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PARTE SECONDA

IL TEOLOGO DELLA GRAZIA

Se la libertà è il primo grande tema della salvezza, ad esso occorre aggiungere il secondo: la grazia. Della grazia - e precisamente della sua natura propria e della necessità -, si è parlato a lungo nell'Introduzione generale al vol. XVII; ma si è avvertito anche in quel luogo che il discorso non era terminato. Infatti restavano ancora due aspetti da dover prendere in considerazione, quelli che toccano più da vicino e investono direttamente proprio la libertà: l'efficacia dell'azione divina e la gratuità del dono della salvezza. Parleremo qui dell'uno e dell'altro: l'uno e l'altro occupano il centro della controversia pelagiana e ne decidono le sorti.

I

L'EFFICACIA DIVINA DELLA GRAZIA

Questo argomento, tra i più difficili della teologia, per non lasciar fuori nessuna delle preoccupazioni dominanti del vescovo d'Ippona può essere articolato così: fondamento biblico e liturgico dell'azione divina della grazia, significato dell'espressione agostiniana: voluntas Dei semper invicta est, potere di Dio sulla libertà dell'uomo, rapporto tra grazia e libertà, prospettiva di conciliazione tra l'una e l'altra. Per illustrare meglio, poi, il pensiero agostiniano si può fare un accenno ai diversi sistemi scolastici che, in un modo o in un altro, si richiamano a lui.

CAPITOLO PRIMO

FONDAMENTO BIBLICO E LITURGICO DELL'AZIONE DIVINA DELLA GRAZIA

Come al solito Agostino si appella alla Scrittura, di cui vuol essere un interprete fedele, e, dopo la Scrittura, alla liturgia.

1. Scrittura

I testi biblici li raccoglie come in un manipolo insuperabile in un passo fortemente polemico che giova rileggere 1. I principali sono: Ez 11,19 e 36,26 - 27; Gen 32,40; Gv 6,44. 66; Prov 8,14; Fil 2,13; e soprattutto, per quanto riguarda la frequenza, un passo dei Proverbi secondo la traduzione dei Settanta: praeparatur voluntas a Domino (Prov 8,35 sec. LXX).
Scrive del primo testo: " Se Dio non potesse togliere anche la durezza del cuore, non direbbe per mezzo del Profeta: Toglierò loro il cuore di pietra e darò loro un cuore di carne (Ez 11,19), parole che l'Apostolo interpreta del Nuovo Testamento (2 Cor 3, 2 - 3) " 2. Su questo testo torna quando espone la nozione della grazia efficace, quella appunto che toglie la durezza del cuore: " Quando dunque il Padre viene interiormente ascoltato e istruisce perché [chi ascolta] venga al Figlio, toglie il cuore di pietra e dà il cuore di carne come aveva promesso per mezzo della predicazione del profeta " 3.
Sulle altre parole di Ezechiele, più esplicite e più forti, Agostino fonda una delle sintesi più significative della sua concezione dei rapporti tra grazia e libertà. Scrive: " E' certo che siamo noi a fare, quando facciamo; ma è Lui a fare sì che noi facciamo, fornendo forze efficacissime alla volontà; infatti è Lui che dice: Farò sì che camminiate nelle mie leggi e osserviate e adempiate i miei precetti. Quando dice: Farò sì che voi facciate, che altro dice se non questo: Vi toglierò il cuore di pietra, con il quale non facevate, e vi darò un cuore di carne, con il quale facciate? E queste parole non significano forse: Vi toglierò il cuore duro, con il quale non facevate, e vi darò un cuore obbediente con il quale facciate? " 4.
Il testo di Giovanni: Nessuno può venire a me se non lo attira il Padre (Gv 6,44), insieme all'altro che viene poco dopo: ...se non gli è concesso dal Padre mio (Gv 6,65), costituisce il suo cavallo di battaglia e crea in lui la convinzione che la nozione della grazia che attira gli uomini a Cristo appartiene all'insegnamento cattolico, insegnamento che non si può negare senza cessare di essere cristiani. " La grazia non solo rivela la sapienza ma la fa pure amare; la grazia che non fa solo opera suasiva per quanto è buono, ma fa anche opera persuasiva. Non di tutti è infatti la fede tra coloro che ascoltano il Signore promettere per mezzo delle Scritture il regno dei cieli, o non con tutti riesce ad essere persuasiva l'opera suasiva che li invita ad andare da Colui che dice: Venite a me, voi tutti che siete affaticati. Di quali poi sia la fede e quali siano quelli che si lasciano persuadere ad andare da lui, l'ha ben indicato lui stesso là dove dice: Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che lo ha mandato. E poco dopo, parlando di coloro che non credevano, dichiara: Vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre mio. Questa è la grazia che Pelagio deve riconoscere, se vuole non solo chiamarsi cristiano, ma anche essere cristiano " 5.
Un altro testo fondamentale da cui Agostino trae la dottrina della grazia che non esercita solo un'opera suasiva sulla volontà, ma anche un'opera persuasiva, cioè fa volere il bene, è quello della Lettera ai Romani 8, 14: quicumque spiritu Dei aguntur, ii sunt filii Dei. Basti tra i tanti un solo commento. Rispondendo alla proposizione contestata a Pelagio: tutti sono governati dalla propria volontà, nota la profonda diversità tra queste parole e quelle dell'Apostolo, e scrive: " Certamente essere portati è più che essere governati: chi è governato agisce anche lui in qualche modo e viene governato proprio perché agisca in modo buono; chi invece è portato è quasi impossibile capire che faccia anch'egli qualcosa. Tuttavia è così tanto quello che la grazia del Salvatore presta alle nostre volontà che l'Apostolo non esita a dire: Tutti quelli che sono portati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio " 6. E tira una conclusione essenziale per la pietà cristiana, egli che nella teologia mai cessa di vedere in prospettiva la pietà. La conclusione è questa: " E nulla di meglio può fare in noi la volontà libera che lasciarsi portare da Colui che non può agire male e dopo che l'ha fatto non dubiti che a farlo è stata aiutata da Colui al quale si dice in un salmo: O mio Dio, la tua misericordia mi preverrà " 7.
Un ultimo testo - mi fermo solo ad alcuni - è quello, tra tutti il più forte, della Lettera ai Filippesi 2,13: E' Dio che suscita in noi il volere e l'operare secondo i suoi benevoli disegni. Ecco il commento agostiniano nel quale, come in quello riportato poco sopra, si mette in rilievo insieme la libertà e l'efficacia della grazia: " E' certo che siamo noi a volere, quando vogliamo; ma a fare sì che vogliamo il bene è Lui, e appunto di Lui è detto quello che ho riportato sopra: La volontà è preparata dal Signore; ed anche: Dal Signore saranno diretti i passi dell'uomo, e l'uomo vorrà seguire la sua via; e poi: E' Dio che opera in voi il volere " 8.

2. La liturgia

Sul potere dell'azione divina nella volontà dell'uomo tornerò nelle pagine seguenti, qui occorre indicare un'altra fonte della teologia agostiniana: la liturgia. Non fa meraviglia: è una fonte cui ricorre in tutta la controversia pelagiana. Sulla difficile questione del peccato originale argomenta insistentemente, lo si è visto, dalla verità del battesimo amministrato ai bambini (sacramento e rito 9); allo stesso modo sul tema della grazia argomenta dalle preghiere della Chiesa. La Chiesa prega, e pregando mostra e professa la sua fede. Non tace dunque nelle sue preghiere anche quando tace nei suoi discorsi. Quest'acuta osservazione la troviamo in una delle ultime opere. Parlando di quelli che non comprendono la dottrina sulla grazia perché non sono in grado di seguirne le discussioni, scrive: " ...magari però badassero di più a ripetere quelle preghiere che la Chiesa ha sempre custodito dai suoi inizi e sempre custodirà finché abbia fine ogni vita temporale! Infatti su questa verità che ora contro i nuovi eretici siamo costretti non solo a ricordare ma anche a custodire e difendere con vigore, la Chiesa non ha mai taciuto nelle sue preghiere, anche se in alcuni periodi, quando nessun avversario ve la costringeva, non ritenne opportuno esporla in discorsi. Quando infatti non si è pregato nella Chiesa per gli infedeli e i suoi nemici, perché credessero? " 10.
Infatti " se Dio non trasforma quelli che non vogliono in gente che invece vuole - si non facit volentes ex nolentibus -, perché mai la Chiesa prega secondo il precetto del Signore per i suoi persecutori? (Mt 5,44) ". Aggiunge l'argomento patristico: " Anche il santo Cipriano volle che s'intendesse così la nostra invocazione: Sia fatta la tua volontà...; cioè, sia fatta in coloro che gli hanno creduto e che sono come il cielo, così come anche in quelli che non credono e quindi sono ancora terra "; e conclude: " Che cosa dunque preghiamo per coloro che non vogliono credere se non che Dio operi in essi anche il volere?...Egli (l'Apostolo) prega per i non credenti, e che cosa prega se non che credano? " 11.
Rispondendo ai pelagiani aveva detto non meno fortemente: " Noi dunque preghiamo non solo per coloro che non vogliono, ma anche per coloro che resistono e si oppongono. Che cosa chiediamo allora se non che da nolenti diventino volenti, da dissenzienti diventino consenzienti, da nemici diventino amici? A chi lo chiediamo se non a Colui del quale è scritto: Dal Signore è preparata la volontà? " 12.
Anzi, si direbbe che questo solo argomento gli basta. Interessante il caso del monaco (?) cartaginese Vitale. Questi si trovava d'accordo con la linea dottrinale di quel gruppo di monaci adrumetani dei quali si è parlato 13: la grazia è la legge divina, la sua azione segue, non precede la decisione della volontà 14. Agostino gli risponde sviluppando l'argomento della preghiera: " Se dici questo, contraddici alle nostre preghiere. Ma allora afferma con tutta chiarezza che non dobbiamo pregare per coloro ai quali predichiamo il Vangelo, affinché credano, ma dobbiamo solo predicarlo. Tira fuori i tuoi argomenti contro le preghiere della Chiesa e quando ascolti il vescovo che dall'altare esorta il popolo di Dio a pregare per gli infedeli, affinché Dio li converta alla fede, e per i catecumeni, affinché ispiri loro il desiderio della rigenerazione, e per i fedeli affinché, mediante la sua grazia, siano perseveranti nella fede cristiana abbracciata, volgi pure in ridicolo espressioni così sante e di' che non metti in pratica le esortazioni del vescovo, che cioè tu non preghi per gli infedeli, affinché Dio li renda fedeli " 15. Insiste, poi, su questo argomento spiegando le petizioni del Padre nostro - Orationem Dominicam nosti... -, e conclude: " Dunque la nostra preghiera rivolta a Dio per loro [ gli avversari della fede] affinché abbraccino con la fede la verità rivelata, da essi impugnata, sarebbe un'azione inutile e finta anziché sincera, se non fosse opera della grazia convertire alla stessa fede la volontà di coloro che l'avversano. Sarebbe ugualmente un' azione inutile e finta, anziché sincera, rendere a Dio molte grazie quando alcuni di essi abbracciano la fede, se non fosse Lui a compiere in loro questo effetto " 16. Gli riassume infine in 12 brevi proposizioni l'insegnamento intorno alla grazia, si dichiara disposto ad intervenire di nuovo se trovasse su di esse qualche difficoltà, ma non può fare a meno di richiamarlo di nuovo al tema della preghiera chiedendogli non senza ironia: Numquid et orare prohibebis Ecclesiam pro infidelibus ut sint fideles?... 17.

3. Esempio di S. Paolo

Scrittura e liturgia sono dunque le due fonti agostiniane della dottrina teologica sull'azione della grazia che suscita in noi il volere e l'operare. Ad esse occorre aggiungere l'esempio d'un fatto centrale nella storia della Chiesa: la conversione di S. Paolo. Agostino v'insiste non solo per dimostrare, come vedremo, la gratuità del dono della grazia - prima della conversione Paolo aveva grandi meriti ma cattivi: merita eius erant magna, sed mala 18 -, ma anche l'efficacia: era persecutore e divenne apostolo. Bisogna dire che l'esempio fu ben scelto.
A Giuliano che, in difesa della sua concezione della libertà con la quale l'uomo è " emancipato " da Dio, sosteneva che nessuno dev'essere revocato dalla propria intenzione (cattiva) con un'azione necessitante della grazia, Agostino, lasciando cadere per il momento quel ulla necessitate che nascondeva l'incomprensione del problema da parte dell'avversario, gli risponde con l'esempio di S. Paolo: " ...perché l'apostolo Paolo, ancora Saulo, fremente di strage e sitibondo di sangue, viene richiamato dalla sua pessima intenzione con la violenta cecità del corpo e la terribile voce venuta dall'alto e abbattuto il persecutore viene costituito il futuro predicatore, più degli altri generoso nella fatica, di quel Vangelo che combatteva? ". A tale domanda non c'è altra risposta che questa: la grazia. Perciò Agostino conclude ammonendo: Agnosce gratiam 19.
Questa grazia riconobbero i primi fedeli, i quali, conosciuta la conversione di Saulo - colui che un tempo ci perseguitava, adesso annuncia la fede che un tempo cercava di distruggere -, glorificavano Dio a mio riguardo (Gal 1,24). " Perché mai, spiega Agostino, glorificavano Dio, se non era stato Dio a convertire il cuore di Paolo con la bontà della sua grazia...? " 20.
Inutile dire che pur insistendo sull'azione della grazia nella conversione dell'Apostolo, Agostino non dimentica ma rileva la presenza della libertà in Paolo, dico evidentemente della libertà di scelta. Vale la pena di riportare un passo dal De gratia et libero arbitrio. " Allora, se aveva questo merito nel male [perseguitare la Chiesa di Dio], gli fu reso bene per male; perciò prosegue col dire: Ma per grazia di Dio sono quello che sono. E per mostrare anche il libero arbitrio aggiunge poi: e la sua grazia in me non fu vana, ma mi sono adoperato più di tutti loro. Questo libero arbitrio dell'individuo egli lo sprona anche negli altri dicendo: Vi esortiamo a non ricevere invano la grazia di Dio. Ma in qual maniera li potrebbe esortare a questo, se ricevendo la grazia perdessero la propria volontà? " 21.
Ma di questo si è detto sopra a proposito del grande binomio 22. Qui la conversione di Paolo c'interessa per un'altra ragione, perché c'introduce in un argomento dei più difficili e più misteriosi (o forse il più difficile e più misterioso) di tutta la dottrina sulla grazia, argomento che costituiva, per di più, il contrasto profondo e pressoché irriducibile tra la mentalità pelagiana e quella agostiniana. Dire che quella era aristotelica, questa platonica, significa spostare inutilmente il discorso. La questione che interessava Agostino era teologica, non filosofica. E se per Giuliano era prima di tutto filosofica, questo era il suo grande errore che il vescovo d'Ippona non cessava di rimproverargli.

CAPITOLO SECONDO

IL POTERE DI DIO SULLA LIBERA VOLONTA' DELL'UOMO

Per trattare il difficile argomento è utile sgombrare il campo da facili quanto false interpretazioni, per proporre, poi, quella che ritengo conforme ai testi agostiniani. Il lettore vedrà se sia conforme anche all'insegnamento biblico e alla sana filosofia. Illustrerò pertanto due punti essenziali: 1) la volontà di Dio, che Agostino dichiara di essere sempre invitta, non riguarda la libera decisione della volontà umana, ma il piano generale della provvidenza divina, la quale fa rientrare nell'ordine chi se ne è liberamente allontanato; 2) la grazia, salva la libertà dell'uomo, può cambiare chiunque da nolente in volente, come avvenne appunto nella conversione di Paolo e, aggiungiamo noi, di Agostino. Vediamo il primo punto.

1. " Voluntas Dei semper invicta est "

Queste parole sono letteralmente di Agostino - le scrive nel De spiritu et littera 1 e nell'Enchiridion 2 -, e rispondono, senza dubbio, al suo pensiero generale; ma non hanno il significato che spesso viene loro attribuito. V'è chi ritiene che esse contengano la dottrina della irresistibilità della grazia, che sarebbe propria del vescovo d'Ippona, e perciò la negazione della libertà. Questa fu l'opinione di Giansenio 3 ed è l'opinione, anche oggi, di quanti leggono gli scritti del vescovo d'Ippona con gli occhi del vescovo d'Ypres. Tra questi c'è qualcuno che spiega benevolmente la cosa; press'a poco così: Agostino, fattosi assertore dei diritti di Dio, particolarmente del primato assoluto della volontà divina, si è lasciato tanto trasportare da questo nobile intento da sacrificare la libertà dell'uomo. Infatti, dicono, se la volontà divina è sempre invitta, quale posto può restare per il libero arbitrio? La risposta è evidente: nessuno; ma è anche evidente l'errore d'interpretazione.
Che dire? Una cosa semplicissima: questa o simili espressioni nulla hanno a che fare con la dottrina della grazia - e quindi con la sua irresistibilità o meno -, ma riguardano solo la dottrina generale della Provvidenza, la quale non può essere eliminata dal libero arbitrio di cui gli angeli e gli uomini sono stati dotati.
Quelle espressioni vogliono dire soltanto che Dio fa rientrare nell'ordine coloro che, peccando, se ne sono allontanati. Essi, se agiscono contro la volontà di Dio, si allontanano dall'ordine da Lui voluto, che è l'ordine dell'amore, ma entrano loro malgrado nell'ordine della giustizia, la quale, punendo il colpevole, ristabilisce l'ordine violato. La volontà divina non è invitta contro la libera scelta della volontà umana, ma è invitta nonostante questa libera scelta. " Quando [gli uomini] fanno ciò che Dio non vuole, Dio fa di loro quello che vuole " 4. L'uomo (e l'angelo) non può sfuggire alle leggi della Provvidenza, che sono due: amore e giustizia. Chi ricusa l'uno incappa nell'altra. Nelle opere divine non può esserci che l'ordine, o quello stabilito o quello riparato.
Che il significato delle parole suddette sia questo, appare chiaramente dal contesto in cui vengono inserite. " Usando male del libero arbitrio, gli infedeli che non credono al Vangelo agiscono certo contro la volontà di Dio, ma non per questo vincono contro di essa: piuttosto privano se stessi di un grande e sommo bene e si condannano a mali punitivi, destinati come sono a sperimentare nei castighi la potenza di Colui del quale hanno disprezzato la misericordia nei doni. Così la volontà di Dio rimane sempre invitta. Sarebbe vinta, invece, se Dio non trovasse che fare dei suoi disprezzatori o se questi potessero sfuggire in qualche modo a ciò che Dio ha stabilito per essi " 5.
Si tratta dunque dell'ordine dell'universo su cui Agostino ha scritto tante splendide pagine. Eccone una: " Poiché tutte le sostanze sono buone per natura, viene onorato il lodevole ordinamento che regna in esse, ma ne viene condannato il colpevole sovvertimento. L'anima tuttavia, pur usando male delle cose create, non può eludere l'ordinamento stabilito dal Creatore, poiché se essa fa cattivo uso delle cose buone, Egli fa buon uso anche delle cattive; essa quindi, usando male le cose buone, diviene cattiva, mentre Egli rimane sempre buono usando ordinatamente anche le cose cattive. Mi spiego: chi si mette fuori dell'ordine mediante l'ingiustizia dei peccati, è fatto rientrare nell'ordine mediante la giustizia dei castighi " 6.
Quello che è detto qui viene enunziato altrove con un principio generale caro al vescovo d'Ippona: " Dio, come è creatore ottimo di tutte le nature buone, così è ordinatore giustissimo di tutte le volontà cattive, di modo che quando tali volontà usano male le nature buone, Egli usa bene anche le volontà cattive " 7.
Non c'è bisogno d'insistervi. E' chiaro che quando Agostino parla della forza invitta della volontà divina non propone altro che una regola generale del governo di Dio nel mondo, regola che sta alla base dell'ordine, il quale è l'esigenza suprema delle opere del Creatore. Le parole ricordate richiamano solo due grandi verità: 1) l'uomo non farebbe nulla contro la volontà di Dio se Dio non lo permettesse: di tale principio parlerò a suo luogo 8; 2) l'uomo che, trasgredendo la legge divina, ricusa l'amore di Dio, non può sfuggire alla giustizia di Lui. Del contrasto tra la libera decisione dell'uomo e l'invincibile volontà di Dio Agostino non parla: ne parlano alcuni suoi interpreti; perché non si sa. Vedere due doni divini, libero arbitrio e grazia - uno di Dio creatore, l'altro di Dio salvatore -, in termini di contrasto o di concorrenza, non è agostiniano ma pelagiano. Non si può leggere Agostino con gli occhi di Pelagio; occorre leggerlo - l'ho detto, ma è bene ripeterlo -, con gli occhi suoi. Non v'è dubbio che il vescovo d'Ippona parli molto del primato della grazia sulla volontà e lo difenda, ma lo fa in un altro contesto, con altre sfumature, non come vittoria di Dio contro l'uomo, ma come vittoria dell'uomo, con l'aiuto di Dio, contro il male che è il tarlo che rode la sua libertà. Vediamolo, ricordando un principio che Agostino enuncia, approfondisce ed illustra.

2. Dio può convertire in volente qualunque infedele o peccatore nolente senza lederne la libertà

Il chiarimento di questo principio può essere articolato in tre proposizioni di fondo. Giova esaminarle, tutte e tre, in una visione sinottica perché appartengono allo stesso principio e lo rendono comprensibile.
1) la prima è questa: Dio non salva le sue creature contro la loro volontà. Dio ci ha creato senza il nostro consenso, ma non ci salva senza la nostra volontà. Conosciamo tutti un celebre aforisma agostiniano: Qui fecit te sine te, non te iustificat sine te. Ergo fecit nescientem, iustificat volentem. Questa conclusione suppone una premessa che vale la pena ricordare: è contenuta nello stesso discorso, allo stesso paragrafo. Dice Agostino al suo popolo: " Dio opera in noi, ma non tuttavia come se fossimo addormentati, non come se noi non fossimo nulla, non come se noi non volessimo. Senza la tua volontà non sarà in te la giustizia di Dio. Certamente la tua volontà è tua, la giustizia di Dio è di Dio: la giustizia di Dio può essere senza la tua volontà, ma non può essere in te fuori dalla tua volontà " 9.
In queste parole, come nell'effato che le conclude, viene espressa la legge fondamentale che distingue la creazione dalla salvezza. Dio ha creato l'uomo senza di lui - e come mai questi poteva dare il suo consenso alla creazione se ancora non era? -, ma, avendolo dotato di libero arbitrio, non lo conduce alla salvezza contro la sua volontà. Il libero arbitrio, dono della creazione, entra negli ingranaggi della salvezza e ne diventa un elemento se non primario certo essenziale.
2) La seconda proposizione enuncia appunto il primato della grazia e si può esprimere così: Dio può, quando vuole, cambiare la volontà dell'uomo da nolente a volente. Il nostro dottore ripete molte volte questa affermazione e, senza mezzi termini, tratta da insipiente chi la nega 10. L'insistenza dipende dalle accuse dei pelagiani che vedevano in essa la negazione della libertà e l'ammissione del fatalismo. Esaminiamo alcuni testi.
Molto espressivo quello dell'Enchiridion. Scrive: " Chi dunque sarà tanto empiamente folle da dire che Dio non possa convertire in bene le volontà cattive degli uomini, quelle che vuole, quando vuole, dove vuole? ". E aggiunge: " Ma quando lo fa, lo fa per misericordia; quando non lo fa, non lo fa per [giusto] giudizio " 11. Non meno espressivo quello che abbiamo visto sopra tratto dalla liturgia della preghiera 12. Come pure quello dell' Opus imperfectum contra Iulianum che suona così: " Dio suscita il volere nell'animo degli uomini, non perché credano nolenti, cosa sommamente assurda, ma perché diventino da nolenti volenti "; ciò opera " attraverso le sue imperscrutabili vie " 13.
Il fondamento di queste affermazioni è insieme biblico, liturgico e metafisico. Del primo e del secondo ho parlato sopra 14. Per il terzo basterà citare un testo di una delle ultime opere: Dio agisce, dice Agostino, interiormente, tiene in mano i cuori e li muove, e, per mezzo della volontà che opera in loro, li attira. Infatti " Dio ha in suo potere le volontà degli uomini più di quanto gli uomini non le abbiano essi stessi: magis habet in potestate voluntates hominum quam ipsi suas " 15. Questa ragione riposa sulla presenza di Dio nell'uomo, che è più profonda di quanto l'uomo non sia a se stesso. Intimior intimo meo 16. A questa profonda presenza non sfugge il libero arbitrio 17.
Giuliano aveva del libero arbitrio un'altra opinione e la difendeva, egli pure, con la Sacra Scrittura. Si riferiva in particolare a Mt 23,37: Gerusalemme, Gerusalemme,...quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli come la gallina raccoglie i suoi pulcini sotto le ali, e non hai voluto, insistendo su quel: e non hai voluto, quasi che la libera volontà dell'uomo ponga un limite invalicabile all'azione divina. " Infatti, continua Giuliano, dopo queste parole non è scritto: ma li raccolsi contro tua volontà, bensì: la vostra casa vi sarà lasciata deserta, per dimostrare che erano giustamente puniti per l'opera cattiva, ma che dalla loro intenzione [cattiva] non dovevano essere revocati ulla necessitate ". Ho ricordato quest'ultimo particolare sopra a proposito della conversione di S. Paolo 18.
Agostino risponde ribadendo il principio generale: " Lungi da noi il pensare che l'intelligenza dell'Onnipotente che tutto conosce in precedenza sia impedita dall'uomo ". Distingue poi tra due certezze, quella che riguarda la volontà di Gerusalemme contraria alla volontà di Dio e quella riguardante la volontà di Dio che raccoglie in Gerusalemme i figli che vuole. " Come è certo - dice - che Gerusalemme non volle che i suoi figli fossero raccolti da Dio, così è certo che Dio, contro la volontà di Gerusalemme, raccolse tutti quelli che volle. Dio infatti - continua Agostino - chiama, come disse l'uomo di Dio Ambrogio 19, coloro che si degna chiamare e dà, a chi vuole, un animo religioso " 20.
E' certo dunque per il vescovo d'Ippona che Dio permette che si compiano molte cose contro la sua volontà, ma è certo altresì che la volontà divina può cambiare chiunque da nolente in volente. Lo può, e senza lederne la libertà. Ecco pertanto la terza proposizione che egli ha cura d'illustrare.
3) L'azione della grazia quando converte il nolente in volente non lede la sua libertà. La ragione è semplicissima: sarebbe assurdo pensare il contrario, cioè che uno creda non volendo credere. Dio opera nell'animo degli uomini non ut nolentes credant, quod absurdissime dicitur... 21. Perché ognuno evitasse questo assurdo, egli lancia un'affermazione che suona solenne come un aforisma: nemo credit invitus 22. Questo aforisma, applicato alla giustificazione, diventa: nemo iustus invitus 23; applicato all'azione della grazia con la quale il Padre celeste attrae gli uomini a Cristo diventa: nemo venit invitus 24; applicato alla bontà in generale suona: nemo bonus invitus 25.
Agostino non poteva essere né più insistente né più efficace: nessuno può credere o essere giustificato o essere attratto a Cristo o essere buono contro la sua volontà; e questo " per la contraddizion che nol consente " 26. La grazia dunque non costringe nessuno a volere il bene, non cogit velle bonum. Giuliano lo pensava e lo attribuiva ad Agostino. Questi gli risponde: " Come tu possa dire che colui la cui volontà, secondo il nostro insegnamento, viene preparata dal Signore, diventi buono perché costretto a volere il bene (è tua questa affermazione, non nostra: noi siamo ben lungi dal dirlo), lo veda la tua alta intelligenza. Infatti, se la volontà è costretta non vuole; e che cosa c'è di più assurdo che dire: si può volere il bene non volendolo? " 27.
Il praeparatur voluntas a Domino, a cui ci si riferisce, è il testo riassuntivo, tante volte citato, di tanti testi biblici sulla grazia 28. Qui si dice in tutte lettere che questa grazia, la quale porta l'uomo a volere effettivamente il bene, non toglie la libertà (di scelta), ma la volge al bene senza violarne la natura. Come? Lo vedremo fra poco. Per ora basti aver riaffermato un principio essenziale e fondamentale della dottrina agostiniana sulla grazia, da cui è aliena la tesi della irresistibilità. Questa, affermata da Giansenio e ripetuta da alcuni moderni, non appartiene alla visione teologica di Agostino, ma all'accusa di Giuliano che la distorce. Agostino respinge puntualmente l'accusa; ma non mancano interpreti che commettono di nuovo l'errore di cercare la dottrina del vescovo d'Ippona non nelle sue affermazioni e nelle ragioni che le suffragano, bensì nelle accuse dell'avversario. Se questo è un metodo interpretativo giusto, lo giudichi il lettore.

3. " Indeclinabiliter et insuperabiliter "

Ma codesti interpreti, questa volta, sembrano trovare una giustificazione in alcune espressioni dello stesso Agostino. Sono celebri due avverbi del De corrept. et gr.: " Si è prestato soccorso alla debolezza della volontà umana così che essa sia mossa dalla grazia divina indeclinabiliter et insuperabiliter " 29. In questi due avverbi Giansenio trovò il suo cavallo di battaglia. E con lui altri, ieri e oggi. Ma essi non hanno il significato che viene loro attribuito bensì, letti nel testo e nel contesto, uno diverso. Non si tratta dell'insuperabilità della grazia nei confronti della volontà, quasi volontà e grazia fossero due termini antitetici - questa era la concezione pelagiana -, ma si tratta della volontà che, sostenuta dalla grazia, opera senza deviare dalle vie del bene (indeclinabiliter) e senza essere superata dalle forze del male (insuperabiliter), opera cioè in piena libertà. Della libertà infatti si tratta nel testo e nel contesto, non della natura della grazia. Non c'è bisogno pertanto di togliere di mezzo, arbitrariamente, quell'insuperabiliter quasi significasse, fuori d'ogni dubbio, l'irresistibilità della grazia e favorisse, perciò, le conclusioni gianseniste 30. Non c'è bisogno di toglierlo, basta capirlo. Esso, questo avverbio contestato, riguarda solo la volontà, che, fortificata dalla grazia, diventa vincitrice contro " tutti gli amori, i terrori, gli errori di questo mondo " 31 raggiungendo quella forza e quella libertà che è propria dei santi, in particolare dei martiri. Questa è l'interpretazione che esigono il testo e il contesto sia prossimo che remoto.
Infatti il testo continua: " ...e perciò, benché debole, la volontà non viene meno e non è vinta da nessuna avversità " 32.
Il contesto immediato mette a confronto Adamo, che era forte e tuttavia peccó, e gli uomini dopo il peccato, che sono deboli, e tuttavia ricevono la grazia di essere fortissimi nel volere il bene e nel non volere il male. " A chi era fortissimo [Dio] lasciò e permise di fare quello che volesse; per i deboli ebbe cura che grazie al suo dono invincibilmente volessero ciò che è bene e invincibilmente non volessero abbandonarlo " 33.
Il contesto più remoto insiste in questa forza del volere. " Quando [Cristo] ha pregato che la fede di Pietro non venisse meno, che cos'altro ha pregato se non che avesse nella fede una volontà assolutamente libera, invitta, perseverante? " 34. C'è, poi, tutta la dottrina esposta sopra sulla libertà di scelta 35, che è necessaria per il merito 36 e che permane anche sotto l'influsso della grazia che porta l'uomo a volere efficacemente il bene 37, dottrina troppo vasta e profonda e troppe volte ripetuta per pensare che Agostino possa contraddirla con un solo... avverbio.
Ma come la grazia operi nella volontà in modo da darle la forza di vincere tutte le tentazioni e non toglierle il potere di volere e non volere, senza il quale non potrebbe meritare pur volendo e operando il bene, è un argomento diverso, un argomento più profondo e più difficile di cui parleremo subito.