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3) Non consiste nel sapere se Dio dà a tutti la grazia necessaria per salvarsi. Anche di questo si è detto sopra 13, ma non sarà inutile insistervi ancora un poco. C'è un testo nella Scrittura che costituiva il cavallo di battaglia di Giuliano contro Agostino - come lo costituirà, poi, per tutti coloro che nei diversi sistemi sull'aiuto della grazia si faranno prima di tutto difensori della libertà -: il lamento di Dio sull'incredulità di Gerusalemme. " Gerusalemme, Gerusalemme,... quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli... e non hai voluto " 14. Agostino commenta: " E' certo che Gerusalemme non volle che i suoi figli fossero raccolti da Dio " 15, mentre Dio è diventato in Cristo, come la chioccia, infermo con gli infermi per salvarli 16, perciò: la vostra casa vi sarà lasciata deserta 17. Su questo versante della libertà che resiste alla grazia non c'erano dubbi per Agostino: egli era d'accordo con il suo avversario. E i suoi commentatori dovrebbero esserlo con lui. Ma dove Giuliano non era più d'accordo - e forse non lo sono più alcuni commentatori di Agostino - è l'altro versante su cui egli insisteva, quello dell'onnipotenza del volere divino. Nello stesso contesto infatti egli continua: " come è certo che Gerusalemme non volle che i suoi figli fossero raccolti da Dio - e resistette pertanto al volere di Dio -, così è certo che Dio raccolse da Gerusalemme, nonostante la sua resistenza, i figli che volle " 18, " perché Dio ha fatto quel che ha voluto in cielo e in terra " 19.
C'è qui un'importante distinzione tra la volontà divina che permette alla libertà umana di seguire le proprie vie anche quando siano contrarie a quelle dei piani divini, e la volontà divina che, vincendo ogni resistenza umana, conduce l'uomo infallibilmente alla salvezza. Agostino spiega la ragione della prima " Spesso, dice, la Scrittura interpella la volontà dell'uomo... ", ma insiste sulla seconda, che era il pomo della discordia, portando l'esempio della conversione di S. Paolo, dalla quale ci viene un ammonimento a scoprire la grazia: agnosce gratiam. " Riconosci la grazia; - dice Agostino a Giuliano Dio, secondo la sua degnazione, chiama uno così e un altro così; e lo Spirito spira dove vuole " 20. Sarà bene ricordare alcune delle cose dette altrove 21, che trovano qui la loro applicazione, e ci aiutano non certo a sciogliere il mistero ma a trovare quale ne sia, secondo Agostino, il punto preciso.

2. In che cosa consiste

Questo punto è precisamente il seguente: perché mai Dio che, salva la libertà dell'uomo - l'apostolo Paolo non aderì alla grazia senza la sua libera volontà 22, può convertire ognuno e condurre tutti alla salvezza, non lo fa, ma permette che alcuni si perdano?
Questa domanda lo angustia, lo tormenta, e non sa evitarla: le grandi verità ricordate sopra la impongono inequivocabilmente 23. Confessa con grande umiltà di non saper rispondere, e rimanda gli interlocutori importuni ai più dotti, non senza ammonirli però del pericolo di trovare non i dotti ma i presuntuosi 24.
Su questo stesso punto pone il fulcro del mistero della predestinazione l'ignoto autore del De vocatione omnium gentium. Non voglio discutere qui né del suo autore né della supposta mitigazione che egli proporrebbe dell'agostinismo. In ogni modo l'importanza dell'opera, scritta pochi anni dopo la morte di Agostino, non può sfuggire a nessuno 25. Voglio dire soltanto che egli, pur insistendo, e a buon diritto, sul testo 1 Tim 2,4 (Dio vuole che tutti gli uomini si salvino), pone il problema come lo poneva lo stesso Agostino: " cur non omnes homines salvet qui omnes homines vult salvos fieri? E' una questione - continua - su cui non si deve discutere, perché non si può comprendere. Basti sapere che presso Dio non c'è iniquità 26 e che Dio, le cui vie sono misericordia e giustizia 27, creatore buono e ordinatore giusto di tutti gli uomini, non condanna nessuno senza che sia debitore, non libera nessuno per proprio merito " 28. La stessa impostazione, gli stessi pensieri, le stesse parole di Agostino. Solo che questi, Agostino, invece di far leva su 1 Tim 2,4 che interpreta, come si è detto, della volontà operativa o efficace per togliere ai pelagiani l'occasione di abusarne, fa leva su 2 Cor 5,14: Cristo è morto per tutti. Il suo problema perciò era: come mai non salva tutti Colui che ha mandato il suo Unigenito perché morisse per la salvezza di tutti?
Rispondere a questa domanda appellandosi alla libertà dell'uomo non basta, perché la libertà, dono di Dio, non è un ostacolo a Dio che l'ha nelle sue mani e, nel bene, può volgerla come vuole. Nel bene, ho detto, perché non si ripeterà mai abbastanza che Dio non induce nessuno al male. Pertanto chi si fermasse alla risposta della libertà umana, meriterebbe la sua compassione, paterna e sorridente, ma compassione. Il problema è più alto e, se si vuole, più profondo. Per questo il nostro dottore, pur dopo aver detto ripetutamente di non avere una risposta da dare, se non quella dell'imperscrutabilità del disegno di Dio e dell'assenza in Dio di ogni iniquità, s'impegna nel prospettare la storia della salvezza, così ricca di luci e di ombre, di perfidia e di misericordia; perfidia nell'uomo che pecca, misericordia di Dio che redime.

3. Massa dannata e massa redenta

La prospettiva agostiniana ha il suo centro nella teoria della massa dannata e della massa redenta, di cui ho parlato altrove 29. Ma qui le due espressioni non vengono usate per indicare la duplice solidarietà, negativa una e positiva l'altra, che lega tutti gli uomini ad Adamo e a Cristo, bensì come motivo per illustrare in qualche modo il mistero della predestinazione. Se non che egli non insiste, come altrove, nei due concetti insieme unus et unus; omnes et omnes, ma nel primo soltanto, creando in tal modo una difficoltà per gli interpreti del suo pensiero. Dice in sostanza: Dio, permettendo il peccato di Adamo, ha voluto mostrare che cosa possa il libero arbitrio. Diventati tutti gli uomini in Adamo, nel quale erano e col quale costituivano una sola persona, soggetti alla morte e al peccato, appunto una massa dannata, Dio mostra che cosa possa la sua misericordia in coloro che sceglie e conduce alla salvezza e che cosa esiga la sua giustizia in coloro che si perdono, di modo che i primi vedano nella sorte dei secondi quale sarebbe stata la loro stessa sorte se la misericordia divina non li avesse prevenuti. Così spesso 30. Qualche esempio. Nella Lettera 194 propone la difficoltà dei pelagiani e risponde: " Ma è ingiusto, obiettano costoro, che in un processo per una medesima colpa, uno venga assolto e l'altro punito. Sì, senza dubbio sarebbe giusto che fossero puniti entrambi; chi oserebbe negarlo? Ringraziamo dunque il Salvatore per il fatto che vediamo bene che non subiamo il castigo meritato, che sappiamo sarebbe dovuto essere inflitto anche a noi dalla condanna di individui simili a noi. Se infatti fossero salvati tutti indiscriminatamente, non sarebbe messo in risalto che cosa merita il peccato in base alla giustizia e, se non venisse salvato alcuno, non verrebbe messo in risalto che cosa largisca la grazia ". Dopo aver detto inoltre che in questa " difficilissima questione " non c'è nulla di meglio da fare che ascoltare l'Apostolo 31, riprende: " E poiché tutta questa massa è giustamente dannata, Dio rende il disonore meritato in virtù della giustizia e concede l'onore immeritato in virtù della grazia, non già di un privilegio dovuto al merito o per l'ineluttabilità del fato né per un cieco capriccio della fortuna, ma solo a causa dell'abissale ricchezza della sapienza e della scienza di Dio " 32. Nel De dono perseverantiae, poi, scrive: " Dunque non dobbiamo essere ingrati, perché secondo quanto piacque alla sua volontà per lodare la gloria della sua grazia Dio misericordioso libera molti da una perdizione talmente meritata che se non risparmiasse nessuno non sarebbe ingiusta. Per colpa di uno solo tutti hanno subìto un giudizio di condanna; e questo non è ingiusto, ma anzi è perfettamente giusto. Dunque chi ne viene liberato, abbia cara la grazia; chi non ne viene liberato, riconosca il suo debito. Se la nostra intelligenza riconosce nella remissione del debito la bontà, nell'esigerlo la giustizia, mai in Dio si troverà l'ingiustizia " 33.
Su questi ed altri testi, alcuni interpreti puntano il dito e, interpretandoli in senso predestinaziano, ripetono l'accusa antica; e cioè: Dio secondo il suo beneplacito " separa " dalla massa dannata gli eletti e lascia in essa tutti gli altri, senza nessuna possibilità di salvezza, privi come sono delle grazie necessarie per salvarsi.
Ma questa interpretazione, che legge alcuni testi agostiniani e ne dimentica altri, mutila il pensiero del vescovo d'Ippona della sua parte migliore: la redenzione. L'umanità è, sì, a causa del primo uomo, una massa dannata, cioè soggetta al peccato e alla perdizione; ma è anche, a causa dell'opera redentrice del secondo uomo, una massa redenta, cioè riconciliata a Dio nel sangue di Cristo. La redenzione di Cristo è il momento eterno dell'amore di Dio verso gli uomini, verso tutti gli uomini. Terminando il De correptione et gratia, che suscitò lo sdegno dei monaci provenzali, i quali l'interpretavano appunto in senso predestinaziano, scrive: " E chi amò i deboli più di Colui che si fece debole a vantaggio di tutti, e a vantaggio di tutti per la sua debolezza fu crocifisso? " 34.
Certamente Dio poteva non redimere il genere umano; ed è proprio questo che vuol dire Agostino quando scrive ripetutamente che, se non avesse liberato nessuno, non avrebbe meritato l'accusa di essere ingiusto 35. Infatti se la condanna è giusta, la non liberazione da essa non può essere ingiusta. Ma Dio misericordiosamente ha redento il genere umano facendone una massa riconciliata a sé in Cristo. Perché dunque non salva tutti se ha redento tutti? La solita risposta: perché non tutti vogliono, è vera; ma non basta. E' vera; e Agostino la ripete spesso: deserunt et deseruntur 36; ma non basta, perché la difficoltà sta più in alto. Lo abbiamo detto. Perché Dio, che può, non converte a sé tutte le volontà degli uomini per i quali Cristo è morto? Dio che è Padre?
A questo punto il dottore della grazia ricorre all'economia della salvezza che comprende insieme due momenti:
1) permettere che il libero arbitrio seguendo se stesso abbandoni Dio, incorra nel male e abbia l'evidente dimostrazione di ciò che è capace di fare;
2) dimostrare che cosa possano la misericordia divina che perdona e la giustizia divina che infligge la pena dovuta.
Lo dice in un passo centrale del suo La correzione e la grazia. Dopo aver ricordato il principio universale: Dio permette il male perché è tanto onnipotente e buono da ricavare il bene dal male, continua così: " dunque dette alla vita degli angeli e degli uomini un ordinamento tale da dimostrare in essa in primo luogo quale potere avesse il loro libero arbitrio, in secondo luogo quale potere avesse il beneficio della sua grazia e il giudizio della sua giustizia " 37.
I due momenti qui ricordati sono la conseguenza di due dati di fede, da cui Agostino ha cura di non allontanarsi mai. Questi dati sono:
1) l'uomo, pur creato retto e senza difetto, si ribellò a Dio, commise un peccato immensamente grande e trasse nel peccato tutti gli uomini;
2) i discendenti di Adamo, per quanto peccatori, raggiungono, almeno alcuni, la salvezza per mezzo di Cristo.Meditando su questi dati scrive: " A chi era fortissimo lasciò e permise di fare quello che volesse; per i deboli ebbe cura che, grazie al suo dono, invincibilmente volessero ciò che è bene e invincibilmente non volessero abbandonarlo " 38.
Nel De civitate Dei, rispondendo alla nota difficoltà: perché Dio abbia creato l'uomo se sapeva che avrebbe peccato, difende l'economia divina con queste parole: " Perché dunque Dio non avrebbe potuto creare coloro di cui ha previsto il peccato, dal momento che in loro e attraverso di loro poteva mostrare quello che meritava la loro colpa e quello che donava la sua grazia, mentre sotto la sua opera creatrice e ordinatrice il disordine perverso dei colpevoli non avrebbe potuto capovolgere il giusto ordine delle cose? " 39.
E' vero che parlando della predestinazione Agostino torna sempre sul concetto di massa dannata, ma c'è una ragione, ed è questa: quel concetto entra come un elemento essenziale nell'economia divina della grazia. Dio infatti diede al primo uomo il libero arbitrio, retto, sano e forte; ciò nonostante egli, commettendo un gravissimo peccato d'orgoglio, si ribellò a Dio e trasse nel peccato e nella perdizione tutto il genere umano. Dio, pura misericordia, ha mandato il suo Figlio per riconciliare a sé in Cristo tutti gli uomini; fare cioè di quelli che erano una massa dannata una massa redenta. Ma questo non vuol dire che tutti gli uomini si salvino, ma solo che per tutti è stata riaperta la possibilità della salvezza. Che non tutti gli uomini si salvino lo insegna la fede: si ricordi la dottrina delle due città 40. Come pure la fede insegna che si salvano solo gli eletti, cioè quelli che per disegno misericordioso di Dio vengono uniti efficacemente ed indissolubilmente a Cristo, e perciò - spiega Agostino - " separati " dalla massa di perdizione, la quale, nonostante l'opera redentrice di Cristo, resta tale finché ognuno non diventi partecipe della redenzione. Si sa infatti che Cristo è morto per tutti - Agostino lo ripete senza posa -; ma per i singoli non muore se non quando ognuno riceve i frutti della sua morte. Anche questo Agostino dice esplicitamente. " Pur essendo morto una sola volta, tuttavia muore singolarmente per ciascuno, quando, in qualsiasi età, uno è battezzato nella sua morte. In altre parole, la morte di Colui che fu senza peccato porta giovamento a chi era morto nel peccato, quando, battezzato nella sua morte, anch'egli morirà al peccato " 41.
Il ricorso alla massa dannata non è che una forte sintesi d'una vastissima dottrina. Non vuol dire che i non eletti, cioè i non " separati " da quella massa, non partecipino affatto ai frutti della redenzione di Cristo: vi partecipano, e spesso in larga misura: molti hanno ricevuto la fede, la remissione dei peccati, la grazia di una buona vita cristiana; tutti frutti, appunto, della redenzione di Cristo. Ma Dio, nella sua eterna prescienza, sa che abbandoneranno la retta via e morranno in questo abbandono. Si ricordi un particolare molto importante: Agostino applica lo stesso principio ad Adamo prima del peccato e a tutti gli uomini - la massa dannata - dopo il peccato: deseruit et desertus est; deserunt et deseruntur 42. Questi li dice non " separati " dalla massa non perché non siano stati veri fedeli o non veri e buoni cristiani, ma perché non lo saranno fino alla fine. Dio vede nell'eternità, e Agostino, scrivendo, si pone dalla parte di Dio.

4 Pauci et multi

Vorrei terminare questo excursus con un accenno al numero degli eletti. La teoria agostiniana può non piacere, ma è quella che è, e non bisogna ignorarla. Agostino aderisce letteralmente alla Scrittura. Vi legge che coloro che si salvano sono pochi, e lo dice; vi legge che sono molti, e ripete che sono molti. Poi spiega: pochi e molti, quelli stessi che son pochi sono molti: " pochi in comparazione di quelli che si perdono, molti nella società degli angeli " 43. Che siano pochi lo legge in Lc 13,23 e in Mt 7,14, dove si parla della porta angusta della salvezza e dei pochi che vi entrano; che siano molti lo legge nell'Apoc 5,11, dove si descrive la " grande moltitudine che nessuno può numerare ", e in Mt 8,11, che riporta le parole di Gesù: " Molti verranno dall'Oriente e dall'Occidente ". Dunque i pochi faranno una grande massa: magnam massam facturi sunt: è la massa sanctorum, la massa purgata 44. Inutile dire che la parola massa, come risulta chiaro in questi testi, non ha per Agostino nulla di dispregiativo o di negativo 45. Dal genere umano giustamente e meritatamente condannato, Dio si elegge una " famiglia santa e numerosa " 46.
Val la pena di notare che quando la Scrittura non dà indicazioni, il vescovo d'Ippona pensa spontaneamente al maggior numero di quelli che si salvano, come nel caso degli angeli, dei quali " longe maior numerus conserva nei cieli l'ordine della sua natura "; non è vero dunque che " tutto è pieno di peccati per il fatto che si è peccato " 47. L'ottimismo agostiniano qui appare evidente: egli sa dalla Scrittura che gli angeli hanno peccato, ma, non avendo da essa altre indicazioni, pensa che quelli che hanno peccato siano stati una minoranza, e una minoranza non cospicua.

CAPITOLO NONO

LA DOTTRINA DELLA PREDESTINAZIONE E L'AZIONE PASTORALE

A questo punto non mi resta che richiamare l'attenzione del lettore sull'aspetto pastorale della dottrina circa la gratuità della grazia o, che è lo stesso, della predestinazione: è molto importante, anzi fondamentale. Agostino prima di tutto e soprattutto è un pastore e perciò un maestro di vita spirituale. Se interviene nelle controversie lo fa per conservare intatta l'integrità della fede, ma insieme per salvaguardare i fondamenti della genuina pietà cristiana. E' teologo ed è vescovo: non discute per discutere, ma per compiere il dovere pastorale di guidare i suoi fedeli e quanti, nella Chiesa universale, cui pur si sente debitore, vorranno leggere i suoi scritti.
Troppo spesso si pensa che la gratuita elezione della grazia o la predestinazione quale l'ha proposta il vescovo d'Ippona porti inevitabilmente all'inazione, al fatalismo, alla disperazione. O questa dottrina, si dice, non è vera o, se lo fosse, sarebbe meglio tacerla. Così pensarono i monaci di Marsiglia, e lo ridissero assai vivacemente; così molti dopo di loro, fino ai nostri giorni. Il maestro d'Ippona era di parere diverso; tanto diverso che vide in questa dottrina il fondamento dommatico della preghiera, la salvezza sicura della speranza, l'incentivo potente all'azione, alla fiducia, alla pace. Vale la pena di sentirne le ragioni. Eccole.

1 Predestinazione e preghiera

Cominciamo dalla preghiera. Si sa che Agostino fu il dottore della preghiera perché fu il dottore della grazia. Non mi riferisco alla natura, all'interiorità, alla gradualità, alla modalità, alla cristicità della preghiera, aspetti tutti che mise ampiamente in rilievo 1, ma alla necessità che deriva appunto dalla necessità della grazia.
1) Necessità della preghiera. Si sa che, pur partendo dallo stesso principio, i pelagiani ed Agostino arrivavano a conclusioni diverse. Il principio era questo: Dio non comanda l'impossibile. Dunque, concludevano i pelagiani, non è necessaria la grazia per osservare i comandamenti di Dio. Dunque, concludeva Agostino, è necessaria la preghiera per ottenere la grazia che ne rende possibile l'osservanza. " Dio, scrive il nostro dottore, non comanda le cose impossibili, ma comandando ti ammonisce di fare ciò che puoi e di chiedere ciò che non puoi " 2; e ti aiuta perché tu possa. Dio infatti non abbandona se non è abbandonato: non deserit nisi deseratur 3. All'inizio dell'ultima opera riassumendo la sua dottrina abituale scrive: " La Scrittura spesso interpella la volontà dell'uomo perché, ammonito, senta ciò che non ha o non può, e, trovandosi indigente, lo chieda a Colui da cui procede ogni bene " 4. Nella stessa opera, poi, poco prima di cessar dal dettare - l'opera è restata incompiuta - enuncia questa regola generale: " noi combattiamo più con la preghiera che con le [nostre] forze, poiché queste stesse forze, quante ce ne sono necessarie, le somministra a chi combatte Colui che noi preghiamo " 5. Agostino non dubita che i pelagiani neghino la necessità della preghiera di domanda, ut non peccemus 6. " Costoro attribuiscono tanto potere alla volontà da togliere alla pietà la voce della preghiera " 7. Perché questa voce non tacesse nella Chiesa, il dottore della grazia leva forte e insistente la sua. Anche la dottrina della predestinazione si risolve per lui in una esortazione costante alla preghiera.
2) Preghiera per la propria conversione. Prima di tutto occorre pregare perché Dio ci attiri con la sua grazia e ci converta. Si sa quale posto occupino nel sistema agostiniano della grazia le parole di Gesù: Nessuno viene a me, se non lo attira il Padre 8. Queste parole divine si traducono per Agostino in un'esortazione alla preghiera. Commenta infatti: " Mirabile esortazione della grazia! Nessuno può venire se non è attratto. Se non vuoi sbagliare, non pretendere di giudicare se uno è attratto o non è attratto, né di stabilire perché viene attratto questo e non quello. Cerca di prendere le parole come sono e cerca d'intenderle bene " 9. Ripensiamo spontaneamente al da quod iubes et iube quod vis delle Confessioni 10, preghiera stupenda che ebbe il suo commento nelle prime opere sulla controversia pelagiana, dove all'ammonimento di Dio: Convertitevi a me e io mi convertirò a voi, siamo esortati a rispondere: Convertici, o Dio, nostro Salvatore 11.
3) Preghiera per la propria perseveranza. Non basta la preghiera per la conversione, occorre pregare per la perseveranza. E' bene ricordare a questo proposito un principio generale che Agostino enuncia così: " si sa che Dio ha preparato di dare alcuni doni anche a chi non prega, come l'inizio della fede; altri invece soltanto a chi prega, come la perseveranza finale " 12. La perseveranza finale dunque è un grande dono di Dio - magnum Dei donum 13 -; un dono che non si può meritare con le buone opere - lo abbiamo detto sopra 14 -, ma si può (e si deve) ottenere supplichevolmente, cioè con la preghiera: suppliciter emereri potest 15. Da questa convinzione l'insistenza agostiniana sulla necessità della preghiera per ottenere il dono della perseveranza che assicura la salvezza.
Interessante il commento al Padre nostro in chiave di perseveranza che Agostino riprende da Cipriano, mostrando che in tutte le petizioni, eccetto la quinta, c'è la richiesta di questo dono ineffabile. Infatti:
1. La prima petizione: sia santificato il tuo nome, santificato in noi e da noi, pronunciata da coloro che sono stati già santificati dalla grazia, che altro significa se non che essa, questa santificazione, perseveri in noi? Aveva scritto Cipriano: " Preghiamo perché questa santificazione permanga in noi... questo chiediamo di giorno e di notte: che la santificazione e la restituzione alla vita che si riceve dalla grazia di Dio venga conservata dalla sua protezione ". Agostino commenta: " Il nostro dottore intende che noi chiediamo a Dio la perseveranza nella santificazione, in altre parole che noi perseveriamo nella santificazione quando da santificati diciamo: Sia santificato il nome tuo. Che può significare il chiedere ciò che abbiamo ricevuto, se non che ci sia concesso anche questo, che non cessiamo di possederlo? " 16.
2. Vale lo stesso per la seconda petizione: " Quando diciamo: venga il tuo regno, nient'altro chiediamo se non che venga anche per noi quel regno che senza possibilità di dubbio verrà per tutti i santi. Dunque quelli che già sono santi che cosa chiedono con questa frase, se non che rimangano in quella santità che è stata loro concessa? " 17.
3. Non diversa, anche se più difficile, la spiegazione della terza petizione. I fedeli - i " santi " - che fanno la volontà di Dio, quando dicono nella preghiera: sia fatta la tua volontà, che altro chiedono se non di perseverare in ciò che hanno cominciato ad essere? " Se dunque a pregare così sono i santi, è evidente che questa loro preghiera ha per oggetto la perseveranza, perché nessuno perviene a quella somma beatitudine che è nel Regno, se non ha perseverato fino alla fine in quella santità che ha acquistato sulla terra " 18.
4. Nella quarta petizione la richiesta della perseveranza è ancora più chiara se intendiamo, come Cipriano ed Agostino intendevano, il pane quotidiano per l'Eucaristia. Dice fra l'altro Cipriano: " Chiediamo che ci sia dato ogni giorno questo pane affinché, noi che siamo in Cristo e ogni giorno riceviamo l'Eucaristia come cibo della salvezza, non siamo separati dal corpo di Cristo ". Commenta Agostino: " Queste parole del santo uomo di Dio indicano pienamente che i santi chiedono al Signore la perseveranza, perché dicono: Dacci oggi il nostro pane quotidiano, con questa intenzione: che non siano separati dal corpo di Cristo ma rimangano in quella santità e grazie ad essa non commettano alcuna colpa che meriti la loro separazione " 19.
5. La quinta petizione è l'unica nella quale non si chiede il dono della perseveranza, ma solo la remissione dei debiti che abbiamo contratto con le nostre colpe: " in questa sola richiesta non si trova che domandiamo la perseveranza " 20, mentre questa richiesta è evidente ed insistente nella sesta.
6. Ma quando i santi dicono: Non indurci in tentazione, ma liberaci dal male, che altro chiedono se non di perseverare nella santità? Una volta concesso loro questo dono di Dio ...di non essere indotti in tentazione, non ci sarà nessuno fra i santi che non mantenga fino alla fine la perseveranza nella santità " 21. Val la pena di ricordare che questa petizione del Padre nostro era stata il cavallo di battaglia per dimostrare la necessità della grazia contro i pelagiani 22, e qui svolge lo stesso compito per dimostrare la necessità della preghiera per ottenere il dono della perseveranza. Scrive poco appresso per rispondere a una difficoltà dei monaci di Marsiglia - ho riportato sopra le sue parole 23, ma giova ricordarle anche qui -: " Si dice: ciascuno abbandona Dio di propria volontà, e così merita di essere abbandonato da Dio ". Era questa la difficoltà di quei monaci. Agostino risponde: " E chi lo potrà negare? Ma è per questo che chiediamo di non essere indotti in tentazione, perché l'abbandono non avvenga. E se siamo esauditi, questo certo non avviene, perché Dio non permette che avvenga " 24.
Ho voluto citare larghi squarci di questo singolare commento al Padre nostro perché apparisse chiaro fino a che punto Agostino insiste nel dovere della preghiera per ottenere il dono della perseveranza. Conclude il commento al Padre nostro con queste parole: " Se anche non ci fossero altre testimonianze, questa orazione domenicale basterebbe da sola alla causa della grazia che noi sosteniamo, perché nulla essa ci ha lasciato in cui ci possiamo gloriare come fosse nostro. In realtà anche il fatto di non allontanarci dal Signore, l'orazione dimostra che non viene concesso se non da Dio, poiché dichiara che a Dio dev'essere chiesto " 25.
4) Preghiera per la perseveranza degli altri. Infatti non basta pregare per la perseveranza propria, ma occorre pregare anche per quella degli altri. Ora questa preghiera, sia per il dono della fede che per quello della perseveranza finale, rientra nei piani della predestinazione divina. A proposito del primo dono Agostino enuncia questo principio generale: " Se alcuni non sono stati ancora chiamati, preghiamo per loro affinché siano chiamati. Può darsi che siano predestinati in questo modo: che la loro salvezza sia stata rimessa alle nostre preghiere e che essi attraverso le preghiere ricevano la grazia per la quale vorranno essere eletti e lo saranno " 26.
La predestinazione dunque non esclude l'azione umana - in questo caso la preghiera - ma la include, e a tal punto, che essa, la preghiera, entra nei piani stessi divini. Altrove, nel contesto della spiegazione di 1 Tim 2,4 27, dice arditamente: " Dio dev'essere pregato perché voglia, poiché se vuole sarà fatto ciò che vuole: rogandus est ut velit, quia necesse est fieri si voluerit " 28.
Qualcuno pensa che qui si tratti della carità del vescovo d'Ippona, non della sua teologia, perché questa, nel nostro caso, sarebbe contraria a quella: una, la teologia, racchiusa in limiti angusti; l'altra, la carità, spaziante su immensi orizzonti. Un'attenzione maggiore e un po' più di teologia avrebbe fatto scoprire che l'opposizione non c'è: gli spazi della carità sono gli stessi della teologia e viceversa. Non è lo stesso Agostino che dice di aver ottenuto il dono della conversione per le lacrime di sua madre? E non lo dice usando la stessa espressione usata per enunciare la regola generale: concedere alle preghiere? " Non vi ricordate che (nelle mie Confessioni) ho narrato [le cose] in modo da mostrare che fu concesso, perché non perissi, alle pie e quotidiane lacrime di mia madre? " 29. Del resto il principio che la predestinazione includa le nostre preghiere e le nostre azioni è stato accolto - e non poteva essere diversamente - da tutta la tradizione teologica 30.
5) Preghiera di tutta la Chiesa. Ma sulla preghiera occorre insistere ancora perché vi insiste il nostro dottore. Si sa che egli dimostra che la perseveranza è un dono di Dio - come pure l'inizio della fede - dalle preghiere che la Chiesa fa per i fedeli e gli infedeli: questi perché credano, quelli perché perseverino. L'ho detto sopra 31. Qui giova ricordare la grande passione con cui Agostino raccomanda di pregare per la salvezza di tutti gli uomini. Rileggiamo ciò che scrive a Paolino: " Non dobbiamo tralasciare di pregare... col pretesto che, se non si ravvedono, ciò è da imputare alla loro volontà... certamente se non credono è per colpa della loro volontà... tuttavia la volontà è incapace di determinarsi a credere nella carità se Dio non la soccorre con la grazia... Preghiamo dunque per loro, santo fratello " 32. Quello che Agostino dice qui dell'inizio della fede vale per la perseveranza finale.
Raccogliamo poi l'ammonimento conclusivo del discorso ai monaci di Marsiglia. Scrive: " Non dobbiamo essere solerti nelle discussioni e pigri nelle preghiere. Preghiamo, dilettissimi, preghiamo perché il Dio della grazia conceda anche ai nostri nemici, e soprattutto ai fratelli e a quelli che ci sono affezionati, di comprendere e confessare tutto ciò " 33. E si riferisce alla dottrina esposta nel libro sul Dono della perseveranza. Agostino pastore sa essere anche patetico.

2. Predestinazione e speranza cristiana

Oltre il tema della preghiera il teologo-pastore approfondisce quello della speranza cristiana. Con quanta ricchezza Agostino abbia sviluppato il tema della speranza, propter quam unam proprie nos Christiani sumus 34 - si noti la forza di queste parole -, è conosciuto. Non poteva essere diversamente. La sua impostazione teologica è tutta rivolta verso l'escatologia. Almeno tre delle sintesi che ci ha lasciato hanno per base l'arco della speranza abbracciando la storia e la metastoria 35. Non lo seguiremo in questo sviluppo. Solo un'osservazione previa: l'insistenza sui pericoli che corre la speranza cristiana.
Questi pericoli sono essenzialmente due: la presunzione, che crede di poter fare da sé e si affida alle proprie forze, e la negligenza che dispera di ogni sforzo umano perché - dice - tanto tutto dipende da Dio. " Ci sono alcuni che la troppa fiducia nella loro volontà leva in superbia, e altri che la troppa diffidenza per la loro volontà porta alla negligenza. I primi dicono: Perché dobbiamo rivolgerci a Dio per vincere la tentazione se questo dipende da noi? Gli altri dicono: Perché dobbiamo sforzarci di vivere bene se questo dipende da Dio? ". Agostino conclude con un profondo sospiro: " O Signore, Padre che sei nei cieli, non c'indurre in nessuna di queste tentazioni, ma liberaci dal male " 36.
Infatti dall'una e dall'altra tentazione ci libera la dottrina del dono gratuito della grazia. Essa ci assicura della predilezione di Dio, che elegge e perdona, e, se da una parte esclude ogni possibile ricorso alla nostra giustizia, dall'altra non giustifica l'abuso della misericordia. Val la pena di ascoltare Agostino che inizia a commentare con uno stupendo discorso il Salmo 31. Dopo aver osservato che " l'animo, incerto e ondeggiante tra la confessione della debolezza e l'audacia della presunzione, il più delle volte è percosso da una parte e dall'altra, e tanto è sospinto che per lui inclinarsi verso qualunque parte significa [cadere in] un precipizio " 37; ammonisce gravemente di non presumere di giungere al Regno con la propria giustizia né presumere della misericordia di Dio per peccare: " Non presumere dunque di conseguire il Regno per la tua giustizia, e non presumere della misericordia di Dio per peccare " 38. " Risponderai: Che cosa debbo fare allora? Questo salmo ce lo insegna " 39. E il salmo che iniziava a commentare era quello sulla felicità di sentirsi perdonato. Agostino, esaltando la misericordia divina e togliendo all'uomo ogni occasione di orgoglio quasi potesse salvarsi da sé, ripete e riassume il suo insegnamento così: " Nessuno vanti le sue opere buone prima della fede, nessuno sia pigro nel compiere le buone opere dopo che ha ricevuto la fede. Dio dunque concede il perdono a tutti gli empi, e li giustifica con la fede " 40.
Ma la salvezza come dono di grazia, e quindi la predestinazione, raccomandandoci di riporre la speranza in Dio, ci difende dalla nostra fragilità, dalla tentazione dello scoraggiamento, dalla possibile disperazione. " Lungi da voi - esclama Agostino - disperare di voi perché vi viene comandato di riporre la vostra speranza in Dio e non in voi " 41. Egli si meraviglia che gli uomini credano di essere più sicuri nelle proprie mani che in quelle di Dio. In un passo del De praedestinatione sanctorum esprime questa meraviglia, riporta l'obiezione del lettore e spiega il suo pensiero. Ecco come: " Mi meraviglio che gli uomini preferiscano affidarsi alla loro debolezza piuttosto che alla sicurezza della promessa divina. Ma, si obietta, è incerta la volontà di Dio nei miei riguardi " 42. Vedremo la risposta. Intanto la conclusione.
La conclusione è una sola, luminosa e consolante, e può essere considerata il suggello della dottrina agostiniana della predestinazione: " Tutiores vivimus si totum Deo damus: viviamo più sicuri se diamo tutto a Dio, invece di affidarci a Lui in parte e in parte a noi stessi " 43. Viviamo più sicuri se ci affidiamo completamente a Dio. A questa sua affermazione di fondo Agostino aveva previsto una difficoltà, del resto ovvia: " Ma, si dice, mi è incerta la volontà di Dio su di me ". Sottinteso: come posso vivere sicuro affidandomi ad essa se mi è incerta? Ecco la sapiente risposta: " E che dunque? E' forse certa per te la tua volontà riguardo a te stesso? E non hai paura? Quello che sembra stare in piedi, badi di non cadere. Se dunque sono incerte entrambe le volontà, perché l'uomo non affida la sua fede, speranza e carità a quella più salda invece che a quella più debole? " 44.
Si tratta però, inutile dirlo, non di una fiducia inerte e inoperosa, ma attiva, dinamica, fedele ai precetti divini.