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Sulla prima conclusione Agostino insiste di continuo, dalla prima opera contro i pelagiani 29 alle ultime su la lunga controversia 30. Il tono è sempre quello della sfida: dicatur mihi... chiede nella prima delle opere citate, quid respondeant non inveniunt dice nella terza, l'assenza del merito maxime apparet in parvulis, afferma nella stessa 31. Qualche volta ravvicina l'esempio dei bambini battezzati a quello di Cristo di cui ho parlato or ora. Scrive: " Ma quando si viene ai bambini e al Mediatore stesso di Dio e degli uomini, l'uomo Gesù Cristo, ogni possibile rivendicazione di meriti umani precedenti alla grazia di Dio viene meno ". E spiega: " non si può sostenere né che alcuni bambini sono distinti dagli altri per qualche merito precedente, in modo da appartenere al Liberatore degli uomini, né che, essendo Egli pure uomo, Cristo divenne liberatore degli uomini per un qualche merito umano " 32. Di fatti come esempi dell'assoluta gratuità della predestinazione e della grazia adduce e spiega lungamente questi due 33, resistendo ai monaci provenzali che al secondo esempio, quello di Cristo, forse non pensavano, ma ricusavano apertamente il primo 34.
Agostino sostiene che anche il primo è valido, perché anche i bambini sono stati redenti da Cristo e quindi soggetti al peccato originale, da cui non vengono liberati se non dal battesimo, che ricevono o non ricevono secondo le disposizioni della Provvidenza che sceglie o permette 35.
Ma dove il nostro dottore trovava una conferma inaspettata della sua argomentazione era nella ragione che davano i monaci provenzali per spiegare il perché alcuni bambini venivano battezzati ed altri morivano senza battesimo. Tutti preoccupati a porre nell'iniziativa dell'uomo il motivo della grazia di Dio - è l'uomo che comincia l'opera della salvezza e Dio continua con la sua grazia 36 -, volevano applicare questo principio anche ai bambini e non trovavano di meglio che ricorrere ai futuribili, cioè a quelle azioni che i bambini avrebbero fatte se fossero giunti all'età della ragione: il ricevere o non ricevere il battesimo sarebbe dipeso da quelle azioni secondo che sarebbero state buone o cattive.
Agostino non finisce di stupirsi per questa trovata: " resto meravigliato e stupito e non riesco a capire da dove uomini, il cui ingegno non è trascurabile, come indicano le vostre lettere, abbiano potuto dedurre che qualcuno possa essere giudicato non secondo i meriti che ha avuto finché fu nel corpo, ma secondo i meriti che avrebbe riportato se fosse vissuto più a lungo nel corpo " 37. La trova contraria alle parole di S. Paolo 38, contraria alla ragione (è assurdo che Dio possa giudicare e condannare non per le opere compiute ma per quelle che sarebbero state compiute se non fosse sopraggiunta la morte), contraria allo scopo perché inutile. Neppure i pelagiani l'hanno pensata 39.
Egli pertanto continua ad insistere nel suo argomento, ritenendo fermamente che la predestinazione di Cristo- uomo e il battesimo dei bambini siano un esempio eloquente della predilezione di Dio verso gli eletti, e perciò dell'assoluta gratuità della grazia e della salvezza.
Ma il mistero della predestinazione ha un altro aspetto che bisogna esaminare.

CAPITOLO QUINTO

L'AMORE DI DIO VERSO TUTTI GLI UOMINI

E' questo il secondo aspetto, anch'esso fondamentale, del mistero. Agostino, come si sa, è tutto rivolto ad illustrare il primo, ma su questo secondo qual è il suo pensiero? Non lo avrà forse dimenticato o addirittura negato? Molti lo credono, biasimando o lodando, ma lo credono. Lodano i predestinaziani, biasimano i pelagiani e quanti, anche oggi, si ritrovano tendenzialmente nel loro pensiero.
Molti infatti hanno pensato e pensano che su questo secondo aspetto la teologia agostiniana sia da considerarsi apertamente predestinaziana, in quanto l'amore di Dio non si estenderebbe a tutti gli uomini ma solo a quelli che si salvano: Dio non avrebbe la volontà di salvare tutti gli uomini, Cristo non sarebbe morto per tutti ma solo per i predestinati. Lode o biasimo, questa interpretazione non espone ma deforma il pensiero del vescovo d'Ippona.
Cominciamo proprio dalla morte di Cristo che è una verità cardine della dottrina cristiana.

1. Cristo è morto per tutti

Ho detto altrove quale posto occupi la croce di Cristo nella controversia pelagiana e quali siano le prerogative della redenzione: liberazione dal male, necessità, oggettività, universalità; come pure quale sia e quanto sia profonda la solidarietà di tutti gli uomini con Adamo e con Cristo 1. Non c'è bisogno di ripeterlo. Qui vorrei approfondire un poco il tema dell'universalità, che riguarda da vicino il nostro argomento ed è decisivo per esso.
Ecco dunque l'affermazione generale. Cristo è morto per tutti, nessuno escluso; è morto anche per Giuda che lo tradì. Questa universalità è legata teologicamente a tre ordini di argomentazioni:
a) all'universalità del peccato originale, di cui induttivamente è il fondamento;
b) all'universalità del giudizio universale, che comprenderà tutti perché tutti sono stati redenti;
c) all'universalità del significato del nome di Gesù, che è Gesù, cioè Salvatore, per tutti.
Tre argomentazioni che meritano un'attenzione particolare.
a) La prima è certamente la più importante. Non c'è chi non ricordi, e al momento opportuno non ripeta, che tutti gli uomini sono una massa dannata, perché tutti, nessuno escluso, nascono soggetti al peccato originale. Ma non molti sanno che, per il nostro dottore, tutti gli uomini, nessuno escluso, sono una massa redenta. Le due concezioni corrispondono anche semanticamente. " Per mezzo del Mediatore viene riconciliata a Dio la massa di tutto il genere umano da Lui alienata per mezzo di Adamo " 2.
Si sa che il dottore della grazia, fin dall'inizio della controversia pelagiana, propose e sviluppò un argomento di teologia biblica da cui si evince che il Verbo si è incarnato per liberare, salvare, redimere il genere umano e che pertanto nessuno può appartenere a Lui se non ha bisogno d'essere liberato, salvato, redento. Ne segue che i bambini o hanno bisogno di essere redenti e quindi hanno il peccato, che per loro non può essere se non il peccato originale, o non appartengono a Cristo e restano fuori della sua salvezza 3.
Dopo aver esaminato una sessantina di testi biblici per stabilire la sua dottrina di fondo 4, ne ripete qua e là, durante la lunga controversia, solo alcuni che ritiene i più efficaci, come quelli paolini della riconciliazione con Dio 5 e quello che afferma che Cristo è morto per tutti e che perciò tutti sono morti: Se uno è morto per tutti, dunque tutti sono morti 6.
Quest'ultimo è il testo che più c'interessa perché stringe insieme e mette in correlazione due verità: che Cristo è morto per tutti (universalità della redenzione) e che perciò tutti sono morti (universalità del peccato). Non c'è bisogno di discutere qui se la morte per cui tutti gli uomini sono morti sia quella del peccato, come intende Agostino, o non piuttosto quella mistica della partecipazione alla morte di Cristo loro capo e rappresentante, come intendono oggi, per lo più, gli esegeti. Qui interessa il pensiero teologico di Agostino non la sua esegesi. Egli, contro Giuliano che negava la realtà del peccato originale, argomentava così: Se Cristo è morto per tutti, anche per i bambini, vuol dire che anch'essi, i bambini, sono morti a causa del peccato, che per loro non può essere se non il peccato originale. C'è dunque una sola via per sostenere che i bambini non nascono con il peccato, quella di affermare che Cristo non è morto per loro. A questo Giuliano non voleva risolversi; rendeva perciò insanabile il dilemma agostiniano: ammetti che i bambini nascano con il peccato o neghi che Cristo sia morto per loro.
Il testo paolino viene ripetuto una ventina di volte durante la controversia pelagiana, particolarmente da quando cominciò la polemica 7. Basti una sola citazione. " Uno è morto per tutti, dunque tutti sono morti... ma poiché non si tratta di morte corporale, non resta se non che siano morti a causa del peccato tutti coloro per i quali Cristo è morto... Ne segue che, se i bambini non contraggono il peccato originale, non sono morti; se non sono morti, non è morto per loro Colui che non è morto se non per i morti. Ma tu, conclude Agostino, nel tuo primo libro contro di me hai detto che Cristo è morto anche per i bambini " 8. Da questa concessione dell'avversario egli deduce contro di lui la sua conclusione.
L'argomento è sempre lo stesso: dall'universalità della redenzione all'universalità del peccato originale. Se tutti ammettono che il vescovo d'Ippona abbia difeso questa seconda universalità, non si comprende perché non tutti ammettano che abbia difeso anche la prima. Non voglio dare giudizi. Li dia, se vuole, il lettore. Mi si consenta però di fare un'osservazione: le due espressioni assiomatiche che ho ricordato sopra non vanno solo ravvicinate, ma, sul piano dell'argomentazione teologica, addirittura rovesciate; perché sappiamo che l'umanità è una massa redenta, non possiamo negare che sia anche una massa dannata. Era questa conclusione che qui importava tirare. Essa, come si vede, rovescia molti pregiudizi sulla dottrina agostiniana della grazia.
b) Ma l'universalità della redenzione è legata anche all'universalità del giudizio. Ho detto sopra che le due tesi fondamentali di un'opera qui riportata - Grazia e libero arbitrio - si riducono alle due prerogative di Cristo, che è insieme redentore e giudice: perché è redentore, occorre difendere la grazia; perché è giudice, occorre difendere la libertà 9. Qui si deve aggiungere che redenzione e giudizio sono, in quanto all'universalità, correlativi fra loro: Cristo sarà il giudice unico ed universale perché è stato l'unico ed universale redentore che ha redento tutti. " E' venuto Cristo, scrive Agostino, prima a salvare, poi a giudicare " 10. " Giudicherà il mondo con giustizia 11. Non giudicherà solo una parte, perché non ha redento solo una parte. Deve giudicare la totalità, poiché per la totalità ha pagato il prezzo. Totum iudicare debet, quia pro toto pretium dedit " 12. Quando perciò si leggono in Agostino parole come queste: " Venne sparso un sangue innocente e con esso vennero cancellate tutte le colpe dei peccatori; venne sborsato un prezzo talmente grande che valse a redimere tutti i prigionieri dalle mani del nemico che li teneva imprigionati " 13, non si possono non intendere nel senso di un genuino e consolante universalismo.
c) Possiamo aggiungere che l'universalismo della redenzione emerge anche dalla costante affermazione che Gesù è Gesù, cioè Salvatore, anche dei bambini; un'affermazione che attraversa tutta la controversia pelagiana e rivela l'animo pastorale del vescovo d'Ippona, il quale non faceva teologia per la teologia e meno ancora controversia per la controversia, ma l'una e l'altra per la vita quotidiana della Chiesa. Da quest'animo pastorale nasce l'accorato appello di lasciare che i bambini vadano a Cristo. " Pensi come vuole, scrive rivolto a Giuliano, pensi come vuole della concupiscenza - e questa concessione è significativa in chi ha sempre insistito per difendere la propria visione teologica della concupiscenza - ma almeno, continua, abbia pietà dei piccoli... conceda che Gesù sia Gesù anche per loro... se vuol essere cristiano cattolico... Gesù è Gesù perché è Salvatore: Egli infatti salverà il suo popolo, e in questo popolo ci sono anche i piccoli " 14. Lo stesso appello, sempre accorato, nell'ultima opera 15; lo stesso, anzi più ancora, nei discorsi al popolo 16.
Vediamo ora l'esatta interpretazione di alcuni testi e poi la visione agostiniana del problema:
1. Testi decisivi in contrario. Forse il lettore si domanderà stupito come mai sia nata e come sia ripetuta ancora oggi la... leggenda che Cristo, secondo Agostino, è morto solo per coloro che si salvano. Di recente un autore scriveva che la dottrina agostiniana sulla redenzione non si deve, non si può intendere senza una " desolante restrizione " 17. Per provarlo citava due testi dei quali uno non dice nulla, l'altro, come viene riportato, non è esatto. Segno evidente che certe convinzioni sono tanto generali e tanto profonde che anche studiosi seri cadono nell'illusione ottica di vederne le prove dove non stanno.
Il citato autore, benemerito del resto di studi agostiniani per il suo lavoro sull'esegesi di S. Agostino predicatore, ricorda un testo del commento al Salmo 87: Solis praedestinatis ad aeternam salutem, non autem omnibus hominibus eius [Christi] opera bona profuerunt 18, e un secondo dell'Epistola 169: Non perit unus ex illis pro quibus [Christus] mortuus est 19.
Ognun vede che il primo testo non dice nulla più di quanto i teologi, Agostino compreso, hanno sempre detto e la Chiesa nei suoi documenti solenni ha spesso ripetuto, che cioè la redenzione non giova di fatto se non a coloro che si salvano, poiché non tutti mortis eius beneficium recipiunt 20. Una distinzione tra redenzione e partecipazione effettiva ai benefici della salvezza s'impone. Vedremo fra poco dove e come Agostino la fondi 21. Qui dirò solo che egli la conosce. Sarebbe strano, del resto, pensare il contrario. Nel Contro Giuliano, dopo aver ricordato e spiegato ancora una volta il noto testo dell'Apostolo: Se uno è morto per tutti, dunque tutti sono morti 22, scrive: " Possiamo dire più chiaramente così: sono liberati dal peccato coloro per i quali è morto Colui che non aveva il peccato. E, pur essendo morto una sola volta, tuttavia allora muore per ciascuno quando ciascuno, in qualunque età, viene battezzato nella sua morte; cioè, la morte di Colui che fu senza peccato gli giova quando, battezzato in quella morte, muore anch'egli al peccato " 23. La controprova la troviamo nel fatto che Cristo ha redento anche Giuda, il quale " gettò via la somma di denaro con cui aveva venduto il Signore e non seppe riconoscere il prezzo col quale egli stesso era stato comprato dal Signore: nec agnovit pretium quo ipse a Domino redemptus erat 24 ".
L'altro testo, sul quale tanto confidava Giansenio 25, è criticamente inesatto. Si deve leggere così: ...non perit unus pusillus pro quibus [Christus] mortuus est 26. Il suono e il significato sono completamente diversi. V'è, come risulta dal contesto, un'allusione a Mt 18,14 e non, come avevano creduto i benemeriti Maurini, a Gv 17,12. " Il Padre vostro celeste non vuole che si perda neanche uno solo di questi piccoli ", aveva detto Gesù. Agostino vi allude, incidentalmente, mentre, rispondendo all'amico Evodio, parla dei grandi che irridono la croce e dei piccoli che, pur ignari di dotte discussioni, aderiscono ad essa e se ne gloriano 27. Che poi l'espressione non abbia nulla di esclusivo risulta chiaramente dalla frequenza con la quale ripete il binomio biblico: piccoli e grandi (pusilli et magni28 e afferma che Gesù è Salvatore degli uni e degli altri. Basti un solo testo: " ...la grazia di Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo trasferisce dalla morte del primo uomo alla vita del secondo i piccoli e i grandi: è questa la fede vera e cattolica che da sempre tiene la Chiesa " 29. I testi decisivi in contrario sono, come si vede, molto poco decisivi. Tiriamo la conclusione di una dottrina tanto luminosa e confortante.
2. Dio ama tutti gli uomini e vuole tutti salvi. Questa conclusione s'impone e dai testi espliciti di Agostino e dalla storia della controversia sulla predestinazione. Dice il vescovo al suo popolo - si ricordi che tutta la controversia sulla grazia ha per lui uno sfondo pastorale a favore del quale interviene -: Chi ci ha redento con tanto prezzo non vuole che periscano coloro che ha comprato 30; ed ancora: " Per l'uomo il Padre ha consegnato alla morte il suo unico Figlio. Chi può spiegare, chi potrà degnamente almeno pensare quanto ci ami? " 31. Nel De correptione et gratia, poi, una delle ultime opere sulla grazia alla quale ci si appella volentieri, in senso contrario, scrive terminando: " E chi amò i deboli più di Colui che si fece debole a vantaggio di tutti, e a vantaggio di tutti nella sua debolezza fu crocifisso? " 32.
Non poteva, non può essere diversamente: nella dottrina dommatica della morte di Cristo per tutti è contenuta, implicitamente ma inequivocabilmente, quest'altra: Dio vuole la salvezza di tutti. Ne abbiamo una conferma nell'insegnamento dei predestinaziani di tutti i tempi, i quali, negando questa seconda, hanno negato in tutte lettere la prima. Agostino, che ha affermato in tutte lettere la prima - Cristo è morto per tutti - non può essere accusato di aver negato la seconda: Dio vuole tutti salvi. Del resto il magistero della Chiesa ha ribadito la seconda affermando esplicitamente la prima, condannando cioè i predestinaziani di tutti i tempi che negavano che Cristo è morto per tutti. Ad Arles contro Lucido, a Quiersy contro Godescalco, a Trento contro i protestanti, nella condanna delle cinque proposizioni contro Giansenio, in quella delle trenta contro i giansenisti, il giudizio di riprovazione della Chiesa cade sempre su questa proposizione: Cristo non è morto per tutti 33. Nella condanna di questa è implicita l'affermazione dell'altra: Dio vuol salvi tutti.
Qualcuno dirà: ma il vescovo d'Ippona ha negato esplicitamente quest'ultima affermazione dando un'interpretazione restrittiva del passo di S. Paolo 1 Tim 2,4. Vedremo il significato della sua interpretazione. Intanto, per non confondere le cose chiare con le oscure, prendiamo atto che i predestinaziani, volendo negare la volontà salvifica universale, hanno negato che Cristo sia morto per tutti, e che la Chiesa, per riaffermare quella volontà, ha condannato questa proposizione. Continuiamo pertanto ad illustrare il nostro assunto: Dio è Padre, Dio ama tutti gli uomini. Agostino ha molte altre cose da dirci.

2. Dio non abbandona se non è abbandonato

In particolare lo stupendo principio che Dio non abbandona se non è abbandonato, principio che rivela la misericordia infinita di Dio verso gli uomini e illumina tutta la dottrina della grazia. Lo intuì fin dall'inizio, nella sua conversione, e lo ridisse poco dopo in una delle sue prime opere. Scrive nei Soliloqui parlando a Dio: " Se tu abbandoni, si va in rovina; ma tu non abbandoni perché sei il sommo Bene: si deseris peritur, sed non deseris, quia tu es summum Bonum " 34.
Da quel momento questo principio animò la sua pietà e sorresse la sua dottrina della grazia. Nelle Confessioni lo esprime, a causa dell'allitterazione, in maniera più icastica: Te nemo amittit, nisi qui dimittit; e aggiunge: " chi ti abbandona ove va, ove fugge, se non dalla tua benevolenza alla tua collera? " 35.
Sorta la controversia pelagiana, lo ripeté nella terza delle molte opere che scrisse in quell'occasione, lo ripeté, dico, nella formula più breve, restata classica, citata anche dal Concilio di Trento 36 e poi dal Concilio Vaticano I 37: non deserit, si non deseratur 38. Nel De correptione et gratia, una delle ultime opere, lo applicò ad Adamo: deseruit et desertus est 39 e poi a tutti gli uomini che, secondo la prescienza di Dio, si perderanno: deserunt et deseruntur. Sono infatti lasciati al loro libero arbitrio per un giudizio di Dio giusto ed occulto 40. Infine nel De dono perseverantiae ai provenzali, i quali sostenevano che " ognuno abbandona Dio di propria volontà e così merita di essere abbandonato da Dio ", senza prendersi la soddisfazione di ricordare loro che questo principio lo aveva enunciato tante volte egli stesso, rispose semplicemente così: " E chi potrà negarlo? "; aggiungendo peraltro che non bisognava dimenticare la dottrina sulla necessità della grazia e della preghiera: " Ma è per questo, continua, che chiediamo nel Padre nostro di non essere indotti in tentazione, perché ciò non avvenga " 41.
Se poi dalle opere sulla controversia pelagiana e semipelagiana passiamo alle altre, troviamo nella Città di Dio lo stesso principio con l'aggiunta di una spiegazione metafisica della quale ho parlato altrove 42. Dice dunque: " L'anima non abbandona Dio perché è stata abbandonata da lui, ma viceversa: è abbandonata perché ha abbandonato. Non c'è dubbio che la sua volontà è prima nei confronti del male, mentre nei confronti del bene è prima la volontà del suo Creatore, sia nel crearla quando non era, sia nel rianimarla quando, cadendo, s'era perduta " 43.
Se infine passiamo ai discorsi, è la stessa dottrina che incontriamo, qualche volta rivestita di belle immagini, come quella della fonte - " la fonte non abbandona se non siamo noi ad abbandonare la fonte " 44 -, altre volte in occasione delle parole di un salmo, come nel Salmo 26,9: Sii il mio aiuto; non abbandonarmi, Dio mio Salvatore. Agostino commenta: " Tu infatti mi aiuti, tu che mi hai plasmato; tu non mi abbandoni, tu che mi hai creato: tu non deseris qui creasti " 45.
Mi sono trattenuto su questo principio non solo perché apre il cuore al più genuino ottimismo cristiano di cui il vescovo d'Ippona fu profondamente compreso, ma anche perché c'è chi pensa che un tal principio non trovi posto nella dottrina agostiniana, tanto che quando lo usa Prospero per rispondere alle accuse dei provenzali 46 si pensa ad una novità, a una mitigazione del pensiero di Agostino che sarebbe, si dice, assai più rigoroso 47. Troppe volte, e questa è una, i giudizi sull'insegnamento del vescovo d'Ippona nascono dall'ignoranza!
Vorrei terminare con un testo delle Confessioni che, confermando quanto detto sopra, rivela, come meglio non si potrebbe, l'animo grande e fiducioso del dottore della grazia. " Tu non abbandoni nulla di ciò che hai creato... non abbandoni le tue creature come esse abbandonarono il loro Creatore. Si volgano a te, ed eccoti già lì, nel loro cuore, nel cuore di chiunque ti riconosce e si getta ai tuoi piedi, piangendo sulle tue ginocchia dopo il suo aspro cammino. Tu prontamente ne tergi le lacrime, e più singhiozzano allora e si confortano al pianto perché sei tu, Signore, e non un uomo qualunque, carne e sangue, ma tu, Signore, il loro creatore, che le rincuori e le consoli. Anch'io dov'ero quando ti cercavo? Tu eri davanti a me, ma io mi ero allontanato da me e non mi ritrovavo. Tanto meno ritrovavo te " 48. Questo il vero Agostino, il vero dottore della grazia e insieme il vero filosofo dell'interiorità!

3. Non c'è iniquità presso Dio

Ma dobbiamo continuare, considerando lo stesso argomento in ordine alla giustizia divina. Le parole: Numquid iniquitas apud Deum?, tratte letteralmente dalla Scrittura 49, Agostino le cita infallibilmente, come si è visto, ogni volta che il discorso torna sul mistero della predestinazione; le cita per rasserenare il suo spirito e perché i lettori rasserenino il proprio. Vale la pena di fermarvi per un istante l'attenzione. E' una verità rasserenante perché ne suppone molte altre, almeno queste: Dio, perché giusto, non può condannare l'innocente; nessuno è peccatore se non per propria colpa; nessuno può commettere una colpa se non per libera scelta; nessuno sceglie liberamente il male se non ha il potere di scegliere il bene. Tutte conseguenze presenti all'animo e negli scritti di Agostino: sono esse che giustificano il continuo appellarsi a quelle parole.
1) Cominciamo dalla prima: Dio non può condannare l'innocente. Ecco le ripetute affermazioni del nostro dottore: " Dio è buono, Dio è giusto: può liberare ognuno senza meriti perché è buono, non può condannare alcuno senza demeriti perché è giusto " 50. Spiegando poi le parole del Vangelo: Dio renderà a ciascuno secondo le sue opere 51, scrive nel De gratia et libero arbitrio: " Sicuramente Dio renderà male per male, perché Egli è giusto; e bene per male perché Egli è buono; e bene per bene perché è buono e giusto; non sarà possibile soltanto che renda male per bene perché non è ingiusto ". Esemplificando continua: " Renderà dunque male per male, castigo per ingiustizia; e renderà bene per male, grazia per ingiustizia; e renderà bene per bene, grazia per grazia " 52. Altrove, in una lettera a Paolino sulla questione pelagiana, è ancora più esplicito dicendo in tutte lettere che Dio non sarebbe alieno dall'iniquità se condannasse un innocente: " E' conforme alla retta fede e alla verità credere che quando Dio rende giusti i peccatori e gli empi, li salva dai castighi giustamente meritati; credere, al contrario, che Dio condanni uno che non merita il castigo e che non è colpevole di nessun peccato, vuol dire credere che Dio è ingiusto: alienus ab iniquitate non creditur ". Ed insiste: " Allorché dunque Dio salva chi non lo merita, dev'essere tanto più ringraziato quanto più giusto era il castigo; quando invece venisse condannato chi non lo merita, non si fa trionfare né la misericordia né la verità " 53.
Dopo queste reiterate affermazioni si stenta a capire come sia stato accreditata al nome di Agostino un'opera in cui si dice fra l'altro: " Se il genere umano, creato dal nulla, nascesse senza il debito della morte e del peccato originale e tuttavia Dio, il Creatore onnipotente, volesse condannare alcuni alla morte stessa, chi potrebbe dire all'onnipotente Creatore: perché hai fatto così? " 54. Questo non è certo Agostino; e bene hanno fatto gli editori a rimandare l'opera tra quelle spurie 55.
Meno ancora si comprende come un grande erudito qual era Erasmo abbia potuto accettare come agostiniane - alicubi [?] scribit Augustinus - parole come queste: Deum et bona et mala operari in nobis, et sua bona opera remunerare in nobis, et sua mala opera punire in nobis 56; parole che contengono il più cupo predestinazionismo e sono diametralmente opposte a quelle ricordate sopra, che pur Erasmo, editore di Agostino, doveva conoscere.
Per quanto io sappia, non ci sono studi sufficienti sull'influsso della letteratura spuria sull'immagine che spesso ci si è fatta - ed è talvolta la più tenace - della dottrina agostiniana della grazia. L'autentico Agostino è molto lontano da quelle immagini.
2) Per il resto si può essere brevi. Abbiamo visto sopra 57 che Agostino difende la libertà dell'uomo ricorrendo alla nozione della giustizia divina che ne punisce il peccato: Dio non potrebbe punirlo giustamente se non fosse stato commesso liberamente. Vale la pena di riportare qui un passo già citato: " Le azioni cattive sono punite dalla giustizia di Dio ": questo il principio. Ed ecco la conseguenza: " non sarebbero punite con giustizia se non fossero compiute con libertà " 58. In caso contrario, come dirà nella Città di Dio, la giustizia sarebbe " crudele ", il che, quando si tratta della giustizia divina, non è possibile 59. Questa insistenza sulla libertà del peccato gli crea difficoltà per quello originale. I pelagiani ne approfittano. Agostino risponde ribadendo il principio - non c'è peccato senza libertà 60 - e spiegando la conseguenza: il peccato originale ha questo di proprio, che è insieme peccato e pena del peccato 61.
3) Questa affermazione ne richiama un'altra: nessuno sceglie liberamente il male se non ha il potere di evitarlo, cioè di scegliere il bene. E' la nozione del peccato che lo esige 62. Per questo Agostino dice e ripete che ognuno è cattivo per propria colpa: tuum quippe vitium est quod malus es 63. Né può mancare l'aiuto divino necessario per evitare il peccato. Il principio viene enunciato a proposito del primo uomo cui Dio aveva dato un aiuto senza il quale non avrebbe potuto permanere nel bene se lo avesse voluto. Infatti " se questo aiuto fosse mancato sia all'angelo che all'uomo fin dal primo momento che furono creati, poiché la loro natura non era stata creata tale da poter perseverare, se lo voleva, senza l'aiuto divino, certamente non sarebbero caduti per loro colpa: evidentemente sarebbe mancato loro l'aiuto senza il quale non potevano perseverare " 64.
E' vero che questo principio è detto dell'uomo prima del peccato, ma è tanto generale che vale anche dell'uomo dopo il peccato. E' vero altresì che subito dopo averlo enunciato, continua: " se ora [appunto dopo il peccato] a qualcuno manca tale aiuto, ciò è ormai castigo del peccato " 65, ma queste parole si devono intendere di quell'indurimento del cuore di cui si è parlato 66 o dell'economia generale della grazia di cui parleremo 67.
Per concludere possiamo dire che Agostino faceva bene ad appellarsi, si direbbe piuttosto ad aggrapparsi, alla giustizia di Dio, che non può esser crudele, che non può essere iniqua, per tranquillizzare il suo animo di fronte al mistero della predestinazione, il quale, se importa la predilezione divina verso gli eletti, non nega l'amore di Dio verso tutti gli uomini; amore che dà a tutti, attraverso la redenzione di Cristo, la possibilità di salvarsi, benché in realtà non tutti si salvino.
Del resto il maestro d'Ippona ha un'idea tanto alta della giustizia divina e, di conseguenza, delle relazioni tra questa giustizia e il male, da sostenere che Dio non poteva creare l'uomo nelle condizioni in cui si trova, perché - ecco un suo solenne principio - nessuno può essere misero sotto la provvidenza di Dio giusto, se non l'ha meritato: Neque enim sub Deo iusto miser esse quisquam nisi mereatur potest 68. L'ho detto altrove 69. Il peccato originale, poi, ha per lui un compito tanto importante nella dottrina della predestinazione, che questa non s'intende senza quello 70.
A questo punto il lettore non ignaro della storia del domma obietterà che il vescovo d'Ippona, dando spesso, come ha fatto, un'interpretazione restrittiva al celebre passo paolino 1 Tim 2,4, nega in Dio la volontà di salvare tutti gli uomini e contraddice a quanto si è detto or ora o si è esposto sopra. La difficoltà c'è, e bisogna scioglierla. Lo farò, ma un poco più appresso. Credo maggiormente utile, ora, esporre le grandi verità che guidano la riflessione agostiniana intorno al mistero di cui stiamo parlando. E' importante tenerle presenti anche per capire meglio quella interpretazione.

CAPITOLO SESTO

LE GRANDI VERITA' CHE FANNO DA SFONDO AL MISTERO DELLA PREDESTINAZIONE

Credo che si possano ridurre a tre: una escatologica, una teologico-metafisica, una esegetica. La verità escatologica è quella dell'esistenza delle due città, ambedue eterne, anche se la città dei reprobi non può chiamarsi città. La verità teologico-metafisica è quella dell'onnipotenza divina che può cambiare in meglio ogni volontà, anche se ostinata, senza lederne il dono della libertà. Infine quella esegetica è l'interpretazione che dà Agostino all'elezione secundum propositum di S. Paolo.

1. Le due città

E' inutile dire quale parte occupi nel sistema teologico agostiniano la concezione delle due città. Ne ho dato una rapida idea altrove e rimando ad essa 1. Qui riprenderò un tema dei debiti fines, precisamente quello delle sorti delle due città, tanto diverse, ma ambedue eterne. La questione è molto importante per il nostro argomento. Agostino si chiede " perché la Chiesa non abbia potuto sopportare l'opinione di coloro che promettono anche al diavolo, dopo grandissime e lunghissime pene, la purificazione ed il perdono " 2. Si tratta evidentemente dell'apocatastasi di Origene. Il nostro dottore risponde: " Non certo perché tanti uomini santi e dotti nelle Scritture abbiano visto malvolentieri la purificazione e la beatitudine degli angeli prevaricatori... ma perché videro che non può essere annullata né infirmata la sentenza che il Signore annunziò che proferirà nel giudizio " 3.