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Soltanto il sapiente, dunque, non pecca.

12. 27. Ma ora ascolta ciò di cui ormai confido di poterti convincere più facilmente. Quando si tratta di religione, cioè di adorare e di comprendere Dio, quelli che devono essere meno seguiti sono coloro che ci dissuadono dal credere, promettendoci subito la ragione. Nessuno dubita, in effetti, che tutti gli uomini sono o stolti o sapienti. Ora però chiamo sapienti non gli uomini avveduti e pieni d'ingegno, ma quelli che possiedono, per quanto è possibile all'uomo, una conoscenza ben salda e provata dello stesso uomo e di Dio, con una vita e dei costumi in armonia con essa; tutti gli altri, invece, quali che siano le competenze e incompetenze di cui dispongono e quale che sia il modo di vivere che tengono, meritevole di elogio o di biasimo, li ascriverai al numero degli stolti. Stando così le cose, chi, per quanto poco intelligente, non vedrebbe chiaramente che per gli stolti è più utile e salutare sottomettersi ai precetti dei sapienti che non condurre la vita secondo il proprio giudizio? Poiché tutto ciò che si fa, se non lo si fa in maniera retta, è peccato: e in nessun modo può essere fatto in maniera retta ciò che non procede dalla retta ragione. La retta ragione, poi, non è altro che la stessa virtù. Ma in quale degli uomini si trova la virtù, se non nell'animo del sapiente? Soltanto il sapiente, dunque, non pecca. Di conseguenza, ogni stolto pecca, fuorché in quelle azioni nelle quali ha obbedito al sapiente; tali azioni, infatti, procedono dalla retta ragione, e lo stesso, per così dire, deve essere ritenuto padrone delle proprie azioni, quando è come uno strumento e un servitore del sapiente. Se, dunque, per tutti gli uomini è meglio non peccare che peccare, di certo tutti gli stolti avrebbero una vita migliore se potessero essere i servitori dei sapienti. E se nessuno dubita che ciò giova nelle cose di minor conto come nel comprare o coltivare un terreno, nel prendere moglie, nell'accogliere ed educare i figli, infine nella stessa amministrazione del patrimonio familiare, molto di più esso giova in materia di religione. Nelle cose umane, infatti, la conoscenza è più facile che in quelle divine; e in quelle tra queste che sono più sante ed eccellenti, il peccare è tanto più dannoso e pericoloso quanto maggiore deve essere il nostro rispetto e culto per loro. Vedi pertanto che, per tutto il tempo in cui siamo stolti, non ci resta altro da fare, se ci sta a cuore una vita ottima e religiosa, che ricercare i sapienti e, obbedendo a loro, potremmo sentire di meno il dominio della stoltezza, finché è in noi, e talora potremmo anche liberarcene.
Lo stolto ignora la sapienza.

13. 28. A questo punto sorge di nuovo una questione molto difficile: in qual modo noi stolti potremo trovare il sapiente, se la maggior parte degli uomini, benché quasi nessuno osi farlo apertamente, tuttavia in maniera indiretta rivendicano per sé questo nome; e se proprio sulle cose, nella cui conoscenza consiste la sapienza, sono così in disaccordo tra loro che inevitabilmente o nessuno di essi è sapiente oppure lo è uno soltanto? Ma chi sia costui, non vedo proprio come possa essere chiaramente riconosciuto e individuato quando è lo stolto che lo ricerca. Non si può infatti conoscere alcunché attraverso i segni, se non si conosce la cosa stessa di cui essi sono segni. Ma lo stolto ignora la sapienza. E a chi ne è privo, se gli è concesso di conoscere l'oro e l'argento ed altre cose di questo genere vedendole, pur senza possederle, non è invece possibile vedere la sapienza con l'occhio della mente. Infatti, tutte le cose che raggiungiamo con i sensi corporei ci provengono dal di fuori: per questo ci è consentito di percepire con gli occhi anche le cose altrui, benché non possediamo nessuna di esse o di genere simile. Ciò che invece viene colto con l'intelletto è all'interno, nell'animo: e possedere qualcosa nell'animo equivale a vederla. Ora, lo stolto è privo della sapienza; pertanto non conosce la sapienza. Infatti, non potrebbe vederla con gli occhi; peraltro, non può vederla senza averla, né averla ed essere stolto. Dunque non la conosce e, non conoscendola, non può riconoscerla in altro luogo. Nessuno, dunque, fino a che è stolto, è capace di trovare con certezza assoluta il sapiente, sottomettendosi al quale si libererebbe da quel male che è la stoltezza.
Lo stolto ignora la sapienza.

13. 29. A questa così grande difficoltà, dal momento che parliamo di religione, solo Dio può porre rimedio; ma se non crediamo che esista e che aiuti le menti umane, non dobbiamo neppure cercare la vera religione. Da ultimo, che cosa desideriamo ricercare con tanto sforzo? Che cosa aspiriamo a raggiungere? Dove vogliamo pervenire? Forse al punto di non credere che esista o che abbia a che vedere con noi? Niente è più perverso di un tal pensiero. O forse tu, non avendo il coraggio di domandarmi un favore oppure avendolo, ma in un modo di certo impudente, vieni a chiedere di trovare la religione, pur ritenendo che Dio né esista né, se esiste, si prenda cura di noi? E che diremo, se la cosa è tanto grande che non è possibile trovarla se non la si cerca con zelo e con tutte le forze? E ancora, se la stessa difficilissima scoperta allena la mente di colui che la cerca in modo che possa capire ciò che verrà trovato? Per i nostri occhi, infatti, che c'è di più piacevole e familiare della luce del sole? Eppure essi non sono in grado né di sopportarla né di tollerarla, dopo una prolungata oscurità. Per un corpo debilitato dalla malattia che cosa c'è di più adatto del cibo e della bevanda? Eppure vediamo che i convalescenti vengono frenati e trattenuti, perché non si azzardino a saziarsi come i sani e a mangiare proprio quei cibi che li farebbero ricadere nella malattia per la quale erano controindicati. Parlo dei convalescenti; ma i malati stessi non li spingiamo forse a prendere qualcosa? Di certo, non ci obbedirebbero in ciò con tanta molestia, se non credessero che usciranno da quella malattia. Quando, dunque, ti darai a questa ricerca tanto faticosa e difficile? Quando ardirai importi una sollecitudine e un impegno tanto grande, quanto la cosa stessa merita, dal momento che non credi all'esistenza di ciò che cerchi? Giustamente, dunque, la dottrina cattolica nella sua autorità ha stabilito che coloro che si avvicinano alla religione prima di tutto vanno indotti a credere.
Non c'è demenza maggiore di quella di non credere a niente.

14. 30. Pertanto quell'eretico (poiché il nostro discorso riguarda coloro che vogliono dirsi cristiani) quale ragione, dimmi, mi potrà addurre? Qual è il motivo che può allontanare dal credere, come da una temerità? Se mi ordina di non credere a nulla, non credo neppure che tra le cose umane vi sia questa stessa vera religione e, poiché non credo che vi sia, non la cerco neppure. Ma egli, come immagino, sarà tenuto ad esporla a chi la cerca; così, infatti, sta scritto: Chi cerca troverà17. Dunque, non mi rivolgerei a colui che mi vieta di credere, se non credessi qualcosa. Ma c'è una demenza maggiore di questa? Gli dispiaccio, infatti, soltanto per la fede che non è sorretta da nessuna scienza, quando è la fede soltanto che mi ha condotto da lui.
Coloro che si avvicinano alla religione prima di tutto vanno indotti a credere

14. 31. E che dire del fatto che tutti gli eretici ci esortano a credere in Cristo? Possono essere maggiormente in contraddizione con se stessi? A questo proposito devono essere incalzati in due modi. In primo luogo, va loro chiesto dove è la ragione che promettevano, su cosa si basa il biasimo della temerità, su cosa si fonda la presunzione di sapere. Se, infatti, è cosa riprovevole credere a qualcuno senza ragione, perché ti aspetti e ti adoperi a che io creda a qualcuno senza ragione, di modo che possa essere più facilmente guidato dalla tua ragione? Oppure la tua ragione costruirà qualcosa di solido sopra un fondamento di temerità? Parlo come farebbero coloro ai quali la nostra fede dispiace. Da parte mia, infatti, ritengo che credere prima di ricorrere ai procedimenti razionali, quando ancora manca la capacità di percepirli, ed esercitare l'animo mediante la fede stessa ad accogliere i semi della verità, sia una cosa non solo assai salutare, ma anche assolutamente indispensabile per restituire la salute agli animi ammalati. E se a loro ciò sembra cosa da ridere e piena di temerità, di certo agiscono in modo impudente nello spingerci a credere in Cristo. In secondo luogo, confesso che ho già creduto in Cristo, e mi sono persuaso della verità di ciò che ha detto, benché non fossi sorretto da nessuna ragione: ora è questo, o eretico, che all'inizio mi insegnerai? Concedimi di considerare per un po' tra me e me (poiché io non ho visto Cristo come volle mostrarsi agli uomini, Lui che, come si dice, è stato visto anche da questi occhi comuni) a chi ho creduto riguardo a Lui, per venire a te già predisposto da tale fede. Vedo che non ho creduto a nulla, fuorché all'opinione consolidata e alla fama di gran lunga più diffusa tra i popoli e le genti, popoli che in ogni angolo della terra sono stati conquistati dalla Chiesa cattolica. Perché, dunque, non dovrei ricercare presso costoro col massimo zelo che cosa Cristo ha insegnato, dal momento che, spinto dalla loro autorità, ho già creduto che Cristo ha insegnato qualcosa di utile? Mi esporrai tu forse meglio ciò che egli ha detto, qualora io escludessi che sia esistito o che esista e tu mi raccomandassi di credervi? Questo, dunque, come dissi, ho creduto per la fama consolidata dalla diffusione, dal consenso e dalla lunga durata. Mentre è a tutti evidente che voi, così pochi, così turbolenti e così "nuovi", non proponete nulla che meriti considerazione e stima. Che è dunque questa così grande demenza? Credi a loro che si deve credere Cristo, ma da noi impara ciò che ha detto. Per quale ragione, te ne scongiuro? Se, infatti, quelli venissero a mancare o si rivelassero incapaci di insegnarmi qualcosa, mi persuaderei di non dover credere a Cristo molto più facilmente che del dover apprendere qualcosa su di Lui da persone diverse da quelle per le quali ho creduto in Lui. O smisurata impudenza o, piuttosto, stoltezza! Io ti insegno ciò che ha insegnato Cristo nel quale tu credi. E che, se io non credessi in Lui, potresti forse insegnarmi qualcosa di Lui? Ma, si dice, è necessario che tu creda. Forse perché lo raccomandate voi? No, si dice; noi, infatti, li facciamo procedere con la ragione coloro che credono in Lui. Perché dunque dovrei credergli?. Perché la sua fama è ben fondata. In virtù vostra o di altri? In virtù di altri, si dice. Dovrò dunque credere ad altri, perché tu mi istruisca? Forse lo dovrei fare, se proprio loro non mi sconsigliassero in modo assoluto di rivolgermi a te: dicono, infatti, che voi sostenete dottrine pericolose. Risponderai che essi mentono. Allora, in che modo dovrei credere a loro riguardo a Cristo, che non hanno veduto, mentre non dovrei credere a loro riguardo a te, che non vogliono vedere? Credi agli scritti, si dirà. Ma ogni scrittura, se è presentata come nuova e sconosciuta o se è garantita da pochi, senza però che sia confermata da qualche argomento razionale, è creduta non per sé ma per coloro che la presentano. Perciò, se siete voi a presentare queste Scritture, voi che siete così pochi e sconosciuti, non sono propenso a credere. Nello stesso tempo, ordinando di credere piuttosto che rendendo ragione, contravvenite alla promessa. Mi inviterai di nuovo a considerare la moltitudine e la fama. Ma frena, una buona volta, l'ostinazione e la troppo smodata voglia di propagare il vostro nome. Raccomandami, piuttosto, di cercare i capi di questa moltitudine e di cercarli con la massima diligenza e il massimo zelo, perché impari qualcosa da loro anziché dalle loro lettere. Giacché, se non esistessero, non saprei affatto che c'è qualcosa da imparare. E tu, ritorna nei tuoi rifugi e non tendere insidie sotto il nome di quella verità che ti sforzi di portar via a coloro ai quali tu stesso riconosci autorità.
Tutti gli eretici ci esortano a credere in Cristo.

14. 32. Se, invece, asseriscono che non si deve credere neppure a Cristo in mancanza di una ragione sicura, non sono cristiani. Questo è infatti ciò che alcuni pagani dicono stoltamente contro di noi, ma di certo in maniera coerente con se stessi. Ma chi può tollerare che professino di appartenere a Cristo coloro che pretendono che non si creda a nulla fino a che non avranno offerto agli stolti ragioni assolutamente evidenti a proposito di Dio? Al contrario, vediamo che Cristo, secondo quanto insegna quella storia alla quale anch'essi credono, non volle nulla prima e con più forza della fede in Lui, perché quelli con i quali aveva a che fare non erano ancora capaci di comprendere i misteri divini. Quale altro effetto, infatti, provocano così grandi e così numerosi miracoli, quando egli stesso diceva che li compiva soltanto perché si credesse in Lui? Egli guidava gli stolti con la fede, voi li guidate con la ragione. Egli chiamava ad alta voce per essere creduto, voi gridate in segno di opposizione. Egli aveva parole di lode per i credenti, voi li rimproverate. Invero, non avrebbe cambiato l'acqua in vino 18 - per non parlare degli altri miracoli -, se gli uomini fossero stati in grado di seguirlo non in quanto autore di cose di questo tipo ma in quanto maestro: oppure non si deve dare nessuna importanza alla frase: Credete a Dio e credete a me 19, o va accusato di temerità chi non volle che andasse a casa sua, credendo che la malattia del figlio sarebbe cessata al suo solo comando 20? Egli dunque, portando il rimedio che avrebbe risanato i costumi assai corrotti, con i miracoli si procurò l'autorità, con l'autorità meritò la fede, con la fede riunì la moltitudine, con la moltitudine ottenne una lunga durata, con la lunga durata diede forza alla religione, quella religione che non potrebbe in nessun modo scuotere non solo la novità senza alcun valore e perfida degli eretici, ma neppure l'errore delle genti, che restano come in letargo per poi attaccare violentemente.
Cristo non volle nulla prima e con più forza della fede.

15. 33. È per questo che, sebbene sia incapace di insegnare, tuttavia (dal momento che molti vogliono sembrare sapienti e non è facile discernere se sono stolti) non desisto dall'esortarti a supplicare Dio con tutta la volontà e con tutto il desiderio, perfino con i gemiti o, se è possibile, anche con le lacrime, affinché ti liberi dal male dell'errore, se ti interessa la vita beata. La cosa avverrà in modo più facile se ti sottometterai di buon cuore ai suoi precetti, che volle confermare con l'autorità così grande della Chiesa cattolica. Poiché, infatti, il sapiente è così unito a Dio con la mente che nulla si interpone che lo separi da Lui - Dio, infatti, è verità e in nessun modo uno è sapiente se non raggiunge la verità con la mente -, non dobbiamo affermare che fra la stoltezza dell'uomo e la assolutamente integra verità di Dio trova posto, per così dire come un che di medio, la sapienza dell'uomo. Il sapiente infatti, per quanto gli è concesso, imita Dio; l'uomo stolto invece, se pur vuole imitare qualcosa che giovi alla sua salute, non ha nulla di più prossimo dell'uomo sapiente. Ma poiché, come si è detto, è difficile discernere Dio con la ragione, bisognava mettere alcuni miracoli davanti agli occhi, ai quali gli stolti ricorrono molto meglio che alla mente, affinché, sollecitati dall'autorità, gli uomini purificassero prima la loro vita e i loro costumi, e così divenissero idonei per accogliere la ragione. Poiché, dunque, bisogna imitare l'uomo senza però riporre in lui la speranza, che cosa sarebbe potuto accadere di straordinariamente più buono e generoso del fatto che la Sapienza stessa di Dio, pura, eterna e immutabile, alla quale è necessario che aderiamo, si degnasse di farsi uomo? Ed Egli non solo ha fatto cose che ci invitavano a seguire Dio, ma ha anche sofferto cose che ci sconsigliavano dal seguirlo. Poiché, infatti, nessuno può conseguire il bene saldissimo e sommo se non lo ha amato in modo completo e perfetto - e ciò non è assolutamente possibile finché abbiamo paura dei mali e degli accidenti del corpo -, Egli, nascendo e operando in modo straordinario, si è procurato l'amore; morendo e risorgendo ha eliminato il timore. E anzi, in tutte le altre cose che sarebbe lungo ricordare, si è presentato in modo da farci capire fin dove può arrivare la clemenza divina e fin dove può essere sollevata l'umana debolezza.
La Sapienza stessa si è incarnata per farsi maestra nella vita.

16. 34. È questa, credilo, l'autorità più salutare, questa la prima elevazione della nostra mente dalla sua dimora terrestre, questa la conversione dall'amore per questo mondo all'amore per il vero Dio. L'autorità è l'unica che induce gli stolti ad affrettarsi verso la sapienza. Finché non siamo in grado di comprendere le cose nella loro purezza, è indubbiamente sgradevole essere ingannati dall'autorità, ma è di certo ancora più sgradevole non esserne toccati. Se infatti la divina Provvidenza non presiede alle cose umane, non c'è affatto motivo di preoccuparsi per la religione. Se invece, da una parte, la bellezza di tutte le cose - che si deve credere sicuramente emanata da una qualche sorgente di autentica bellezza - e, dall'altra, una non so qual coscienza interiore sollecitano, per così dire in forma collettiva e individuale, gli animi migliori a cercare Dio e a servirlo, allora non si deve perdere la speranza che esista una qualche autorità, costituita da Dio stesso, sulla quale appoggiarci, come su un solido gradino, per elevarci verso Dio. Ora, questa autorità, se si prescinde dalla ragione che, come spesso abbiamo detto, molto difficilmente è compresa dagli stolti nella sua purezza, ci tocca in due modi: in parte con i miracoli, in parte con la moltitudine di quelli che la seguono. È indubitabile che il sapiente non ha bisogno di nessuna di queste cose. Ma ora per noi si tratta di riuscire ad essere sapienti, cioè di aderire alla verità, cosa che di certo è irrealizzabile per un animo abietto. L'abiezione dell'animo, per dirla in breve, consiste nell'amore per qualsiasi oggetto all'infuori dell'anima e di Dio; ebbene, quanto più uno ne è immune, tanto più facilmente attinge il vero. Pretendere, quindi, di vedere il vero per purificare lo spirito, quando invece bisogna essere puri per vederlo, di certo significa sconvolgere l'ordine e procedere alla rovescia. All'uomo, dunque, che non è capace di attingere la verità, viene in aiuto l'autorità, perché ne divenga capace e si lasci purificare. E, come ho detto poco fa, tutti ammettono che essa riesce a far ciò in parte con i miracoli e in parte con la moltitudine. Chiamo miracolo tutto ciò che appare oltremodo difficile o insolito, che va al di là delle aspettative o delle facoltà di chi ne rimane sorpreso. In questo genere di cose niente è più adatto al popolo e, in particolare, agli uomini stolti di ciò che è avvertito mediante i sensi. Ma, dal canto loro, i miracoli si dividono in due specie: ve ne sono alcuni, infatti, che provocano solo meraviglia; altri invece che ispirano anche gratitudine e benevolenza. Infatti, se qualcuno vede un uomo che vola si meraviglia soltanto, dal momento che la cosa non porta allo spettatore altro vantaggio all'infuori dello spettacolo in se stesso. Se qualcuno invece, affetto da una malattia grave e incurabile, guarisce immediatamente non appena ne è stato dato l'ordine, proverà per la sua guarigione, nei confronti di colui che lo ha guarito, un amore superiore alla meraviglia. Di questo genere sono i fatti accaduti nel tempo in cui Dio si mostrava, per quanto era consentito, agli uomini come vero uomo: furono guariti gli ammalati, purificati i lebbrosi; agli zoppi fu restituita la capacità di camminare, ai ciechi la vista, ai sordi l'udito 21. Gli uomini di quel tempo videro l'acqua cambiata in vino, una folla di cinquemila persone saziata con cinque pani, i mari attraversati a piedi, i morti che risuscitavano. Alcuni di questi miracoli erano di aiuto al corpo con beneficî ben manifesti, altri invece alla mente con segni meno espliciti, ma tutti giovavano agli uomini, a testimonianza della maestà divina. Così allora l'autorità divina faceva muovere verso di sé le anime erranti dei mortali. Perché, mi dirai, queste cose ora non avvengono? Perché esse non toccherebbero nessuno, se non fossero straordinarie; e non sarebbero straordinarie, se fossero consuete. Immagina un uomo che veda e percepisca per la prima volta l'alternanza del giorno e della notte, l'ordine perfettamente costante degli astri, il succedersi delle quattro stagioni durante l'anno, la caduta e la rinascita delle fronde sugli alberi, l'infinita forza dei semi, la bellezza della luce, la varietà dei colori, dei suoni, degli odori, dei sapori; supponi che possiamo parlare con lui: resterebbe stupito e quasi sommerso dai miracoli. Noi invece non facciamo più caso a tutte queste cose; non perché ci sia facile conoscerle (non c'è infatti niente di più oscuro delle loro cause), ma di certo perché ne facciamo esperienza continuamente. Quei miracoli, dunque, sono stati compiuti nel più opportuno dei momenti, così che, riunita ed ampliata per mezzo loro la moltitudine dei credenti, l'autorità si rivolgesse in modo utile agli stessi costumi.
Influenza dei costumi. Autorità della Chiesa cattolica.

17. 35. I costumi poi, quali che siano, influiscono tanto sulle menti umane che possiamo con più prontezza biasimare e condannare come riprovevole quanto in essi c'è di perverso - cosa che accade quasi sempre per il prevalere di desideri sfrenati - che abbandonarlo o cambiarlo. Ritieni forse una decisione di poco conto per le vicende umane che non solo pochi dottissimi uomini discutano, ma anche tutta una folla incolta di uomini e di donne, appartenenti a tanti e diversi popoli, creda e proclami che nulla di terreno, nulla di celeste, infine nulla di ciò che si percepisce con i sensi deve essere adorato al posto di Dio, al quale ci si deve accostare con il solo intelletto?. E che la continenza arrivi fino al più povero dei nutrimenti fatto solo di pane e di acqua, che i digiuni si prolunghino non per un giorno soltanto ma anche per più giorni di seguito; che la castità giunga fino alla rinuncia del coniuge e della prole, che la pazienza fino a non curarsi delle croci e delle fiamme, che la liberalità fino alla distribuzione dei patrimoni ai poveri, che, infine, il disprezzo di tutto questo mondo si spinga fino al desiderio della morte? Pochi fanno queste cose, meno ancora le fanno bene e con saggezza, ma i popoli le prendono in considerazione, i popoli le approvano, i popoli le favoriscono, i popoli infine le amano: i popoli incolpano la propria debolezza del fatto che non riescono a farle, non senza però elevare la mente a Dio e non senza qualche scintilla di virtù. Tutto ciò fu realizzato dalla divina Provvidenza per mezzo dei vaticini dei profeti, della vita umana di Cristo e della sua dottrina, dei viaggi degli Apostoli, degli oltraggi, delle croci, del sangue, delle morti dei martiri, della condotta encomiabile dei santi e, secondo le circostanze, dei miracoli degni di avvenimenti e virtù così eccelse. Considerando, dunque, un aiuto di Dio così grande, un progresso ed un esito altrettanto grande, esiteremo a metterci al sicuro nel grembo della sua Chiesa, che, dalla sua istituzione come Sede apostolica, attraverso la successione dei vescovi fino al riconoscimento del genere umano, malgrado le invettive degli eretici - che peraltro sono stati condannati in parte dal giudizio del popolo stesso, in parte dall'autorevolezza dei concili, in parte anche dalla grandiosità dei miracoli- ha ottenuto il massimo grado di autorità? Rifiutarle questo ruolo preminente di certo è indice di somma empietà o di una sconsiderata arroganza. Infatti, se gli animi hanno una via certa alla sapienza e alla salvezza solo quando sono predisposti dalla fede alla ragione, in che altro consiste l'ingratitudine verso l'opera e l'aiuto divino se non nel voler resistere ad un'autorità che dispone di tanta energia? E se ciascuna disciplina, per quanto di poca importanza e facile, richiede un insegnante o un maestro per poter essere compresa, c'è un atteggiamento più gonfio di temeraria superbia di quello di rifiutarsi di conoscere i Libri dei divini misteri dai loro interpreti e di ardire di condannarli senza conoscerli?
Vorrei che mi ascoltassi e ti affidassi ai buoni maestri della cristianità cattolica. Favola persiana.

18. 36. Perciò, se il mio ragionamento o la mia esposizione ti ha colpito e se, come credo, tu hai vera cura di te stesso, vorrei che mi ascoltassi e ti affidassi ai buoni maestri della cristianità cattolica con pia fede, con viva speranza e con carità semplice, senza mai smettere di pregare l'unico Dio: dalla sua bontà siamo stati fatti, secondo la sua giustizia espiamo le pene e per la sua clemenza siamo liberati. In questo modo non ti mancheranno né gli insegnamenti né le dissertazioni di uomini dottissimi e veramente cristiani, né i libri, né le stesse serene riflessioni con le quali facilmente troverai ciò che cerchi. Quanto poi a questi miseri parolai (che altro, infatti, potrei dire di più benevolo?), abbandonali definitivamente, essi che, mentre cercano con insistenza l'origine del male, non trovano altro che il male. In questa ricerca spesso incoraggiano gli uditori a porre domande: ma una volta svegliatili, danno loro insegnamenti per cui sarebbe meglio che dormano sempre, anziché star svegli in quel modo. Da persone in letargo, infatti, ne fanno persone frenetiche, e queste due malattie, malgrado siano per lo più entrambe mortifere, tuttavia sono differenti tra loro perché colui che è in letargo muore senza tormentare gli altri, mentre il frenetico è pericoloso per molti sani e soprattutto per coloro che vogliono portargli aiuto. Ma Dio non è autore del male e non si è mai pentito di aver fatto qualcosa; il suo animo non è turbato dalla tempesta di qualche emozione, né il suo regno è una particella di terra; non approva o comanda nessuna azione turpe o malvagia; né mente mai. Queste e altre cose simili, infatti, ci turbavano, quando le investivano con grandi invettive e le presentavano come se questa fosse la dottrina del Vecchio Testamento: cosa che è del tutto e assolutamente falsa. Ammetto, pertanto, che a buon diritto essi criticano queste cose. Ma che cosa ho dunque imparato? E che cosa, a tuo avviso, se non che, quando si criticano queste cose, non è la dottrina cattolica che è criticata? Così, ciò che ho appreso di vero da loro, lo conservo; ciò che ho considerato falso, lo respingo. Ma la Chiesa cattolica mi ha insegnato molte altre cose, alle quali quegli uomini dai corpi sottili ma dalle menti crasse non possono aspirare: che Dio non è corporeo, che niente di Lui può essere percepito con gli occhi del corpo, che niente della sua sostanza e della sua natura è in alcun modo contaminabile o mutevole, composto o plasmato. Se mi concedi queste cose (non si può infatti pensare diversamente di Dio), tutti i loro artifici sono distrutti. Come poi sia possibile che il male non sia stato generato o fatto da Dio, che non vi sia o vi sia mai stata alcuna natura e sostanza che non sia stata generata o fatta da Dio e che, tuttavia, Egli ci liberi dal male, lo dimostrano argomenti così inconfutabili che non è assolutamente possibile dubitarne, specialmente da parte tua e di persone simili a te, purché però al buon ingegno si aggiungano la pietà ed una certa serenità di spirito, senza la quale non è possibile comprendere assolutamente nulla di cose tanto grandi. E, a questo proposito, non si tratta di fama venuta dal nulla e di non so quale favola persiana, per la quale è sufficiente porgere l'orecchio e una mente non perspicace, ma addirittura infantile. Ben altra cosa, assolutamente ben altra cosa è la verità, non quale la vaneggiano i Manichei. Ma poiché questo nostro discorso si è esteso molto più di quanto pensassi, poniamo qui fine al libro, nel quale, voglio che non te ne dimentichi, io non ho ancora cominciato a confutare i Manichei, non ho ancora attaccato le loro futilità, né ho fatto conoscere alcunché di grande della stessa Chiesa cattolica, ma ho solo voluto toglierti, se possibile, la errata opinione sui veri cristiani, inculcata in noi per malizia o per ignoranza, e indirizzarti ad apprendere le cose grandi e divine. Appunto perciò questo libro può restare così come è: quando il tuo animo sarà divenuto più calmo e sereno, io forse sarò più pronto per il resto.