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Il desiderio di avere figli non legittima il concubinato.

14. 16. Ora, se per caso - ma non so se ciò possa avvenire, e propendo a credere che non possa -, se per caso dunque uno prende per un certo tempo una concubina e da questa unione temporanea non cerca altro che dei figli, neppure così quest'unione è preferibile al matrimonio, per quanto spesso siano proprio le mogli che inducono a quei peccati veniali di cui abbiamo parlato. Infatti bisogna considerare ciò che dipende dalle nozze, non ciò che dipende da quelle che si sposano e usano in maniera sregolata delle nozze. Se uno, dopo aver occupato in maniera ingiusta e delittuosa dei campi, li sfruttasse poi per fare del loro ricavato larghe elemosine, non giustificherebbe con questo la rapina; e se un altro si tiene stretto avaramente il campo ereditato dal padre o acquistato legalmente, non per questo deve essere incolpata la norma del diritto civile, che lo rese possessore legittimo. E nemmeno diverrà lodevole l'illegittimità di un partito tirannico, se l'usurpatore tratta i sudditi con la clemenza di un re, né riprovevole l'ordinamento del potere regio, se il re infierisce con la crudeltà di un tiranno. Infatti una cosa è avere intenzione di usare giustamente un'autorità illegittima, e un'altra cosa è usare ingiustamente un'autorità legittima. Così le concubine tenute per un certo tempo, anche se limitano i loro rapporti all'unico scopo di procreare, non rendono legittimo il loro concubinato; e le donne sposate, anche se eccedono con i mariti, non mettono in colpa l'ordine matrimoniale.

La poligamia, ora inammissibile, era nei santi Padri in armonia con i disegni divini.

14. 17. Che si possa realizzare un matrimonio anche fra due che si sono uniti senza le corrette intenzioni, se segue più tardi l'accordo onesto, è cosa evidente.

15. 17. Ma il matrimonio stretto nella città del nostro Dio, dove fin dalla prima unione di due esseri umani le nozze traggono una forma di indissolubilità, in nessun modo si può sciogliere se non con la morte di uno dei due. Infatti il vincolo delle nozze rimane, anche se per manifesta sterilità non segue la prole, per cui esso fu stipulato; cosicché anche quando ormai i coniugi sanno che non avranno figli, tuttavia non è loro consentito di separarsi e unirsi ad altri, neppure per avere figli. E se lo fanno, commettono adulterio con quelli ai quali si sono uniti, perché essi rimangono coniugati. Presso gli antichi Padri era del tutto lecito prendere un'altra donna con il consenso della moglie, e i figli che nascevano erano generati fisicamente dall'uno, ma appartenevano di pieno diritto anche all'altra. Sarei avventato ad affermare che ciò sia lecito anche ora. Infatti adesso non c'è quella necessità di propagare la prole che c'era a quei tempi, quando era consentito prendere altre mogli perfino in aggiunta a quelle feconde, per avere una più numerosa discendenza. Una cosa del genere ora certo non è lecita. Infatti la cosa più opportuna per fare o non fare alcunché secondo giustizia è distinguere chiaramente le circostanze: cosicché oggi agisce meglio chi non prende nessuna moglie, a meno che la continenza non sia superiore alle sue forze. Allora invece senza alcuna colpa prendevano più mogli anche quelli che avrebbero potuto benissimo osservare la continenza, se la pietà a quel tempo non avesse richiesto altrimenti. Ormai infatti l'uomo sapiente e giusto non desidera altro che dissolversi ed essere con Cristo 45; gioisce di questo scopo supremo e prende cibo non per la brama della vita temporale, ma per la doverosa preoccupazione di rimanere in vita, in quanto ciò è necessario per gli altri; allo stesso modo allora per quei santi Padri unirsi a donne secondo giuste nozze fu oggetto di dovere, non di libidine.

I figli sono il frutto, in ogni caso onesto, dei rapporti carnali.

16. 18. Quello che infatti è il cibo per la conservazione dell'individuo, questo è l'unione carnale per la conservazione del genere umano; ed entrambe le cose non sono prive di piacere fisico. Ma questo piacere regolato e disciplinato dalla temperanza secondo l'uso della natura, non può essere libidine 46. Ciò che è nel sostentare la vita un cibo illecito, questo è nella ricerca della prole un rapporto di fornicazione o di adulterio. E ciò che è un cibo non permesso nella ghiottoneria, questo è un rapporto illecito nella libidine senza la ricerca della prole. E all'avidità eccessiva che alcuni hanno per un cibo consentito, corrisponde nel matrimonio il rapporto non gravemente colpevole. Come dunque è meglio morire di fame, che cibarsi di cibi sacrificali 47; così è meglio morire senza figli, che cercare discendenza da un'unione illecita. Però in qualunque maniera questi figli vengano al mondo, se non seguono i vizi dei genitori e onorano Dio rettamente potranno essere onesti e raggiungere la salvezza. Infatti il seme dell'uomo, da qualsiasi individuo provenga, è creazione di Dio: per chi lo usa male diverrà un male, ma non potrà mai essere un male in se stesso. Come i figli virtuosi degli adùlteri non costituiscono affatto una giustificazione per l'adulterio; così i figli malvagi dei coniugati non costituiscono affatto una colpa per il matrimonio. Perciò i Padri del tempo della Nuova Alleanza che prendevano cibo per doverosa preoccupazione, malgrado il naturale piacere fisico che ne potevano derivare, in nessun modo erano paragonabili a quelli che mangiavano la carne di vittime sacrificali 48 o a quelli che prendevano alimenti sia pure leciti, ma in quantità eccessiva. Così i Padri dell'Antico Testamento compivano l'atto coniugale per la preoccupazione di compiere un dovere, ma quel piacere naturale, che mai poteva arrivare a una libidine irragionevole e colpevole, non dev'esser paragonato alla depravazione nell'adulterio o all'intemperanza nel matrimonio. Senza dubbio, per la stessa madre nostra Gerusalemme, allora bisognava propagare la prole secondo la carne, come ora secondo lo spirito, ma la sorgente della carità era la stessa: solo la diversità dei tempi rendeva diverso il loro operare. Allo stesso modo i Profeti, sebbene non dediti alla carne, dovevano unirsi carnalmente; e si nutrivano carnalmente gli Apostoli, senza essere carnali.

I coniugati di oggi non sono paragonabili ai Patriarchi.

17. 19. Certo tutte quelle alle quali ora viene detto: Se non sono in grado di restare continenti, si sposino 49, non sono da paragonarsi alle sante che si sposavano allora. Senz'altro in sé le nozze presso tutti i popoli sussistono al medesimo scopo di procreare figli e, qualunque sia la natura che poi avranno, servono a farli nascere in modo regolare e onesto. Gli uomini che non sono in grado di vivere continenti, è come se si innalzino fino alle nozze sul gradino dell'onestà; quelli invece che senza dubbio sarebbero stati in grado di vivere continenti, se le condizioni della loro età lo avessero permesso, in un certo senso si abbassarono fino alle nozze sul gradino della pietà. Le nozze dei Padri antichi e degli uomini di oggi sono entrambe buone in ugual maniera, in quanto appunto sono nozze ed esistono allo scopo della procreazione; eppure coloro che si sposano ai nostri giorni non sono paragonabili con quelli di allora. I coniugi di oggi, grazie alla dignità del matrimonio, hanno una possibilità che viene loro concessa per indulgenza, benché non appartenga alle nozze, cioè quella di oltrepassare eccedendo la necessità della generazione. Ma anche se alcuni cercano di realizzare unicamente lo scopo per cui il matrimonio è stato istituito, ammesso che se ne trovino, non possono lo stesso essere messi alla pari con quelli. In essi infatti il desiderio stesso dei figli è carnale, mentre in quelli era spirituale, perché era in armonia con il piano divino di quell'età. Adesso senza dubbio colui che è giunto al più compiuto grado di pietà non cerca di avere figli se non spiritualmente; allora invece era opera di pietà anche generare figli carnalmente, poiché il riprodursi di quel popolo preannunciava il futuro e aveva per scopo l'attività dei profeti.

La poliandria è contro ogni ordine naturale.

17. 20. Perciò, se era lecito a un uomo solo avere anche più mogli, non così era lecito a una sola donna avere più mariti, neppure per ottenere figli, nel caso che ella fosse in grado di generare e l'uomo invece no. Infatti per una misteriosa legge di natura tutto ciò che domina ama la singolarità; ma ciò che è soggetto, non solo si può sottomettere singolo a singolo, ma, se il sistema naturale o sociale lo consente, si può avere senza disordine la sottomissione di molti a uno solo. Infatti un servo non può avere più padroni, come invece più servi hanno un solo padrone. Così leggiamo che nessuna di quelle donne sante furono soggette a due o più mariti viventi, ma che più mogli furono soggette a un solo marito, dal momento che quella società lo permetteva e l'interesse dell'epoca lo consigliava; e questo non è contrario alla natura delle nozze. Infatti diverse donne possono generare da un solo uomo, ma non è possibile che una sola donna generi da diversi uomini: e questo è un principio incontrovertibile, così come giustamente molte anime sono sottomesse a un solo Dio. Perciò, se non c'è che un solo Dio vero per le anime, un'anima sola può fornicare con molti falsi dèi, ma non esserne fecondata.

Il sacramento del matrimonio monogamico.

18. 21. Ma da molte anime nascerà un'unica città popolata da coloro che hanno un'anima sola e un solo cuore in Dio 50; e questa unità sarà perfetta solo dopo la peregrinazione terrena, quando i pensieri di tutti non rimarranno più tra di loro celati né si troveranno fra loro in contraddizione. Per questo il sacramento delle nozze ai nostri tempi è stato ridotto all'unione fra un solo uomo e una sola donna; e di conseguenza non è lecito ordinare ministro della Chiesa se non chi abbia avuto una sola moglie 51. Alcuni sostengono che non si deve ordinare neppure chi ha avuto una seconda moglie da catecumeno o da pagano; e questi vedono senz'altro a fondo nelle parole dell'Apostolo. Si tratta infatti di un sacramento, non di un peccato. Effettivamente nel battesimo tutti i peccati sono rimessi, ma qui si tratta di un suggello indelebile, non di un peccato. Ma colui che disse: Se hai preso moglie, non hai peccato; se una vergine si è sposata, non pecca 52, e: Faccia ciò che vuole; se si sposa, non pecca 53, rese ben chiaro che le nozze non sono un peccato. D'altra parte, per la santità del sacramento, una donna che sia stata profanata, sia pure da catecumena, non può dopo il battesimo essere consacrata tra le vergini del Signore. Così, si pensa giustamente, colui che ha avuto più di una moglie non ha commesso peccato, ma nei confronti del sacramento ha perduto un requisito, essenziale non per raggiungere il merito di una vita virtuosa, ma per ricevere il sigillo dell'ordinazione ecclesiastica. E perciò, come le numerose mogli degli antichi Padri simboleggiarono le nostre future Chiese di tutte le genti soggette all'unica persona di Cristo, così la guida dei fedeli che abbia avuto una sola moglie significa l'unità di tutte le genti soggette all'unica persona di Cristo. E questa unità sarà perfetta, quando rivelerà ciò che è occulto nelle tenebre e manifesterà i segreti del cuore, affinché allora ciascuno riceva da Dio la lode che gli è dovuta 54. Ora ci sono contrasti sia manifesti sia latenti tra quelli che saranno uno e nell'uno, anche quando non viene meno la carità; ma allora assolutamente non ve ne saranno. Come dunque a quel tempo il mistero del matrimonio poligamico significò la futura moltitudine soggetta a Dio presso tutte le genti terrene, così al nostro tempo il mistero del matrimonio monogamico significa la futura unità di tutti noi soggetta a Dio nell'unica città celeste. Pertanto, come non si può essere servo di due o più padroni, così passare da un marito vivo ad un altro matrimonio non fu permesso allora, non è permesso ora, né sarà permesso mai. Rinnegare l'unico Dio e rivolgersi all'adulterina superstizione di un altro, è sempre un male. Quindi neppure per avere una prole più numerosa i nostri santi Padri fecero quello che fece, a quanto si racconta, il romano Catone, il quale, mentre egli stesso era ancora in vita, cedette la moglie perché procurasse discendenza anche alla famiglia di un altro 55. Nelle nostre nozze certo vale di più la santità del sacramento che la fecondità del grembo.

Il matrimonio dei santi Padri era un bene superiore alla continenza dei giorni nostri.

18. 22. Fin qui abbiamo visto che oggi neppure coloro che si sposano solo per la generazione di figli, per la quale le nozze sono state istituite, si possono paragonare ai santi Padri. Infatti questi ricercavano la prole stessa in maniera molto diversa, se è vero che Abramo, imperterrito nella sua devozione, era pronto ad immolare al comando l'unico figlio ricevuto quando ormai disperava, e solo all'ordine del Signore abbassò la mano, come all'ordine del Signore l'aveva levata 56.

19. 22. Ora resta da vedere se è possibile almeno il paragone tra la continenza dei nostri contemporanei e il matrimonio dei santi Padri, e se in questa potremo finalmente riconoscere una superiorità su di essi, visto che fin qui non abbiamo ancora trovato chi si possa mettere alla loro altezza. Eppure, anche se non c'è dubbio che il bene della continenza è superiore a quello del matrimonio, nelle nozze dei Patriarchi c'era un bene superiore a quello che è proprio del legame coniugale. Essi non desideravano figli dalle nozze per la stessa funzione che spinge l'uomo di oggi; questi infatti è indotto da quella certa disposizione della natura mortale a cercare una continuazione nella discendenza dopo la sua scomparsa. E chiunque nega che anche questo è un bene non capisce che Dio è il creatore di tutti i beni, da quelli celesti a quelli terreni, da quelli immortali a quelli mortali. Di questo modo di sentire la procreazione non sono del tutto prive neppure le bestie, e soprattutto gli uccelli, dei quali è evidente la premura nel costruirsi il nido e una certa somiglianza con gli sposi nel dedicarsi insieme a procreare e nutrire. Simile propensione, che possiede un suo genere di purezza, secondo alcuni viene posta a un frutto di trenta volte tanto 57, quando vi si aggiunge la venerazione per il Signore. Ma i santi Padri superavano questo affetto della natura mortale con un'intenzione di gran lunga più santa. Infatti essi ricercavano la prole attraverso le nozze a causa di Cristo, per distinguere fra tutte le genti la stirpe di Lui secondo la carne. E questa era la cosa che doveva valere più di ogni altra, come piacque a Dio di disporre, cioè il fatto che si preannunciava anche da quale stirpe e da quale popolo Egli sarebbe venuto nella carne. Dunque le caste nozze dei nostri santi Padri avevano un bene davvero più ampio, e il padre Abramo lo riconobbe nella propria coscia, quando ordinò al servo di sottoporvi la mano, per giurare sulla sposa destinata al figlio 58. Ponendo infatti la mano sotto il femore e giurando per il Dio del cielo, che altro voleva significare se non che il Dio del cielo si sarebbe incarnato nella stirpe che traeva origine da quella coscia? Le nozze rappresentano dunque un bene e in esse gli sposi sono tanto migliori quanto più puramente e fedelmente onorano Dio, soprattutto se nutrono anche nello spirito quei figli che desiderano nella carne.

La legge della purificazione dopo il rapporto coniugale non dimostra che il rapporto è un peccato.

20. 23. È vero che la legge ordina all'uomo di purificarsi anche dopo l'unione coniugale, ma ciò non dimostra che essa è un peccato, a meno che non si tratti di quella che viene concessa per indulgenza e che talvolta trasmodando può anche ostacolare la preghiera. Ma la legge vela molte cose nei sacramenti e nelle ombre di cose future, così nel seme quella certa materiale assenza di forma, che una volta formata svilupperà il corpo dell'uomo, rappresenta la vita bruta e rozza; e poiché bisogna che da quella informità l'uomo si purifichi con la capacità formatrice e il dirozzamento della dottrina, a far capire ciò è stata prescritta la purificazione dopo un'emissione di seme. Infatti nel sonno essa non può costituire peccato, e tuttavia la purificazione è prescritta anche in questo caso. Ma se qualcuno pensa che ci sia peccato anche così, perché ciò non può avvenire se non per un desiderio impuro, senza dubbio si sbaglia; forse anche le regole mensili delle donne saranno peccato? Eppure la medesima antica legge prescrive che se ne purifichino 59, certo per la stessa materiale mancanza di forma, che, avvenuto il concepimento, si dà per così dire alla costruzione del corpo; perciò la legge, quando ordina che il flusso del corpo si purifichi, vuole significare che, mentre scorre ancora informe, l'animo non improntato dalla dottrina è sconciamente fluido e torbido e deve ricevere la propria forma. In fine forse anche morire è peccato? Anzi, seppellire un morto non è una giusta opera di umanità? Eppure è prescritta la purificazione anche in questo caso 60, perché, se un corpo morto che la vita ha abbandonato non costituisce peccato, indica però il peccato dell'anima abbandonata dalla giustizia.

Paragone tra il matrimonio dei santi Padri e la continenza dei contemporanei.

20. 24. Le nozze sono un bene, io affermo, e a buon diritto si possono difendere contro tutte le calunnie. Ora io mi domando non quale forma di matrimonio, ma quale forma di continenza si possa paragonare alle nozze dei santi Padri. In altre parole, non bisogna confrontare nozze con nozze, perché in esse sempre il medesimo è il dono che si fa alla natura mortale dell'uomo. Ma siccome tra coloro che fanno uso del matrimonio non trovo chi mettere all'altezza di quelli che ne fecero un uso tanto diverso, si dovrà esaminare se vi sono uomini continenti degni del paragone con i santi Padri sposati. Altrimenti si dovrebbe sostenere che Abramo non fosse in grado di rinunciare alle nozze per il regno dei cieli, quando invece egli per il regno dei cieli poté senza esitazione immolare quell'unico pegno di discendenza per cui si hanno a caro le nozze.

I Padri dell'Antico Testamento avevano la continenza nella disposizione abituale dell'animo e per di più il bene maggiore dell'obbedienza

(21, 25 - 23, 31)

La virtù come disposizione abituale dell'animo.

21. 25. Senza dubbio la continenza è una virtù non del corpo ma dell'animo. Ma le virtù dell'animo talvolta si manifestano nell'azione, talvolta restano latenti nella disposizione abituale dell'indole. Così la virtù del martirio spicca e si svela sopportando le torture; ma quanti uomini ci sono, forniti della stessa virtù, ai quali viene a mancare la prova con cui manifestare agli occhi degli uomini ciò che dentro di loro è chiaro alla vista di Dio! La virtù non comincia ad esistere al momento di metterla in pratica, ma solo a farsi conoscere. Infatti in Giobbe c'era già la pazienza, Dio la conosceva e gliela testimoniava; ma alla prova della tentazione fu conosciuta anche dagli uomini: ciò che era nascosto all'interno non nacque, ma si manifestò grazie alle prove che gli furono inferte dall'esterno 61. Senz'altro anche Timoteo possedeva la virtù di astenersi dal vino e Paolo non gliela tolse consigliandolo a fare un uso moderato del vino a causa dello stomaco e delle sue frequenti infermità 62; altrimenti gli avrebbe dato una raccomandazione assai pericolosa, se per la salute del corpo fosse stata danneggiata la virtù nell'animo. Ma poiché era possibile fare ciò che consigliava senza pregiudicare la virtù, fu concesso al corpo il vantaggio del bere moderatamente e rimase nell'animo la disposizione abituale alla continenza. Infatti la disposizione abituale è quella con cui si compie un'azione, quando è necessaria; quando l'azione non si compie, è possibile compierla, ma non è necessario. Riguardo alla continenza nei rapporti carnali, non possiedono questa disposizione coloro ai quali sono rivolte le parole: Se non sono capaci di essere continenti si sposino 63; l'hanno invece quelli ai quali si dice: Chi può comprendere, comprenda 64. Così gli animi giunti a perfezione fecero uso dei beni terreni necessari ad altro scopo conservando la continenza come disposizione abituale; grazie a questa virtù non rimanevano vincolati ad essi, ma potevano anche non usarne, se non ve n'era necessità. E usa correttamente questi beni solo chi può anche fare a meno di usarli. Per molti davvero è più facile astenersi del tutto dall'uso di essi che limitarsi a farne buon uso; tuttavia non può sfruttarli con saggezza, se non chi, grazie alla continenza, può anche astenersene. Di questa capacità anche Paolo diceva: So vivere nell'abbondanza e sopportare la ristrettezza 65. Certo sopportare la ristrettezza è di qualsiasi essere umano, ma saper sopportare la ristrettezza è dei grandi. Chi non è capace di vivere nell'abbondanza? Ma saper vivere nell'abbondanza è solo di quelli che l'abbondanza non corrompe.

L'esempio di Gesù Cristo.

21. 26. Ma perché si capisca più chiaramente come la virtù possa rimanere nella disposizione abituale anche senza passare in atto, porterò un esempio di cui non dubita nessun cattolico. Infatti nostro Signore Gesù Cristo ebbe fame e sete, mangiò e bevve nella realtà della carne: nessuno di coloro che prestano fede al suo Vangelo lo mette in dubbio. Dunque forse non c'era in Lui quanto in Giovanni Battista la virtù di astenersi dal cibo e dalla bevanda? Giovanni è venuto, senza mangiare né bere, e hanno detto: è posseduto dal demonio; è venuto il Figlio dell'uomo, che mangia e beve, e hanno detto: è mangiatore e bevitore, amico dei pubblicani e dei peccatori 66. E forse non dicono così anche dei nostri santi Padri, compartecipi della sua stirpe, perché in quello che riguarda i rapporti carnali hanno usato diversamente i beni terreni: Ecco uomini libidinosi e impuri, amatori di donne e di lascivie ? Eppure non era giusta l'accusa contro di Lui, anche se era vero che non si asteneva come Giovanni dal mangiare e dal bere, dato che Egli stesso disse in modo estremamente chiaro e veritiero: Venne Giovanni senza mangiare né bere; è venuto il Figlio dell'uomo che mangia e beve. Così non è giusta neppure l'accusa contro quei santi Padri. È venuto or non è molto l'Apostolo di Cristo senza nozze e senza figli, e i pagani hanno detto: Era mago; e venne un tempo il profeta di Cristo sposandosi e procreando, e i manichei hanno detto: Era lussurioso. E la sapienza fu giustificata dai suoi figli 67, soggiunse il Signore, quando pronunciò quella frase riguardo a Giovanni e a se stesso. La sapienza, come Egli disse, fu giustificata dai suoi figli, perché essi vedono che la virtù della continenza deve sempre essere nella disposizione abituale dell'animo e manifestarsi in pratica secondo i casi e i momenti opportuni. Così la virtù della pazienza è apparsa in atto nei santi che hanno subìto il martirio, ma è rimasta lo stesso come disposizione abituale negli altri che furono ugualmente santi. Per questo la pazienza di Pietro, che subì il martirio, non ha maggior merito rispetto a quella di Giovanni che non lo subì; così in Giovanni, che non sperimentò il matrimonio, il merito della continenza non è maggiore che in Abramo, anche se questi ebbe figli. Sia il celibato dell'uno sia il matrimonio dell'altro militarono per Cristo secondo le diverse esigenze dei tempi: Giovanni metteva la continenza in atto, Abramo invece la conservava in abito.

I santi Padri erano continenti nella disposizione abituale dell'animo.

22. 27. Dunque nel tempo in cui la legge successiva all'epoca dei Patriarchi chiamò maledetto chi non continuasse la stirpe in Israele 68, anche chi era in grado di vivere in continenza, non estrinsecava questa virtù che pure possedeva. Ma poi venne la pienezza dei tempi 69 e fu detto: Chi può comprendere, comprenda 70. Da allora fino ad oggi, e da oggi fino alla fine, chi ha la capacità la mette in opera; chi non vuole metterla in opera, non dica bugiardamente di possederla. Coloro che con discorsi malvagi corrompono i buoni costumi 71, dicono con inutile e vuota malizia al cristiano continente e che rifiuta il matrimonio: Tu dunque sei migliore di Abramo? Egli, quando sente una domanda del genere, non si scomponga e non osi rispondere: Sì, sono migliore. Ma non si lasci distogliere dal suo proponimento: una risposta come quella non sarebbe secondo verità, una decisione come questa non sarebbe secondo saggezza. Dica invece: No, io non sono migliore di Abramo; certo la castità dei celibi è superiore alla castità delle nozze; ma Abramo le possedeva entrambe nella disposizione abituale, anche se ne metteva in atto una sola. Egli visse castamente nel matrimonio, ma avrebbe potuto essere casto senza matrimonio, solo che allora non si doveva. Per me certo è più facile non sposarmi come si è sposato Abramo piuttosto che usare delle nozze nello stesso modo in cui le usò Abramo: e perciò sono migliore di quelli che per l'incontinenza non possono quello che posso io, non di quelli che per la diversità dell'epoca non fecero quello che faccio io. Infatti quello che faccio io oggi, essi lo avrebbero fatto meglio, se allora fosse stato necessario; ma quello che fecero loro, io non potrei farlo alla stessa maniera, anche se ora fosse necessario. Ma forse un simile cristiano si può sentire e riconoscere in grado di rivolgersi al matrimonio per un qualche dovere religioso, conservando integra nell'abito interiore la virtù della continenza; nel qual caso sarebbe marito e padre allo stesso modo di Abramo. Allora osi pure apertamente rispondere a quel capzioso interrogatore: Non sono certo migliore di Abramo, per quanto riguarda, si intende, questo genere di continenza di cui egli non era privo, per quanto non in maniera esteriore. Ma sono pari a lui, perché ho le medesime qualità, pur agendo diversamente. Dica apertamente così, perché anche se si gloria, non lo fa stoltamente: infatti dice la verità 72. Ma se si astiene da una risposta del genere, perché qualcuno non lo ritenga presuntuoso rispetto a quello che vede o sente dire di lui, distolga il nodo della questione dalla sua persona e risponda all'argomento in sé: Chi può fare altrettanto, è tale quale fu Abramo. Può avvenire che la virtù della continenza nell'animo di chi rinuncia alle nozze sia inferiore a quella che ebbe Abramo, ma tuttavia è superiore a quella di colui che osserva la castità del matrimonio per il semplice fatto che non può osservarne una più meritoria. Così anche una donna non sposata, che pensa alle cose del Signore e a essere santa di corpo e di spirito 73, quando udrà questa domanda sconsiderata: Tu dunque sei migliore di Sara? Risponda: Io sono migliore, ma di quelle che sono prive della virtù della continenza, e non credo che questa mancasse a Sara; ella si comportò con questa virtù come quell'epoca richiedeva; ma io oggi ne sono esentata, pertanto ciò che ella conservava nell'animo, in me si può manifestare anche nel corpo.

La castità della continenza supera la castità nuziale.

23. 28. Se paragoniamo dunque le cose in sé, in nessun modo bisogna dubitare che la castità della continenza è migliore della castità nuziale, benché entrambe siano un bene; ma se paragoniamo fra loro gli uomini, è migliore quello che possiede un determinato bene in grado maggiore di un altro individuo. Infatti chi ha un grado maggiore del medesimo bene ha anche quello minore; ma chi ha soltanto quello minore certo non ha quello maggiore. Infatti nel sessanta è contenuto anche il trenta, ma nel trenta non è contenuto anche il sessanta. Perciò non utilizzare nelle opere il bene posseduto dipende dalla diversa distribuzione dei doveri, non dalla mancanza della capacità: uno non mancherà certo del bene della misericordia solo perché non trova dei miseri da poter aiutare con la misericordia.

Il bene dell'obbedienza supera quello della continenza.

23. 29. A ciò si aggiunge che non si possono paragonare correttamente tra loro gli individui considerando un solo bene. Infatti può avvenire che uno non abbia il bene che ha un altro, ma ne possieda uno diverso che è da stimarsi di più. Infatti è maggiore il bene dell'obbedienza che quello della continenza: in effetti mai dall'autorità delle nostre Scritture è condannato il matrimonio, ma la disobbedienza non è mai assolta. Se dunque prendiamo una che intende rimanere vergine, ma che tuttavia non è obbediente, e una maritata che non abbia potuto rimanere vergine, ma che tuttavia è obbediente, quale dovremo chiamare migliore? Quella che è meno lodevole che se fosse vergine, o quella che è condannabile anche se vergine? Allo stesso modo, se tu paragonassi una vergine dedita al bere con una coniugata sobria, chi esiterebbe ad esprimere il medesimo parere? Nozze e verginità sono senz'altro due beni, dei quali uno è maggiore; invece tra la sobrietà e l'ubriachezza, come tra l'obbedienza e la disobbedienza l'uno è un bene, l'altro un male. È meglio avere tutti i beni, anche in minor misura, che un grande bene con un grande male: anche nei beni fisici è meglio avere la statura di Zaccheo con la salute, che la statura di Golia con la febbre.

L'obbedienza è la madre di tutte le virtù.

23. 30. La domanda posta giustamente dunque non è se si debba paragonare una vergine sotto ogni rispetto disobbediente a una coniugata obbediente, ma una vergine meno obbediente a una coniugata più obbediente: infatti anche quella nuziale è castità, e pertanto un bene, anche se è inferiore alla castità verginale. Ora la vergine in paragone con la maritata è di tanto inferiore nel bene dell'obbedienza quanto superiore nel bene della castità; quale delle due vinca il confronto lo si può giudicare paragonando prima direttamente la castità con l'obbedienza: allora si vedrà che l'obbedienza è in un certo qual modo la madre di tutte le virtù. Per questo vi può essere l'obbedienza senza la verginità, perché la verginità proviene da un consiglio, non da un precetto. Ma per obbedienza io intendo naturalmente la sottomissione ai precetti divini; quindi l'obbedienza ai precetti si potrà trovare senza la verginità, ma non senza la castità. Alla castità infatti appartiene di non fornicare, non commettere adulterio, non macchiarsi di nessuna relazione illecita: chi non osserva tutto ciò, agisce contro i precetti di Dio, e perciò è bandito dalla virtù dell'obbedienza. Ma la verginità può trovarsi senza l'obbedienza per il fatto che una donna, presa e osservata la risoluzione della verginità, può trascurare i precetti. Conosciamo molte vergini consacrate a Dio che sono pettegole, curiose, propense al bere, litigiose, avare, superbe, tutte cose che sono contrarie ai precetti e che inducono in perdizione, come Eva stessa, attraverso la colpa della disobbedienza. Perciò non solo si deve preferire la donna obbediente alla disobbediente, ma la coniugata più obbediente alla vergine meno obbediente.

I Patriarchi superano i contemporanei anche nella virtù dell'obbedienza.

23. 31. Per osservare questa obbedienza il Patriarca, che non si privò di una sposa, fu pronto a privarsi dell'unico figlio, uccidendolo con le sue mani 74. E si può ben chiamare unico quel figlio di cui il Signore disse: Da Isacco prenderà nome la tua progenie 75. Quanto più prontamente avrebbe accettato di rimanere anche senza sposa, se ciò gli fosse stato comandato? Per questo, spesso non senza ragione, destano la nostra meraviglia certi individui dell'uno e dell'altro sesso, astinenti da ogni rapporto, che mentre con tanto entusiasmo hanno scelto di rinunciare a cose lecite, obbediscono poi negligentemente ai precetti divini. Quindi, anche se quei santi furono padri e madri, e generarono figli, senza dubbio a torto si paragonano alla loro eccellenza uomini e donne del nostro tempo, perché questi, anche quando si astengono da ogni rapporto, restano inferiori ad essi nella virtù dell'obbedienza. E resterebbero inferiori anche ammettendo che a quei padri mancasse perfino nella disposizione abituale dell'animo la continenza che è manifesta nell'agire di costoro. Dunque i giovani che non si contaminarono con donne 76, come è scritto nell'Apocalisse, seguono l'Agnello cantando il nuovo cantico, per non altro diritto se non perché rimasero vergini. E tuttavia essi non devono ritenere con questo di essere migliori dei santi Padri antichi, che usarono delle nozze, per così dire, in maniera nuziale. L'uso delle nozze comporta infatti che oltrepassare in esse con l'unione carnale la necessità di procreare costituisce una contaminazione, benché non grave. Infatti che cosa purifica l'indulgenza, se l'eccesso carnale non è affatto colpevole? Ma sarebbe strano se i giovani che seguono l'Agnello fossero immuni da questa contaminazione, salvo il caso che siano rimasti vergini.

Si conclude la confutazione degli eretici (24, 32 - 26, 35)

Riepilogo dei tre beni del matrimonio.

24. 32. Dunque il bene del matrimonio presso tutte le genti e tutti gli uomini consiste nello scopo della generazione e nella casta fedeltà; ma per ciò che riguarda il popolo di Dio vi si aggiunge la santità del sacramento, per la quale non è lecito a una donna risposarsi dopo il ripudio, finché il marito vive, nemmeno se lo fa soltanto per avere figli. Pur essendo la generazione il solo fine delle nozze, anche se si fallisce lo scopo per cui si è compiuto il matrimonio il vincolo nuziale non si scioglie, a meno che uno dei due coniugi non venga a mancare. Allo stesso modo, se si fa un'ordinazione sacerdotale per raccogliere una comunità di fedeli, anche se non ne risulta effettivamente la raccolta, in quelli che sono stati ordinati il sacramento dell'ordinazione rimane comunque. E se per una qualche colpa uno di essi vene rimosso dal suo ufficio, non gli si potrà mai togliere il suggello del Signore, che una volta imposto, permane fino al momento del giudizio. Dunque il matrimonio avviene allo scopo della generazione, e lo testimonia l'Apostolo che dice: Voglio che le [vedove ancora] giovani si risposino 77. E come se gli venisse domandato: A quale scopo? Subito specifica: perché abbiano figli e siano madri di famiglia 78. Riguarda invece l'osservanza della castità la frase: Non è la moglie che ha potestà sul proprio corpo, ma il marito; e ugualmente non è il marito che ha potestà sul proprio corpo, ma la moglie 79. E per la santità del sacramento dice: La donna non si separi dal marito; ma se si separa, non si risposi o si riconcili con lui; e l'uomo non ripudi la moglie 80. Ecco dunque tutti i beni grazie ai quali le nozze stesse sono un bene: la prole, la fedeltà, il sacramento. Ma ormai ai giorni nostri è senz'altro preferibile e più santo non cercare prole carnale, conservarsi perciò liberi definitivamente da ogni interesse di tal genere e sottomettersi in spirito a Cristo come all'unico sposo. Tuttavia di questa liberazione dai doveri coniugali gli uomini dovranno usare così come è stato scritto, per pensare alle cose del Signore e per piacere al Signore 81: cioè la continenza dovrà sempre badare a non mettere in secondo piano l'obbedienza. Infatti è questa che i santi Padri esercitarono di fatto, come matrice, per così dire, primaria e assolutamente generale di ogni altra virtù. Si limitarono invece a serbare la continenza come disposizione abituale dell'animo, essi che, per l'obbedienza in virtù della quale erano giusti e santi e sempre pronti ad ogni buona opera, avrebbero senz'altro obbedito anche se fosse stato loro comandato di astenersi da ogni relazione carnale. Infatti quanto più facilmente, per ordine o per esortazione di Dio, avrebbero potuto rinunciare ad ogni rapporto, se per obbedienza erano disposti a sacrificare la prole che di quei rapporti costituiva l'unico scopo!