00 30/03/2012 20:46

E. - È come tu dici.
A. - Ha la più perfetta eguaglianza o ritieni diversamente? Se l'ha, inutilmente ne cerchiamo un'altra, come abbiamo iniziato; se non l'ha, desidero che tu me ne dia la dimostrazione.
E. - Mi pare che l'abbia. Non vedo come ravvisare ineguaglianza, dove si hanno angoli e linee eguali.
A. - Il mio parere è diverso. La linea retta fino all'incontro con gli angoli è dotata di perfetta eguaglianza. Non ritieni che è sorgente d'ineguaglianza la proprietà, per cui una linea da un lato diverso si congiunge con un'altra e forma l'angolo? Ti sembra proprio che si raccordi per eguaglianza e somiglianza la sezione di figura che è chiusa dalla linea con quella che è racchiusa nell'angolo?
E. - No, proprio. Mi vergogno della mia sventatezza. Vi sono stato indotto dal fatto che in essa vedevo angoli e lati eguali. Ma chi non vedrebbe la grande differenza fra lati e angoli?
A. - Considera un altro evidente indizio d'ineguaglianza. Osservi certamente che tanto il triangolo equilatero che il quadrato hanno un centro.
E. - Certamente.
A. - E se dal centro tracciamo linee a tutte le parti della figura, ritieni che esse siano eguali o ineguali?

E. - Certamente ineguali, perché sono necessariamente più lunghe quelle che tracciamo verso gli angoli.
A. - E quante sono nel quadrato e quante nel triangolo?
E. - Quattro e tre.
A. - E ancora, quali sono le più brevi e quante in ciascuna figura?
E. - Egualmente quattro e tre, e son più brevi quelle che incidono a metà dei lati.
A.. - Giustissimo, mi sembra. Non è necessario che ci soffermiamo più a lungo su tali figure. Basta al nostro intento perché, come vedo, tu comprendi che vi è mantenuta una grande eguaglianza, ma non è ancora perfetta per ogni aspetto.
E. - Certamente lo comprendo e aspetto impazientemente di conoscere qual è la figura che ha la perfetta eguaglianza.

Linea e superficie.

11. 17. A. - È quella, la cui estremità è omogenea da ogni parte, poiché non v'è angolo che turbi l'eguaglianza e perché dal suo centro si possono tracciare linee eguali ad ogni punto del perimetro.
E. - Credo di aver capito. Stai descrivendo la figura che è limitata da una sola linea tracciata in cerchio.
A. - Hai capito. Ora considera un'altra cosa. Un precedente ragionamento ci ha dimostrato che il concetto di linea implica soltanto la dimensione della lunghezza, che non include la superficie e che quindi è indivisibile in direzione della lunghezza. Ciò posto, ritieni che si dia figura senza la superficie?
E. - No, certamente.
A. - Ed è possibile o no, che la superficie non abbia la lunghezza, sebbene sia soltanto superficie, allo stesso modo che precedentemente abbiamo potuto avere il concetto di lunghezza senza superficie?
E. - Evidentemente impossibile.
A. - Ed anche è evidente per te, salvo mio errore, che è possibile dividere la superficie da ogni parte e che al contrario non è possibile per la linea nel senso della lunghezza.
E. - Evidente.
A. - E cosa ritieni più perfetto, ciò che è divisibile o ciò che è indivisibile?
E. - Certamente ciò che è indivisibile.
A. - Dunque ritieni più perfetta la linea che la superficie. Se l'indivisibile è più perfetto, necessariamente dobbiamo ritenere più perfetto ciò che è meno divisibile; ora la superficie è divisibile da ogni parte, la lunghezza al contrario soltanto trasversalmente, giacché è indivisibile in direzione della lunghezza; quindi è più perfetta della superficie. La pensi diversamente?
E. - La tua dimostrazione mi convince.

Il punto e il cerchio.

11. 18. A. - Ed ora esaminiamo, col tuo consenso, se nel complesso di queste nozioni ve n'è qualcuna che sia assolutamente indivisibile. Sarà molto più perfetta della linea. Puoi osservare infatti che trasversalmente la linea è divisibile all'infinito. Ne lascio a te la scoperta.

E. - Io penso che sia indivisibile il punto che abbiamo considerato come centro, da cui si tracciano linee al perimetro. Se fosse divisibile, sarebbe impossibile che non abbia la lunghezza o anche la superficie. Ora se avesse soltanto la lunghezza, non sarebbe il punto, da cui si tracciano linee, ma linea esso stesso. Se avesse anche la superficie, esigerebbe un centro, da cui tracciare linee al perimetro della superficie. La dimostrazione manifesta che è assurdo l'uno e l'altro. Dunque il punto è l'indivisibile.
A. - Esatto. Ma non ti sembra che è il medesimo concetto del punto come principio della linea, anche se non si ha ancora la figura, di cui lo consideriamo centro? Denomino principio della linea il punto, da cui la linea ha inizio e che devi intendere senza alcuna lunghezza. Che se lo concepisci come lunghezza, non puoi certamente avere il concetto di punto, da cui la medesima linea ha inizio.
E. - È proprio così.
A. - Questo elemento che hai compreso, come noto, è il concetto più interessante dell'intera dimostrazione. Esso è infatti assolutamente indivisibile. Si denomina punto, quando occupa il centro della figura e si denomina segno, se, senza occupare il centro della figura, è principio o termine di linea o linee, o quando designa qualche cosa che è concepito senza parti. È dunque il segno un'indicazione senza parti. E il punto è indicazione del centro di una figura. Ne consegue che ogni punto è anche segno, ma non sembra che ogni segno sia anche punto. Vorrei che fossimo d'accordo su tale terminologia per non doverci diffondere in altre spiegazioni durante la discussione, sebbene alcuni considerano come punto non quello che occupa il centro della figura in generale, ma soltanto del cerchio e della sfera. Comunque non dobbiamo preoccuparci della terminologia.
E. - D'accordo.

Funzione del punto-segno.

12. 19. A. - Puoi osservare anche quanto ampia sia la sua funzione. Da esso ha inizio la linea e con esso termina; notiamo che è impossibile una figura di rette se esso non ne chiude l'angolo; ancora, da esso è divisa la linea in quel senso, in cui è possibile dividerla, mentre esso in sé è assolutamente indivisibile; inoltre una linea non si congiunge con un'altra se non per la sua funzione. Non abbiamo ancora parlato del volume, ma per quanto riguarda le figure piane, la dimostrazione ha concluso che è più perfetta, a causa dell'esatta eguaglianza, quella che è chiusa in un cerchio. E proprio il punto posto al centro è la più esatta misurazione dell'eguaglianza. Si potrebbero esprimere molti concetti sulla sua funzione, ma mi servo della misura e ti lascio riflettervi da te.
E. - Bene, se vuoi. Non avrò certamente difficoltà a chiedere il tuo parere, se sorgerà qualche dubbio. Frattanto, per quanto ne capisco, scorgo un po' confusamente l'importante funzione del segno.

Superficie e volume.

12. 20. A. - Per il momento, compreso che cosa sono il segno, la lunghezza e la superficie, rifletti quale di essi, secondo te, necessita, per essere, dell'altro e di quale.
E. - Vedo che la superficie necessita della lunghezza, senza di cui è inconcepibile. Comprendo che a sua volta la lunghezza, per essere, non necessita della superficie, ma che non può essere senza il segno. Ed è evidente che il segno è di per sé e non necessita delle altre due.
A. - Esatto, ma considera attentamente se la superficie si può dividere da ogni parte, ovvero se è possibile che da qualche parte essa non ammetta la divisione, sebbene la ammetta più della lunghezza.
E. - Non saprei proprio da quale parte non è possibile.
A. - Noto che non ricordi. Sarebbe proprio impossibile che non lo sai. Cercherò dunque di fartelo ricordare nella seguente maniera. Certamente tu concepisci la superficie così da non implicare nulla del volume.
E. - D'accordo.
A. - Si aggiunga dunque alla superficie anche il volume. Dimmi adesso se vi è stato aggiunto qualche cosa, per cui sia maggiormente divisibile da ogni parte.
E. - Molto abilmente mi hai stimolato al ricordo. Ora comprendo che si ha divisibilità non solo dall'alto e dal basso, ma anche dai lati e che non v'è rimasta parte, di cui sia impossibile la divisione. È evidente quindi che la superficie è indivisibile da quelle parti, da cui deve levarsi il volume.

Dimensioni intelligibili.

12. 21. A. - Dunque, salvo mio abbaglio, hai la nozione di lunghezza, superficie e volume. Ti chiedo ora se è possibile che, dato il volume, manchino le prime due dimensioni.
E. - Mi pare che senza lunghezza è impossibile il volume, è possibile senza superficie.
A. - Ritorna dunque alla rappresentazione della superficie. Se l'hai concepita come un piano orizzontale, sollevala perpendicolarmente, come se la volessi far uscire attraverso il sottilissimo spiraglio, in cui s'incontrano i battenti di una porta chiusa. Non comprendi ancora il mio intento?
E. - Comprendo le tue parole, ma non ancora forse il tuo intento.
A. - Mio intento è che tu risponda se la superficie, sollevata in tal modo, si è trasformata in volume ed ha perduto il concetto specifico di superficie, ovvero se rimane superficie, anche se è così disposta.
E. - Ritengo che è divenuta volume.
A. - Ti ricordi, scusa, come abbiamo definito il volume?
E. - Certo che lo ricordo e adesso mi vergogno di averti risposto così. La superficie, anche sollevata in quel modo, non è divisibile dall'alto in basso, quindi non è concepibile in essa una massa, sebbene siano concepibili il centro e il perimetro. In base alla precedente dimostrazione sul volume, che mi hai richiamato alla mente, non v'è volume, in cui all'interno non si debba concepire una massa.
A. - Bene, desideravo proprio che te ne rammentassi. Ed ora vorrei che tu mi dica se ritieni l'intelligibile più perfetto del sensibile.
E. - Esitare in proposito sarebbe incredibile pazzia.
A. - Dimmi dunque, ti prego: è linea intelligibile quella che fosse divisibile nel senso della lunghezza, segno intelligibile quello che in qualche modo fosse divisibile, superficie intelligibile quella che posta perpendicolarmente come abbiamo detto, ammettesse la divisione dall'alto in basso?
E. - No, certamente.

Ricapitolazione.

13. 22. A. - Hai mai visto con gli occhi del corpo un tale punto, una tale linea o una tale superficie?
E. - Mai, non sono oggetti sensibili.
A. - Dunque se gli oggetti sensibili per una certa mirabile affinità sono percepiti dagli occhi del corpo, è necessario che lo spirito, con cui vediamo gli oggetti sovrasensibili, non sia corporeo o corpo. La pensi diversamente?
E. - Suvvia, ormai sono d'accordo che lo spirito non è corpo o qualche cosa di corporeo. Ma dimmi che cos'è in definitiva.
A. - Frattanto rifletti se è stato accertato che esso è immune da quantità. Su questo tema ora si svolge la ricerca. Per quanto riguarda la definizione dello spirito, mi meraviglio che ti sei già dimenticato di averne discusso nella nostra precedente indagine. Dovresti ricordare che per primo ci siamo proposti il problema della sua origine. L'argomento è stato da noi svolto sotto due aspetti. Nel primo si condusse la ricerca sulla sua patria d'origine, nel secondo si discusse se fosse composto di terra o fuoco o da altro degli elementi materiali, ovvero da tutti o da alcuni di essi. Nell'indagine abbiamo stabilito che sarebbe come porsi il problema della composizione della terra o di altro dei singoli elementi. È funzione del pensiero comprendere che lo spirito, sebbene creato da Dio, ha una sua esseità che non è di terra, di fuoco, di aria, di acqua, a meno dell'ipotesi che Dio ha dato alla terra di non essere altro che terra e non ha dato allo spirito di essere altro che spirito. Se poi vuoi la definizione dello spirito e mi chiedi che cosa esso sia, risponderò senza difficoltà. È mia teoria che lo spirito è esseità dotata di pensiero e ordinata a governare un corpo.

Lo spirito non ha quantità perché la pensa...

14. 23. Rifletti piuttosto sul problema se lo spirito ha quantità e, per così dire, una sua quasi estensione. In proposito ora nasce un dubbio. Infatti non è corpo, altrimenti non potrebbe conoscere oggetti sovrasensibili, come ha concluso la precedente dimostrazione. Pertanto senza dubbio è immune dall'estensione, con cui si misurano i corpi, e quindi una sua quantità non può essere oggetto né di fede, né d'esperienza, né di puro pensiero. Se poi ti rende perplesso il fatto che la memoria, sebbene immune da quantità, contiene spazi sterminati di cielo, terra e mare, rifletti che essa è una facoltà meravigliosa, di cui ti puoi rendere ragione a norma della tua intelligenza, da quanto è stato detto nel nostro dialogo. Lo spirito non è corpo, come è stato logicamente dimostrato, poiché è immune da lunghezza, superficie e volume e nessuna di queste dimensioni può essere nel corpo senza le altre due. Tuttavia gli è concesso di avere conoscenza, mediante un suo occhio interiore, cioè l'intelligenza, della linea astratta. Quindi dobbiamo ammettere, come ritengo, che lo spirito non è corpo, in quanto è più perfetto del corpo. Ciò ammesso, non v'è dubbio, secondo il mio parere, che è più perfetto anche della linea. Le tre dimensioni sono nel corpo perché esso sia corpo. Sarebbe quindi assurdo che un essere più perfetto di esse non sia più perfetto del corpo. Ma è evidente che lo spirito è più perfetto della linea stessa ed essa eccelle sulle altre due dimensioni, perché è meno divisibile. Ora le altre due in tanto sono più divisibili della linea, in quanto hanno maggiore estensione. La linea al contrario ha soltanto l'estensione della lunghezza. Se si elimina, non rimane estensione. Necessariamente dunque tutto ciò che è più perfetto della linea è fuori dell'estensione ed è assolutamente impossibile che sia geometricamente divisibile. Invano quindi, come penso, ci affanniamo a trovare nello spirito una inesistente quantità, se dobbiamo ammettere che è più perfetto della linea. Di tutte le figure piane è più perfetta quella che è chiusa in una circonferenza ed è stato dimostrato che l'elemento più perfetto e più funzionale in essa è il centro, il quale senza dubbio è immune da parti. Non c'è da meravigliarsi dunque se l'anima non è corporea, non si estende nella lunghezza, non si allarga nella superficie, non diviene solida col volume ed esercita tuttavia tanto dinamismo sul corpo che in essa risiedono la morfologia di tutte le membra e il fulcro attivo di tutte le funzioni fisiologiche.

...e pensa se stesso.

14. 24. Il punto mediano dell'occhio, la pupilla, non è in certo senso che il centro dell'occhio. Ma vi risiede tanta funzionalità, che con esso da un luogo elevato può osservare, spaziando, la metà del cielo, la cui estensione è inesprimibile. Dunque non è illogico che lo spirito sia totalmente immune da grandezza corporea, la quale si ottiene con le tre dimensioni, sebbene possa rappresentarsi qualsiasi grandezza corporea. Ma a pochi è concesso vedere lo spirito con lo spirito stesso, cioè che lo spirito veda se stesso. Si vede mediante l'intelligenza. Ad essa soltanto è lecito vedere che nella realtà non v'è essere più attivo e più perfetto di quegli esseri che si concepiscono, per così dire, senza rigonfiamenti. Rigonfiamento si può appunto non illogicamente considerare la grandezza corporea. Se questa fosse da tenersi in considerazione, gli elefanti avrebbero certamente maggiore intelligenza di noi. Qualcuno, loro familiare, dirà che gli elefanti hanno intendimento. Ho sentito dire, certamente con stupore, ho sentito dire comunque che si avanzano dubbi anche su questo argomento. Ma quel tale vorrà per lo meno concedere, per quanto ne capisco io, che l'ape ha più intendimento dell'asino. E paragonarne le grandezze è certamente peggio che da asini. Ma torniamo a quanto dicevamo dell'occhio. Ognuno sa che l'occhio dell'aquila è molto più piccolo del nostro. Si è osservato tuttavia che essa, pur volando così alto che da noi può difficilmente esser vista sebbene in piena luce, scopre con l'occhio un leprotto nascosto sotto un cespuglio o un pesce nell'acqua. Quindi anche nei sensi, cui è dato percepire soltanto oggetti sensibili, la grandezza del corpo non vale nulla agli effetti, cioè al potere del sentire stesso. Non si deve temere dunque che lo spirito umano, il cui sguardo più eccellente e quasi unico è la ragione con cui prova di scoprire perfino se stessa, è un nulla, se la ragione può dimostrare che lo spirito, cioè se stessa, è immune da quantità, con cui si occupa lo spazio. Nel concepire lo spirito si deve pensare una grandezza, credimi, una grandezza ma senza massa. È più facile a coloro che con una buona cultura iniziano ad applicarsi a questi problemi, non per amore di vana gloria, ma infiammati di amore divino per la verità, ovvero anche a coloro che già vi si applicano, sebbene abbiano iniziato l'indagine con cultura meno solida. In tal caso devono con costanza offrirsi docili ai buoni e distaccarsi dalla sensibilità, quanto è possibile in questa vita. Per divina provvidenza non può accadere che la possibilità di trovare venga a mancare agli spiriti religiosi che con pietà, purità e diligenza cercano se stessi e il proprio Dio, cioè la verità.

L'anima non sviluppa come il corpo (15, 25 - 22, 40)

Superiorità della ragione.

15. 25. - Ma abbandoniamo, per favore, l'argomento, se non hai più difficoltà. Passiamo ad altro. Ti accorgerai quanto sarà utile per le successive questioni quella riguardante le figure, trattata da noi forse con maggiore abbondanza di parole di quanto tu desiderassi, se vorrai ammettere che la discussione se ne è avvantaggiata. Difatti questo genere di studi esercita lo spirito a cogliere i concetti più alti. Altrimenti abbacinato dalla loro luminosità e incapace di sostenerla, si rifugia volentieri nelle tenebre che, voleva fuggire. Tale studio offre inoltre delle prove tanto certe da far si che la tesi dimostrata renda ingiustificato il dubbio, nei limiti in cui è possibile agli uomini l'indagare su tali problemi. [Il dubbio ingiustificato si ha in due maniere. O un individuo capace di pensiero si rende così pigro mentalmente nella ricerca della verità da preferire di rimanere nelle tenebre della sensibilità, anziché, per il fatto che è stato formato dal suo Creatore, impegnarsi con vero atto di pensiero nella ricerca incessante di se stesso e di Dio. Oppure l'individuo persiste con ingiustificata caparbietà a dubitare che si possano scoprire e dimostrare verità, che sono state scoperte e dimostrate da altri, i quali si sono impegnati in una ricerca attenta e religiosa. Ma lo fanno per il solo motivo che essi non le hanno raggiunte. Ed è un ingiustificato tipo d'invidia, come la logica dimostra]. Io, personalmente, dubito meno di tali nozioni che degli oggetti percepiti con gli occhi, i quali devono continuamente battagliare con la cispa. La cosa più insopportabile ad udirsi è ammettere che mediante la ragione siamo superiori alle bestie e ad un tempo sostenere che l'oggetto sensibile, che alcune bestie percepiscono meglio di noi, è qualche cosa e che l'oggetto intelligibile è un nulla. Eppure sembrerebbe irrispettosa perfino l'affermazione, con cui si considerasse simile all'oggetto sensibile.

Il problema dello sviluppo in grandezza.

15. 26. E. - Accetto volentieri codesta dimostrazione e ne ho certezza. Ma sebbene mi sia chiaro l'argomento che l'anima è immune da quantità, al punto che non so come obiettare contro le prove e quale punto ribatterne, mi turba ancora qualche difficoltà. E prima di tutto perché con l'età l'anima ha un suo sviluppo, o per lo meno sembra che l'abbia come il corpo. Infatti non si può negare che i bambini nella prima infanzia non reggono il confronto con l'avvedutezza di alcune bestie, come non si può negare che, con il loro sviluppo, sviluppa in qualche modo in essi anche la ragione. In secondo luogo se l'anima si distende nell'estensione del proprio corpo, in che modo è immune da quantità? Se poi non si distende, come sente una puntura in ogni parte del suo corpo?
A. - Mi fai obiezione proprio su argomenti che sempre hanno costituito per me difficoltà. Quindi non sono impreparato a risponderti nei termini con cui abitualmente rispondo a me stesso. Se bene, giudicherà la ragione che ti guida. Comunque di più non posso certamente, salvo che, mentre discutiamo, non venga alla mente per ispirazione qualche cosa di più valido. Ma se preferisci, usiamo il nostro metodo. Sotto la guida della ragione rispondi a te stesso. E prima di tutto esaminiamo se sia valida l'obiezione dello spirito che si svilupperebbe col corpo poiché col crescere dell'età l'individuo si arricchisce d'esperienza e si rende gradualmente più disposto ad usarla.
E. - Fa pure così. Anche io preferisco questo metodo d'insegnamento e d'apprendimento. Non so come, ma quando nella ricerca maieutica posso rispondere a me stesso, la scoperta mi dà maggiore soddisfazione, non solo per il fatto in sé, ma anche per la sorpresa.

Virtù e coerenza e non estensione...

16. 27. A. - Dimmi dunque se, secondo te, il più e il meglio sono due nozioni distinte, ovvero una sola e medesima nozione designata con due nomi diversi.
E. - So che altro è il più ed altro il meglio.
A. - Qual è fra i due quello, cui attribuisci la quantità?
E. - Quello che denominiamo il più.
A. - Ed è la quantità o altro a far sì che fra le due figure il cerchio sia migliore del quadrato?
E. - Ma non la quantità, ma l'eguaglianza, di cui abbiamo parlato dianzi, è artefice della maggiore perfezione.
A. - Ed ora rifletti se la virtù ti sembra una certa eguaglianza della vita pienamente coerente con la ragione. Infatti se nella vita v'è un aspetto in dissidio con un altro, noi, salvo errore, subiamo maggiore danno che se qualche parte del circolo sia, nel confronto con altre, a maggiore o minore distanza dal centro. La pensi diversamente?
E. - Tutt'altro. E approvo la tua definizione della virtù. Infatti non può essere denominata o considerata ragione se non la ragione ideale. Quindi l'individuo, la cui vita è pienamente conforme all'ideale verità, è certamente il solo, o per lo meno nella forma più alta, a vivere secondo l'onestà morale. Si deve ritenere che soltanto chi ha questa disposizione, possiede la virtù e ne vive.
A. - Giusto. Ma puoi anche afferrare, come credo, che il cerchio è il più simile a virtù di qualsiasi altra figura piana. Per questo motivo apprezziamo assai il verso di Orazio, con cui, parlando del saggio, afferma: Forte e sempre pienamente eguale a se stesso come un cerchio 1. Giustamente, perché anche fra i beni spirituali non ne trovi alcuno che più della virtù sia pienamente conforme a se stesso, allo stesso modo che fra le figure il cerchio. Dunque il cerchio eccelle sulle altre figure non per estensione, ma per la conformità. Della virtù a più forte ragione si deve pensare che è più perfetta delle altre qualità, non per maggiore estensione, ma per una quasi sovrumana armoniosa coerenza di pensieri.

...danno maggiore grandezza allo spirito.

16. 28. Ora quando un fanciullo sviluppa nel bene, in qual senso si dice che sviluppa, se non nella virtù? Non ti sembra?
E. - È chiaro.
A. - Dunque non devi pensare che lo spirito sviluppa con l'età crescendo come il corpo. Sviluppando infatti raggiunge la virtù e noi dobbiamo ammettere che essa è bella e perfetta, non per la maggiore estensione, ma a causa della sovrana energia della coerenza. Hai già concesso che sono diversi il più e il meglio. Dunque non mi pare proprio che l'anima sviluppando con l'età e con l'acquisto della facoltà di pensare, diventi più grande ma migliore. Che se lo apportasse lo sviluppo delle membra, un individuo sarebbe più prudente in proporzione dell'altezza e della robustezza. Non mi dirai, penso, che le cose stiano diversamente.
E. - E chi lo potrebbe dire? Tuttavia anche tu concedi che l'anima si perfeziona con l'età. Mi stupisco dunque come avviene che essa, totalmente immune dalla quantità, tragga vantaggio certamente dal passare del tempo, se non dallo sviluppo delle membra.

Il vero sviluppo non è nel tempo.

17. 29. A. - Cessa di stupirtene. Ti darò una risposta simile alla precedente. Lo sviluppo delle membra non è dimostrazione valida che l'anima ne tragga vantaggio, poiché molti con corporatura esile e gracile sono più prudenti di altri che hanno una gagliarda complessione. Allo stesso modo noi vediamo che alcuni giovani sono più attivi e costanti di parecchi anziani. Non veggo dunque perché si debba pensare che il passare del tempo contribuisca con l'età allo sviluppo dello spirito come avviene per i corpi. D'altronde alcuni fra i corpi, di cui è proprio sviluppare e raggiungere maggiore dimensione col tempo, sono meno sviluppati, anche se più adulti, e non solo quelli dei vecchi che, col passare del tempo, diminuiscono di statura e di peso, ma anche quelli dei fanciulli. Possiamo osservare infatti che alcuni sono meno sviluppati di altri, anche se superiori in età. Dunque non è un lungo spazio di tempo a dare la spiegazione dello sviluppo del corpo, ma la produttività del seme e la potenza generatrice di ragioni numeriche certamente occulte e misteriose. A più forte ragione non dobbiamo immaginarci che l'anima col tempo sviluppi in lunghezza dal fatto che, come si può notare, ha appreso molte cose nella continuità dell'esperienza.

Non grandezza corporea ma spirituale.

17. 30. Forse ti rende perplesso anche il fatto che noi traduciamo la dei Greci con longanimità. Ma è opportuno tener presente che molte parole si applicano per traslato dall'ordine fisico a quello spirituale e viceversa. Virgilio ha definito improbo un monte e giustissima la terra 2. Come vedi, le parole sono state trasferite dall'ordine spirituale a quello fisico. Non c'è da stupirsi dunque se per reciprocità si parla di longanimità, sebbene soltanto i corpi possono esser lunghi. La virtù poi che si denomina magnanimità va logicamente intesa non in riferimento all'estensione, ma a forza ovvero energico dominio spirituale. È una virtù che si deve tanto più stimare quante più cose disprezza. Ne parleremo in seguito, quando esamineremo, secondo lo schema prefisso, la grandezza dell'anima nel senso in cui abitualmente si chiede quanto grande fu Ercole per grandezza d'imprese e non per sviluppo delle membra. Ora è opportuno che richiami quanto, abbastanza esaurientemente, abbiamo detto sul centro. La dimostrazione ci ha convinto che esso è funzionalissimo e che è predominante nelle figure. Ora la funzionalità e il predominio sono indice d'una certa grandezza, e tuttavia nel centro non abbiamo potuto riscontrare l'estensione. Dunque quando si ode o si dice che lo spirito è grande o immenso, non si deve intendere grandezza dell'estensione occupata, ma grandezza di potere. Pertanto se la tua prima obiezione, fondata sulla tua ipotesi che attraverso l'età lo spirito sviluppi col corpo, è stata sufficientemente discussa, passiamo ad altro.

Il bambino e l'inizio del linguaggio.

18. 31. E. - Non so se abbiamo esaminato tutti i temi, che abitualmente sono per me motivo di giustificato dubbio. È possibile anche che alcuni sfuggano al mio ricordo. Tuttavia esaminiamone uno che mi viene in mente in questo momento, e cioè la ragione per cui il bambino nella prima infanzia non ha la favella e l'acquista con la crescenza.
A. - È facile la risposta. Dovresti sapere, penso, che ciascuno parla la lingua degli individui, fra cui è nato e cresciuto.
E. - Lo sanno tutti.
A. - Supponi dunque che un individuo sia nato e allevato in un luogo, dove gli uomini non parlano, ma si esprimano con cenni e gesti. Non pensi che anche egli si comporterà ugualmente e che non acquisterà la parola perché non ha udito parlare?
E. - Non mi porre domande sull'ineventuale. Che razza d'uomini sono costoro, fra cui dovrei supporre la nascita d'un individuo?
A. - Non hai mai visto a Milano un giovanotto di belle forme e di buone maniere, tuttavia muto e sordo al punto che non comprendeva gli altri se non dai gesti ed ugualmente con gesti esprimeva il proprio pensiero? Vi era conosciutissimo. Io stesso conosco un contadino normale che da una moglie normale ha avuto, tra maschi e femmine, quattro figli e forse più, non ricordo bene ora, tutti sordomuti. Si capiva che erano muti perché non potevano parlare ed anche sordi perché percepivano segni soltanto mediante la vista.
E. - Quello di Milano lo conosco anche io, di costoro non so ma credo a te. Ma a che scopo questi esempi?
A. - Ma perché hai detto che non riesci a supporre come possa nascere un individuo fra costoro.
E.- E vi insisto. Tu stesso affermi che essi sono nati fra individui in possesso della favella.
A. - Non potrei certamente dire il contrario. Risulta intanto dal nostro colloquio la possibilità che esistano degli individui con tale anormalità. Ed ora supponi, per favore, che un maschio e una femmina, anormali in tal senso, si uniscano, che siano condotti da una evenienza qualsiasi in un luogo deserto, dove tuttavia possano vivere e che qui mettano al mondo un figlio non sordo. Questi come potrebbe comunicare con i propri genitori?
E. - E come penseresti, se non ripetendo con i gesti i segni osservati nei genitori? Tuttavia un bimbo neanche di questo sarebbe capace. Dunque la mia obiezione rimane in piedi. Che importa se con la crescenza impara ad esprimersi con la parola ovvero con la mimica, quando l'una e l'altra dipendono dall'anima, di cui non vogliamo ammettere la crescenza?

Natura, arte e sviluppo.

18. 32. A. - Ora mi dai l'impressione di voler credere che un funambolo ha l'anima più estesa di coloro che non posseggono questa tecnica.
E. - Questo è un altro discorso. Tutti sanno che quell'abilità appartiene all'arte.
A. - E perché, prego, all'arte? Perché l'ha appresa?.
E. - Certo.
A. - E se uno apprende un'altra cosa, perché, a sentir te, non apparterrebbe all'arte?
E. - Quanto si apprende appartiene all'arte, non lo nego.
A. - E quel bimbo non ha appreso dai genitori la mimica?
E. - Sì, certamente.
A. - Dunque devi ammettere che l'apprendere non è di un'anima che aumenta con lo sviluppo, ma di una certa arte imitativa.
E. - Questo poi non posso concedertelo.
A. - Dunque quello che si apprende non del tutto appartiene ad un'arte. Eppure l'avevi concesso un momento fa.
E. - Ma del tutto all'arte.
A. - Dunque il bimbo non ha appreso la mimica. Anche questo me lo avevi concesso.
E. - L'ha appreso, ma non appartiene a un'arte.
A. - Ma tu poco fa hai detto che appartiene all'arte ciò che si apprende.
E. - Suvvia, concedo che parlare e gestire, in quanto risultano dal nostro apprendimento, appartengono a un'arte. Tuttavia diverse sono le arti che apprendiamo osservando gli altri da quelle che ci vengono insegnate dai maestri.
A. - Secondo te, l'anima col suo sviluppo ne acquista alcune o tutte?
E. - Secondo me, non tutte, quelle soltanto, di cui abbiamo detto dianzi.
A. - E non ti pare che alla categoria appartiene anche il camminare sulla fune? Difatti, penso, coloro che hanno l'abilità, l'acquistano osservando.
E. - Così credo. Ma non tutti coloro che osservano e seguono con grande attenzione possono acquistarla, ma coloro soltanto che si assoggettano agli istruttori.
A. - Giusto. La medesima cosa, direi a proposito del linguaggio. I Greci e altre genti di diverso idioma ci odono parlare più spesso di quanto non assistano allo spettacolo del funambolo. Ma essi, per apprendere la nostra lingua, come noi del resto quando vogliamo apprendere la loro, sono costretti a frequentare i maestri. Stando così le cose, mi stupisco perché vuoi attribuire allo sviluppo dell'anima il fatto dell'umana favella e ne escludi quello del camminare sulla fune.
E. - Non capisco proprio come fai a conforder le cose. Chi è mandato al maestro per apprendere la nostra lingua, conosce anche la sua, che, come penso, ha appreso perché la sua anima è sviluppata. Io attribuisco all'arte e non allo sviluppo dell'anima il fatto che ne apprende una non sua.
A. - E l'anima di quel tale che, nato e cresciuto fra uomini muti, trovandosi più tardi e ormai giovane fra uomini normali, imparasse a parlare senza conoscere alcuna lingua, svilupperebbe nel momento, in cui cominciasse a parlare?
E. - Non oso dir questo e accetto la dimostrazione. Non penso che l'acquisto della favella costituisca l'incremento di un'anima più sviluppata. Sarei costretto ad ammettere che l'anima raggiunge il possesso di tutte le arti mediante lo sviluppo. Se lo ammettessi, ne conseguirebbe l'assurdo che l'anima con l'oblio decresce.

Tre tipi di crescenza fisica e spirituale.

19. 33. A. - Hai colto nel segno ed ora ascolta la verità. Giustamente si dice, ma in senso metaforico come abbiamo già detto, che l'anima sviluppa con l'apprendimento e decresce con l'oblio. Tuttavia quando si parla del suo sviluppo bisogna guardarsi dal pensare che occupi una maggiore estensione, ma si deve intendere che apprendendo acquista una più cosciente facoltà di agire che non avrebbe senza l'apprendere. Ha tuttavia una grande importanza la qualità delle nozioni che apprende e con cui, in qualche modo, si manifesta il suo sviluppo. Facciamo un'analogia col corpo che ha tre tipi di sviluppo. Uno è necessario perché con esso si raggiunge il naturale equilibrio fisico. Un secondo è accessorio perché con esso si aggiunge qualche cosa che, crescendo senza danneggiare l'organismo, discorda dalle altre parti del corpo, ad esempio il caso di individui che nascono con sei dita. Si danno parecchi altri casi i quali, giacché si ha irregolarmente qualche cosa di troppo, sono detti anormali. Un terzo è nocivo, poiché quando sopravviene all'organismo, si chiama tumore; difatti anche nella fattispecie le membra crescono e in realtà occupano maggiore estensione ma a danno della salute. Allo stesso modo nello spirito si ha uno sviluppo naturale, quando sviluppa con le discipline oneste, che dispongono a viver bene in ordine alla felicità. Le nozioni poi, che sono piuttosto sorprendenti che utili, sebbene opportune in determinati casi, sono accessorie e da ascriversi alla seconda categoria. Ad esempio, narra Varrone che un flautista deliziò tanto il popolo da essere eletto re. Non per questo dobbiamo pensare che il nostro spirito si perfezioni con una simile capacità tecnica. E non vorremmo avere denti più grossi di quelli umani, se udissimo che un tale che li aveva uccise il nemico con un morso. È nociva infine la categoria di arti, con cui si danneggia la salute spirituale. Ad esempio, giudicare vivande dall'odore o dal sapore, sapere indicare in quale lago è stato pescato un pesce o di quanti anni è un vino, sono abilità degne di commiserazione. E sebbene possa sembrare che con tali arti l'anima ha avuto crescenza, poiché col trascurar la mente si è riversata nei sensi, si deve al contrario giudicare che essa è soltanto tumefatta o peggio ancora marcita.