00 04/07/2012 17:48

CAPITOLO QUARTO

LIBERALIS SUAVITAS AMORIS

Non si può scrivere qui un trattato sulla filosofia e sulla teologia dell'amore in Agostino, tema profondo e immenso, anzi centrale non meno di quelli dell'essere e dell'illuminazione, e forse di più, almeno per alcuni aspetti. Non sarà inutile però dirne qualcosa che aiuti a capire il " difficilissimo " problema che qui c'interessa. Lo farò toccando prevalentemente tre punti: l'amore centro della vita spirituale, l'amore fonte di libertà, l'amore garanzia di certezza.

1. L'amore centro della vita spirituale

Il lettore non si aspetti un discorso sulla fenomenologia dell'amore. Di questa Agostino ha parlato molto a proposito dell'amicizia 1 e anche della concupiscenza o amore disordinato 2. Ma qui non è il caso d'imboccare quella strada. Qui si vuol dire soltanto che filosoficamente e teologicamente considerato l'amore è al centro dello spirito umano ed è il cuore del mistero della grazia che salva.
1) Riduzione all'amore di tutta l'attività umana
Si sa che nella vita dell'uomo e nella storia dell'umanità egli riduce tutto all'amore: le passioni, le virtù, le due città, la grazia, la perfezione, i doni dello Spirito Santo, l'insegnamento della Scrittura, la bontà, la libertà, la volontà. E' inutile dire che l'amore è sempre in profonda simbiosi con la verità. Lo spirito umano è, pensa ed ama, indissolubilmente. Il verbo interiore secondo la bella definizione agostiniana altro non è che cum amore notitia. " Ecco perché, quando lo spirito si conosce e si ama, il suo verbo gli è unito tramite l'amore. E poiché ama la conoscenza e conosce l'amore, il verbo è nell'amore e l'amore nel verbo e tutti e due nello spirito che ama e dice il verbo " 3. Questa immanenza della conoscenza nell'amore e dell'amore nella conoscenza permette ad Agostino di parlare del primato dell'amore senza cadere nel volontarismo e può enunziare il celebre aforisma: " ama e fai ciò che vuoi " 4.
Le passioni dunque si riducono all'amore. Infatti " l'amore che brama avere ciò che ama è cupidigia, quello invece che possiede e si rallegra è letizia, se fugge ciò che lo contraria è timore, se avverte che questo lo colpisce è tristezza. Queste passioni sono cattive se l'amore è cattivo, buone se è buono " 5.
All'amore riconduce le virtù morali che altro non sono se non una modulazione dell'unica molla profonda dell'amore. " La temperanza è l'amore che si offre integro alla persona che ama, la fortezza l'amore che tollera tutto facilmente per la persona amata, la giustizia l'amore che serve solo all'amato e perciò domina rettamente tutto il resto, la prudenza l'amore che sceglie con sagacità e distingue le cose da cui è aiutata da quelle che lo impediscono ". Si tratta evidentemente, spiega, dell'amore di Dio, perché la virtù non è altro che " il sommo amore di Dio " 6 o, come dice altrove, l'ordo amoris 7.
All'amore la storia dell'umanità, divisa, in forza dell'amore appunto, in due città: " Due amori han creato due città, la città terrena l'amore di sé... la città celeste l'amore di Dio " 8, o, come dice in un altro luogo, la città terrena l'amore " privato ", la città celeste l'amore " sociale " 9, indicando con questi due aggettivi tutto l'abisso che corre tra l'egoismo e la carità.
All'amore la grazia della salvezza concepita come inspiratio dilectionis 10, " sine qua nemo pie vivit et cum qua nemo nisi pie vivit "; un dono tanto prezioso che rende buono e pio chi le possiede e senza il quale nessuno, per quante qualità abbia, può essere pio e buono. Su di esso dunque si gioca tutta la controversia pelagiana. " Da dove negli uomini - si chiede Agostino - la carità di Dio e del prossimo se non da Dio stesso? Infatti, se non proviene da Dio ma dagli uomini, hanno partita vinta i pelagiani; se invece proviene da Dio abbiamo vinto i pelagiani " 11.
La perfezione cristiana, poi, consiste essenzialmente nella carità e si misura dalla carità, la quale salendo di gradino in gradino - da incipiente diventa progredita, da progredita intensa, da intensa perfetta -, segna il salire della vita cristiana e ne indica l'apice 12; anche i doni dello Spirito Santo hanno la loro sintesi nella carità 13, come pure, più in generale, nella carità si riassume tutto l'insegnamento della Scrittura 14.
Ma Agostino va più a fondo. Vede presente negli abissi dello spirito umano l'amore insieme alla verità. Infatti esso, lo spirito umano, " mai non si ricorda di sé, mai non si conosce (anche se non sempre si pensa), mai non si ama " 15. L'amore è inseparabile dallo spirito umano come la verità, come l'essere, il quale, se è, è necessariamente pensante ed amante. Come non si concepisce intelletto senza la verità che lo informi - è la verità che costituisce l'intelletto nella sua natura e nella sua realtà -, così non si concepisce la volontà senza l'amore del bene, perché è quest'amore che la costituisce nell'essere volontà. Volontà e amore sono una stessa cosa, per cui " la volontà retta è un amore buono, la volontà perversa un amore cattivo " 16.
L'amore dunque non opera dal di fuori ma dal di dentro, come il " peso " nei corpi 17. L'intelletto è partecipe della luce divina, la volontà partecipe dell'eterno amore. Dio, che infondendo l'amore nei cuori, opera interiormente, opera nella natura stessa della volontà senza violarne le strutture, cioè fa in modo che il movimento e il peso verso il bene già presente nel profondo dello spirito superi ogni ostacolo e passi dall'amore siziente all'amore fruente.
2) Questioni semantiche
A questo punto vale la pena fermare per un istante l'attenzione sulla varietà, in questo argomento, del linguaggio agostiniano. Volontà, amore, dilezione, dilettazione, gioia, gusto, fruizione, soavità. Ecco alcuni termini che Agostino usa parlando della grazia e che gioverebbe studiare con particolare attenzione. Non essendo possibile farlo, bastino alcune indicazioni.
Agostino identifica la volontà con l'amore: " lo spirito umano è così costituito che mai non si ricorda di sé, mai non s'intende, mai non si ama " 18; identifica, contro l'opinione di altri (sembra di Origene), l'amore con la dilezione: " l'amore non significa se non la dilezione o la carità " 19, e parla pertanto indifferentemente di volontà o amore o dilezione: " la volontà, o l'amore o la dilezione, che è la volontà in tutta la sua forza, perché la nostra volontà, che fa parte della natura del nostro essere, secondo che è sollecitata o incontra degli oggetti che l'attraggono o la respingono, prova delle affezioni differenti " 20.
La dilezione poi genera la dilettazione 21, e questa la compiacenza nella legge di Dio, il gusto, la soavità, la gioia, il godimento o fruizione. La dilettazione non è qualcosa di diverso dalla volontà e dall'amore, come sembrò considerarla Giansenio, ma è la volontà stessa o l'amore che aderendo fortemente al bene supera ogni ostacolo contrario e diventa vittorioso, diventa la delectatio victrix 22, concetto su cui si è tanto equivocato.
Tutto pertanto si riduce all'amore. Giova leggere per intero il testo de La città di Dio: " La volontà retta è amore buono, la volontà perversa amore cattivo. Quindi l'amore che aspira ad avere ciò che ama è avidità, quello invece che possiede e si rallegra è letizia; se fugge da ciò che lo contraria è timore; se avverte ciò che lo colpisce è tristezza. Questi sentimenti sono cattivi se è cattivo l'amore, buoni se l'amore è buono " 23.
Sarebbe lungo qui definire la nozione dei singoli effetti psicologici che accompagnano la dilettazione (soavità, gusto, gioia, godimento, fruizione); dirò subito che uno di essi, la soavità, è fondamentale per capire l'azione della grazia, che è insieme efficace e " liberale ".

2. L'amore fonte di libertà

Il discorso fatto finora è preludio a quello che segue. Agostino, dopo aver ricondotto tutta l'attività umana all'amore, indica nell'amore la via per conciliare insieme la libertà e l'attrazione operante di Dio o, come noi siamo soliti dire, la libertà e la grazia efficace; indicando così la soluzione del problema " difficilissimo e a pochi intelligibile ".
L'indicazione ci viene a proposito del commento alla parola più forte insieme e più profonda che S. Giovanni usa nei riguardi della grazia operante: nisi Pater qui misit me traxerit eum (Gv 6,44). Agostino ne nota la fortezza: Non dixit: duxerit; sed traxerit 24: Non ha detto: se il Padre mio non lo conduce, ma se non l'attira. In questa forte parola prevede che i lettori trovino una difficoltà, e ammonisce: Noli te cogitare invitum trahi; trahitur animus et amore 25: non pensare di essere attratto contro la tua volontà: l'animo è attratto anche dall'amore. Dove, insieme alla difficoltà, c'è anche la soluzione. L'amore, essendo atto essenziale della volontà, non può essere mai contro la volontà: chi agisce amando, non agisce mai contro la sua volontà. Difficoltà e soluzione vengono riproposte ed esplicitate subito dopo. Dice Agostino: " Non dobbiamo temere il giudizio di quanti stanno a pesare le parole, ma sono incapaci d'intendere le cose di Dio; i quali, di fronte a questa affermazione del Vangelo, potrebbero dirci: quomodo voluntate credo, si trahor? ". Prima di sentire la risposta, cerchiamo di capire la difficoltà. Il quomodo voluntate credo, si trahor? significa qui: come credo di mia propria volontà, di mia iniziativa, liberamente, senza costrizione, se vengo attratto? O in forma negativa: come non credo contro voglia - l'oratore aveva detto poco prima: nolite cogitare invitum trahi -, se vengo attratto? Inutile dire che Agostino imposta il problema della libertà della fede di cui aveva parlato poco prima concludendo che l'uomo può far molte cose non volendo, ma: credere non potest nisi volens 26. E' il nemo credit invitus di cui abbiamo parlato 27. Questo problema gli viene riproposto dalle parole evangeliche che sembrano metterlo in forse.
Quale la risposta? Ecco le sue parole: Ego dico: parum est voluntate, etiam voluptate traheris 28. Parole chiare e oscure insieme. Che cosa vogliono dire? Non certamente che la voluntas e la voluptas sono due forze parallele che portano a Cristo anche se la prima è insufficiente; ma piuttosto che non basta parlare di volontà se non si parla anche di " voluttà " o piacere. E' il piacere infatti che muove la volontà e opera l'attrazione. " E' poco parlare di volontà, quando non si parli anche, a proposito di attrazione, di piacere. Che significa - continua Agostino - essere attratti dal piacere? Metti il tuo piacere nel Signore, ed egli soddisferà i desideri del tuo cuore. Esiste anche un piacere del cuore, per cui esso gusta il pane celeste ".
Lo conferma la citazione di Virgilio: " Se il poeta ha potuto dire: Ciascuno è attratto dal suo piacere, non dalla necessità ma dal piacere, non dalla costrizione ma dal diletto; a maggior ragione possiamo dire che si sente attratto da Cristo l'uomo che trova il suo diletto nella verità, nella beatitudine, nella giustizia, nella vita eterna, in tutto ciò, insomma, che è Cristo " 29.
L'attrazione del Padre non viola, dunque, la libertà perché opera attraverso l'amore. Ora l'amore, muovendo dal di dentro, secondo la natura stessa della volontà, non si oppone ma s'identifica con la libertà. E' libero solo chi agisce per amore; per amore, non per timore: questo non allarga ma restringe gli sforzi della libertà. Infatti la libertà esclude il timore 30. Perciò " le opere buone debbono esser fatte non per timore ma per amore, non per paura della pena ma per la dilettazione della giustizia. Ipsa est enim vera et sana libertas " 31.
A questo proposito il nostro autore ha creduto bene di coniare un principio: liber facit qui libens facit 32: agisce con libertà chi agisce con amore. La conseguenza è che la legge dell'amore è la legge della libertà: lex caritatis lex libertatis 33.
Vale la pena di riportare un testo anche se lungo nel quale Agostino difende e dimostra che la grazia non toglie ma conferma la libertà dell'arbitrio. " Per la legge si ha la cognizione del peccato, per la fede l'interpretazione della grazia contro il peccato, per la grazia la sanazione dell'anima dal vizio del peccato, per la sanazione dell'anima la libertà dell'arbitrio, per il libero arbitrio l'amore della giustizia, per l'amore della giustizia l'osservanza della legge. Come dunque la legge non si elimina, ma si conferma per la fede, perché la fede impetra la grazia di poter praticare la legge, così il libero arbitrio non si elimina per la grazia, ma si conferma, perché la grazia risana la volontà con la quale si ami liberamente la giustizia " 34.
Per approfondire il principio del liber facit qui libens facit Agostino insiste sulla suavitas frutto della grazia e origine della libertà, coniando anche qui un'espressione che può essere presa come emblematica della sua dottrina sulla grazia operante e cooperante: la liberalis suavitas amoris 35; la soavità dell'amore che genera la libertà.
Commentando le parole del Salmo 118,103 (Quanto sono dolci al mio palato le tue parole; sono alla mia bocca più gradite del miele), scrive: " Questa è la soavità che Dio dona perché la nostra terra produca il suo frutto; perché, cioè, noi operiamo il bene veramente bene; non quindi per paura di mali temporali ma per l'attrattiva che possiede in se stesso il bene spirituale " 36.
Altrove, parlando sempre al popolo: " Credi e vieni; ama e sei attratto... è dolce, è soave: la stessa soavità ti attrae; ipsa suavitas te trahit " 37. E nelle opere dommatiche la stessa dottrina: Dio opera interiormente affinché " cum ineffabili suavitate credatur " 38.
Dalla soavità la libertà: gli angeli servono Dio con libertà; ma perché con libertà? perché con soavità: liberaliter, quia suaviter 39. Gli esempi soccorrono la teoria: sono celebri quelli delle noci o del ramo verde. " Tu mostri alla pecora un ramo verde, e l'attrai. Mostri delle noci ad un bambino e questo viene attratto: egli corre dove si sente attratto; è attratto da ciò che ama, senza che subisca alcuna costrizione; è il suo cuore che rimane avvinto " 40. Dal sensibile Agostino sale al mondo dello spirito: " Ora se queste cose, che appartengono ai gusti e ai piaceri terreni, esercitano tanta attrattiva su coloro che amano non appena vengono loro mostrate - poiché veramente 'ciascuno è attratto dal suo piacere' -, quale attrattiva eserciterà il Cristo rivelato dal Padre? Che cosa desidera l'anima più ardentemente della verità? " 41.
Non v'è dubbio: è l'amore, la dilettazione, la soavità che assicurano la libertà dell'uomo attratto dalla grazia. Ma ne assicurano anche l'efficacia effettiva? E' quello che vedremo.

3. L'amore fonte d'infallibile efficacia

L'amore non è solo la chiave per capire la libertà dell'uomo che risponde all'azione della grazia, ma la chiave altresì per capire l'infallibilità dell'azione divina. L'insegnamento agostiniano si può riassumere come in un climax in tre affermazioni.
La prima è questa: ancorché conosciamo ciò che dobbiamo fare, nisi etiam delectet et ametur, non agitur, non suscipitur, non bene vivitur 42.
La seconda, non meno importante, è quest'altra: " Tanto più fortemente noi vogliamo qualcosa quanto meglio conosciamo la grandezza della sua bontà e quanto più ardentemente ci diletta " 43.
La terza, infine, la più forte, è quest'altra ancora: Quod amplius nos delectat, secundum id operemur necesse est 44.
La conseguenza è che l'amore, rendendo leggera ogni cosa pesante e dolce ogni cosa amara, assicura il raggiungimento del fine. Esempio classico il martire. Sul martirio Agostino ha parole di profonda teologia e di alta mistica. Eccone un esempio: " I martiri sono i veri e perfetti amanti della giustizia... [il martire] ama, arde, bolle, calpesta tutto ciò che diletta, e passa; si appressa alle cose aspre, orrende, truculente, minac ciose, le calpesta, le spezza, e passa ". " Oh amare, oh andare, oh perire a sé, oh pervenire a Dio! " 45. Queste parole e queste esclamazioni dicono tutta l'ammirazione e l'entusiasmo di Agostino per la fortezza dei martiri e la sua profonda convinzione che davvero omnia vincit amor.
Si può ricordare anche a questo proposito l'esempio della conversione di Agostino stesso. Dopo la drammatica lotta tra la carne e lo spirito, tra gli ideali puramente terreni e quelli altamente sapienziali descritta nel libro VIII delle Confessioni, dopo la lettura d'un passo di San Paolo, scrive: Statim... quasi luce securitatis infusa cordi meo omnes dubitationes tenebrae diffugerunt 46. Fu quella luce di sicurezza che determinò la sua conversione.

II

LA GRATUITA' DELLA GRAZIA

Abbiamo seguito Agostino mentre affrontava il difficile tema della libertà dell'uomo e dell'azione divina della grazia; seguiamolo mentre approfondisce l'altro aspetto di questo mistero: la gratuità della grazia, così spesso inculcata dalla Scrittura, soprattutto da S. Paolo, e così cara al vescovo d'Ippona che vede in essa il segno della misericordia divina che non ha limiti.
Anche qui come altrove cominceremo con l'indicare il fondamento biblico a cui il nostro dottore si richiama e a cui vuol restare fedele, anche se spesso quel fondamento offre non piccole difficoltà alla ragione umana; poi indicheremo la dottrina pelagiana e la risposta agostiniana; illustreremo inoltre i tre punti della gratuità della grazia: la giustificazione, l'inizio della fede, la perseveranza finale; come conseguenza di questa gratuità tratteremo la dottrina agostiniana del merito; infine vedremo come Agostino passi incolume tra il " vanto " del giusto e le " scuse " del peccatore, il primo - il " vanto " - escluso dalla grazia, le altre - le " scuse " - non ammesse dalla responsabilità umana nel peccato.

CAPITOLO QUINTO

FONDAMENTO BIBLICO DEL DONO GRATUITO DELLA GRAZIA

Cominciamo da qui, perché da qui comincia Agostino. I testi biblici in proposito sono molti, e si può esser certi che il nostro dottore li ha raccolti tutti. Non solo, ma li ha commentati e ha fatto leva su di essi per difendere contro i pelagiani un aspetto essenziale della grazia: la gratuità.

1. Romani 9, 10-29 nella risposta a Simpliciano

Cominciò appena vescovo con la risposta a Simpliciano, successore di Ambrogio. Simpliciano, succeduto nell'episcopato al suo figlio spirituale 1, scrisse ad Agostino, alla cui conversione aveva molto contribuito 2, per proporgli alcuni dubbi sull'interpretazione della Scrittura. Due di essi riguardavano la Lettera ai Romani, dei quali il secondo verteva sulla pericope 9, 10- 29, cioè sull'elezione divina e sul dono gratuito della fede, questione quanto mai oscura e difficile. Il giovane vescovo d'Ippona 3 che venerava Simpliciano come un " padre " 4, nonostante le difficoltà dell'argomento, si fece un dovere di rispondere. Rispose infatti intessendo il suo discorso su questo principio: " Prima di tutto terrò presente, per consultarla, l'intenzione dell'Apostolo che appare lungo tutta la lettera. L'intenzione è questa: nessuno si glori delle proprie opere; de operum meritis nemo glorietur " 5.
Seguendo questa intenzione e tenendo presente tutta la pericope paolina ed altri passi scritturistici, come la Lettera agli Efesini, la interpreta senza esitazione, anche se dopo lunga indagine, secondo l'assoluta gratuità della grazia che precede tutte le buone opere: le precede attraverso il dono della fede. Osserva che i giudaizzanti, i quali volevano sottomettere i cristiani ai riti giudaici, " non capivano che proprio perché la grazia è evangelica, non è dovuta alle opere, altrimenti la grazia non è più grazia (Rom 11,6) ". La prima grazia è dunque quella della fede: " l'uomo comincia a percepire la grazia da quando comincia a credere a Dio "; questa è minore nei catecumeni, maggiore nei battezzati 6. Esempio di questa elezione divina che dona la fede è Giacobbe che Dio preferì ad Esaù (Rom 9, 10-13), elezione assolutamente gratuita, perché non dipende dalla volontà né dagli sforzi dell'uomo, ma da Dio che usa misericordia (Rom 9,16), cioè dipende dal disegno divino fondato sull'elezione (Rom 9,11): " Perció - commenta Agostino - non è il disegno divino che rimane fermo secondo l'elezione, ma è l'elezione che proviene dal disegno divino: ex proposito electio. Questo disegno è un disegno di misericordia che elargisce il dono della fede prima di ogni merito: ante omne meritum est gratia, poiché Cristo è morto per gli empi " 7.
A questo punto Agostino prende le difese di Esaù. " C'è una questione - scrive - che ci angustia sommamente ed è questa: perché la misericordia non è stata usata nei riguardi di Esaù? " 8. Dov'è una condizione uguale, perché una sorte tanto diversa? Né si può dire che Esaù sia stato " riprovato " perché Dio nella sua prescienza ha previsto la cattiva volontà di lui. Infatti " se per la prescienza di Dio della futura cattiva volontà di Esaù, perché non dire che Giacobbe fu 'approvato' per la prescienza della sua buona volontà futura? " 9. Del resto " chi può dire che all'Onnipotente manchi la maniera di persuadere chiunque perché creda? " 10. Resta dunque da vedere se, quando Dio abbandona (deserit) non chiamando quomodo scit ei congruere ut vocantem non respuat 11, non sia già una pena derivante da un giusto giudizio per quanto occulto 12.
Prima di seguire Agostino in questa faticosa ricerca giova ricordare un passo delle Ritrattazioni. Recensendo quest'opera che stiamo esaminando, dice a proposito della nostra questione: " Nella soluzione di tale questione si è faticato a favore del libero arbitrio della volontà umana, ma vinse la grazia di Dio: vicit gratia Dei " 13. Chi legge attentamente quanto scrisse nella risposta a Simpliciano, non può non essere d'accordo. Faticò molto per trovare una ragione che riponesse nella volontà dell'uomo la distinzione tra gli eletti e i non eletti. Prima di allora - come dirò subito - l'aveva trovata nella volontà di credere e di non credere, ora si accorge che era impossibile: l'Apostolo gli sbarrava la strada. Gliela sbarrava non solo con quella tagliente domanda della 1 Cor 4,7: Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto?; ma anche con le forti parole della pericope della Lettera ai Romani 9,18: Dio usa misericordia con chi vuole e indurisce chi vuole, col conseguente esempio del vasaio che è padrone di fare con la medesima pasta (massa) un vaso per uso nobile e uno per uso volgare (Rom 9,21). Agostino spiega che Dio non indurisce infondendo la malizia, ma non impartendo la misericordia, non spingendo a peccare ma abbandonando l'uomo a se stesso 14. Ma questo non toglie la profondità del mistero. E' chiaro in ogni caso che la distinzione tra " reprobi " e " approvati " sta nell'imperscrutabile disegno di Dio, di fronte al quale l'uomo non può non ricordarsi della sua condizione di uomo peccatore. O uomo, tu chi sei per disputare con Dio? (Rom 9,20).
La luce che può rischiarare e rasserenare un poco la mente umana è una sola: la certezza - una certezza incrollabile che dobbiamo ritenere con fermezza assoluta 15 -, che non c'è iniquità presso Dio 16. Dio non avversa nelle sue creature se non il peccato 17. Ora il genere umano è diventato in Adamo una " massa " di peccato: una quaedam massa peccati 18, cui è dovuta la pena meritata. Questa pena Dio per misericordia la condona a chi vuole, ed aequitate occultissima la esige da chi vuole. Questa divina economia dimostra due cose: " ciò che dobbiamo temere affinché attraverso il timore ognuno si converta a Dio con pietà, e i ringraziamenti senza fine che dobbiamo alla misericordia divina, la quale dimostra nella pena degli uni qual è il dono che fa agli altri " 19. Noterà il lettore questa conclusione pastorale, che è lo scopo ultimo a cui mirano tutte le indagini, anche le più profonde, di Agostino. Ne segue dunque che i " reprobi " non possono che incolpare se stessi, gli " approvati " non possono che rendere grazie a Dio, e così qui gloriatur in Domino glorietur (1 Cor 1,31), che era appunto l'intenzione dell'Apostolo in tutta la pericope.

2. Un cambiamento che Agostino riconosce e confessa.

Ho detto sopra che, studiando la pericope paolina - Rom 9, 10-29 - per rispondere a Simpliciano, quello che sarà il dottore della grazia si accorse che stava commettendo un errore circa la grazia, cioè l'errore di credere che l'inizio della fede derivasse dall'uomo, e quindi dall'uomo il merito cui faceva seguito il dono della giustificazione e delle opere buone.
Si sa che molto si è insistito e molto s'insiste sui cambiamenti del pensiero agostiniano. Giuliano pretese che il vescovo d'Ippona avesse cambiato opinione circa il peccato originale. Alcuni moderni, come il Turmel, il Buonaiuti e il Gross, lo seguono e gli danno ragione 20. Agostino, appellandosi alle sue opere, anche a quelle giovanili, protestò fortemente, affermando di non aver cambiato opinione su questo punto 21: la critica deve dargli ragione 22. Sulla grazia invece confessò candidamente il suo errore, indicando il momento in cui lo riconobbe e lo corresse 23. Di esso del resto sono testimonianza alcune opere scritte prima del 397.
Leggiamo nell'Esposizione di alcune proposizioni della lettera ai Romani: " non predestinò se non colui che previde che avrebbe creduto e avrebbe seguito la sua vocazione " 24; e poco dopo: " il credere è nostro, ma operare il bene è di Colui che dà a coloro che credono lo Spirito Santo " 25. Nel ritrattare le Ottantatré diverse questioni, q. 68, sente il bisogno di avvertire, a proposito di alcune sue osservazioni, che " la misericordia di Dio previene la stessa volontà " 26. Sono alcuni esempi 27.
Invece di proseguire, vale la pena di notare che nelle Diverse questioni a Simpliciano Agostino corresse decisamente questa errata convinzione, che da allora in poi sparisce dai suoi scritti, ma non lo disse esplicitamente: lo dirà nelle Ritrattazioni e poi nelle ultime opere, quando nel suo antico errore scoprirà quello dei monaci provenzali, i quali si appellavano alle sue opere ma non si preoccupavano di progredire insieme a lui nella dottrina 28.
A proposito di questo cambiamento è importante notare che in una questione tanto delicata - la electio gratiae - il pensiero agostiniano si è maturato per ragioni bibliche, non per ragioni polemiche, e si è maturato molto tempo prima - 15/16 anni prima - che scoppiasse la controversia pelagiana e 30/31 anni prima che i monaci provenzali si appellassero alla sua antica dottrina e la facessero propria 29.
Ma forse per intendere meglio l'atteggiamento agostiniano è utile distinguere tre momenti: quello della fede semplice, quello della prima riflessione e quello della maturità. Del primo se ne ha una traccia nella preghiera dei Soliloqui, del secondo nei testi ricordati, del terzo nelle Diverse questioni a Simpliciano. Infatti nella preghiera dei Soliloqui, cominciando, prega Dio così:" Concedimi di pregarti bene, poi d'esser fatto degno ch'io sia esaudito, infine che tu mi liberi " 30. E poco appresso: " Comanda ed ordina ciò che vuoi, ti prego, ma guarisci ed apri le mie orecchie affinché possa udire la tua voce. Guarisci ed apri i miei occhi affinché possa vedere i tuoi cenni " 31. Ed ancora: " Se tu abbandoni, si va in rovina; ma tu non abbandoni perché sei il sommo bene che sempre si è raggiunto se si è rettamente cercato; ed ha rettamente cercato chiunque sia stato da te reso capace di cercare rettamente " 32. E' evidente che Agostino, convertito ma ancora catecumeno, ascrive a Dio l'inizio stesso del suo cammino verso di Lui. Del resto in un altro dialogo di Cassiciaco ascrive apertamente alla preghiera di sua madre la sua conversione: " Io credo senza incertezze ed affermo che per le tue preghiere Dio mi ha concesso l'intenzione di non preporre, non volere, non pensare, non amare altro che il raggiungimento della verità. E continuo a credere che per le tue richieste conseguiremo un bene tanto grande cui abbiamo per i tuoi meriti aspirato " 33. Lo stesso pensiero troviamo nel Dono della perseveranza dove parlando delle Confessioni dice: " Se vi ricordate, con il mio racconto [della conversione] mostrai che mi fu concesso di non perire grazie alle lacrime quotidiane e piene di fede di mia madre " 34. Questa coincidenza tra le prime opere del catecumeno e le ultime del vecchio maestro è molto significativa e ci lascia pensare che Agostino non è mai avaro di sorprese.

3. La grazia è, per definizione, gratuita

Ma se qualcuno pensasse che per sostenere la gratuità della grazia il vescovo d'Ippona si riferisce solo alla pericope di Rom 9, 10-19, avrebbe torto. Egli trova e propone tutti i testi paolini, che non sono pochi. Il primo tra essi, e tante volte citato, è preso dalla stessa Lettera ai Romani 11,6, dove l'Apostolo, parlando del tema della " elezione della grazia ", tema tanto caro ad Agostino, commenta: E se lo è per la grazia, non lo è per le opere; altrimenti la grazia non sarebbe più grazia (Rom 11,6). Il dottore della grazia ripete molte volte le parole paoline, fin da quando comincia la polemica con i pelagiani su questo tema della gratuità 35, e spesso le commenta: " Che cos'è la grazia? Un dono gratuito. Qualcosa che viene regalato, non qualcosa che è dovuto. Se essa ti fosse stata dovuta, il dartela avrebbe significato pagarti un debito, non farti una grazia " 36.
Ma non bisogna equivocare, spiega insistentemente Agostino. Dice al suo popolo con ansia pastorale e chiarezza teologica: " Comune a tutti è la natura, non la grazia. Non si deve reputare grazia la natura [ricevuta]; che se la si considera grazia, è perché anch'essa è donata gratuitamente. Difatti non fu l'uomo, che ancora non esisteva, a meritarsi l'esistenza " 37. " Questa è la grazia. Al di là di quella grazia ordinaria e d'indole naturale per cui noi che non esistevamo diventammo uomini ( grazia non meritata perché non esistevamo), al di là di quella grazia, quest'altra è la grazia più grande: essere diventati suo popolo e pecore del suo pascolo, per l'opera del nostro Signore Gesù Cristo " 38. Ed insiste: " Non consideriamo quindi la grazia della creazione della natura umana, grazia comune ai cristiani ed ai pagani. La grazia più grande è questa: non l'essere stati creati uomini ad opera del Verbo, ma l'essere diventati credenti ad opera del Verbo incarnato " 39.
Non si poteva essere né più espliciti né più incisivi. Nella Predestinazione dei Santi la differenza tra natura e grazia viene espressa in chiave di potere ed avere: il potere appartiene alla natura degli uomini, l'avere alla grazia dei fedeli. " Non tutti hanno la fede (2 Thess 3,2), anche se tutti possono averla...In conclusione, poter avere la fede, come poter avere la carità, appartiene alla natura degli uomini: ma avere la fede, come avere la carità, appartiene alla grazia dei fedeli. Pertanto quella natura che ci dà la possibilità di avere la fede, non distingue uomo da uomo; la fede invece distingue il credente dal non credente " 40.
A sigillo di questo attento insegnamento - che distingue tra natura e grazia e considera anche la natura un dono gratuito (dando in questo ragione a Pelagio), ma vuole che non si confonda e che si affermi, oltre alla natura, anche la grazia, riservando questo secondo nome al dono della salvezza a cominciar dalla fede - possono essere prese le parole della Città di Dio dette degli angeli: " Dio era presente in essi costituendo la natura ed elargendo nello stesso tempo la grazia: simul eis et condens naturam et elargiens gratiam " 41.
L'alioquin gratia iam non est gratia come netta affermazione di gratuità torna così frequentemente nelle opere agostiniane che non vale la pena d'insistere nella vana erudizione delle citazioni 42, mentre è molto più importante seguire il nostro dottore nell'ulteriore approfondimento delle Scritture che gli rivelano nuovi orizzonti.