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IV - FORTEZZA

La fortezza è la disposizione infusa dallo Spirito Santo che ci rende fermi dinanzi alle tentazioni, fedeli alla legge di Dio e ai dove­ri del nostro stato, costanti nei nostri propositi, risoluti dinanzi alle ispirazioni ed ai sacrifici, resistenti nelle fatiche, animosi dinanzi ai pericoli, pazienti nelle avversità, nei dolori, nelle persecuzioni e nel­la morte.Senza questa virtù è impossibile salvarsi. È essa che dà la perse­veranza nel bene e la perseveranza finale. Il grado in cui la si possie­de determina il nostro grado di perfezione.La fortezza è la radice e la consumazione di tutte le virtù. Tutte le virtù esigono forza. Virtù, forza e valore son termini che si equival­gono. Perciò Gesù ha detto: « Il regno dei cieli patisce violenza ed i violenti lo rapiscono » (Mt. 11,12).La santità esige la pratica di tutte le virtù portata fino all'eroismo; esige la mobilitazione e l'impegno di tutte le energie fisiche e psi­chiche.Si può pregare quanto si voglia per santificarsi; si ottiene solo, ed è molto, la forza di affrontare i sacrifici. Per riuscire di fatto a santifi­carsi bisogna lanciarsi alla lotta. Siamo noi che dobbiamo pigliare la croce, portarla ed infine morirvi, non altri per noi. Sono molti che tutto questo lo sanno bene, ma pochi quelli che pazientemente lo praticano. Per questo son pochi i santi.Per cominciare bisogna avere il coraggio di chiedere al Signore con convinzione il dono della fortezza. S. Agostino, prima della conversione, aveva tale paura della vita cristiana da non voler pre­gare Dio di dargli la forza di convertirsi, per timore di essere da Dio ascoltato e dovere quindi rinunziare alla mala vita.Bisogna avere coraggio e, nello stesso tempo, fiducia nell'amore di Dio che non permetterà che noi veniamo tentati e caricati sopra quello che possimo portare e che ci darà sempre la forza di cavarne bene da ogni prova. « Dio è fedele e non permetterà che siate tentati sopra quello che potete portare» (1 Cor. 10,13).Guai al soldato che ha paura. Il nemico si fa forte della paura del­l'avversario. È tattica di ogni avversario far paura al contendente con minacce e con apparato di potenza. Il demonio, che conosce bene la psiche umana, ha impostato la sua lotta ed ha ottenuto il suo impero giocando sulla paura.Mette paura della conversione facendo vedere la vita cristiana monotona, terribile, impossibile; ne calca l'aspetto negativo di ri­nuncia e di sacrificio e ne oscura quello positivo della pace in terra e della felicità in cielo.Mette paura degli altri per toglierci il coraggio delle nostre idee e dei nostri atti virtuosi; ci mostra l'opinione pubblica come un mo­stro che bisogna tenere abbonito; il giudizio degli altri come un oracolo che può distruggere il nostro nome.Mette paura nelle persone religiose dei peccatori che presenta come gente perduta, invincibile e ripugnante; nei peccatori verso le persone religiose che presenta come fanatiche, ipocrite, interessate, ripiene di vizi nascosti.Chi ha il dono della fortezza non teme nulla; teme solo Dio. Sa che i giudizi degli uomini sono un fumo; che le ingiurie ricevute so­no titoli di meriti, che il peggior guaio che gli possa capitare (quello di morire per la propria fede o per il proprio dovere) si cambia nella massima fortuna.I santi ci hanno dato esempi mirabili di fortezza.Gli apostoli, prima pavidi, riempiti quindi dallo Spirito Santo, di­vennero intraprendenti e forti e, sfidando pericoli e tormenti, an­nunziarono il Vangelo nel mondo allora conosciuto.S. Paolo affrontò lunghi ed apri viaggi, flagellazioni, lapidazioni, naufragi, stenti, fame e infine la decapitazione.S. Giovanni Crisostomo subì lunghe e snervanti persecuzioni dall'imperatrice Eudossia per non volere aderire allo scisma. Do­mandandogli un giorno l'imperatrice, per colpirlo nel punto debo­le, che cosa temesse di più, egli rispose: « Il peccato N. L'imperatrice disarmò; capì che con simili uomini non c'era nulla da fare.S. Ignazio di Smirne, mentre veniva condotto a Roma in catene, aveva il solo timore di poter venire sottratto al martirio e scrisse ai romani perché non brigassero per lui, ma lo lasciassero divorare dalle belve.S. Giovanna di Chantal per farsi monaca passò sul corpo dei suoi figli, distesi sulla soglia della porta per non farla passare.S. Tommaso d'Aquino, rinchiuso dai fratelli in prigione perché desistesse dal proposito di farsi monaco, assalì con un tizzone la giovane venuta a tentarlo.S. Benedetto e S. Francesco si gettarono in un roveto per liberarsi da tentazioni impure.Milioni di martiri hanno affrontato in ogni tempo i tormenti e la morte per testimoniare la propria fede.Milioni di missionari hanno lasciato i parenti, la civiltà, le como­dità per terre lontane ove hanno trovato disagi d'ogni genere, ma­lattie e spesso anche persecuzione e morte: migliaia d'altri si sono confinati a vita nei lebbrosari colla certezza di contrarre la lebbra nella cura degli ammalati.S. Tommaso Moro per non volere aderire allo scisma fu impri­gionato ed ebbe confiscati tutti i suoi beni. La regina Elisabetta, do­po averne spezzata la fibra coi maltrattamenti, per piegarlo gli fece dire che tutti, perfino i sacerdoti ed i vescovi, avevano abiurato la fede cattolica. Il santo rispose: « Se anche tutto il mondo ha abiura­to, resterò io solo cattolico in compagnia degli angeli e dei santi ».Della fortezza ne hanno particolare bisogno gli apostoli che deb­bono affrontare le potenze del male visibili e invisibili. Bisogna che essi abbiano assoluta fiducia nella superiorità e nell'onnipotenza di Dio.Tutto è soggetto a Dio. Dio tiene gli uomini e i demoni, i trust e gli eserciti nelle sue mani come uccelli al filo. Li fa volare finché vuole, finché le loro male opere potranno essere utili per i suoi santi e per la sua Chiesa e al momento opportuno li ritira e li annienta.Per Dio ogni colosso ha i piedi d'argilla: gli basta un nonnulla per abbatterlo. Tutta la storia della Chiesa sta a testimoniarlo

V - LA SCIENZA

La scienza è la conoscenza di noi stessi, degli altri, e delle cose tutte in rapporto con Dio. Da questa conoscenza dipendono i nostri affetti, le nostre attività e le nostre relazioni; in una parola la nostra perfezione.È necessario pregare lo Spirito Santo che ci dia il dono della scienza.

1. Conoscenza di noi

Dobbiamo conoscere noi stessi in rapporto a Dio. È ugualmente pericoloso conoscere noi senza conoscere Dio e conoscere Dio sen­za conoscere noi. Cadremmo rispettivamente nella superbia o nella disperazione. Non basta conoscere noi in rapporto con noi stessi o al prossimo. Possiamo apparire galantuomini o incensurabili ed es­sere invece per Dio dei delinquenti. Dio vede le nostre occulte azio­ni, i nostri moti di lussuria, di ira, di antipatia, di gelosia, i nostri oc­culti pensieri, scopi, ecc. Dobbiamo conoscerci quali siamo dinanzi a Dio, perché noi realmente siamo quali a lui appariamo.Contemporaneamente però dobbiamo conoscere Dio in tutta la sua infinita misericordia e pazienza, sempre disposto a perdonare quando a lui umilmente ritorniamo ed a cavare del bene da tutti i nostri peccati e da tutti i nostri pasticci, quando vogliamo ferma­mente ricominciare la nostra ascesi. È ancora più pericoloso non conoscere né Dio né noi. Allora facilmente si accumulano in noi tutti i peccati della terra.Di tutto è capace chi non conosce né Dio, né se stesso. C'è tutto da aspettarsi da lui: i peccati capitali, la malafede, il tradimento, i peccati contro natura e contro il genere umano, le aberrazioni più ignominiose.Se tanti di questi peccati costui non commette è perché gli manca l'occasione.Chi siamo noi?Alcuni sostengono che siamo angeli che poi la società e le condi­zioni economiche rendono demoni; altri sostengono che siamo tal­mente corrotti da non poterci redimere, come le bestie; in ogni caso siamo irresponsabili.In verità noi non siamo né angeli, né demoni, né bestie. Siamo degli esseri dalla natura fondamentalmente buona, viziata però dal peccato originale.C'è difficoltà ad essere buoni, maggiore a santificarci; ma con l'aiuto di Dio e la nostra buona volontà è tutto possibile. « Sotto di te è il tuo appetito, e tu lo dominerai », disse il Signore ad Adamo (Gen. n. 7).Il male è che quasi mai ci conosciamo bene. Dopo aver creduto per lunghi anni di esserci conosciuti, spesso ci scopriamo dei difetti gravi: per es. di essere ancora attaccati al denaro, alla stima, a delle persone o a delle cose; di non essere stati mai pienamente retti nel­l'operare; di avere ancora viva la concupiscenza; di essere caparbi, falsi o esagerati, ecc.Non conoscendoci non possiamo correggerci. Molti parlano di virtù o di orazione mentale quando invece debbono ancora atten­dere ad eliminare il peccato. Costruiscono senza fondamenta e fan­no soltanto sogni.Tanti altri sopravvalutano o sottovalutano le proprie qualità e capacità, la loro forza di volere, il loro giudizio, la loro resistenza al male, al sacrificio, ecc. Nel primo caso spunta la superbia, la pre­sunzione, l'incostanza, la caduta; nel secondo l'indecisione, la mancanza di coraggio, di vasti piani, di grandi opere, di grande per­fezione.Molti non si fanno santi perché non credono di poterci riuscire come se a Dio fosse impossibile fabbricare un santo con della creta, sia pure la nostra.

2. Conoscenza degli altri

Bisogna conoscere il prossimo in rapporto a Dio. È ugualmente pericoloso conoscere Dio senza conoscere il prossimo e conoscere il prossimo senza conoscere Dio.La nostra visione di Dio fuori del nostro punto di partenza e di osservazione, che è il Corpo Mistico, è inesatta. È come chi volesse conoscere una stella prescindendo dalla costituzione, dall'atmosfe­ra e dalla velocità della terra. Altrettanto sbagliata è la conoscenza del prossimo fuori del piano di Dio: allora ci attirerà o ci respingerà per ciò che è in sé stesso e non per ciò che è per Dio.Il prossimo è realmente solo quello che è dinanzi a Dio.Le vesti, la forma, sono l'astuccio dell'anima, la maschera del ve­ro corpo che avremo nella resurrezione. Un aspetto comune o an­che poco simpatico può nascondere e non raramente nasconde un'anima eccezionale che splenderà e incanterà la corte celeste: un uomo o una donna affascinanti possono nascondere e quasi sem­pre nascondono un'anima bruttissima che appesterà maggiormen­te l'inferno.Cerca di vedere il prossimo con l'occhio di Dio: passino gli uo­mini dinanzi a te come dinanzi al proiettore dei raggi X nella came­ra schermata: spogli delle vesti, dei trucchi, della carne, ridotti allo scheletro, all'essenza, colla bellezza delle loro virtù o colla bruttezza dei loro peccati. Allora sentirai simpatia solo per i buoni, per quan­to insignificanti, e antipatia solo per i cattivi, per quanto seducenti. Allora stimerai veramente la bontà, l'umiltà, il sacrificio, la purezza, la carità, l'interiorità; detesterai veramente la superbia, la procacità, la libidine, lo sfarzo, l'egoismo.Bisogna che una cosa sola ci attiri alla gente mondana: non la lo­ro bellezza o il loro denaro o il loro successo, ma la compassione della loro sventura per l'inferno aperto ai loro piedi, e il desiderio di salvarli.Una conoscenza più profonda degli uomini debbono averla co­loro che si dedicano all'apostolato. Ogni anima è un labirinto; ogni cuore è un giardino incolto aperto ai venti. Tuttavia ogni essere ha il punto franco serbatosi da Dio per potere agire su di lui. Facendo leva su quel punto si può determinare la salvezza o anche la santifi­cazione di quell'individuo: è una sua particolare tendenza o una particolare circostanza. Chi ha il dono della scienza sa cogliere quel determinato punto o momento della grazia.Tutte le tendenze umane in ultima analisi si riducono al deside­rio della realizzazione piena della propria personalità e della felici­tà; tendenze fondamentalmente buone e realizzabili solo da Gesù nel Corpo Mistico, ma pervertite e sviate dalla società e dal diavolo. Ogni personalità ha caratteristiche differenti: o è inclinata alla gran­dezza, o alla scienza, o alle arti, o al piacere, o alla bellezza, o alla musica, ecc. È quello il punto sul quale bisogna fare leva. Quando si conosce un uomo si hanno in mano i fili per saperlo guidare, così non vi sono santi perché mancano guide di santi.

3. Conoscenza delle cose

Dobbiamo conoscere le cose in rapporto a Dio, cioè nel modo con cui Dio ha stabilito che ci servissimo di esse. Per cose si inten­dono i beni materiali, i doveri del nostro stato, le nostre relazioni.È ugualmente pericoloso conoscere Dio senza conoscere le cose e conoscere le cose senza conoscere Dio. Nel primo caso ci perdere­mo nell'illusione di amare Dio e di vivere vita perfetta trascurando i mezzi da Dio disposti per realizzarla; nel secondo ci perderemmo in una vita puramente naturale, vuota di ogni amore di Dio, di ogni grazia e di ogni merito.E innanzi tutto è necessario andarci a collocare nel posto preciso riservato a noi dall'economia divina, facendo rettamente la scelta del nostro stato.Dio ha destinato la nostra santificazione in uno stato determina­to, ed in esso ha tutto coordinato alla nostra santificazione. Chi non segue la chiamata di Dio allo stato più perfetto o ad un tenore di vi­ta più perfetto non potrà mai santificarsi; potrà però lo stesso sal­varsi corrispondendo alle grazie ordinarie.Per santificarci dobbiamo saperci servire di tutte le cose: dei cibi per mantenere e recuperare le energie fisiche da spendere nel servi­zio di Dio e del prossimo; del denaro per mangiare, vestirci e spen­dere il resto nelle opere di apostolato e di carità; delle relazioni colle persone per le loro anime o per le nostre opere di carità o di aposto­lato, ecc.Bisogna assolutamente evitare di perdere tempo o denaro o energie in rapporti o in opere puramente naturali, peggio peccami­nosi.Le cose tutte debbono servirci per avvicinarci maggiormente a Dio, non per staccarci da lui. Questa è la vera scienza delle cose, la scienza di Dio.Bisogna infine evitare un grave pericolo nelle stesse attività apo­stoliche o caritative: quello di distaccarci dall'orazione mentale e di svuotarci della vita interiore.

VI – PIETA’

La pietà è la disposizione che ci inclina a rispettare e ad amare Dio e le cose sue, cioè le sue rivelazioni e le sue creature.La pietà verso Dio ci inclina a ricordarlo, a ricordare gli atti del suo amore infinito: la creazione, l'incarnazione, la passione, l'Euca­restia, la resurrezione, l'ascensione; a glorificarlo per la creazione, ad adorarlo e ringraziarlo per l'incarnazione e passione, a compian­gerlo per i suoi dolori, a fargli compagnia e riceverlo nell'Eucarestia, a rallegrarci per la sua resurrezione, a desiderare il suo ritorno dal cielo.Tutti questi sentimenti sono frutto della pietà e la pietà, a sua volta, è dono dello Spirito Santo. Un cuore senza lo Spirito Santo è come un ciottolo; per quanto lo si sprema non ne esce una goccia di devozione. Bisogna molto pregare lo Spirito Santo perché ci dia il dono della pietà e faccia sprigionare dal nostro cuore duro le fiam­me dell'amore di Dio.Recita ogni giorno il « Veni, Creator Spiritus » o la sequenza di Pentecoste.L'ostacolo dello Spirito Santo è il peccato. Il peccato è come l'ac­qua, che se forte estingue il fuoco della devozione, se leggera lo smorza.Quando non ti spuntano più affetti nella preghiera o non sai più pregare fa un esame; probabilmente hai fatto qualche peccato o t'è spuntato qualche affetto disordinato a cose o a persone. Rimuovi l'ostacolo e tornerà la devozione. Se nulla di male trovi in te allora si tratta di aridità che il Signore ti manda per confermarti nella de­vozione di volontà.La pietà verso le rivelazioni di Dio ci inclina a venerare le sacre scritture, a leggerle sempre come un oracolo, a rispettare le devo­zioni suscitate da Dio. Il volersi attenere a una devozione razionale, il non voler riconoscere le rivelazioni private fondate su opinioni teologiche di altri e le devozioni approvate dalla Chiesa, il disprez­zare le preghiere vocali, gli sfoghi pietosi e le lagrime nella preghie­ra delle persone semplici è atto di superbia e mancanza di pietà. La Chiesa mette nel messale una preghiera per ottenere il dono delle lagrime.La pietà verso le creature ci inclina a comprenderle e a compatir­le, a piangere e a rallegrarci con loro, a favorirle sempre e a soppor­tarle, ad amarle e a cercare il loro bene, a sentire la pena universale per ogni dolore, per ogni sventura, per ogni bisogno.Il vizio opposto alla pietà è la durezza di cuore verso Dio, verso la rivelazione, verso il prossimo.

VII - TIMORE DI DIO

Il timore di Dio è la disposizione abituale che ci fa stare costante­mente lontani da ogni peccato e dipendenti da Dio.L'uomo timorato ha una chiara idea della santità infinita di Dio, dei suoi obblighi verso di lui e verso se stesso, della sua debolezza, della sua meta.Quindi:

1. Ha sempre per Dio il rispetto più profondo

Non lo nomina mai invano, ma sempre con riverenza; nelle pre­ghiere inchina il capo, come vuole la liturgia, quando pronunzia il nome della SS. Trinità, di Gesù o di Maria; non piglia col Signore tanta confidenza da rompere la differenza; non scherza con lui o con le cose sante; Dio è Dio, l'infinito, l'onnipotente, il Re, il Giudi­ce supremo oltre che l'Amore infinito, e noi siamo povere e misera­bili creature.

L'uomo timorato non parla mai in Chiesa, conserva in essa la compostezza, la gravità, il raccoglimento; non parla mai forte, mai senza necessità; fa bene i segni di croce, le genuflessioni; non piglia colla Chiesa la confidenza di tanti sacrestani. S. Francesco di Sales continuava anche fuori, anche quando era solo in casa, a compor­tarsi come in Chiesa. Viveva sempre alla presenza di Dio e percepi­va di esserlo.

2. Ha sempre per Dio un grande timore

Sa che la giustizia di Dio è terribile, che all'inferno si può andare anche per un solo peccato mortale, che nessuno gli garantisce di avere il tempo di pentirsi dopo aver peccato, che tutto si paga in questa vita o nell'altra.Dio non può lasciare impunito alcun peccato; punisce in questa vita con dolori e tribolazioni di ogni genere (e questa punizione è opera di misericordia, in quanto ci risparmia le pene terribili del purgatorio) e sottraendo per ogni peccato qualche comunicazione della sua grazia (e questa è opera di giustizia); punisce nell'altra vita le colpe non scontate da sufficienti tribolazioni o da sufficiente amore col purgatorio, ed i peccati mortali, di cui non c'è stato penti­mento, coll'inferno.L'uomo timorato si guarda bene dal commettere alcun peccato. Quando la violenza della tentazione gli oscura l'intelligenza e il cuore, il ricordo della giustizia di Dio lo scuote e lo trattiene dal peccato.Ma a un certo punto il timore della giustizia di Dio, sviluppando­si e perfezionandosi, diventa timore della santità e della bontà di Dio. L'uomo timorato pian piano arriva ad avere un grande timore di offendere e dispiacere Dio e si contenta piuttosto morire che ol­traggiarlo. Allora il movente del timore diventa l'amore. Bisogna che il calore diventi luce, che il timore diventi amore perché tutto il nostro essere venga illuminato e raggiunga la perfezione.

3. Ha sempre un grande timore di se stesso

È un grave errore pensare che dopo la conversione o che ad un certo grado di perfezione non si possa più peccare facilmente. L'ap­parecchio conserva sempre la stessa possibilità di rovinarsi e di precipitare sia a cento metri sulla terra, che a 1.000 o a 10.000. Noi conserviamo per tutta la vita la stessa debolezza. Dobbiamo star sempre guardinghi come il coniglio per sfuggire l'insidia. Dobbia­mo guardarci dagli sguardi sensuali, dall'ozio, da figure, letture, spettacoli, persone provocanti. La libidine e gli altri vizi capitali ci stanno sempre in agguato. Chi è sicuro di sé è alla vigilia della ca­duta. Il nostro corpo, per quanto sottomesso dalla mortificazione e ridotto alla castità perfetta, è sempre come il serpente, che si finge morto e dà all'improvviso il morso mortifero. S. Paolo ci avverte: «Con timore e tremore operate la vostra salute» (Filip. 2,12).

[Modificato da MARIOCAPALBO 15/12/2011 08:11]