La Chiesa Cattolica non respinge niente di quanto in queste religioni è vero e santo. Essa ammira con sincero rispetto quei metodi di condotta e di vita, quelle regole ed insegnamenti che, se pur diversi in molti particolari da quanto essa ritiene giusto e presenta, spesso riflettono, tuttavia, un raggio di quella Verità che illumina tutti gli uomini. In realtà, essa proclama e dovrà sempre proclamare Cristo, che è "la via, la verità e la vita" (Gv 14,6), nel quale gli uomini trovano la pienezza della vita religiosa e nel quale Dio ha riconciliato a Sé tutte le cose (cf. 2 Cor 5, 18-19). La Chiesa ha quindi questa esortazione per i suoi figli; con prudenza ed amore, attraverso il dialogo e la collaborazione con i seguaci di altre religioni ed a testimonianza della fede e della vita cristiana, riconoscere, conservare e promuovere i beni morali e spirituali che si trovano tra quegli uomini, come pure i valori della loro società e della loro cultura.
Come avviene per i passi isolati della Scrittura, la giusta interpretazione di passi isolati dei documenti conciliari richiede la comprensione del loro contesto e la loro relazione agli altri documenti. Ad esempio, per capire pienamente le implicazioni che i passi citati sopra potrebbero avere sull'attività missionaria della Chiesa, sarebbe necessario consultare i documenti su quell'argomento. E, secondo quanto ha rilevato di recente Giovanni Paolo II, anche lo stesso Concilio va interpretato alla luce della Scrittura e dell'intera tradizione della Chiesa che lo ha presentato.
Tuttavia, anche senza questa necessaria interpretazione, il significato del passo citato sopra - la dichiarazione più forte contenuta nel Concilio sugli aspetti positivi delle relazioni con religioni non cristiane - è chiarissimo. Essi riaffermano la necessità di proclamare il vangelo a tutti gli uomini, e accentuano che la testimonianza della fede e della vita cristiana è un elemento necessario del dialogo.
Eppure, perfino durante lo stesso Concilio e nei mesi immediatamente successivi, sono stati fatti tentativi per spingere l'interpretazione di questi ed altri passi in direzione antitetica rispetto alle intenzioni dei Padri Conciliari. Ad esempio, nella traduzione inglese più diffusa del documento sulle religioni non cristiane si scelgono vocaboli che spingono l'interpretazione nella direzione che porta a offuscare la distinzione tra religioni cristiane e non cristiane. Nella sezione appena citata ad esempio, la citazione degli elementi positivi della religione, l'invito a predicare il vangelo è preceduto dalla parola inglese "indeed" - La miglior traduzione della parola del testo latino ufficiale (vero) sarebbe "however" anziché "indeed". Questa affermazione è sostenuta non solo dal latino originale ma anche nella revisione della decisione presa dai traduttori francesi, i quali traducono "vero" con "toutefois". Eppure la scelta di "indeed" fa sembrare che le due parti di questo passo siano tra loro in un contrasto meno acuto di quanto non lo siano veramente. L'effetto è quello di oscurare la distinzione tra il cristianesimo e le religioni non cristiane.
Un'altra cattiva traduzione inglese dello stesso documento conciliare ha l'effetto di oscurare la differenza tra Chiesa e mondo. Un passo del documento cita 1 Pietro 2,12, che alla lettera significa "mantenete una buona condotta tra i pagani" oppure, "comportatevi in modo onorevole tra i pagani". Il traduttore inglese ha scelto l'insolita traduzione: "mantenetevi in buona amicizia tra le nazioni". Questo rende ambiguo il fatto se i cristiani debbano mantenere una buona condotta fra di loro, per essere di buon esempio alle nazioni, o forse mantenere l'amicizia tra le nazioni e con le nazioni. Una nota in calce alla traduzione inglese spiega che il passo è stato tradotto in questo modo per meglio "cogliere lo spirito del documento conciliare". La traduzione tuttavia, offusca il chiaro significato del documento del Concilio e tende perfino a ribaltarlo.
Papa Paolo VI scrisse la "Evangelii Nuntiandi" in parte anche per contrapporre e correggere queste errate interpretazioni del Concilio:
Né il rispetto e la stima per queste religioni (non cristiane) e neppure la complessità delle questioni sollevate costituiscono un invito alla Chiesa ad astenersi dal proclamare Gesù Cristo a questi non cristiani ... [il cristianesimo] stabilisce davvero una relazione viva ed autentica con Dio, cosa che le altre religioni non riescono a fare, anche se hanno, per così dire, le braccia protese verso il cielo.
Paolo VI non avrebbe potuto affermare con maggior chiarezza l'insegnamento della Chiesa: le religioni non cristiane non sono in grado di riconciliare in maniera efficace gli uomini con Dio. La necessità di proclamare il Vangelo di riconciliazione per mezzo di Cristo rimane più urgente che mai.
Giovanni Paolo II ha continuato a sottolineare le affermazioni uniche ed assolute di Cristo e la necessità di annunziare Cristo a tutti gli uomini. In più, egli ha rivolto questo appello in particolare ai responsabili del dialogo con le religioni non cristiane. In un incontro con i membri dell'Assemblea Plenaria del Segretariato per i Non Cristiani - il corpo Vaticano responsabile del dialogo dei cattolici con le religioni non cristiane - il papa ha definito tale scambio un "dialogo di salvezza", una parte della grande missione evangelica della Chiesa di invitare tutti gli uomini a venire a Cristo:
Un cristiano trova interessantissimo osservare persone sinceramente religiose, leggere ed ascoltare le testimonianze della loro saggezza ed avere prove dirette della loro fede ... Allo stesso tempo egli ha la terribile responsabilità e l'immensa gioia di parlare a quelle persone con semplicità ed apertura ... delle "potenti opere di Dio" (Atti 2,11), di cosa Dio stesso ha fatto per la felicità e la salvezza di tutti in un'epoca particolare ed in un uomo particolare, che Egli ha risuscitato e che è nostro fratello e Signore, Gesù Cristo, "discendente di David secondo la carne ... Figlio di Dio in potenza secondo lo Spirito di santità" (Rom. 1,4).
Sono lieto di vedere che il Segretariato ha fatto sua questa volontà di entrare in comunicazione, una caratteristica della Chiesa nel suo insieme, e che ha messo in pratica questa comunicazione attraverso quello che Paolo VI ha definito: "Il dialogo di salvezza."
Giovanni Paolo II ha dichiarato inoltre che la nozione di dialogo non è motivata se non dal desiderio espresso da Paolo di diventare "tutto a tutti gli uomini, per poter salvare almeno alcuni di loro" e di coltivare diversi tipi di approccio "nell'interesse del vangelo."
Durante la sua visita in Giappone, egli chiese di incontrarsi con i leader delle religioni non cristiane, e mentre dichiarava solennemente il rispetto per i loro valori e la necessità di dialogo e di collaborazione congiunta dove possibile, per servire i bisogni dell'umanità, con grande audacia egli proclamò loro il vangelo:
Sì, davvero, in molte cose voi già siete con noi. Ma noi cristiani dobbiamo anche dire che la nostra fede è Gesù Cristo: É Lui che proclamiamo. E diremo ancora di più, ripetendo le parole di San Paolo; "Ho deciso di non conoscere altro tra voi se non Cristo, e Lui crocifisso" (1 Cor 2,2) - Gesù Cristo, che è anche risorto per la salvezza e la felicità di tutto il genere umano (cf. 1 Cor 15,30). Di conseguenza, noi portiamo il Suo nome e il Suo messaggio di gioia a tutti i popoli, e mentre sinceramente onoriamo le loro culture e tradizioni, rispettosamente li invitiamo ad ascoltare Gesù e ad aprirGli il cuore. Quando entriamo nel dialogo, è per rendere testimonianza all'amore di Cristo oppure, in termini concreti, "per promuovere unità e carità tra gli individui, in realtà tra le nazioni, fermandoci in primo luogo a riflettere su quanto abbiamo in comune e su cosa tende a promuovere l'amicizia tra noi" (cf. Nostra Aetate, 1).
La teoria del "cristianesimo anonimo"
L'errata comprensione del dialogo e dello "spirito del Vaticano II" è solo una delle fonti di confusione riguardo alla relazione tra cristianesimo e religioni non cristiane. Un'altra fonte sta in quelle teorie teologiche largamente pubblicizzate, che hanno dato l'impressione a molti cristiani che, in fondo, non è più così importante proclamare esplicitamente il vangelo e portare i non credenti al pentimento, alla fede, al battesimo e a diventare membri della Chiesa.
Di queste teorie, la più conosciuta è quella dei "cristiani anonimi". In breve, alcune varianti di questa teoria ritengono che molte persone consapevolmente ed esplicitamente buddiste, indù o perfino atee, possono in realtà essere cristiane e membri del Corpo di Cristo perché "accettano pienamente la propria umanità", oppure perché "abbracciano il mistero della propria esistenza". Alcune varianti sul tema parlano del "Cristo nascosto nell'induismo", ed implicano che sebbene gli indù respingano consapevolmente le affermazioni di Cristo, essi già Lo conoscono, hanno una fede implicita e quindi sono salvati.
Se l'esplorazione di possibilità teologiche quali il "cristianesimo anonimo" può sicuramente costituire una parte legittima dell'impresa teologica - e la teologia ha bisogno di una sfera legittima di libertà per intraprendere tali esplorazioni - l'effetto pratico di ciò che in realtà è stata pura speculazione è risultato devastante. Non è questo il luogo per una discussione dettagliata circa le responsabilità pastorali dei teologi in tensione con la legittima libertà teologica. Ma è forse il caso di rilevare ancora una volta la solenne responsabilità che la Parola di Dio pone su quanti hanno un servizio teologico e di insegnamento nella Chiesa; "Non dovreste diventare maestri in molti, fratelli; dovreste rendervi conto che quelli di noi che lo fanno sono chiamati ad una resa dei conti più severa" (Gc 3,1). Oppure, come disse Gesù: "Sarebbe meglio per chi porta fuori strada uno di questi piccoli che credono in Me, che si legasse una macina al collo e fosse gettato in fondo al mare" (Mt 18,6).
Qui non ci stiamo preoccupando del problema di come dovrebbe essere esercitata la libertà teologica, e neppure della teoria del "cristianesimo anonimo" in se stessa. (Sebbene vada detto che, mentre i principali proponenti della teoria consigliano i lettori di non smettere di evangelizzare, la logica della loro discussione insidia a sufficienza l'insegnamento della Scrittura e del Concilio, al punto che la motivazione ad evangelizzare in realtà è indebolita). Ci preoccupiamo piuttosto degli effetti pastorali della promulgazione su vasta scala di queste teorie.
In alcuni casi simili teorie portano ad un'amalgamazione sincretistica di cristianesimo ed induismo. Un prete cattolico proveniente dall'India mi ha detto di recente che il superiore di un ordine religioso del suo paese stava cercando di costruire alcune comunità cristiane di base che includessero cristiani e indù. Basava quel progetto su teorie teologiche che sostenevano che gli indù erano già cristiani anche senza saperlo, e che essi non hanno bisogno del pentimento, della fede e del battesimo quali prerequisiti alla piena partecipazione alla vita della Chiesa.
Gli effetti devastanti delle teorie rese popolari del cristianesimo anonimo sono soprattutto visibili in paesi come l'India, dove i cristiani sono una piccola minoranza in una cultura dominata da un'altra religione. Nel 1979 un teologo indiano nelle Filippine fece un discorso ad una conferenza di trentasette vescovi cattolici provenienti da Asia, Europa e Nord America. Nel corso della conferenza egli dette un'incredibile spiegazione razionale del virtuale abbandono in India dell'attività missionaria cristiana. Secondo la relazione della conferenza dei vescovi, il teologo suggerì che il fatto che i membri delle religioni più elevate, quali l'induismo e il buddismo, non si convertano, può essere un segno che essi non si debbano convertire. Non c'è niente nel Nuovo Testamento, disse il teologo, che affermi che tutti gli uomini debbano diventare cristiani secondo il significato da noi comunemente inteso del termine. L'umanità, e non la Chiesa, è la comunità di base o popolo di Dio, come dimostrato nella Genesi. La Chiesa è una comunità simbolo che testimonia certe verità, ma ci possono essere altre comunità simbolo, le religioni più elevate per esempio, che hanno un proprio ruolo, ugualmente valido nel piano completo di Dio. Stando così le cose, la Chiesa è chiamata ad un sincero dialogo e ad una condivisione reciproca per realizzare le verità più vaste.
L'autore di questa relazione, membro del personale dell'Ufficio delle Conferenze Episcopali per lo Sviluppo Umano per l'Asia, ha trovato convincenti le opinioni del teologo:
Perfino il visitatore che viene in India ... può in qualche modo percepire le difficoltà incontrate da un teologo d'animo sensibile nell'identificare il popolo di Dio con la Chiesa. Se davvero il minuscolo gruppo di cattolici, e di cristiani nell'insieme, è il popolo di Dio, chi sono gli altri 600 milioni di uomini, donne e bambini che affollano la nazione, alcuni dei quali si incontrano quotidianamente al mercato, nelle baracche e sugli autobus? Sono affascinanti ed umani proprio come i cristiani, e Dio li ama come ama i cristiani. Ha dato loro quelle religioni in cui trovano un senso. Essi non cercano di convertirsi al cristianesimo. Definire la loro vita in termini di chiesa e di concetti teologici tradizionali può essere del tutto contrario a quanto Dio, nella Sua saggezza, ha stabilito. Può anche darsi che alla fine sia necessario far questo, ma l'amore e il rispetto per i nostri fratelli e sorelle, e l'umiltà davanti al mistero di Dio, non ci richiedono forse di cercare nuove intuizioni teologiche che diano maggior dignità ed eguaglianza ai non cristiani e alle loro religioni, permettendo loro di vedere la distesa del piano di Dio?
Questo funzionario della Chiesa, in una posizione influente sul personale della Conferenza dei Vescovi Asiatici, concluse col ragguardevole consiglio che i cristiani comincino a considerare le altre religioni come "salvifiche". Affermò che il cristiano riguardoso e sensibile ha bisogno di convincersi che le altre religioni sono salvifiche, che le conversioni non sono necessarie e che il cristianesimo ha molto da imparare da Dio e su Dio tramite l'Islam, l'induismo e il buddismo.
Idee simili si sono oggi molto diffuse nella Chiesa, e non solo tra le avanguardie intellettuali, ma anche tra le guide pastorali e i cattolici comuni. Sono diffuse anche in alcuni segmenti del protestantesimo, e continuano ad essere attivamente propagandate, con risultati devastanti per l'effettiva opera missionaria nello spirito d'intraprendenza missionario protestante. Un missionario della Chiesa Unita di Cristo, anche presidente di un centro missionario di ricerche nelle Filippine e consulente sia presso il Consiglio Mondiale delle Chiese sia presso il Consiglio Nazionale delle Chiese degli U.S.A., dichiarò in un'intervista che il dialogo tra cristiani e musulmani dovrebbe centrarsi sulla comprensione reciproca e sul cambiamento sociale e che l'impegno a portare i musulmani a Cristo è obsoleto. Disse che: "I tempi della conversione sono finiti."
Teorie simili - giudicate per se stesse e dai loro frutti - sono in completo disaccordo con la Parola di Dio nella Scrittura e nell'insegnamento della Chiesa, e in realtà hanno l'effetto di minare in maniera diretta e perniciosa l'intero impegno missionario della Chiesa. Sia che provengano da non esaminate presupposizioni in una moderna antropologia filosofica europea, o da una precedente dedizione al "valore salvifico" dell'induismo, o ancora dall'impazienza di voler seppellire i problemi della verità a favore di un'attività politica congiunta, esse producono tutte il risultato di allontanare i cristiani dall'impegno a proclamare il messaggio salvifico di Cristo a tutte le nazioni.
Le teorie e gli approcci sincretistici non solo svuotano la Chiesa della sua vitalità missionaria, ma alla fine porteranno ad abbandonare ogni forma riconoscibile di fede cristiana. Alcuni pensatori cristiani "progrediti" hanno già intrapreso questo passo estremo.
Un pastore protestante ad esempio, scrisse un articolo per un importante giornale cristiano in cui spiegava lucidamente, nei dettagli e senza alcun timore, i presupposti spesso inconsapevoli alla base del sincretismo. Scrisse che: "Stiamo aumentando i contatti con le altre religioni del mondo, e insistere sull'unicità del Gesù storico non può che risultare in un ostacolo." E proseguì:
I cristiani non avrebbero mai dovuto fare di Gesù un dio. É sin troppo ridicolo ritenere che Dio abbia dato il Suo amore - che abbraccia tutto il mondo - unicamente tramite Gesù. Nel tentativo di universalizzare il cristianesimo noi cristiani possiamo anche servirci di espressioni del tipo i "cristiani anonimi" e il "Cristo cosmico," ma poi dovremmo fraternizzare con termini quali "il Budda universale" o la "pluralità delle incarnazioni". L'amore di Dio che abbraccia il mondo intero non può essere confinato a nessuna persona storica particolare, Gesù incluso. Ho dichiarato in precedenza che, rispetto a 20 anni fa, ora si parla poco dell'unicità e completezza universale di Gesù. Eppure sembra ancora che ognuno faccia di tutto per accampare dei diritti sull'uomo di Nazaret - il Rivoluzionario e il pacifista, il Marxista e il capitalista, l'evangelico e il liberista. Propongo di lasciarlo in pace per qualche tempo. Proprio come Gesù disse ai Suoi discepoli: "É meglio per voi che Io Me ne vada. Perché se non Me ne vado, non verrà a voi l'Avvocato" (Gv16,5), così anche noi dobbiamo avere il coraggio di dire che è meglio che Gesù Se ne vada nell'interesse dell'amore di Dio."
In quest'epoca, nella Chiesa cattolica il compromesso della verità cristiana di base può essere più una questione di confusione, di ingenuità e di perdita di fiducia che non il desiderio esplicito di sbarazzarsi di Gesù. L'effetto tuttavia è lo stesso. Vale anche la pena notare che vi sono alcuni, come l'estratto dell'articolo qui sopra spiega bene, che consapevolmente ed in modo esplicito si danno da fare per minare la fiducia nelle affermazioni uniche ed assolute di Gesù Cristo. Il loro scopo è quello di piegare tutte le religioni del mondo ad uno sforzo cooperativo di asservimento ai vari programmi politici, sociali ed economici.
Il Nuovo Testamento descrive quel tipo di tentativi come l'opera stessa dello spirito dell'Anticristo:
Chi è il bugiardo? Colui che nega che Gesù è il Cristo. Questi è l'Anticristo, che rinnega il Padre e il Figlio. Chiunque rinneghi il Figlio non ha rivendicazioni sul Padre, ma chi riconosce il Figlio afferma anche il Padre (1 Gv 2,22-23).
Nei tempi passati c'erano i falsi profeti tra il popolo di Dio, ed anche tra voi ci saranno ancora i falsi maestri che contrabbandano eresie perniciose. Arriveranno fino a rinnegare il Maestro che li ha acquistati come Suoi, procurandosi così un rapido disastro. Molti seguiranno le loro dissolutezze e per colpa loro la via della verità sarà fatta oggetto di disprezzo (2 Pt 2,1-2).
Si deve riconoscere che proprio come ai tempi del Nuovo Testamento, ci sono tra noi quelli che si dicono cristiani e che sono membri delle varie Chiese cristiane, ma che servono gli scopi dell'anticristo.
L'esperienza del fallimento
Una terza fonte della debolezza missionaria della Chiesa - assieme all'errata interpretazione del Vaticano II e all'influenza di alcune teorie teologiche - è l'esperienza del fallimento ottenuta dai missionari cristiani nella loro opera. Il lavoro missionario è difficilissimo: Nell'Europa occidentale post-cristiana, nei Paesi del Terzo Mondo un tempo dominati dai Marxisti, nell'America Latina solo nominalmente cattolica e in Asia, i risultati sono stati scarsi. Molti missionari cristiani sono diventati impazienti di aderire a qualsiasi idea teologica o a qualunque strategia pastorale che potesse far sembrare meno dolorosa la loro apparente inefficacia. Considerando le masse di indiani apparentemente indifferenti all'impegno dei missionari cristiani, diventa sin troppo facile aderire a teorie del tipo "il Cristo nascosto nell'induismo". Considerato lo scetticismo dell'uomo europeo moderno in una società post-cristiana, assieme all'ovvia debolezza di molte parti della Chiesa europea, la teoria del "Cristianesimo anonimo" diventa attraente. L'apparente impenetrabilità dell'Islam al vangelo aiuta a spiegare perché dei concetti tronchi di "dialogo" diventino popolari. La perdita di fiducia nella verità e nella potenza della Parola di Dio aiuta a giustificare il tema dominante nei circoli missionari moderni della necessità che il missionario sia "convertito" da coloro che serve, e che "impari da" quelli a cui è stato mandato. Mentre va senza dubbio incoraggiata la crescita nell'impegno e nella conoscenza, l'illustrazione predominante che oggi viene spesso data è quella del missionario che diventa il "recipiente" - e non anche il portatore - di un tesoro prezioso e di un messaggio insostituibile.
Pare che persino alcuni membri della gerarchia siano colpiti dall'esperienza del fallimento. Talvolta, in alcune loro dichiarazioni, teologi e vescovi dei paesi del Terzo Mondo tradiscono la spossatezza e le loro speranze frustrate. Un vescovo di un paese asiatico ha espresso con candore questa mentalità:
Noi non cerchiamo di convertire i musulmani o gli indù. Ci abbiamo provato ed abbiamo largamente fallito e nel prevedibile futuro, tra le correnti principale di buddisti, musulmani e indù quasi non vi è speranza di conversioni. E, come ho detto, le loro religioni sono da Dio. La conversione verrà in seguito, forse, magari a secoli di distanza, ai tempi stabiliti da Dio Stesso.
Oppure, come disse in modo quanto mai sorprendente un vescovo del Bangladesh:
L'evangelizzazione è più vasta che "fare cristiani" battezzando la gente, ecc. Dopotutto, la fede è un dono di Dio e non opera mia ... l'Islam e l'Induismo sono (religioni) salvifiche, perché come potrebbe il Dio buono abbandonarle? Qual è, allora, il ruolo della Chiesa? Se avete qualcosa che ritenete buona e preziosa per voi, la volete condividere con altri. Sono convinto che il cristianesimo sia una rivelazione più completa e che può allietare la vita di tutti i miei fratelli, perciò la comunico agli altri. Non tanto perché io pensi che i musulmani ne abbiano bisogno: non si offre una sigaretta ad un amico perché ne ha bisogno, ma perché ne provate piacere e volete che lui gioisca con voi.
L'esperienza del fallimento - la tensione tra le affermazioni del vangelo e l'apparente mancata risposta allo stesso vangelo - se dura troppo a lungo può lacerare una persona. Il missionario che si trovi in questa situazione ha due opzioni: cambiare il vangelo per renderlo più accettabile, oppure chiedere a Dio che gli mostri le vie per presentarlo in maniera più efficace, assieme alla forza di perseverare nell'impegno, indipendentemente dai risultati. Ma la tragedia è che molti missionari hanno scelto di cambiare il vangelo o di abbandonare l'impegno a predicarlo, e placano la propria coscienza con cattive interpretazioni del Concilio o errate teorie teologiche. Ma la soluzione cristiana del problema sta proprio nella direzione opposta: rivolgersi a Dio per ricevere la sapienza, la forza, il sostegno e la potenza, nella convinzione che faticare per Lui non è mai invano, anche quando mancano i risultati apparenti.
A questo proposito, non serve a nulla lo straordinario successo dei movimenti carismatico e pentecostale là dove molte delle principali Chiese si sono arrese. Persino nei luoghi in cui le maggiori Chiese sono considerate forti, come l'Africa, le varie chiese carismatiche e pentecostali indipendenti attirano - col loro fervore e la libertà di adorazione, col calore dell'amicizia e i ministeri di liberazione e di guarigione in cui si manifesta in maniera tangibile la potenza di Dio - la fedeltà di molti protestanti e cattolici. Non serve neppure a nulla che in Giappone, dove in centinaia d'anni il cristianesimo tradizionale di stile occidentale non ha fatto evidenti progressi, la più vitale delle nuove religioni giapponesi, che incorpora ministeri di guarigione e di liberazione, sia cresciuta rapidamente.
Giovanni Paolo II ha accennato alla pressione schiacciante nel vedere masse di esseri umani che ancora non conoscono Cristo, e alla magnitudine del compito che ci sta davanti. Egli propone una soluzione: non un cambiamento del vangelo, ma un cambiamento in noi stessi e nel nostro modo di capire le verità del vangelo.
Le necessità spirituali del mondo moderno sono immense! Se osserviamo le foreste sconfinate di edifici nelle moderne metropoli, invase da moltitudini innumerevoli, non possiamo che restarne spaventati. Come raggiungere queste persone e portarle a Cristo?
Siamo aiutati dalla certezza di essere solo strumenti di grazia: è Dio stesso, col Suo amore e la Sua misericordia, ad agire nell'anima dell'individuo.
Il nostro scopo costante e vero deve essere quello della santificazione personale, per essere strumenti di grazia idonei ed efficaci.
L'augurio più vero e sincero che io possa darvi è questo: "Fatevi santi, e fatelo presto!"
Ed ancora, in occasione della Domenica Missionaria Mondiale:
La sola strategia indispensabile per l'opera missionaria è precisamente un amore profondo, personale, convinto e ardente per Gesù Cristo!... L'amore è intrepido e coraggioso; Gesù non è ancora conosciuto da tre quarti dell'umanità! La Chiesa ha quindi bisogno di tanti missionari volenterosi, uomini e donne, per proclamare il Vangelo!... La vita è grande e nobile solo nella misura in cui essa è donata! Non abbiate timore... L'amore per Cristo ci spinge a rendere testimonianza, ad annunciare, a proclamare la Buona Novella a tutti, e nonostante tutto!
Proprio in questi tempi dovete essere testimoni e missionari della verità: non abbiate timore! L'amore di Cristo deve portarvi ad essere forti e risoluti, perché: "Se Dio è con noi, chi è contro di noi?" (Rm 8,31). Nessuno, infatti, può "separarci dall'amore di Cristo" (Rm 8,35).