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CAPITOLO QUINTO

LA NATURA DELLA LIBERTA'

Da quanto si è detto or ora sulla libertas minor e sulla libertas maior risulta chiaro che la perdita del posse peccare non è una perdita ma un guadagno: non toglie la libertà, ma la perfeziona, e a tal punto che la rende piena e totale. Ma in che consiste dunque la libertà secondo Agostino? La risposta non può essere che articolata. Certamente, non consiste nel poter peccare e poter non peccare. Questa era l'opinione di Giuliano, cui Agostino risponde per le rime. Ma la questione non è chiusa. Ci si chiede: consiste forse nel potere della volontà di volere o non volere, come si è detto sopra parlando della libertà di scelta, o consiste nel volere il bene con tanta forza e in modo tale da non poterlo non volere?
Anche qui come altrove il nostro dottore è per l'esclusione dei facili aut aut. Alla questione così posta risponde ricusando, ancora una volta, di scegliere. Non ha scelto tra prescienza e libertà, non ha scelto tra libertà e grazia, non sceglie neppure qui: proposta un'importante ( e necessaria) distinzione, sostiene che l'uno e l'altro è vero: è libertà il potere di volere e non volere, ma è anche libertà il volere il bene senza il potere di non volerlo. Anzi questa è la forma più alta ed ultima della libertà perché pienamente conforme alla natura stessa della volontà, la quale, creata per amare il bene, non può non trovare la sua perfezione nel volerlo in modo pieno, totale, irreversibile.

1. La libertà non consiste nella possibilità di peccare o di non peccare

Era la nozione che ne dava ripetutamente Giuliano. Ecco le sue parole: " La libertà dell'arbitrio, con la quale l'uomo è emancipato da Dio, consiste nella possibilità di commettere il peccato o di astenersi dal peccare " 1. Giuliano v'insiste: " L'uomo non poteva esser capace del proprio bene, se non fosse stato capace anche del male " 2. In questa definizione Agostino trova due gravi difetti.
Il primo riguarda il particolare dell'uomo che con il libero arbitrio sarebbe emancipato da Dio. Egli osserva: " Dici l'uomo emancipato da Dio, e non ti rendi conto che con l'emancipazione si ottiene che l'emancipato non appartenga alla famiglia del padre " 3. Osservazione breve ma significativa. Il libero arbitrio non rende l'uomo estraneo a Dio, indipendente dalla sua azione o, peggio ancora, in concorrenza con essa. La concezione agostiniana della libertà e quella di Giuliano erano davvero molto lontane. Questo fatto rendeva incomprensibile il discorso sulla grazia. Lo vedremo nelle pagine seguenti.
Il secondo grave difetto toccava la definizione stessa della libertà: " T'inganna, gli dice Agostino, la definizione che hai dato del libero arbitrio. Hai detto: 'Il libero arbitrio non è altro che la possibilità di peccare e di non peccare...'. Con questa definizione tu togli il libero arbitrio a Dio... Inoltre gli stessi santi nel regno di Lui perderebbero, poiché non possono peccare, il libero arbitrio " 4. E altrove: " ...tu ritieni che appartenga alla natura del libero arbitrio potere l'uno e l'altro, cioè peccare e non peccare, e pensi che per questo l'uomo sia stato fatto ad immagine di Dio. Eppure Dio non può l'uno e l'altro. Infatti nessuno, neppure se pazzo, dirà mai che Dio possa peccare, né tu osi dire che Dio non ha il libero arbitrio..., in Dio, che non può peccare, il libero arbitrio è sommo " 5.
La forza dell'argomentazione agostiniana sta nei due esempi addotti: Dio e i beati. Ma hanno valore questi esempi? In che senso Dio è libero? In che senso lo sono i beati? Sulla libertà divina non ci sono né dubbi né difficoltà quando si tratti delle opere ad extra, per esempio l'opera della creazione. Intorno alla creazione si sa che Agostino difese tenacemente e acutamente la creazione nel tempo e la piena libertà di Dio nel creare: Dio ha creato perché ha voluto, e poteva non volere senza per questo diventare mutabile. Lo fece contro i neoplatonici che sostenevano e la creazione ab aeterno e la necessità della creazione. Dio non crea, sentenzia in contrario Agostino, per indigentiae necessitatem, ma per abundantiam beneficentiae 6; e crea liberamente, nel tempo, anzi col tempo. Nella Città di Dio spiega, con profonda intuizione metafisica, come ciò non appaia impossibile anche tenuta presente l'immutabilità divina 7.
Ma la difficoltà nasce dal secondo esempio. In che senso i beati sono liberi? Occorre premettere che contro la beatitudine ciclica proposta dai neoplatonici Agostino difese con forza due affermazioni di fondo: 1) la beatitudine non è vera se non è eterna; 2) i beati non sono beati se non sanno che la beatitudine raggiunta è inamissibile; se invece la beatitudine fosse amissibile ed essi lo ignorassero, la loro beatitudine sarebbe fondata sull'ignoranza, che è un assurdo 8. Ma posti questi due princìpi dov'è la libertà dei beati? Qui per spiegarsi bisognava fare alcune distinzioni.

2. Distinzioni necessarie e importanti

La prima corre tra la libertà di voler essere beati e la libertà di volere il bene per giungere alla beatitudine: quella è congenita all'uomo ed è assolutamente inamissibile, questa no; quella infatti non l'abbiamo perduta neppure col peccato - " la volontà di esser beati non l'abbiamo perduta neppure dopo aver perduto la felicità " 9 -, questa abbiamo bisogno che ci venga restituita dalla grazia di Cristo. " Se cerchiamo il libero arbitrio dell'uomo a lui congenito e assolutamente inamissibile, è quello con il quale tutti vogliono essere beati, anche coloro che non vogliono ciò che conduce alla beatitudine " 10. E poco dopo, insistendo sullo stesso concetto, scrive: " La libertà immutabile della volontà, con la quale l'uomo è stato creato ed è creato, è quella per cui tutti vogliamo essere beati e non possiamo non volerlo; ma questa libertà non basta perché ognuno sia beato, perché non è congenita all'uomo l'immutabile libertà della volontà con la quale voglia e possa agir bene come gli è con genita quella di voler essere beato: questo lo vogliono tutti, anche quelli che non vogliono agire rettamente " 11.
A questa prima distinzione ne segue una seconda che riguarda la libertà del merito e la libertà del premio. E' molto importante. La enuncia il nostro dottore al termine della Città di Dio. " Dio non può peccare per natura, ma la creatura partecipe di Dio, riceve da Lui il non poter peccare. Nel dono divino doveva osservarsi come una graduazione: prima il libero arbitrio con il quale l'uomo potesse non peccare, poi, per ultimo, il libero arbitrio con il quale non potesse peccare; quello per acquistare il merito, questo per ricevere il premio: illud ad comparandum meritum, hoc ad recipiendum praemium " 12. Va osservato che per Agostino tra la libertà del merito e la libertà del premio c'è una profonda differenza: quella richiede il potere di volere e di non volere ed è propria dell'uomo in via verso la beatitudine, questa propria dell'uomo che ha raggiunto la beatitudine. " Si deve ritenere piuttosto - risponde a Giuliano, sempre sul tema della natura della libertà - che l'uomo sia stato creato all'inizio capace del bene e del male, affinché, amando il bene, acquistasse il merito col quale fosse poi capace o del solo bene o del solo male " 13, secondo i debiti fines delle due città.
Alla seconda distinzione se ne aggiunge quindi una terza. Agostino la propone sempre in polemica con Giuliano sulla natura della libertà: riguarda la virtus minor e la virtus maior; distinzione configurata semanticamente a quella di libertas minor e libertas maior che abbiamo visto. Giova riportare le sue parole: " Quando ci sarà concesso di non allontanarci dal Signore perché non potremo non vederlo, neppure allora vivremo senza virtù... Ora non ci sarebbe in noi la virtù altrimenti che in questo modo: non avere la volontà cattiva e avere il potere di averla; ma in merito di questa virtù minore doveva esserci data, come premio, la virtù maggiore, quella di non avere la volontà cattiva e non avere il potere di averla ".
Dopo queste parole Agostino esclama: O desideranda necessitas! 14. Esclamazione che dice da sola quanta importanza egli annettesse a questa libertà definitiva, che è necessità, perché la volontà vuole il bene senza poter volere il male; ma è una necessità sommamente desiderabile, perché con questa l'uomo raggiunge la perfezione ultima, e perciò la libertà piena. " Allora saremo più felicemente liberi - felicius liberi erimus - quando non potremo servire al peccato, come lo stesso Dio; ma noi per sua grazia, Egli invece per sua natura " 15. La nostra libertà dunque è tanto più perfetta quanto più è vicina a quella di Dio: la libertà di volere il bene e il male è una condizione provvisoria, una preparazione a quella con cui potremo volere solo il bene.

3. Alcune considerazioni

Non si può chiudere questo argomento senza fare alcune considerazioni, almeno tre.
1) La prima riguarda la virtù minore a cui è legato il merito. Questo e quella abbracciano tutta la vita presente. Si sa che Agostino difese il merito del giustificato - lo si è detto altrove 16 e si tornerà a dirlo 17 -; ma il merito suppone nella volontà il potere di volere e di non volere, volere il bene e poter non volerlo. Tutto quello che ha detto contro i manichei 18, lo conferma qui contro i pelagiani. Le prime opere devono essere capite, quanto sia necessario, alla luce delle ultime. Ora nell'ultima, anzi nel libro ultimo dell'ultima opera restata incompiuta, il vecchio maestro dice esplicitamente che la virtù minore suppone nella volontà il non volere il male ma unito al potere di volerlo: non dire di no al bene ma essere in grado di dirlo o, in forma positiva, dire di sì col potere di dire di no.
Per usare una distinzione posteriore, si può dire che per acquistare il merito (o il demerito) non basta la libertà dalla coazione; si richiede anche la libertà dalla necessità. Se ne deve concludere che quando Giansenio sostiene che per meritare o demeritare basta la prima libertà e non c'è bisogno della seconda 19, non interpreta rettamente il pensiero agostiniano, anzi, occorre pur dirlo, lo tradisce.La Chiesa condannandone questa affermazione - è la terza delle cinque proposizioni condannate 20 - è restata fedele alla sua propria dottrina e a quella del vescovo d'Ippona.
Se è vero che nelle prime opere questi sembra identificare l'atto libero con quello volontario, ciò dev'essere interpretato, alla luce delle ultime, nel senso che la volontà, non potendo essere interiormente necessitata che dal bene assoluto e beatificante - la desideranda necessitas -, resta sempre, fuori del possesso di quel bene, padrona dei suoi atti, sempre in potere di volere o non volere. La grazia non toglie mai questo potere, ma lo rispetta e lo fa servire con la " liberale soavità " dell'amore 21 al bene della salvezza, cioè al raggiungimento della libertà maggiore, quella ultima e definitiva. La permanenza qui in terra della libertà di scelta è la ragione dell'utrumque su cui tanto insiste Agostino, e di cui si è parlato 22.
2) La seconda osservazione riguarda la nozione della beatitudine che non può essere vera se non è consapevolmente eterna. Questo vuol dire che i beati possiedono il bene beatificante, che è Dio, e lo amano in modo da non poterlo non amare. In caso contrario, cioè se essi, per ipotesi, conservassero il potere di allontanarsi da Dio, si ricadrebbe nel concetto platonico della beatitudine ciclica e, per la legge dei contrari, nella possibilità del ritorno a Dio del diavolo, che era, secondo quanto riteneva Agostino, l'errore di Origene, che la Chiesa, egli dice, ha giustamente riprovato 23. Perciò a Giuliano che insisteva nella sua definizione della libertà - poter peccare e non peccare -, rimprovera che in questo modo egli finisce per rinnovare l'errore di Origene: Origenis nobis instaurabis errorem 24.
Interessante! L' " aristotelico " Giuliano 25 sembra inclinare o aderire addirittura all'opinione platonica della beatitudine ciclica, mentre il " platonico " Agostino, in nome della ragione (e della fede), ne è decisamente contrario e la combatte. Concepisce infatti l'ultima libertà, quella piena e definitiva, come impossibilità di volere il male. Le due nozioni della libertà, e perciò le due antropologie, erano molto lontane. Questa diversità non poteva non influire sulle discussioni intorno alla grazia. Quando Agostino parla di grazia Giuliano intende fato 26: sono agli antipodi. Ma l'opposizione è prima di tutto teologica, non filosofica: l'impossibilità di peccare per i beati è per Agostino una conclusione filosofica, sì, ma è prima di tutto un dato teologico.
3) La terza osservazione infine riguarda le radici metafisiche della peccabilità e dell'impeccabilità: quella deriva dalla creazione dal nulla, questa dal dono della grazia. Non già che l'uomo pecchi perché creato dal nulla (questa era l'affermazione che Giuliano attribuiva ad Agostino e che questi respingeva energicamente), ma può peccare perchè creato dal nulla 27. Infatti perché creato dal nulla, è limitato, mutabile, defettibile, e perciò può peccare. L'impeccabilità pertanto, cioè l'indefettibile determinazione della volontà nel bene, non può essere che un dono della grazia la quale rende la creatura mutabile, l'uomo, partecipe dell'immutabilità divina. Questo tema del passaggio, per dono di grazia, dal mutabile all'immutabile è tanto frequente nel vescovo d'Ippona da rappresentare una sintesi profonda del suo pensiero filosofico, teologico e spirituale 28.

4. Ingranaggi della libertà

Sono delicati. Riguardano l'intelletto e la volontà e prendono in considerazione tutto ciò che influisce sull'uno e sull'altra. Sull'intelletto influisce, negativamente, l'ignoranza, il dubbio, l'incertezza; sulla volontà la debolezza, il timore, le passioni disordinate. " Gli uomini non vogliono fare ciò che è giusto per due ragioni: e perché rimane occulto se sia giusto e perché non è dilettevole ". " Infatti - continua Agostino - fortemente noi vogliamo qualcosa quanto meglio conosciamo la grandezza della sua bontà e quanto più ardentemente ci diletta ". E conclude: " Ignoranza dunque e debolezza sono i vizi che impediscono alla volontà di determinarsi a fare un'opera buona o ad astenersi da un'opera cattiva: Ignorantia igitur et infirmitas vitia sunt, quae impediunt voluntatem " 29.
L'insistenza di Agostino è sul " vizio " della debolezza 30; è soprattutto questa che impedisce all'uomo di volere il bene. " Infatti - scrive il nostro dottore - il libero arbitrio non vale che a peccare 31, se rimane nascosta la via della verità. E quando comincia a non rimanere più nascosto ciò che si deve fare e dove si deve tendere, anche allora, se tutto ciò non arriva altresì a dilettare e a farsi amare, non si agisce, non si esegue, non si vive bene: ...nisi etiam delectet et ametur, non agitur, non suscipitur, non bene vivitur " 32.
Questa insistenza è particolarmente significativa. Essa dice che Agostino, pur richiedendo, com'era ovvio, la conoscenza della verità perché un atto sia libero, mette l'accento sul dominio della volontà la quale opera per amore. Senza l'amore e la dilettazione l'uomo non opera il bene. Nell'atto libero la volontà resta al centro: è la sua decisione che costituisce l'atto buono o cattivo quando questo, si capisce, sia illuminato dalla luce dell'intelletto. Il particolare è degno di nota, perché determina la dottrina della grazia adiuvante, concepita da Agostino soprattutto come inspiratio dilectionis 33.
Infatti su questi ingranaggi della libertà umana scende la grazia; scende al solo scopo di custodirla, rafforzarla, perfezionarla. Lasciato a se stesso il libero arbitrio viene meno e diventa servo del peccato: la grazia non solo lo libera dal peccato, se lo ha commesso - la grazia della giustificazione -, ma lo aiuta a non commetterne: grazia adiuvante, dicevo, o, come diranno gli scolastici, grazia attuale. Scrive Agostino: " Che diventi noto quello che era nascosto e soave quello che non dilettava è dono della grazia di Dio, la quale aiuta le volontà degli uomini " 34.
Questa osservazione ci serve da ponte per passare, senza soluzione di continuità, dal tema della libertà, della quale Agostino, come si è detto cominciando, è filosofo e teologo insieme, al tema della grazia, della quale è, per antonomasia, il dottore.