile della vostra sofferenza.

    Voi, sposi, con l’amore reciproco e con la dedizione ai figli che Dio vi concederà.

    Occorre vivere in se stessi l’amore di Dio per poterlo donare agli altri.

    A tutti la mia Benedizione.

    Agli artisti del Circo “Moira Orfei”

    Saluto con vivo compiacimento i dirigenti e gli artisti del Circo su ghiaccio “Moira Orfei”, i quali in questi giorni hanno presentato a Roma alcuni loro programmi. La vostra presenza dimostra che voi intendete avvalorare con senso di responsabilità umana e cristiana la vostra prestigiosa professione.

    Agli artisti del “Circo di Mosca”

    Saluto pure i dirigenti e gli artisti del “Circo di Mosca”. Vi esprimo il mio ringraziamento per la vostra gentile visita e vi auguro che la vostra attività artistica giovi sempre ad una migliore conoscenza dei grandi valori di bontà e di fraternità che hanno radici profonde nell’animo del popolo russo.

    Dio benedica voi, le vostre famiglie e la vostra Patria.



    © Copyright 1989 - Libreria Editrice Vaticana
    [Modificato da MARIOCAPALBO 06/04/2013 10:22]
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    MARIOCAPALBO
    00 06/04/2013 10:22
    La risurrezione: evento storico e affermazione di fede
    GIOVANNI PAOLO II

    UDIENZA GENERALE

    Mercoledì, 25 gennaio 1989



    1. In questa catechesi ci mettiamo di fronte alla verità culminante della nostra fede in Cristo, documentata dal nuovo testamento, creduta e vissuta come centrale dalle prime comunità cristiane, trasmessa come fondamentale dalla Tradizione, non mai negletta dai veri cristiani, e oggi ben approfondita, studiata e predicata come parte essenziale del mistero pasquale, insieme con la Croce: ossia la risurrezione di Cristo. Di lui infatti il Simbolo degli apostoli dice che “il terzo giorno risuscitò da morte”; e il Simbolo niceno-costantinopolitano precisa: “Il terzo giorno è risuscitato secondo le Scritture”.

    È un dogma della fede cristiana, che si innesta in un fatto storicamente avvenuto e costatato. Noi cercheremo di investigare “con le ginocchia della mente inchine” il mistero enunciato dal dogma e racchiuso nel fatto, cominciando con l’esame dei testi biblici che lo attestano.

    2. La prima e più antica testimonianza scritta sulla risurrezione di Cristo si trova nella prima lettera di san Paolo ai Corinzi. In essa l’apostolo ricorda ai destinatari della lettera (verso la Pasqua del 57 d.C.): “Vi ho trasmesso dunque, anzitutto. quello che anch’io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Cefa e quindi ai dodici. In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto” (1 Cor 15, 3-8).

    Come si vede, l’Apostolo parla qui della viva tradizione della Risurrezione, della quale egli aveva preso conoscenza dopo la sua conversione alle porte di Damasco (cf. At 9, 3-18). Durante il suo viaggio a Gerusalemme aveva incontrato l’apostolo Pietro, e anche Giacomo, come viene precisato dalla lettera ai Galati (Gal 1, 18 s.), che ora cita come i due principali testimoni del Cristo risorto.

    3. È anche da notare che, nel testo citato, san Paolo non solo parla della Risurrezione avvenuta il terzo giorno “secondo le Scritture” (riferimento biblico che già tocca la dimensione teologica del fatto), ma nello stesso tempo fa ricorso ai testimoni, a coloro ai quali Cristo è apparso personalmente. È un segno, tra altri, che la fede della prima comunità dei credenti, espressa da Paolo nella lettera ai Corinzi, è basata sulla testimonianza di uomini concreti, noti ai cristiani e in gran parte ancora viventi in mezzo a loro. Questi “testimoni della risurrezione di Cristo” (cf. At 1, 22), sono prima di tutto i dodici apostoli, ma non solamente loro: Paolo parla addirittura di oltre cinquecento persone, alle quali Gesù apparve in una sola volta, oltre che a Pietro, a Giacomo e a tutti gli apostoli.

    4. Di fronte a questo testo paolino perdono ogni ammissibilità le ipotesi, con cui in diversi modi si è tentato di interpretare la risurrezione di Cristo astraendo dall’ordine fisico, in modo da non riconoscerla come un fatto storico: per esempio l’ipotesi, secondo la quale la risurrezione non sarebbe altro che una specie d’interpretazione dello stato in cui Cristo si trova dopo la morte (stato di vita, e non di morte), oppure l’altra ipotesi che riduce la risurrezione all’influsso che Cristo, dopo la sua morte, non cessò di esercitare - e anzi riprese con nuovo, irresistibile vigore - sui suoi discepoli. Queste ipotesi sembrano implicare una pregiudiziale ripugnanza alla realtà della Risurrezione, considerata solamente come il “prodotto” dell’ambiente, ossia della comunità di Gerusalemme. Né l’interpretazione né il pregiudizio trovano riscontro nei fatti. San Paolo, invece, nel testo citato, ricorre ai testimoni oculari del “fatto”: la sua convinzione sulla Risurrezione di Cristo ha dunque una base sperimentale. È legata a quell’argomento ex factis, che vediamo scelto e seguito dagli apostoli proprio in quella prima comunità di Gerusalemme. Quando infatti si tratta dell’elezione di Mattia, uno dei discepoli più assidui di Gesù, per integrare il numero dei “Dodici” rimasto incompleto per il tradimento e la fine di Giuda Iscariota, gli apostoli richiedono come condizione che colui che verrà eletto non solo sia stato loro “compagno” nel periodo in cui Gesù insegnava ed operava, ma che soprattutto egli possa essere “testimone della sua risurrezione” grazie all’esperienza fatta nei giorni antecedenti il momento in cui Cristo - come essi dicono - “è stato di tra noi assunto in cielo” (At 1, 22).

    5. Non si può dunque presentare, come fa una certa critica neotestamentaria poco rispettosa dei dati storici, la Risurrezione come un “prodotto” della prima comunità cristiana, quella di Gerusalemme. La verità sulla Risurrezione non è un prodotto della fede degli Apostoli o degli altri discepoli pre o postpasquali. Dai testi risulta piuttosto che la fede “prepasquale” dei seguaci di Cristo è stata sottoposta alla prova radicale della Passione e della morte in Croce del loro maestro. Egli stesso aveva annunziato questa prova, specialmente con le parole rivolte a Simon Pietro quando si era ormai alla soglia dei tragici eventi di Gerusalemme: “Simone, Simone, ecco satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano, ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede” (Lc 22, 31-32). La scossa provocata dalla passione e morte di Cristo fu così grande che i discepoli (almeno alcuni tra di loro) inizialmente non credettero alla notizia della risurrezione. In ogni Vangelo ne troviamo le prove. In particolare Luca ci fa sapere che quando le donne, “tornate dal sepolcro, annunziarono tutto questo (ossia il sepolcro vuoto) agli Undici e a tutti gli altri . . . quelle parole parvero loro come un vaneggiamento e non credettero ad esse” (Lc 24, 9. 11).

    6. Del resto l’ipotesi che nella Risurrezione vuol vedere un “prodotto” della fede degli apostoli, è confutata anche da quanto è riferito quando il Risorto “in persona apparve in mezzo a loro e disse: Pace a voi!”. Essi infatti “credevano di vedere un fantasma”. In quella occasione Gesù stesso dovette vincere i loro dubbi e il loro timore e convincerli che “era lui”: “Toccatemi e convincetevi: un fantasma non ha carne e ossa come vedete che io ho”. E poiché essi “ancora non credevano ed erano stupefatti”, Gesù chiese loro di dargli qualcosa da mangiare e “lo mangiò davanti a loro” (cf. Lc 24, 36-43).

    7. È inoltre ben noto l’episodio di Tommaso, il quale non si trovava con gli altri apostoli quando Gesù venne da loro per la prima volta, entrando nel Cenacolo nonostante che la porta fosse chiusa (cf. Gv 20, 19). Quando, al suo rientro, gli altri discepoli gli dissero: “Abbiamo visto il Signore”, Tommaso manifestò meraviglia e incredulità, e ribattè: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito al posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato - non crederò”. Dopo otto giorni Gesù venne nuovamente nel Cenacolo, per soddisfare la richiesta di Tommaso “incredulo” e gli disse: “Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente!”. E quando Tommaso professò la sua fede con le parole “Mio Signore e mio Dio!” Gesù gli disse: “Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!” (Gv 20, 24-29).

    L’esortazione a credere, senza pretendere di vedere ciò che è nascosto nel mistero di Dio e di Cristo, resta sempre valida; ma la difficoltà dell’apostolo Tommaso ad ammettere la Risurrezione senza avere sperimentato personalmente la presenza di Gesù vivente, e poi il suo cedere dinanzi alle prove fornitegli da Gesù stesso, confermano ciò che risulta dai Vangeli circa la resistenza degli apostoli e dei discepoli ad ammettere la Risurrezione. Non ha perciò consistenza l’ipotesi che la Risurrezione sia stata un “prodotto” della fede (o della credulità) degli apostoli. La loro fede nella Risurrezione era nata invece - sotto l’azione della grazia divina - dalla diretta esperienza della realtà del Cristo risorto.

    8. È Gesù stesso che dopo la Risurrezione si mette in contatto con i discepoli allo scopo di dar loro il senso della realtà e di dissipare l’opinione (o la paura) che si tratti di un “fantasma”, e quindi di essere vittime di un’illusione. Infatti egli stabilisce con loro rapporti diretti, proprio mediante il tatto. Così nel caso di Tommaso, che abbiamo appena ricordato, ma anche nell’incontro descritto nel Vangelo di Luca, quando Gesù dice ai discepoli sbigottiti: “Toccatemi e guardate: un fantasma non ha carne ed ossa come vedete che io ho” (Lc 24, 39). Li invita a constatare che il Corpo risorto, col quale si presenta a loro, è lo stesso che è stato martoriato e crocifisso. Quel corpo possiede però al tempo stesso nuove proprietà: è “reso spirituale” e “glorificato”, e quindi non è più sottoposto alle limitazioni consuete agli esseri materiali e perciò ad un corpo umano. (Infatti Gesù entra nel Cenacolo malgrado le porte chiuse, appare e sparisce, ecc.). Ma nello stesso tempo quel corpo è autentico e reale. Nella sua identità materiale sta la dimostrazione della Risurrezione di Cristo.

    9. L’incontro sulla via di Emmaus, riferito nel Vangelo di Luca, è un evento che rende visibile in modo particolarmente evidente come sia maturata nella consapevolezza dei discepoli la persuasione della Risurrezione appunto mediante il contatto col Cristo risorto (cf. Lc 24, 15-21). Quei due seguaci di Gesù, che all’inizio del cammino erano “tristi ed abbattuti”, al ricordo di quanto era successo al maestro il giorno della crocifissione e non nascondevano la delusione provata al veder crollare la speranza riposta in lui come messia liberatore (Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele), sperimentano in seguito una totale trasformazione, quando per loro diventa chiaro che lo sconosciuto, col quale hanno parlato, è proprio lo stesso Cristo di prima, e si rendono conto che egli è dunque risorto. Da tutta la narrazione risulta che la certezza della Risurrezione di Gesù aveva fatto di loro quasi degli uomini nuovi. Non solo avevano riacquistato la fede in Cristo, ma erano anche pronti a rendere testimonianza alla verità sulla sua Risurrezione.

    Tutti questi elementi del testo evangelico, tra loro convergenti, provano il fatto della Risurrezione, che costituisce il fondamento della fede degli apostoli e della testimonianza, che, come vedremo nelle prossime catechesi, è al centro della loro predicazione.

    Ai fedeli di lingua francese

    Chers Frères et Sœurs,

    JE SUIS TRÈS HEUREUX d’accueillir les Evêques venus de nombreux pays pour une semaine de méditation sur la spiritualité du Mouvement des Focolari. Le thème de votre réflexion et de votre prière est très riche pour votre vie personnelle et votre ministère pastoral: “L’amour mutuel au centre de la spiritualité de l’unité”. Que le Seigneur, qui nous a donné le “commandement nouveau”, et Marie sa Mère vous accordent la joie de faire partager à vos frères toute la richesse de son amour!

    * * *

    J’ADRESSE A TOUS les pèlerins de langue française un cordial salut. En particulier, je dis ma sympathie au groupe des Artisans de la Fête, venus en pèlerinage avec leur Aumônier. Dans votre vie itinérante, où vous donnez à beaucoup la joie de la fête, je vous souhaite de pouvoir mener, une vie familiare heureuse, éclairée par la foi.

    * * *

    JE DIS AUSSI mes encouragements et mes voeux aux séminaristes et aux prêtres du Séminaire Saint-Paul de Louvain-la-Neuve. Que les Apôtres Pierre et Paul vous accompagnent sur le chemin du ministère sacerdotal, dans le joie de servir le Seigneur et vos frères en Eglise!

    A tous ici présents, je donne volontiers ma Bénédiction Apostolique.

    Ai pellegrini di espressione inglese

    Dear Brothers and Sisters,

    I WISH TO WELCOME the large group of Jesuits and others taking part in a course at the Ignatian Spirituality Centre here in Rome. Brothers and Sisters: during these weeks your attention is being given to the Spiritual Exercises and the Jesuit Constitutions. When we think of the enormous good that has come to the Church from this heritage of Saint Ignatius of Loyola, we cannot but ardently pray that there will be a widespread renewal of the practice of the Spiritual Exercises throughout the Church. I encourage you therefore in your present studies and in your apostolate.

    * * *

    A SPECIAL GREETING goes to the Korean pilgrims, to the visitors from Sri Lanka, and to the officers and men of the United States Navy. Upon each of you and all the English-speaking visitors, I invoke Almighty God’s love and protection.

    Ai fedeli di lingua tedesca

    Liebe Brüder und Schwestern!

    EBENSO SOLLEN auch wir, liebe Brüder und Schwestern, heute glaubwürdige Zeugen der Auferstehung Jesu Christi sein. Indem ich euch erneut daran erinnere, grüße ich euch alle herzlich zu dieser Audienz; besonders die Priester aus der Diözese Aachen, die ihr 25-jähriges Priesterjubiläum feiern. Mit meinen besten Glückwünschen ermutige ich euch in eurem priesterlichen Dienst, heute besonders in eurem Zeugnis für den auferstandenen Herrn, dessen Nähe ihr täglich beim Brechen des eucharistischen Brotes neu erfahren dürft. Euch und allen anwesenden Pilgern erteile ich von Herzen den Apostolischen Segen.

    Ai numerosi pellegrini di espressione spagnola

    Amadísimos hermanos y hermanas,

    DESEO AHORA saludar cordialmente a los peregrinos y visitantes de lengua espanola.

    En particular saludo a los miembros de las Fuerzas Armadas de Venezuela aquí presentes y a los integrantes del Club Alumni de Buenos Aires.

    A todas las personas, familias y grupos procedentes de los diversos países de América Latina y de España imparto con afecto la Bendición Apostólica.

    Ai numerosi gruppi polacchi presenti

    POZDRAWIAM WSZYSTKICH pielgrzymów z Polski, w szczególności z archidiecezji warszawskiej, oraz uczestników grup turystycznych Orbisu, Turysty i wszystkich innych obecnych tutaj rodaków z kraju i emigracji.

    Ai pellegrini in lingua italiana

    Saluto tutti i gruppi di lingua italiana che partecipano a questa Udienza e, in particolare, i membri dell’Associazione Artigiani di Rionero in Vùlture, diocesi di Melfi-Rapolla e Venosa, i quali unitamente al loro Vescovo Mons. Vincenzo Cozzi ed ai Sacerdoti, sono giunti a Roma per confermare la loro scelta di fede da tradurre in programmi di azione e di vita.

    Ai giovani, agli ammalati, agli sposi novelli

    Il mio pensiero va ai giovani, agli ammalati ed agli sposi novelli presenti a questa Udienza.

    Carissimi, a conclusione della settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, desidero ricordare la necessità di vivere, ognuno nel proprio stato di vita, le esigenze dell’unità cristiana che ci provengono dal sacramento del battesimo, per il quale formiamo un solo corpo in Cristo, che è il capo.

    Sì, miei cari, Cristo opera ancora oggi nei nostri cuori quella riconciliazione che rende visibile l’unità della Chiesa. Consapevoli del dono del battesimo, operiamo, preghiamo e offriamo i nostri sacrifici ogni giorno per l’unità di tutti i credenti in Cristo.

    Giovanni Paolo II inaugura questa sera il nuovo ambulatorio odontoiatrico aperto dalla Caritas italiana, ed Affidato alla gestione della Caritas diocesana, nella sede di San Paolo.
    L’ambulatorio è l’ultima iniziativa, in ordine di tempo, della Caritas in favore delle migliaia e migliaia di immigrati dal terzo mondo i quali non avendo il permesso di soggiorno, tanto meno un lavoro, sono praticamente privi di una qualsiasi assistenza medica. Con il poliambulatorio aperto dalla Caritas nei pressi della Stazione Termini e la vicina Farmacia, il laboratorio odontoiatrico va a costituire quella che qualcuno ha già definito “La Usl degli immigrati clandestini”, una quantità sempre più grande di persone delle quali non si può continuare a far finta di ignorare l’esistenza.
    Prima di lasciare il laboratorio il Papa rivolge ai presenti un breve discorso dicendo tra l’altro.

    Questa vostra iniziativa è tanto significativa e non soltanto dal punto di vista professionale, ma anche dal punto di vista contenuto nella Sollicitudo Rei Socialis, perché è un segno dell’apertura dei cuori verso i nostri fratelli e verso le nostre sorelle che vengono da altri Paesi e qui possono ricevere le dovute cure mediche, specialmente quelle odontoiatriche che si prestano in questo ambulatorio. Voglio ringraziare tutti quanti collaborano a questa iniziativa e lo fanno come volontari. Apprezziamo molto questo volontariato che non si può valutare altrimenti se non come un segno della carità e dell’amore verso i fratelli bisognosi. Ed io nel nome di questi fratelli, nel nome della Chiesa di Roma vi ringrazio e vi auguro anche la prosecuzione di questa attività. Essa dà quei frutti che si vedono poco, di cui si scrive molto poco ma che vengono profondamente annotati nel cuore di Cristo e nel cuore del suo Padre. Come egli ci ha detto suo Padre vede “in abscondito”.



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