00 30/03/2012 20:48
Rapporto di scienza, ragione...

26. 51. A. - Ti sei dimenticato, mi pare, quale motivo è emerso quando ho chiesto se ritenevi che si ha scienza, qualora un oggetto viene rappresentato con certezza da ragione pura. Hai risposto, a quanto mi pare, che secondo te questa è la scienza umana. Ora poi mi vieni a dire che l'uomo può avere scienza senza avere appreso con certezza un qualche oggetto con la ragione. È ovvio per ognuno che non v'è contraddizione più lampante quanto fra le due seguenti affermazioni: " Non si dà scienza, se l'oggetto non è appreso con certezza da ragione pura ", e: " V'è scienza di un oggetto non appreso con certezza mediante ragione ". Vorrei sapere quale scegli delle due affermazioni perché è assolutamente impossibile che entrambe siano vere.
E. - Scelgo quella che ho detto per ultima. Ammetto di avere scelto la prima senza ragionamento. Noi ricerchiamo il vero con la ragione, mediante il dialogo appunto. Come sarebbe possibile raggiungere la sintesi, con cui la ragione si conchiude, se non si dessero dei presupposti? E come sarebbe possibile dare un presupposto, di cui non si avesse scienza? Ad esempio, se la ragione in esame non trovasse in me un qualche preconosciuto, sul cui fondamento condurmi all'inconosciuto, non avrei da esso nessuna nuova conoscenza e non potrei neanche considerarla ragione. Pertanto invano ti rifiuti di concedermi che necessariamente prima della ragione si ha in noi una qualche scienza, da cui la ragione ha il suo cominciamento.
A. - Ti accontento e, secondo il mio metodo, ti permetto di ritrattarti ogni volta che ti avvedi di una erronea concessione. Ma per piacere, non abusare di questo permesso e non cedere alla distrazione, quando ti interrogo, affinché le frequenti concessioni erronee non ti costringano a dubitare anche delle legittime.
E. - Passa al resto, piuttosto. Io rinnovo, quanto posso, la mia attenzione e provo imbarazzo nel vedermi tanto spesso a terra senza il sostegno della mia tesi. Tuttavia non cesserò di resistere a questo imbarazzo e di sollevarmi dalla mia caduta, soprattutto perché tu mi porgi la mano. Non si deve incappare nella cocciutaggine perché la fermezza è lodevole.

...e ragionamento.

27. 52. A. - Hai enunziato una massima a me così gradita da doverti augurare che quanto prima si mostri in te pienamente tale fermezza. Ma ora renditi molto attento alle mie domande. Ti chiedo quale differenza esiste, secondo te, fra ragione e ragionamento.
E. - Non son capace di notare la differenza.
A. - Considera allora se, a tuo avviso, nell'individuo già adolescente o maturo, ovvero, a scanso d'ogni equivoco, filosofo, la ragione è presente senza interruzione, finché è sano di mente, allo stesso modo che la salute nel corpo, finché è privo di malattie e ferite; ovvero se, come il camminare, il sedere, il parlare, ora è assente ed ora è presente.
E. - Ritengo che la ragione è sempre presente in una mente sana.
A. - Noi talvolta o nel dialogo ovvero operando sintesi, da postulati e assiomi ci portiamo alla conoscenza d'un qualche cosa d'altro. Secondo te, noi, o meglio un filosofo, eseguiamo sempre questa operazione?
E. - Non sempre. Secondo me, non sempre un profano o un filosofo fa delle ricerche su un argomento o da solo o dialogando con altri. Chi cerca non ha ancora trovato. Ma se cerca sempre, non trova mai. Tuttavia il filosofo ha già trovato, per non dire altro, la filosofia. La cerca, non ancor filosofo, forse col dialogo o in altri modi possibili.
A. - Bene. Devi quindi comprendere, così vorrei, che non si tratta di ragione, quando da postulati o principi noti ci portiamo a un oggetto non conosciuto. Tale atto, come già d'accordo, non sempre è presente a una mente sana, la ragione sempre.

Scienza in quanto derivante da ragione...

27. 53. E. - Comprendo, ma a che scopo questo discorso?
A. - Poco fa hai detto che io ti devo accordare come certa l'esistenza in noi di scienza prima della ragione, dal fatto che essa si fonda su qualche cosa di conosciuto, mentre la ragione ci conduce a una verità non conosciuta. Ora al contrario abbiamo accertato che tale operazione specificamente non è ragione, perché una mente sana, mentre sempre ha la ragione, non sempre compie l'atto in parola. Piuttosto, e forse giustamente, tale atto si denomina ragionamento, così che la ragione è, per cosi dire, uno sguardo dell'intelligenza e il ragionamento è una ricerca della ragione, cioè il movimento dello sguardo attraverso gli oggetti che si devono guardare. Dunque questo è necessario alla ricerca, quello alla intuizione. Pertanto lo sguardo dell'intelligenza, che si denomina ragione, quando si dirige sull'oggetto e ne ha visione, si dice scienza. Se poi l'intelligenza non ha visione, sebbene applichi lo sguardo, si dice mancanza di scienza o di conoscenza. Anche con gli occhi del corpo non sempre la visione segue allo sguardo. È un fatto che si può agevolmente verificare nella oscurità. Ne consegue che differiscono, secondo me, sguardo e visione, che nella intelligenza si dicono ragione e scienza. Penso che non hai obiezioni in proposito e non ritieni che i due concetti sono stati poco chiaramente distinti.
E. - La distinzione mi piace assai e l'accetto volentieri.
A. - Ora considera se, secondo te, si guarda per vedere o si vede per guardare.
E. - Lo sguardo è per la visione e non la visione per lo sguardo. Non ne dubiterebbe neanche un cieco.
A. - Si deve dunque ammettere che la visione è di grado più alto dello sguardo.
E. - Certamente.
A. - Quindi la scienza più del pensiero.
E. - Logico, secondo me.
A. - Ti va che le bestie siano più perfette e felici degli uomini?
E. - Iddio ci liberi da sì grande pazzia.
A. - Giustamente sei inorridito. Ma a tale conclusione ci costringe la tua tesi, poiché hai detto che le bestie hanno scienza ma non ragione. La ragione invece l'ha l'uomo, ma con essa difficilmente si raggiunge scienza. Ma pur nell'ipotesi che si raggiunga facilmente, a che ci serve la ragione per considerarci migliori delle bestie, se esse hanno scienza ed è stato accertato che la scienza è in più alto grado della ragione?

...manca nelle bestie.

28. 54. E. - Sono costretto senza scampo o a rifiutare la scienza alle bestie o a non poter ribattere che siano considerate giustamente più di me. Ma, ti prego, spiegami il significato dell'episodio, da me ricordato, del cane di Ulisse. Preso da commosso stupore per lui, ho abbaiato a vuoto.
A. - Devi ricordare che si tratta di una particolare facoltà sensibile e non di scienza. Molte bestie ci superano nella sensazione. Non è qui il luogo di trattare la ragione del fatto. Iddio comunque ci ha creati superiori ad esse per l'intelligenza, la ragione, la scienza. Ma la sensazione, con l'aiuto dell'adattamento che ha un grande potere, può discernere gli oggetti che sono fonte di godimento per le anime inferiori, e tanto più agevolmente perché l'anima bruta è più condizionata al corpo, in cui risiedono gli organi funzionari al vitto e al piacere, che essa riceve nel corpo stesso. L'anima umana al contrario, mediante ragione e scienza, di cui trattiamo, per il fatto che esse sono di gran lunga superiori ai sensi, si distacca dal corpo nei limiti che le è possibile e gode più volentieri del piacere interiore, ma quanto più si abbassa alla sensibilità, tanto più rende l'uomo simile alla bestia. Anche i bimbi, nei primi mesi di vita, quanto più sono estranei al pensiero, tanto meglio discernono con la sensazione anche il contatto e il modo di attaccarsi alle nutrici e non possono tollerare l'odore di altre, con le quali è mancato l'adattamento.

Ci dobbiamo a noi e a Dio.

28. 55. Pertanto, quantunque l'argomento derivi soltanto occasionalmente dall'altro, mi soffermo volentieri sul tema dell'ammonimento all'anima perché non si disperda nella sensibilità più di quanto il bisogno lo richiede. Piuttosto si raccolga in se stessa e tomi a Dio fanciulla. È questo diventare un uomo nuovo, spogliando il vecchio. Ma è inderogabile necessità cominciare proprio da lui a causa della trasgressione della legge di Dio. È la verità più profonda fra quelle contenute nella sacra Scrittura. Vorrei dire altre cose sull'argomento e, nell'atto stesso che ti sto facendo quasi da precettore, far forza a me stesso per non impegnarmi ad altro che ad essere restituito a me perché a me stesso mi devo principalmente e così divenire per Iddio ciò che ha detto Orazio: Schiavo amico del padrone 6. Ma non può avvenire se non ci riformiamo alla sua immagine. Egli ce l'ha consegnata per custodirla come oggetto molto prezioso e caro. E per questo ci ha dato tale coscienza di noi stessi che soltanto lui possiamo preferire a noi. Nulla mi sembra più attivo di tale impegno e nulla di più simile alla inattività. E lo spirito lo può accettare e adempiere soltanto con l'aiuto di colui, cui viene restituito. Ne consegue che l'uomo si deve riformare con la clemenza di colui, dalla cui bontà e potere è stato formato.

Si torna alla definizione.

28. 56. a dobbiamo tornare all'assunto. Rifletti se sei convinto che le bestie non hanno scienza e tutta l'apparenza di scienza, di cui ci meravigliamo, non è che potere della sensazione.
E. - Ne son convinto. Ma se v'è nell'argomento qualche punto da considerare più attentamente, lo esaminerò in altro tempo. Ora vorrei sapere che ne deduci.

29. 56. A. - Soltanto la definizione della sensazione. Prima includeva un non so che di altro dalla sensazione, adesso è infondata per il difetto contrario che non include ogni sensazione. Infatti le bestie hanno sensazione, ma non scienza. Ora dell'oggetto presente all'anima si ha anche scienza e ogni oggetto, di cui si ha scienza, appartiene certamente alla scienza. In proposito ci siamo già accordati. Dunque o non è vero che la sensazione è modificazione del corpo presente all'anima, ovvero di essa sono prive le bestie perché prive di scienza. Ma noi attribuiamo la sensazione alle bestie, quindi la definizione è difettosa.
E. - Confesso che non trovo nulla da ribattere.

Scienza è rappresentazione mediante ragione...

29. 57. A. - Ma eccoti un altro motivo per farci maggiormente vergognare della definizione. Ricordi, come penso, il terzo difetto di una definizione che ti ho presentato, il più grosso di tutti, perché essa non è vera da nessuna delle due prospettive. Ad esempio, è tale quella dell'uomo: L'uomo è un animale quadrupede. Chi afferma mediante giudizio: Ogni uomo è animale quadrupede, ovvero: Ogni animale quadrupede è uomo, salvo facezia, è certamente pazzo.
E. - Giusto.
A. - E posto che la nostra definizione abbia questo deplorevole difetto, vi sarebbe qualche cosa che, secondo te, si dovrebbe assolutamente eliminare dall'anima?
E. - Chi non lo ammetterebbe? Ma non vorrei, se possibile, esser trattenuto tanto a lungo sull'argomento ed essere frastornato da tante domande minuziose.
A. - Non temere, l'operazione è ormai terminata. Non sei rimasto convinto, quando si è trattato della differenza fra bestie e uomini, che altro è avere sensazione ed altro avere scienza?
E. - Sì, certamente.
A. - Dunque altro è sensazione ed altro è scienza.
E. - Sì.
A. - Ma noi non abbiamo la sensazione mediante il pensiero, ma con la vista o l'udito o l'odorato o il gusto o il tatto.
E. - D'accordo.
A. - E dell'oggetto, di cui si ha scienza, si ha scienza col pensiero. Dunque la sensazione non è scienza. Ma l'oggetto presente all'anima appartiene alla scienza. Dunque l'aver presente non appartiene alla sensazione, allo stesso modo che l'uomo non può essere considerato quadrupede. Pertanto viene condannata questa nostra definizione, da te patrocinata, perché non solo ha invaso i confini altrui e ha lasciato qualche cosa che era di suo diritto, ma addirittura non ha nulla di suo e tutto ciò che ha occupato non è suo.
E. - Che fare dunque? Sopporterai che se ne vada così dal nostro tribunale? In quanto a me, è vero che le ho offerto il patrocinio che ho potuto, ma sei stato tu a produrre la formula dell'azione giudiziaria che ci ha tratto in errore. Io inoltre, sebbene non abbia potuto vincere la causa, tuttavia ho dato la mia assistenza con lealtà. E per me basta. Ma tu, se sarai accusato d'imbroglio in atto legale, che farai? Proprio tu l'hai prodotta in giudizio per farle difendere arrogantemente il suo buon diritto per poi impugnarla e farla perdere con disonore.
A. - Ma c'è qui un giudice, da cui essa ed io dobbiamo temere? Io, nella veste di giureconsulto interpellato, ti ho voluto ribattere in sede non legale per istruirti. Così assisterai preparato, quando si verrà in giudizio.

29. 58. E. - Dunque v'è altro che devi produrre a favore di essa? E poi affidi imprudentemente la sua difesa in giudizio a un avvocato inabile come me.
A. - Sì, v'è altro.

...sensazione è rappresentazione immediata.

30. 58. E. - Prego, di che si tratta?
A. - Sono due cose diverse sensazione e scienza, ma l'avere presente è comune ad entrambe allo stesso modo che animale è comune all'uomo e alla bestia, sebbene siano molto differenti. All'anima è presente l'oggetto che si rappresenta, sia per modificazione del corpo, come per atto di pura intelligenza. La sensazione ha competenza nel primo settore, la scienza nel secondo.
E. - La definizione rimane dunque difesa e dimostrata?
A. - Sì, certamente.
E. - E allora dove mai mi sono ingannato?
A. - Dove ti ho chiesto se si ha scienza dell'oggetto che è presente. Tu hai risposto in senso affermativo alla domanda.
E. - E che cosa avrei dovuto dire, secondo te?
A. - Che non necessariamente si ha scienza dell'oggetto che è presente, ma solo quando è presente mediante ragione. Quando è presente mediante il corpo, si ha la sensazione a condizione che di per sé è presente all'anima la modificazione corporea. È anzi opinione di eccellenti filosofi, non lo dovresti ignorare, che l'oggetto stesso rappresentato dall'intelligenza non può assurgere al concetto di scienza, se la rappresentazione non è così obiettiva che nessuna dimostrazione può distoglierne l'intelligenza.

Anima e corpo nella modificazione sensoriale.

30. 59. E. - Accetto le tue parole con molto piacere. Ma poiché è stata trattata molto acutamente, secondo me, la definizione della sensazione, ti prego, riportiamoci al problema, da cui abbiamo colto l'occasione per trattare il tema suddetto. Io, per dimostrare che l'anima ha la medesima estensione del suo corpo, avevo addotto l'argomento che essa percepisce un'impressione tattile in qualsiasi parte si tocca, dalla testa all'alluce. Da qui siamo stati trasportati, forse per logica conseguenza, alla definizione, zeppa d'indugi, della sensazione. Dunque, se vuoi, mostrami ormai il risultato di tanto lavoro.
A. - C'è, e molto vantaggioso, perché è stato raggiunto l'intero risultato della nostra indagine. Sensazione è dunque la modificazione del corpo che di per sé è presente all'anima. Per accertarlo con apodissi, abbiamo prolungato il discorso più di quanto tu desiderassi, ma alla fine abbiamo accertato che gli occhi percepiscono, o piuttosto sono modificati, dove non sono. Lo ricordi?
E. - Sì.
A. - Ed hai anche concesso, se non erro, e adesso non dubiti della innegabilità che l'anima ha molto maggior perfezione e potere di tutto l'essere corporeo.
E. - Reputo empio il dubitarne.
A. - Ora il corpo può essere modificato dove non è, a causa di una certa comunicazione con l'anima. È stato accertato che il fenomeno si verifica negli occhi, nell'atto del vedere. Dobbiamo dunque considerare l'anima, da cui gli occhi ricevono tanto potere, così massiccia e inattiva da non esserle presente la modificazione del corpo, se non occupa il medesimo spazio, in cui la modificazione si verifica?

L'anima sente senza essere nello spazio.

30. 60. E. - Mi colpisce codesta conclusione, e tanto fortemente da farmi stupire fuor di misura e da non sapere più, non solo che rispondere, ma perfino dove mi trovo. Che dire? Non si ha sensazione, quando la modificazione del corpo è di per sé presente all'anima? Che cosa d'altro è se non questo? Che gli occhi non sono alterati, quando vediamo? Proprio assurdo. Che sono modificati dove sono? Ma non vedono se stessi e dove sono non v'è altro all'infuori di essi. O forse l'anima non ha più potere degli occhi, ma il loro potere è eguale? Assolutamente pazzesco. Ovvero si deve ritenere che è maggiore il potere essere modificati dove si è, anziché dove non si è? Ma se fosse vero, la vista non sarebbe il più perfetto di tutti i sensi.
A. - Ma gli occhi possono essere modificati dove sono da una botta, da un corpo estraneo, ovvero da una turba di siero. Il fenomeno sarebbe presente all'anima, ma la modificazione appartiene al tatto e non alla vista. Inoltre l'occhio potrebbe subire tale alterazione anche in un corpo esanime, sebbene sia assente l'anima, cui l'alterazione sarebbe presente. Dunque l'unica modificazione, che l'occhio non può subire senza la presenza dell'anima, cioè che è modificato col vedere, si ha dove l'occhio non è. Ne consegue con evidenza per tutti che l'anima non è contenuta in uno spazio. Infatti l'occhio che pure è corpo, subisce in uno spazio che non occupa quella sola modificazione, che non potrebbe assolutamente subire senza l'anima.

L'anima non è nello spazio.

30. 61. E. - Che fare allora? scusa. Si può forse dedurre da questi argomenti che la nostra anima non è nel corpo? Se è così, non so dove sono. Infine chi può togliere che io stesso sia l'anima?
A. - Non ti turbare e cerca di star tranquillo. Proprio questo pensiero, questa riflessione ci richiama al nostro Io e, nei limiti consentiti, ci distacca dal corpo. Ti è sembrato che l'anima non sia nel corpo di un vivente animato. Parrà assurdo, ma non sono mancati e non mancano tuttora, mi sembra, degli uomini dotti che l'hanno insegnato. Ma, come tu stesso comprendi, il problema è di alta levatura e per esaminarlo si deve purificare totalmente la capacità visiva della intelligenza. Ed ora piuttosto tenta di addurre un altro argomento per dimostrare che l'anima è lunga o larga o qualche cosa di simile. Tu stesso sei cosciente che la tua dimostrazione, derivata dall'impressione tattile, non raggiunge verità e non ha validità alcuna per convincere che l'anima è diffusa in tutto il corpo come il sangue. Se poi non hai da addurre altra dimostrazione, esaminiamo quanto rimane.

L'anima non è divisibile (31, 62 - 32, 69)

Difficoltà dalla vivisezione d'un verme.

31. 62. E. - Non avrei altro forse, se non ricordassi quanto ci meravigliavamo da fanciulli del guizzare delle code delle lucertole amputate dal corpo. Non posso proprio convincermi che tale movimento avvenga senza l'anima e non riesco a comprendere come avvenga che l'anima non occupi spazio, quando è possibile anche sezionarle assieme al corpo.
A. - Potrei rispondere così. L'aria e il fuoco dalla presenza dell'anima sono costretti nel corpo fatto di terra e di acqua. Si ha così l'accordo dei quattro elementi. Ma dopo la separazione, dell'anima acqua e fuoco si levano verso l'alto e si liberano. Muovono allora quei piccoli corpi tanto più violentemente, quanto più velocemente si sprigionano per una recente amputazione. Poi il movimento si attenua e alla fine cessa, man mano che gradualmente diminuisce l'elemento che si libera, fino a quando s'è completamente dileguato. Ma mi distoglie dal dare tale spiegazione il fenomeno che ho potuto osservare con questi occhi, quasi troppo tardi per poterci credere, ma certamente non troppo tardi per doverci credere. Qualche tempo fa ci siamo trovati nella campagna della Liguria. I nostri giovani, che allora abitavano con me per i loro studi, mentre erano sdraiati a terra all'ombra, notarono un animaletto con molti piedi che strisciava, una specie di lungo vermiciattolo. È abbastanza comune ma non avevo mai fatto, nei suoi confronti, l'esperienza che sto per dire. Uno di loro, adoperando di traverso lo stilo, che per caso portava con sé, lo colpì nel mezzo. Le due parti del corpo, separate dal colpo, mossero in direzione opposta con tanta celerità dei piedi e col medesimo impulso che se fossero due animali della specie. Stupiti dall'insolito fenomeno e curiosi di saperne la ragione, si affrettarono a portare i due tronconi vivi a noi, a me e ad Alipio, che eravamo seduti vicini. Noi, non meno stupiti, li osservammo correre sulla tavola in ogni direzione possibile. Uno di loro, toccato con lo stilo, si contorceva nel punto dolorante e l'altro non sentiva nulla e continuava a muoversi altrove. Aggiungo che volemmo verificare fino a qual punto il fenomeno si verificasse. Tagliammo il vermiciattolo, anzi i vermiciattoli, in molte parti. Tutte si muovevano. Che se il fenomeno non fosse stato provocato da noi e non si notassero le amputazioni fatte allora, avremmo creduto che fossero nati separati e che ciascuno avesse una vita indipendente.

I fatti vanno spiegati...

31. 63. Ma ora provo imbarazzo a dire ciò che dissi allora a quei giovani che mi guardavano fissi. Abbiamo tanto avanzato che se non esporrò, diversamente da allora, un motivo che convalidi, sia pure in forma opinativa, la mia tesi, potrebbe sembrare che la nostra grande costruzione, fortificata da un discorso tanto lungo, crolli per lo squarcio provocato da un vermiciattolo. A loro ordinai di attendere al corso degli studi, che avevano iniziato, per giungere un giorno, se le circostanze lo richiedevano, ad indagare ed apprendere più competentemente tali argomenti. Dopo che se ne furono andati, discussi con Alipio, poiché ambedue, ciascuno da una propria prospettiva, adducevamo ricordi, induzioni e domande. Ma se io volessi esporre quei concetti, dovremmo dire molte più cose di quante ne sono state dette dal principio in un continuo ritornare, a causa d'incertezze, sull'argomento. Tuttavia ti esporrò il mio parere. Io posseggo molte nozioni sul corpo, sulla forma inerente al corpo, sullo spazio, sul tempo, sul movimento, che vengono trattate con sottigliezza ed acume in riferimento al problema che ci riguarda. Altrimenti sarei propenso a dare la palma a coloro che identificano l'anima col corpo. E per questo, nei miei limiti, ti consiglio ripetutamente di non gettarti inconsideratamente sui libri, ovvero sulle tesi sostenute da uomini abilissimi nel parlare e fautori di una concezione sensistica. Prima devi orientare e render sicuri i passi che conducono l'anima fino a Dio. Così non avverrà che gli studi e l'applicazione, più facilmente che l'indolenza mentale, ti rimuovano da quell'arcana e serenatrice abitazione dell'intelligenza, da cui l'anima, mentre abita nel mondo, è pellegrina.

...senza coinvolgere verità accertate.

31. 64. Ed ora ascolta contro la difficoltà che, come vedo, ti turba assai, un argomento, che non è il più valido fra tanti, ma più breve. L'ho scelto non perché più probabile per me, ma più opportuno per te.
E. - Esponilo, ti prego, il più brevemente possibile.
A. - Premetto che, soprattutto se è nascosta la spiegazione del verificarsi di quel fenomeno della divisione in pezzi di alcuni corpi, non è il caso di turbarsi al punto da considerare falsi molti argomenti, che or ora ti son sembrati più limpidi del sole. Può avvenire che ci sia nascosta la spiegazione del fenomeno, perché non è di competenza della ragione umana. Può anche essere che sia manifesta a qualche individuo, il quale non può essere interrogato da noi. Potremmo essere noi di tale capacità che l'individuo interrogato potrebbe deluderci. Ma non per questo è ammissibile che ci sfuggano o ci siano sottratte le conoscenze che, dall'altra parte della contraddizione, abbiamo appreso con valido fondamento e che riteniamo assolutamente vere. Ora se rimangono fondate le conoscenze, che attraverso il dialogo hai ritenute certe e innegabili, non v'è ragione perché, come fanciulli, ci lasciamo turbare da questo vermiciattolo, sebbene non sappiamo trovare una spiegazione della sua vitalità e capacità di moltiplicarsi. Supponi che ti sia nota con fondata certezza la probità di un individuo e che tu lo sorprenda a banchetto con banditi, da te ricercati, e che per una fatalità quegli muoia prima che tu lo possa interrogare. Addurresti qualsiasi possibile spiegazione del suo trovarsi a banchetto con i banditi, quantunque la vera ragione ti rimanga nascosta per sempre, piuttosto che pensare ad un'alleanza nel delitto. Ora per tanti argomenti addotti dianzi e da te fondatamente approvati ti è rimasto evidente che l'anima non è contenuta in uno spazio e che pertanto è immune dall'estensione, che riscontriamo nei corpi. Perché dunque non devi supporre che esista una spiegazione del fatto che qualche animale, fatto a pezzi, continui a vivere in tutte le parti e che tale spiegazione non è la divisibilità dell'anima assieme al corpo? E se non possiamo scoprirla, si deve cercarne una vera, anziché supporne una falsa.

Similitudine del suono-segno che si divide...

32. 65. Ti chiedo inoltre se ritieni che nel nostro discorso altro è il suono ed altro l'oggetto significato dal suono.
E. - Secondo me s'identificano.
A. - Dimmi dunque da chi è prodotto il suono, quando parli.
E. - Da me, che dubbio?
A. - Allora da te è prodotto il sole nell'atto che lo nomini?
E. - M'hai posto la domanda sul suono e non sull'oggetto.
A. - Dunque altro è il suono ed altro l'oggetto significato dal suono. Tu hai detto che s'identificano.
E. - Allora ammetto che altro è il suono che significa ed altro l'oggetto che è significato.
A. - Dimmi allora se ti è possibile nominare, in lingua latina che tu conosci, il sole se non precede il concetto di sole.
E. - È impossibile.
A. - E se prima che il nome ti esca dalla bocca, in procinto di pronunciarlo, tu ti trattieni un po' in silenzio, non è presente nel tuo pensiero ciò che un altro udirà nella espressione orale?
E. - Certo.
A. - Il sole è di molta grandezza, ma il concetto, che hai in mente, prima di pronunciare la parola, si può considerare lungo o largo o altro di simile?
E. - No, assolutamente.

...ma le parti non significano...

32. 66. A. - Dimmi un'altra cosa. Dunque il nome esce dalla tua bocca ed io, udendolo, penso il sole, che in precedenza anche tu hai pensato assieme alla parola e che adesso forse entrambi pensiamo. Non ti pare che il nome ha ricevuto da te il significato da trasmettere al mio udito?
E. - Sì.
A. - Ora il nome implica suono e significato. Il suono è di competenza dell'udito, il significato dell'intelligenza. Non ti sembra dunque che nel nome, in analogia ad un essere animato, il suono è corpo e il significato quasi anima del suono?
E. - È molta la somiglianza, mi sembra.
A. - Considera ora se il suono è divisibile in lettere, quantunque la sua anima, il significato, non è divisibile. Mi hai già detto che, secondo te, nel nostro pensiero il significato non è né largo né lungo.
E. - D'accordo.
A. - E quando il suono si divide nelle singole lettere, mantiene il medesimo significato?
E. - Non è possibile che le lettere separate significhino l'oggetto che è significato dal nome che di esse si compone.
A. - Ma quando, perdendo il significato, il nome è smembrato nelle lettere, che altro è avvenuto, secondo te, se non che l'anima si è separata dal corpo smembrato e che è avvenuta, per così dire, la morte del nome?
E. - Non solo approvo, ma lo faccio tanto volentieri perché è la parte che più mi va a genio del nostro discorso.