00 04/07/2012 17:53

CAPITOLO TERZO

LA PREDESTINAZIONE E' UN GRANDE MISTERO

Ho toccato due questioni previe ma importanti e imprescindibili: se non si tengono presenti, ho detto, non ci si può inoltrare senza rischio nello studio del difficile argomento della predestinazione. Ma da sole non bastano. Occorre tener presente un altro insegnamento agostiniano ripetuto con tanta insistenza dall'inizio alla fine: la predestinazione è un grande mistero. Di fronte ad esso, come di fronte ad ogni mistero della fede, l'uomo deve inchinarsi ed adorare in attesa che ci si sveli nella luce di Dio. Agostino lo fece e insegnò a farlo; ma non senza notare che esso, anche qui in terra, è illuminato da una grande verità, la quale, se non toglie il velo del mistero, conforta nella speranza lo spirito umano, la verità della giustizia divina presso cui non c'è, non può esserci iniquità: numquid iniquitas apud Deum? Absit1

1. Questione semantica

La parola praedestinatio deriva ad Agostino dalla Scrittura, in concreto da S. Paolo, il quale la usa cinque volte e sempre per indicare i piani di Dio o nei riguardi di Cristo 2, o nei riguardi della salvezza degli uomini 3. Il significato che Agostino dà a questa parola e la ragione teologica per cui v'insiste li ho detti sopra 4. Qui voglio dire che, tutto rivolto com'è alla Scrittura e alla sorte beata degli eletti, Agostino non ha trovato e non ha coniato un termine per indicare quelli che non raggiungono la salvezza. Più tardi, a proposito di questi, si parlerà di reprobatio e di reprobi 5, allo scopo di lasciare la parola praedestinatio solo per i primi e rendere così più comprensibile il discorso.
Non avendo dunque che una sola parola, gli capita qualche volta di usarla per gli uni e per gli altri, creando in questo modo, senza volerlo, un'occasione di fraintendimenti. Nella Città di Dio usa, per esempio, l'espressione di " predestinati alla vita " e di " predestinati alla morte " 6, ed anche quest'altra: " predestinati al fuoco eterno " 7. Ma si sa quale profonda, dico meglio, quale essenziale differenza corra tra il primo caso e il secondo. Il primo è il piano della misericordia divina che dona la grazia, il secondo, supposta la prescienza della colpa (che Dio non opera ma permette), è quello della giustizia che infligge la pena. Basta ricordare le distinzioni esposte nel capitolo precedente, delle quali ho ricordato or ora l'importanza. Del resto i termini del mistero, che Agostino espone quasi ogni volta che tocca l'argomento della grazia, sono noti: a chi si perde viene inflitta la pena dovuta, a chi si salva viene elargito il premio gratuito, di modo che " l'uno non può lamentarsi di non meritare la pena, l'altro non può gloriarsi di meritare la grazia " 8. Non si può dunque confondere l'espressione, del resto rarissima, con il suo contenuto. Ascrivere il vescovo d'Ippona tra i sostenitori della " doppia " predestinazione, come hanno fatto i predestinaziani di tutti i tempi o, calunniando, i pelagiani e i semipelagiani, altro non è che tradirne il pensiero. Appare già dalle pagine precedenti, apparirà più chiaro in quelle che seguono. Intanto giova fermarsi un poco sull'ammonizione, che percorre tutti i suoi scritti, del profondo mistero di fronte al quale ci si trova quando si parla di predestinazione.

2. Questione di fondo: la predestinazione è un profondo mistero

L'insistenza sulla predestinazione-mistero comincia molto presto, comincia fin da quando affrontò per la prima volta la questione di proposito: all'inizio dell'episcopato, nella risposta a Simpliciano. Terminando la spiegazione della pericope Rom 9,10-29, dopo aver osservato che l'elezione divina è occulta e non trova motivo alcuno nei meriti umani come appare chiaro nella conversione di Paolo, continua: " E tuttavia che cosa diremo? C'è forse iniquità presso Dio che esige da chi vuole e dona a chi vuole? Egli in nessun modo esige ciò che non è dovuto, in nessun modo dona ciò che non è suo ". Ripete la grande domanda di Paolo con la sua risposta: C'è forse iniquità presso Dio? Non sia mai!, e continua: " Perché allora a questi in un modo e all'altro in un altro? ". Risponde di nuovo col testo paolino: O uomo, tu chi sei9, e conclude: " Se non rendi il debito (dovuto per il peccato), hai di che congratularti; se lo rendi, non hai di che lamentarti " 10.
Ho riportato per lungo questo testo perché il primo (del 387): dopo ce ne sono tanti e tanti altri con lo stesso contenuto se non con le stesse parole. Passando dall'inizio dell'episcopato all'inizio della controversia pelagiana, leggiamo nel Castigo e perdono del peccato (del 412): " Perché mai tale grazia arrivi a questo e non arrivi a quello può essere occulta la causa, non può essere ingiusta. Infatti c'è forse ingiustizia da parte di Dio? No certamente. Ma prima si deve piegare il collo alle testimonianze delle sante Scritture perché si arrivi poi a capire per mezzo della fede. Né infatti è detto senza ragione: Il tuo giudizio come il grande abisso. Quasi fosse spaventato dalla profondità di tanto abisso, l'Apostolo esclama: O profondità delle ricchezze, della sapienza e della scienza di Dio! " 11.
In un'opera altrettanto importante scritta poco dopo - Spirito e lettera - ripete la stessa convinzione con l'esortazione finale di cercare, per una risposta diversa, persone più dotte e l'ammonimento a non imbattersi in persone presuntuose, esortazione e ammonimento che dimostrano la profondità della convinzione. " Se poi qualcuno vuole costringerci a scrutare il profondo arcano per cui con uno l'azione suasiva riesce ad essere persuasiva e con un altro no, due sole verità mi si presentano adesso con le quali mi piace rispondere: O profondità delle ricchezze! e: C'è forse ingiustizia da parte di Dio? Se questa risposta a qualcuno dispiace, cerchi persone che ne sappiano di più, ma stia ben attento a non incappare in persone che solo presumano di saperne di più " 12.
Quando la controversia pelagiana degenerò, non certo per colpa di Agostino, in polemica egli non cessò di richiamare i suoi interlocutori al senso del mistero 13; quando, poi, proprio sulla dottrina della predestinazione si levò la protesta da parte dei monaci provenzali, fece altrettanto 14. La risposta è sempre la stessa: si tratta di un mistero imperscrutabile; come sono le stesse citazioni bibliche: una che richiama la mente umana, con un grido di stupore, all'abisso della sapienza divina - O profondità delle ricchezze della sapienza e della scienza di Dio15 -, l'altra che, a conforto della povera ragione umana vacillante di fronte a tanto mistero, ricorda la consolante certezza che in Dio non c'è iniquità 16. Vedremo fra poco il significato e la forza di questa certezza.
Intanto perché appaia che questo insistente ricorso al senso del mistero non era un espediente polemico, ma piuttosto l'espressione di un'ansia pastorale, aggiungerò che esso si ritrova anche nei discorsi al popolo; e si ritrova con la stessa insistenza e con maggiore discorsività. Invita fra l'altro gli uditori ad ammirare insieme a lui e ad esclamare: O profondità..., e li sfida a scrutare l'inscrutabile, che è lo stesso che fare le cose impossibili, corrompere le incorruttibili, vedere le invisibili 17. A chi non fosse disposto a rimanere in un atteggiamento d'umiltà di fronte al mistero dice apertamente: " Tu ragiona, quanto a me lasciami ammirare; tu discuti, io non farò che credere. Vedo la profondità, non ne raggiungo il fondo " 18. Anzi, è proprio parlando di questo argomento che enuncia questo grande principio sul senso del mistero: Melior est fidelis ignorantia quam temeraria scientia 19.

3. Mistero, non fato, non parzialità, non fortuna

Dell'accusa di fatalismo che i pelagiani facevano ad Agostino a proposito della dottrina sulla gratuità della grazia che egli sosteneva, ho parlato, per accenni, sopra 20. Qui debbo aggiungere che a questa prima ne facevano seguire una seconda: l'acceptio personarum da parte di Dio. Il vescovo d'Ippona non poteva dunque limitarsi ad affermare che la predestinazione fondata, com'egli la difendeva, sul dono gratuito della salvezza era un profondo mistero, ma doveva rispondere alle difficoltà avversarie, dimostrando che non si trattava di fato ma di sapienza divina, non di parzialità ma di libera distribuzione dei doni di Dio, non di fortuna ma di Provvidenza.
Riguardo al fatalismo ricorda l'accusa dei pelagiani: " Veniamo accusati di essere assertori del fato perché diciamo che la grazia di Dio non ci viene data secondo i nostri meriti " 21. I pelagiani infatti avevano coniato un dilemma tra merito e fato allo scopo di combattere la dottrina agostiniana della concessione gratuita della grazia; o merito o fato, dicevano; e volevano dire: o la grazia divina viene concessa secondo il merito dell'uomo, acquisito con la sua libera volontà, o la sua distribuzione è senza ragione e ubbidisce alla forza del fato 22.
Il nostro dottore che, specialmente nella polemica, ricorre volentieri all'argomento ad hominem, risponde così: se il dilemma fosse vero, anche loro - i pelagiani - sarebbero fatalisti in quanto, ammettendo la necessità del battesimo per i bambini perché entrino nel regno dei cieli 23, dovevano concludere che quelli che lo ricevono e vi entrano, lo ricevono e vi entrano per pura fatalità, come pure per una fatalità altri morivano senza battesimo e non vi entravano 24. Affrontando poi l'argomento di fondo, ricorda che si può parlare di fatalismo a proposito di coloro che fanno dipendere la sorte degli uomini, il bene e il male, dalla posizione degli astri - fatalismo astrologico 25 - ma non quando si tratta di Dio, il quale non è causa del peccato ma attribuisce la pena per il peccato o concede la grazia del perdono " secondo l'eterno ed imperscrutabile disegno della sua severità e della sua bontà. Non si tratta dunque di fato, ma di grazia. Le parole dell'Apostolo sono chiare: Per grazia siete salvi mediante la fede; e ciò non viene da voi ma è dono di Dio 26. Se poi voi chiamate fato ciò che l'Apostolo chiama grazia, conclude Agostino, voi siete in colpa, non noi " 27.
" Come pure, continua, non si può parlare di acceptio personarum presso Dio perché non si tratta di giustizia ma di grazia ". La Scrittura esclude in Dio l'acceptio personarum 28, e giustamente, perché non c'è in lui ingiustizia: nec acceptio personarum dicenda est, quando iniquitas nulla est. In altre parole, quando non si viola il diritto di alcuno, come nel caso dei lavoratori della vigna che ebbero ognuno il suo, anche se agli ultimi fu dato quanto ai primi 29, Agostino ne conclude: " non c'è parzialità tra due debitori ugualualmente rei, se ad uno viene condonato e all'altro viene richiesto ciò che da ambedue è dovuto " 30.
Pensando inoltre alla possibilità che qualcuno potesse rifugiarsi nella spiegazione, che poi non spiega nulla, del caso fortuito, sul quale aveva discusso e scritto a proposito della grandezza dell'Impero romano che non fu " fortuita né fatale ", ma opera della divina Provvidenza 31, pensando, dico, che qualcuno potesse rifugiarsi in questa spiegazione nei riguardi del battesimo dei bambini, la scarta insieme alle altre due, scarta pure la quarta, quella dei meriti, che era propria dei pelagiani, e, richiamando di nuovo la misteriosità dei disegni di Dio giusto e buono, conclude con questo periodo fortemente sintetico: " Se dunque non si può parlare di fato perché non sono le stelle a decretarlo, né di fortuna perché non sono i casi fortuiti ad operarlo, né sono le diversità di persone o di meriti a compierlo, che cosa resta per i battezzati se non la grazia di Dio e per i non battezzati se non la giustizia di Dio... ? " 32.
Infine, per addurre un testo tratto da quella lettera della quale si è detto molto cominciando, ecco che cosa scrive al presbitero Sisto: " E poiché tutta questa massa è giustamente dannata 33, Dio rende il disonore meritato in virtù della giustizia e concede l'onore immeritato in virtù della grazia, non già di un privilegio dovuto al merito o per l'ineluttabilità del fato né per un cieco capriccio di fortuna, ma solo a causa dell'abissale ricchezza della sapienza e della scienza di Dio, che l'Apostolo non riesce a scandagliare, ma ne rimane stupito ed esclama: O profondità...! " 34.

4. Il mistero della predestinazione ricondotto a quello della misericordia e giustizia divina

Si vede bene che Agostino riconduce abitualmente il mistero della predestinazione a quello della misericordia e della giustizia di Dio. Ecco subito un altro testo della lettera or ora citata: " Al cristiano che vive ancora nella fede senza vedere ancora ciò che è perfetto, e conosce ancora parzialmente, basti per ora sapere o credere che Dio non salva nessuno se non in virtù della sua gratuita bontà per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore, e non condanna nessuno se non in forza della sua giustissima verità per mezzo del medesimo Gesù Cristo nostro Signore. Per quale motivo poi Dio salvi o non salvi uno anziché un altro, provi pure ad indagarlo chi può scrutare l'abisso insondabile dei disegni divini, badando però a non precipitare nella rovina " 35.
Nella Città di Dio, dopo aver citato un versicolo del Salmo 24: Tutte le vie del Signore sono misericordia e verità, tira questa profonda conclusione: né la grazia può essere ingiusta, né può essere crudele la giustizia 36. Infatti né la misericordia può andare disgiunta dalla giustizia, né la giustizia dalla misericordia.
Per questo i disegni di Dio sono imperscrutabili come, pieno di stupore, dice l'Apostolo 37. " Quali sono le imperscrutabili vie di Dio, se non quelle di cui parla il Salmo: Tutte le vie del Signore sono bontà e verità? La sua bontà e verità sono quindi imperscrutabili, poiché egli ha pietà di chi vuole, mosso non da giustizia ma solo dalla misericordia, e fa ostinare chi gli piace, mosso non già da sentimento d'iniquità, ma per castigarlo secondo verità. La bontà e verità di Dio sono tuttavia in pieno accordo tra loro, poiché sta scritto: La bontà e la verità si sono abbracciate, in modo che la bontà non rechi pregiudizio alla verità con cui è punito chi lo merita, né la verità alla misericordia, con cui è salvato chi non lo merita " 38.
Altrove a questo testo ne aggiunge altri e li interpreta tutti nello stesso senso. " ...per quelli a cui Dio ha voluto donare di convertirsi a lui ciò dipende dalla sua misericordia e non dai loro meriti, per quelli a cui viceversa non l'ha voluta donare ciò dipende dalla sua verità. Ai peccatori infatti è dovuta una giusta pena, perché misericordia e verità ama il Signore Dio; e (la misericordia e la verità s'incontrano) tutte le vie del Signore sono misericordia e verità. Chi potrebbe dire quanto spesso la divina Scrittura ricordi questi due attributi congiuntamente? Qualche volta anche mutando i vocaboli e ponendo il termine di grazia al posto di misericordia " 39.
Altrove ancora, riassumendo, scrive: " Sono imperscrutabili le sue vie. Dunque sono imperscrutabili sia la misericordia con cui libera, sia la verità con cui giudica giustamente " 40.
E' vero che i testi biblici nei quali si parla di misericordia e verità, di misericordia e giudizio possono non avere, esattamente, questo significato; infatti egli stesso altrove li interpreta in modo diverso 41; ma è certo che la misericordia e la giustizia sono attributi essenziali a Dio e che, essendo parimenti infiniti, costituiscono per noi un profondo mistero. " Noi, nel nostro pervertimento, vorremmo Dio tanto misericordioso, da essere ingiusto. Altri, al contrario, confidando troppo nella propria giustizia, lo vorrebbero tanto giusto da non volerlo misericordioso, Dio invece si presenta l'uno e l'altro, si mostra l'uno e l'altro. La sua misericordia non condiziona la sua giustizia né la sua giustizia elimina la misericordia. E' misericordioso ed è giusto " 42. " Dio non è misericordioso in modo da essere ingiusto, né giusto in modo da non essere misericordioso " 43. Sono questi attributi, apparentemente contrari e pur legati insieme nelle profondità della natura di Dio, che ci aiutano ad essere umili e a chinare il capo di fronte al mistero della predestinazione, lodando ed adorando. Del resto è proprio la giustizia divina a gettare una luce di conforto in questo mistero che ci tocca tanto da vicino: Dio, perché giusto, non può condannare l'innocente, perché in questo caso la giustizia non sarebbe più giustizia ma crudeltà. Vedremo come Agostino v'insista.
I testi riportati sopra sono, alcuni, un po' lunghi, ma valeva la pena citarli perché apparisse chiaro che Agostino non insiste nel senso del mistero allo scopo di precostituirsi un motivo per non rispondere alle difficoltà, ma perché questo, una volta stabilito il senso delle Scritture, è il necessario atteggiamento della fede di fronte alla rivelazione dei misteri divini. E' noto quanto egli, come teologo, applicò a se stesso, e quanto, come pastore, inculcò ai fedeli questo atteggiamento. Forse vale la pena di ricordarlo.

5. La predestinazione e gli altri misteri cristiani

Agostino è il teologo e il pastore della " dotta ignoranza " 44. Ho ricordato sopra il principio che la enuncia: " è preferibile l'ignoranza fedele, anziché la scienza temeraria " 45.
Questo principio è sempre sottinteso nelle considerazioni, molte e profonde, che fa sui misteri cristiani. Su Dio, di cui esalta l'ineffabilità 46 tanto da proclamare: Se comprendi, non è Dio 47; sulla Trinità, per illustrare il quale intraprese la difficile e lunga fatica di una delle sue opere maggiori 48; sulla Incarnazione che è " mirabile e ineffabile " 49; sulla Chiesa, intorno alla quale, se insorgono difficoltà, occorre cercare e discutere " con santa umiltà, con pace cattolica, con carità cristiana " 50. Il discorso potrebbe durare a lungo. Il desiderio infatti di capire anche le cose difficili non è riprovevole, anzi è encomiabile, purché - ecco quanto scrive a proposito dell'origine delle anime, questione, per Agostino, quanto mai oscura -, purché " sia lontana l'ostinazione della contesa e siano presenti [invece] la diligenza della ricerca, l'umiltà della richiesta, la perseveranza della preghiera " 51.
In ciascuno dei misteri cristiani ci sono due verità che occorre tenere strettamente unite anche quando non se ne comprenda l'unione - abbiamo inteso questa raccomandazione a proposito della libertà e la grazia 52 - e delle quali nessuna permette, senza cadere in gravissimi errori nella fede, di tirare una conclusione, in forza della logica umana, a sfavore dell'altra. Inutile esemplificare. Dall'unità di Dio non si può concludere all'unità delle persone in Dio, come dalla trinità delle persone non si può concludere alla trinità della natura; o, in Cristo, dalla dualità delle nature alla dualità delle persone e, ancora, dall'unità della persona all'unità della natura. Fuori dell'enunciazione cristiana del mistero non ci sono che errori, opposti ma errori, e gravissimi.
Questo vale anche del mistero della predestinazione. Esso si può enunciare, come ho accennato sopra e come vedremo meglio in seguito, così: che alcuni si salvino è dono di Dio che li salva, che altri si perdano è colpa di coloro che si perdono; nel primo caso opera la misericordia, nel secondo la giustizia. Ma guai a tirare la conclusione da una proposizione contro l'altra: ne nascerebbero, come storicamente ne sono nati, il pelagianesimo e il predestinazianesimo. Se chi si perde si perde per propria colpa, sembra logico concludere che chi si salva si salva per proprio merito. Così ragionò Pelagio. Al contrario: se chi si salva si salva per dono di Dio, chi si perde si perde per volere di Dio. Così ragionò Godescalco e, dopo di lui, ragionarono tutti i predestinaziani.
Che il ragionamento di Pelagio non fosse " illuminato ", Agostino lo ridisse in tutte lettere a proposito del De natura: " Temo che favorisca piuttosto coloro che hanno lo zelo per Dio, ma non secondo una retta conoscenza 53, perché, affermando giustamente la responsabilità dei peccatori, ignorano la giustizia di Dio e cercano di stabilire la propria " 54. Qualcuno potrebbe soggiungere: ma non lo ridisse a proposito del ragionamento opposto, quello dei predestinaziani. Ridisse anche questo. Si può dedurlo da quanto è stato esposto nel capitolo precedente. Ma lo vedremo meglio qui appresso

CAPITOLO QUARTO

LA PREDILEZIONE DI DIO VERSO GLI ELETTI

Apprestandoci ad entrare nel nucleo centrale della questione, vediamo quali siano per Agostino i termini del mistero. Riassumendo il suo pensiero possiamo dire che sono questi: la predilezione di Dio per gli eletti e l'amore di Dio per tutti gli uomini. Per ovvie ragioni il dottore della grazia dovette insistere sulla prima verità, negata dai pelagiani e rimessa in questione dai monaci provenzali, ma vedremo nel prossimo capitolo che non dimenticò la seconda. Tra queste due verità passa il mistero o, per dir meglio, nell'unione di queste due verità consiste il mistero.

1. Definizione della predestinazione

Sulla gratuità della predestinazione e sulla conseguente predilezione di Dio verso gli eletti potrebbe bastare quanto si è detto sopra (Parte 2ª, c. 5) sulla gratuità della grazia, perché " tra la grazia e la predestinazione questa sola è la differenza, che la predestinazione è la preparazione della grazia, la grazia il dono stesso ", o " l'effetto della predestinazione " 1. Qui posso aggiungere la nozione che Agostino dà della predestinazione e il suo inserimento nel mistero di Cristo.
La nozione è notissima: " Questa è la predestinazione dei santi, nient'altro: cioè la prescienza e la preparazione dei benefici di Dio con i quali sono certissimamente liberati tutti quelli che sono liberati " 2. Questa definizione, giustamente celebre, contiene tutti gli elementi della nozione agostiniana della predestinazione. Parlarne compiutamente non è possibile, ma dedicarvi qualche accenno non sarà fuori luogo. Del resto quello che si è detto finora e quello che si dirà in seguito potrà servire come commento.
Vi si parla di prescienza, ma non è la prescienza con la quale Dio prevede i peccati o i meriti degli uomini bensì quella con cui prevede le sue stesse opere. Infatti " la predestinazione non può esistere senza la prescienza; invece la prescienza può esistere senza la predestinazione. Per la predestinazione Dio ebbe la prescienza delle cose che egli avrebbe fatto " 3. Altrove nello stesso senso: " per Iddio predestinare è lo stesso che avere la prescienza di ciò che egli stesso farà: praedestinare est hoc praescisse quod fuerat ipse facturus " 4.
Vi si parla di preparazione: è l'arcano, eterno disegno con cui Dio dispone gli aiuti che portano gli uomini alla salvezza; è il propositum, o consiglio o decreto di cui parla S. Paolo 5 e che Agostino commenta spesso.
Vi si parla di liberazione. Agostino pensa agli uomini, per i quali la salvezza è prima di tutto liberazione; liberazione da tutti i mali che li affliggono, dal male del peccato a quello lacerante del tempo. Vale qui tutto quello che si è detto sopra della libertà cristiana. L'ottica agostiniana è sempre la stessa: la libertà, e perciò la liberazione. Cristo è la universalis via liberandae animae 6.
Vi si parla ancora di liberazione certissima. Quest'aggettivo ha un grande significato. Esso vuol dire che nessuno dei predestinati perirà: ex eis perire nullus potest 7. " Coloro che sono stati riconosciuti fin da prima nella disposizione sommamente previdente di Dio, che sono stati predestinati, chiamati, giustificati, glorificati... assolutamente non possono perire " 8. Questa certezza che Agostino chiama: " l'immobile verità della predestinazione " 9, è legata non solo a un motivo teologico qual è la disposizione divina che non può fallire, ma anche a un motivo biblico, cioè alle parole di Gesù, fonte di consolazione per ogni credente: " Tutto ció che il Padre mi dà verrà a me; e colui che viene a me, io non lo caccerò fuori ". E poco dopo: " Questa è la volontà del Padre che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato " 10. Agostino vi si riferisce esplicitamente e spiega chi siano coloro che sono dati a Cristo: " ...sono dati a Cristo quelli che sono stati ordinati per la vita eterna. Essi appunto sono i predestinati e chiamati secondo il decreto [di Dio], e di essi nessuno perisce " 11. In altre parole sono stati dati a Cristo quelli che sono stati predestinati con Cristo e in Cristo.
Con questo sublime e commovente pensiero veniamo introdotti nel cuore stesso del mistero della predestinazione. Agostino vi si inoltra e vi spazia con l'acume del teologo e la passione del convertito. Ne parla spesso e a lungo, proponendo Cristo come " lume splendidissimo di predestinazione e di grazia " 12.

2. Cristo " praeclarum lumen praedestinationis et gratiae "

L'argomento l'ho toccato sopra a proposito della gratuità della grazia 13. Qui solo un breve approfondimento, che raggiunge però l'apice della teologia cristologica, ecclesiologica e antropologica del vescovo d'Ippona. Non v'è dubbio che le pagine su Cristo uomo, predestinato ad essere Figlio di Dio e diventato causa ed esemplare della nostra predestinazione, siano da annoverarsi tra le più alte della teologia agostiniana, che pur ce ne ha lasciate molte ed altissime.
Nel leggere le opere qui contenute, il lettore faccia attenzione ai lunghi passi della Predestinazione dei santi 15,30-31 e al Dono della perseveranza 24,67. Io mi permetto solo un rapido commento. Agostino, seguendo S. Paolo, parla della predestinazione di Cristo, e la spiega e la difende. Non dobbiamo aver paura di dire che Cristo sia stato predestinato. Negarlo è lo stesso che negare che sia stato uomo. " Giustamente si dovrà dire che egli non è stato predestinato in quanto Verbo di Dio presso Dio. Come avrebbe potuto infatti essere predestinato, se già era ciò che era, eterno, senza principio e senza fine? Di lui doveva essere predestinato, invece, ciò che egli ancora non era, perché divenisse, a suo tempo, ciò che era stato predestinato prima di tutti i tempi. Chi dunque nega che il Figlio di Dio è stato predestinato, nega che egli è il Figlio dell'uomo " 14. E cita le parole dell'Apostolo 15.
Posta dunque la predestinazione, ne studia i particolari per dimostrare il suo intento, che era quello di provare che la nostra predestinazione è un dono totalmente gratuito come lo fu quella di Cristo. Insiste pertanto sull'assunzione di Cristo uomo all'unità della persona del Verbo - a Verbo... in unitate personae assumptus -, una delle tante formule che esprimono nel modo più esatto l'unione ipostatica; ma insiste anche, e soprattutto, nel momento dell'assunzione, che è quello della concezione, di modo che Cristo uomo non è stato mai uomo senza essere Figlio di Dio: ex quo esse coepit, Filius Dei unicus esse coepit 16. Altrove aveva detto: " non prima creato e poi assunto, ma creato ipsa assumptione " 17. Maria infatti - ed ecco una grande verità cristologica insieme e mariana - Maria, piena di grazia, concepì l'unico Figlio di Dio 18, non l'uomo diventato poi Figlio di Dio, ma " Dio fatto uomo e così l'uomo fatto Dio " 19, perciò si può e si deve dire con tutta verità che " Dio è nato da una donna " 20. Questa insistenza aveva uno scopo preciso: mostrare che l'assunzione dell'uomo Cristo alla somma dignità di Figlio di Dio - una dignità che non ne ha un'altra superiore - era assolutamente gratuita.
Dalla verità dell'assunzione ne seguiva un'altra, questa volta cristologico-ecclesiologica, cioè questa: con l'incarnazione Cristo diventa " fonte della grazia " e Capo della Chiesa, il Cristo totale. Ne segue che la stessa grazia che ha fatto di Cristo uomo il Figlio di Dio fa noi cristiani. " Per la medesima grazia, fin dall'inizio della sua fede ogni uomo diviene cristiano, per la quale quell'uomo fin dall'inizio del suo esistere divenne Cristo; dal medesimo Spirito quegli è rinato e questi è nato ". E questa appunto è la predestinazione dei santi. " Dio, conclude Agostino, conobbe certamente per prescienza che avrebbe compiute queste cose. Dunque questa è la predestinazione dei santi, che si manifestò al grado più alto nel Santo dei santi. E chi potrà confutarla tra coloro che rettamente intendono le parole della verità? " 21.
L'ultima conclusione, profonda e luminosa, è che la nostra predestinazione dev'essere vista in quella di Cristo da cui è inseparabile: Dio ha predestinato insieme lui e noi: illum ergo et nos praedestinavit. La stessa scelta, lo stesso dono, la stessa predilezione. Dio infatti " nella sua prescienza vide che non ci sarebbero stati meriti precedenti né in Cristo perché fosse il nostro capo, né in noi perché fossimo il suo corpo, ma che tutto questo sarebbe avvenuto per opera sua " 22.
Inutile dire che la visione agostiniana della predestinazione non riguarda direttamente il singolo, ma il Corpo di Cristo che è la Chiesa. Dio col suo amore infinito abbraccia la Chiesa in Cristo, la guida lungo la peregrinazione terrena da Abele, il giusto, fino alla consumazione dei secoli 23 e la conduce ad essere " senza macchia e senza ruga ", quando i suoi membri saranno nel senso pieno " santi ed immacolati al suo cospetto " 24; la Chiesa, dico, composta qui in terra, tra le persecuzioni del mondo, di buoni e di cattivi, nel cielo invece, dove canterà la gloria di Cristo dal cui sangue è stata salvata 25, di soli buoni, cioè di soli predestinati. Noi dunque siamo stati predestinati in Cristo: un solo atto di amore ha compreso fin dall'eternità lui e noi. L'insistenza sulla predestinazione del singolo sarà propria di chi, rovesciando con la logica umana la visione di Agostino, pensa alla predestinazione al male, che non è affatto, come vedremo, agostiniana. Questo rovesciamento, che operarono per primi i monaci provenzali e fecero proprio i predestinaziani, ha un duplice inconveniente: applicare ai reprobi quel che vale solo per gli eletti e separare Cristo dalla predestinazione delle sue membra. Quanto siano gravi questi inconvenienti lo giudichi il lettore. A me interessa offrirgli un altro argomento di cui si serve molto Agostino per illustrare quest'aspetto esaltante del mistero, che è la predilezione di Dio verso gli eletti.

3. Il battesimo dei bambini

Questo argomento è la sorte beata dei bambini che ricevono il battesimo e, morendo, raggiungono la salvezza; un argomento evidente che la salvezza è un dono assolutamente gratuito.
Quanto Agostino abbia parlato del battesimo dei bambini difendendone la necessità e il significato nell'ambito della redenzione di Cristo e del peccato originale, l'ho detto altrove esponendone la teologia 26. Qui l'argomento viene ripreso in ordine alla predilezione di Dio verso gli eletti o gratuità della salvezza, ma non si può capire questo nuovo aspetto del problema se non si tengono presenti alcuni princìpi di quella teologia: 1) nessuno può salvarsi fuori della societas Christi, cioè fuori del passaggio dalla solidarietà del primo Adamo, cui si appartiene nascendo, alla solidarietà del nuovo Adamo, cui si appartiene rinascendo; 2) i bambini non passano da una solidarietà all'altra, da Adamo a Cristo, se non per il battesimo d'acqua o di sangue. Così egli intende il sensus Ecclesiae 27: il problema di altre possibili vie di salvezza non se lo pone, come nessuno se lo poneva allora.
Da questi princìpi nascono queste conclusioni:
1) i pelagiani, che volevano far dipendere la grazia dai meriti, nel caso dei bambini perdevano la loro causa, perché non avevano nulla da rispondere: de parvulis certe pelagiani quid respondeant non inveniunt 28; nei bambini infatti non si può trovare alcun merito che preceda il dono ineffabile della vita beata;
2) il ricorso ai futuribili, che vorrebbe far ricadere sui bambini stessi la distinzione tra i battezzati e i non battezzati, è contrario alla Scrittura e appare assurdo alla ragione.