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TERZO GIORNO:

 

Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen. O Dio, vieni a salvarmi. Signore, vieni presto in mio aiuto

Gloria al Padre

 

La creatura umana: peccatrice e capace di conversione.

(Lc 15, 14-24)

 

I.

La parabola del figlio prodigo manifesta, anzitutto, chiaramente, il diritto della creatura umana a realizzare un proprio progetto di vita, giusto o sbaglia­to che sia. "Un uomo aveva due figli. Il più giovane disse al padre: 'Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta"'. Anzitutto, questo giovane, rivendica il diritto ad usare della sua libertà: "Dopo non molti giorni, il figlio più giovane, raccolte le sue cose, partì per un paese lontano...". Fino a qui, si è nel pieno diritto, dato da Dio, di amministrare la propria vita come si vuole.

 

Il.

Quello che amareggia il Cuore del Padre di questi due figli, descritti nella parabola, è che il figlio minore, chiedendogli irrispettosamente la parte di ere­dità che avrebbe ricevuto alla morte del padre, pratica­mente ha anticipato quell'ora, concretizzata con la sua partenza. Evidentemente la prospettiva della fatica, delle rinunce, del lavoro umile e nascosto, spesso non apprezzato, anche se garantiva benessere e protezione dai parenti e amici, non attiravano più il figlio più gio­vane. Egli aveva in cuore un suo progetto: perché la fatica e il lavoro quando si può disporre di beni per divertirsi ed essere al centro dell'attenzione e puoi ser­virti di tutto?

 

III.

giovane, nello stesso tempo, volutamen­te, ignorava quel comandamento divino che vuole ono­rati i genitori da parte dei figli! Duplice trasgressione del comandamento perché l'allontanamento del figlio dalla casa paterna non è richiesto da una vocazione divina e perché, la vita dis­soluta del giovane, prima programmata e poi attuata, avrebbe gravemente disonorato anche i genitori.

 

IV.

Dice la Sacra Scrittura: "l’uomo nella prosperità non comprende, è come gli animali che peri­scono" (Sai 49,13), "Perché là dov’ è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore  (Mt 6,21). Gesù ci ricorda sempre, sulla parola della Sacra Scrittura, che è difficile, per un ricco, entrare nel regno dei cieli: "L'attaccamento al denaro, infatti, è la radice di tutti i mali" (1 Tm 6,10). È evidente che non sono un male le ricchezze in se stesse; infatti, come lo dimostra la vita dei santi, esse possono essere usate per opere gradite a Dio, secondo la sua volontà. La povertà di spirito è la necessaria disposizione che non fa sentire l'uomo un dio; l'uomo che si fa dio da se stesso non sente il bisogno di dipen­dere da Dio-Padre, perché si sente potente, non si sente bisognoso di chiedere filialmente e di dipendere umil­mente, come si conviene a povere creature. Il povero di spirito, si sente amministratore e col­laboratore di Dio-Padre, vero ed eterno padrone di ogni bene.

 

 

 

V.

È sempre per il bene delle sue creature che Dio-Padre permette, per giustizia, che facciamo le nostre scelte e che sperimentiamo le conseguenze umi­lianti e dolorose delle nostre decisioni sbagliate. La storia umana è una storia di sofferenze, lutti e umilia­zioni proprio perché, all'origine di tutto questo male, esistono una o più trasgressioni delle leggi di Dio-Vita, nei singoli individui, nelle famiglie e nelle nazioni.

 

VI.

La parabola ci dice che il figlio prodigo: "Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò e si mise al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei campi a pascolare i porci" (Le 15,14-15). Povertà, difficoltà nate da calamità naturali e da ostilità degli uomini, facilmente condu­cono alla disperazione i cuori che si sono chiusi al rap­porto filiale con Dio. In realtà, chi non è con Dio, si sente perso. Spesso le contrarietà della vita, anziché portare ad un ravvedimento, anziché stimolare soluzioni giuste, portano ad imprecare, si maledice, si diventa più ingiu­sti ed aggressivi con tutti: con Dio, con se stessi e con gli altri. l'atteggiamento giusto lo tiene il giovane del Vangelo che riconosce che, alla base della sua infelice situazione, sta la sua scelta sbagliata: "Ho peccato con­tro il Cielo (Dio) e contro di te (Padre)"   (Le 15,18).

 

VII.

Quando decidiamo di rientrare nei binari della giustizia comprendiamo bene come Dio è vera­mente buono, sempre, perché usa dei nostri stessi erro­ri per correggerci e beneficarci ancora di più. Lo evi­denzia bene san Paolo: "Del resto, noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio" (Rm. 8,28).

 

VIII.

L'uomo si arrende quando scopre l'amo­re paterno di Dio anche sotto gli aspetti più severi della vita; nelle malattie e nelle guerre il Padre non abban­dona mai i propri figli, nonostante le offese ricevute da loro. Cadono, così, dal cuore pentito, le false visioni della vita; conversione, ritorno, riallacciare i rapporti familiari divini: tutto diventa un accrescimento di stima verso il Padre, che si credeva di conoscere ma, di fatto, era valutato come un semplice vicino di casa, o come un impedimento alla realizzazione della personale felicità.

 

IX.

È incomprensibile dolore del Padre, per­mettere, per giustizia, le esperienze del male per i pro­pri figli, nonostante tutte le cure e gli avvertimenti elar­giti per evitarle. Quando il figlio decide di fare ripara­zione al Padre, di realizzare il progetto che da sempre ha, con amore, ideato per lui, da quel momento, il pas­sato negativo del figlio non esiste più; il figlio prodigo non esiste più: è ridiventato il vero figlio; il figlio torna ad essere causa di gioia e vanto, dinanzi a tutto il mondo; diventa gioia per il Padre onorarlo pubblica­mente: in Cielo, in Terra, di fronte a tutti.

 

X.

Questo è il comportamento che tiene Dio-Padre con i suoi figli, indipendentemente dal numero e dalla gravità delle offese arrecategli. Dio-Padre non guarda al tempo, attende anche per decenni i suoi figli allontanati da casa e, anche se molti, delusi e stanchi, ritorneranno solo al termine della loro esistenza terrena, questi troveranno, sulla soglia di casa, il Padre creatore che si rallegra nel vede­re il figlio tornare alla vita. Festa completa di Dio-Padre con il figlio prodigo rinato e riconciliato: il vestito più bello: lo Spirito Santo: vita sempre nuova; l'anello al dito: il nuovo patto di paternità e di filiazione, con nuova eredità; i calzari ai piedi: sicura padronanza di chi cam­mina in casa propria; il vitello grasso: l'eucaristia, la vita di grazia; e mangiamo e facciamo festa: partecipazione e comunione di tutta la Famiglia di Dio, la Chie­sa: trionfante - purgante - militante.

 

Ineffabile ed Eterno Padre, amore Incompreso, il tuo dilettissimo Figlio, il Signore nostro Gesù Cristo, ci ha detto: In verità vi dico, se non diventerete come bambini non entrerete nel regno dei cieli..."; nel nome di Gesù, per mezzo dei Cuore Immacolato di Maria, ti chiediamo: Manda il tuo Santo Spirito di amore, in ogni cuore; tuoi figli, con vero abbandono confidente e filiale, si lascino condurre nelle tue vie, abbiano una sola ricchezza: il tuo amore; abbiano una sola sicurezza: la tua misericordia; abbiano una sola dimora: il tuo cuore.

Pater, Ave, Gloria.

 

 

 

 

 

 

QUARTO GIORNO:

 

Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen. O Dio, vieni a salvarmi. Signore, vieni presto in mio aiuto

Gloria al Padre

 

La creatura umana: oggetto della benevolenza dell'eterno Padre

(Luca 15,25-32)

 

I.

Nella parabola del Padre misericordioso è impressionante il comportamento tenuto dal figlio maggiore, di fronte alla notizia della presenza del fra­tello festeggiato in casa, dal Padre e dai servi, perché si è nuovamente inserito nella vita familiare. La prima tendenza che avvertiamo di fronte a tale comportamen­to, è quella di confrontarlo con il comportamento del Padre di tutti e due i figli e di collegano all'atteggia­mento del fariseo nei confronti del pubblicano, il quale se        ne stava umiliato in fondo al Tempio  (cfr Lc 18,9-14). Il fariseo, in piedi, era preoccupato di ricordare a Dio che aveva davanti a sé una persona per bene; più ancora, Dio aveva davanti a sé un perfetto osservante della Legge, al quale, Dio, non avrebbe potuto fare alcun rimprovero: "O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e neppu­re come questo pubblicano. Digiuno due volte la setti­mana e pago le decime di quanto possiedo" (Lc 18,11-12).

 

Il.

Il figlio maggiore, della citata parabola del Padre misericordioso, va ben oltre i limiti tenuti dal fariseo: diventa aggressivo: "Egli si arrabbiò, e non voleva entrare" (Lc 15,28). Dal primo rifiuto di incontrarsi col fratello minore, passa all'accusa di ingiustizia nei confronti del Padre che lo invitava, con umile tenerezza, ad entrare in casa a far festa: "Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando, e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici" (Lc 15,29). È la negazione radicale del rapporto familiare! Il figlio maggiore affermava, sostanzialmente, che il suo servizio meritava un capretto, da consumare con gli amici, ma non col fratello! Il figlio maggiore, apparentemente stava vicino al Padre: in realtà, la sua esternazione manifesta un evi­dente giudizio di disistima nei confronti del genitore, giudizio covato interiormente e rivelato alla prima occa­sione.

 

III.

Sia il fariseo, sia il figlio maggiore della parabola in questione, non pensano minimamente che, nelle persone che essi respingono, il pubblicano e il fratello minore, possa esserci, come di fatto c'è, la con­versione o l'inizio di un cambiamento di vita: sono per­sone perse, per loro.

 

IV.

Gesù, non casualmente ci ha illustrato la parabola del Figlio prodigo. Spesso siamo tentati di dire: "Io mi sforzo di essere sempre onesto e devo vede­re dei delinquenti che stanno bene, sono contenti e non hanno le sofferenze e le prove che ho io. A che serve allora comportarsi bene, meglio praticare il male!". Questa affermazione la si sente dire da tutte le cate­gorie di persone; detta, da noi cristiani, discepoli di Gesù, morto in Croce, è grandemente blasfema!

 

V.

Quante volte le creature umane vogliono mantenere una posizione disordinata! Quante volte accusiamo Dio di ingiustizia! Affermiamo: Signore, perché permetti questo e quello? Tale comportamento è l'effetto del peccato origina­le che, dopo aver provocato ogni disordine e instaurato un clima di diffidenza verso il Padre Eterno e le altre persone, alimenta chiusure in noi stessi, che si manife­stano evidenziando le colpe altrui. Dio Creatore, dice la Sacra Scrittura, passeggiava nel giardino terrestre alla brezza della sera, in familia­re intimità con Adamo ed Eva. Nella terribile esperienza del peccato, Dio andò verso i suoi figli impauri­ti e avviliti. Chiese ad Adamo: "Chi ti ha fatto sapere che eri nudo?". Adamo rispose accusando Eva: "La donna che tu mi hai posta accanto mi ha dato dell'al­bero e io ne ho mangiato". Eva, non si riconobbe subito colpevole ed indicò il tentatore come responsabile della sua caduta: "Il ser­pente mi ha ingannata e io ho mangiato" (Gn 3,11-13). Adamo ed Eva dovevano riconoscere subito la respon­sabilità del loro peccato. Quando riconosciamo d'aver peccato ameremo, con giustizia, il nostro Dio e i fratelli! Se abbondò il pecca­to, sovrabbondò la grazia di Cristo! È festa senza limi­ti per il peccatore sinceramente pentito! Lo dice il confessore Beato Pio da Pietrelcina e con lui, tutti i sacerdoti che per ore ed ore confessano i penitenti.

 

VI.

Il fariseo e il figlio maggiore della citata parabola, parlano ed agiscono, non in base ai dati certi, ma mossi dai loro preconcetti; per loro, la realtà è evi­dente! Nel caso del fariseo, Gesù conclude: "Ma io vi dico: questi (il pubblicano) tornò a casa giustificato, a diffe­renza dell 'altro (il fariseo)" (Lc 18,14). Il motivo di que­sta conclusione divina è semplice: il fariseo, in pratica, non si riteneva bisognoso di perdono-salvezza, perciò non si umiliò nel chiedere misericordia, mentre Dio ha promesso di darci la Salvezza se la chiediamo pentiti. Nel caso della parabola del Padre misericordioso, il Padre spiega le ragioni del suo comportamento: rivela al figlio maggiore quello che ignorava: il figlio più gio­vane, suo fratello, è pentito al punto da accettare di essere trattato come un servo qualsiasi: "... non sono più degno di esser chiamato tuo figlio" (Lc 15,21).

 

VII.

Il Padre, Dio misericordioso, invia il suo Figlio Unigenito: Gesù Cristo, consustanziale al Padre. Appare luminosamente infinita, instancabile, la Bontà del Figlio di Dio, vero Figlio maggiore, nei con­fronti di tutti noi, figli prodighi che ritorniamo alla casa paterna! Non solo Dio-Figlio attende il ritorno dei suoi fra­telli minori ma, lui stesso, dopo aver lasciato la casa del Padre, i cieli, si è messo alla ricerca dei suoi fratelli lontani. Gesù può affermare: "Chi ha visto me ha visto il Padre" (Gv 14,9); per la perfetta unione di amore, i fra­telli minori, in tutto, vedono in Gesù, il Padre-Dio.

 

VIII.

Una grande lezione dobbiamo ritenere dalla parabola del Padre misericordioso: "Quando (il figlio prodigo) era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò" (Lc 15,20). Dio Padre vuole che i suoi figli che non hanno lasciato la casa paterna, vita di grazia-vita divina, siano gioiosamente solleciti ed operino fattiva­mente per il ritorno dei loro fratelli lontani. Dobbiamo avere compassione, facendo propri i sen­timenti di Dio-Padre nostro, al punto da non darci pace, non darci per vinti, ma tutto intraprendere e fare tutto il possibile per il recupero-salvezza della loro anima e per dare gioia al Padre-Buono. Desiderare di partecipa­re alla festa del Padre, festa che non avrà mai fine, quando ci si riunirà per sempre nella Patria vera e defi­nitiva: "Così, vi dico, ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione" (Lc 15,7). I sacerdoti che confessano si dimenticano dei pecca­ti dei fratelli pentiti, e partecipano della loro immensa gioia. Questa gioia divina sostiene i confessori nelle ore e ore vissute nell'amministrare il sacramento del Padre misericordioso.

 

IX.

La conversione e la riconciliazione nostra e dei fratelli con Dio-Trinità! Èquesto il grande lavoro che Dio-Padre vuole che decisamente e con fiducia intraprendiamo, certi che con i mezzi che ci mette con­tinuamente a disposizione potremo riuscire nell'impre­sa divina. Come è respinta da Dio la superbia del fariseo, allo stesso modo non è gradita a Dio la falsa umiltà di colui che avanza, come ragioni di disimpegno, la propria meschinità o gli egoismi che lo hanno vinto in passato.

 

X.

Entrare nelle prospettive di Dio-Padre, colla­borando con Lui instancabilmente, fino alla fine, signi­fica immunizzarsi, sempre e maggiormente, contro ogni forma di alienazione e, d'altra parte, significa irrobustire e rinsaldare sempre più i vincoli di carità e di vita con la Santissima Trinità.

 

XI.

Dio sa come siamo bisognosi di tutto, Dio sa quello che è per il nostro bene, Dio ha già predispo­sto come e quando darci quello che ci è necessario e darci più ancora; Egli desidera da noi che gli chiedia­mo la forza e la perseveranza per amare col suo Cuore, con i suoi sentimenti, tutti i nostri fratelli, particolar­mente i più esposti a perdersi. Gesù stesso, pur essendo Dio, ha condiviso la nostra condizione umana, come ricorda San Paolo. Costante­mente attingeva dall'eterno Padre, nella preghiera, la forza per amare anche coloro che lo odiavano. E sua l'affermazione: "Se hanno osservato la mia parola, osserveranno anche la vostra" (Gv 15,20b); "In verità, in verità vi dico: anche chi crede in me, compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi, perché io vado al Padre. Qualunque cosa chiederete nel nome mio, la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio. Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò" (Gv 14,12-14). Chiediamo per noi e per tutti l'aumento della fede, la vera conversione e la perseveranza finale nella Volontà di Dio, condizioni indispensabili per entrare nel Regno dei Cieli.

 

Ineffabile ed Eterno Padre, amore misericordioso, il tuo dilettissimo Figlio, il Signore nostro Gesù Cristo, ci ha detto: Beati i misericordiosi perchè otterranno misericordia"; nel nome di Gesù, per mezzo del Cuore Immacolato di Maria, ti chiediamo: Manda il tuo Santo Spirito, l'amore misericordioso, in ogni cuore; i tuoi figli, amino col tuo stesso cuore compassionevole e, liberi da qualsiasi risentimento, vedano in ogni persona, non una creatura da giudicare, ma un fratello da rispettare e da aiutare, per tuo volere.

Pater, Ave, Gloria.