00 15/12/2011 08:06
Scienza e Pieta'

L'anima che è stata distaccata dal male mediante il timor di Dio, ed aperta ai nobili affetti dal dono della pietà, sente il bisogno di sapere con quali mezzi eviterà ciò che forma l'oggetto della sua paura, e potrà trovare ciò che deve amare. Lo Spirito Santo viene in suo aiuto; e le porta quanto desidera, diffondendo in essa il dono della scienza. Con questo dono prezioso, le appare chiaramente la verità, capisce ciò che Dio domanda e ciò che Dio riprova, ciò che deve cercare e ciò che deve fuggire. Senza la scienza divina, con la nostra vista corta, rischiamo di perderci, a causa delle tenebre che troppo spesso oscurano in tutto od in parte l'intelligenza dell'uomo. Queste tenebre, prima di tutto, provengono dal fondo di noi stessi, che portiamo ancora le tracce troppo reali della nostra decadenza. Esse hanno anche, come causa, i pregiudizi e le massime del mondo, le quali, ogni giorno, falsano spiriti, che pur si credevano fra i più retti. E finalmente l'azione di Satana, il Principe delle tenebre, esercitata in gran parte con lo scopo di circondare la nostra anima di oscurità, o di perderla con l'aiuto di falsi miraggi.
La fede, che ci è stata infusa nel Battesimo, è la luce dell'anima nostra. Per mezzo del dono della scienza, lo Spirito Santo fa rilucere questa virtù di vividi raggi, atti a dissipare tutte le tenebre. Si schiariscono allora i dubbi, svanisce l'errore, e la verità appare in tutto il suo splendore. Si vede ogni cosa sotto la sua vera luce, che e quella della fede. Si scoprono i deplorevoli errori che si diffondono per il mondo, che seducono un sì gran numero di anime, e dei quali, forse, noi stessi siamo stati a lungo le vittime. Il dono della scienza ci rivela il fine che Dio si è proposto nella creazione, quel fine, all'infuori del quale, gli esseri non saprebbero trovare né il bene, né il riposo. C'insegna l'uso che noi dobbiamo fare delle creature, che ci sono state date, non per essere uno scoglio, ma per aiutarci nel cammino verso Dio. Manifestandoci così il segreto della vita, la nostra strada diventa sicura, non esitiamo più; e ci sentiamo disposti a ritirarci da ogni via che non ci conduce verso tale fine.
È a questa scienza, dono dello Spirito Santo, che l'Apostolo si rivolge quando, parlando ai cristiani, dice loro: "Un tempo eravate tenebre, ora invece siete luce nel Signore: comportatevi da figli della luce" (Ef 5, 8). Da essa viene quella fermezza, quella sicurezza della condotta cristiana. L'esperienza può mancare qualche volta, e il mondo si meraviglia all'idea dei passi falsi che sono da temere; ma il mondo conta senza il dono della Scienza. "Il Signore conduce il giusto per le vie rette, e per assicurare i suoi passi gli ha dato la Scienza dei Santi" (Sap 10,10).
Questa lezione ci viene data ogni giorno. Il cristiano, per mezzo della luce soprannaturale sfugge a tutti i pericoli, e, se non ha esperienza propria, ha quella di Dio.

Sii benedetto, divino Spirito, per questa luce che diffondi su di noi, che ci mantieni con sì amabile perseveranza. Non permettere che ne cerchiamo mai un'altra. Ella sola ci basta; e all'infuori di essa non vi sono che tenebre. Proteggici dalle tristi inconseguenze, alle quali molti si lasciano andare imprudentemente, accettando oggi la tua guida e abbandonandosi l'indomani ai pregiudizi del mondo; camminando così in una doppia via che non soddisfa né il mondo né te. Ci occorre, quindi, l'amore di questa Scienza, che ci hai dato affinché fossimo salvi; questa scienza salutare rende geloso il nemico delle anime nostre, che vorrebbe sostituirsi le sue ombre. Non permettere, divino Spirito, che riesca nel suo perfido disegno, ed aiutaci sempre a discernere ciò che è vero da ciò che è falso, ciò che è giusto da ciò che è ingiusto. Che, secondo la parola di Gesù, il nostro occhio sia semplice, affinché il corpo, ossia l'insieme delle nostre azioni, dei nostri desideri e dei nostri pensieri, resti nella luce (Mt 6, 23); e salvaci da quell'occhio che Gesù chiama cattivo e che rende tenebroso l'intero corpo.

 

·         Il dono della scienza

Quanto al dono della scienza, la precisazione della sua natura va certamente nella linea dei contenuti. Vale a dire: il dono della sapienza si può definire come "una luce che permette di vedere"; essa non consiste quindi in una "quantità" di cose da sapere, bensì in una particolare luce di discernimento che permette alla persona di leggere i fatti e le situazioni della vita, in certo senso, con gli occhi di Dio. Il dono della scienza non è una luce che permette di vedere, ma è l'oggetto stesso della verità di Dio (la Rivelazione). In questo senso il dono della scienza è coordinato a quello della sapienza. Se la scienza è il possesso mentale del progetto di Dio, la sapienza è quella luce intellettuale che permette di vederlo senza deformazioni o fraintendimenti. Sarà opportuno anche qui qualche riferimento scritturistico. Ai Corinzi l'Apostolo Paolo dice di essere un profano nell'eloquenza ma non nella scienza: "Se anche sono un profano nell'arte del parlare, non lo sono però nella dottrina" (2 Cor 11,6); il riferimento va alla dottrina sacra, la scienza di Dio, cioè ai contenuti del piano di salvezza conosciuti dall'Apostolo per rivelazione. Così anche agli Efesini: "Dalla lettura di ciò che ho scritto potete ben capire la mia comprensione del mistero di Cristo" (Ef 3,4).I contenuti della scienza di Dio appartengono solo a Lui e solo Lui li comunica a chi vuole: "Per rivelazione mi è stato fatto conoscere il mistero" (Ef 3,3); "C'è un Dio nel cielo che svela i misteri" (Dn 2,28); "Il Signore, cui appartiene la sacra scienza" (2 Mac 6,30); "s'insegna forse la scienza a Dio?" (Gb 21,22); e ancora: "Gli occhi del Signore proteggono la scienza" (Prv 22,12); "O profondità della scienza di Dio! Quanto sono imperscrutabili i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie" (Rm 11,33). L'idea è chiara: la divina rivelazione e le profondità della sua divina verità nessun uomo può raggiungerle con la sola luce della ragione naturale; Qoelet dice addirittura che neppure un saggio potrebbe trovarla (Qo 8,17). Ciò significa che è un dono di Dio non solo la conoscenza della sua verità (dono di scienza) ma perfino la luce intellettuale che permette di vederla (dono di sapienza). Che la scienza sia un dono risulta anche dalla dottrina paolina: "in Lui siete stati arricchiti di tutti i doni, quelli della parola e quelli della scienza" (1 Cor 1,5); e più avanti: "se io conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza… ma non avessi l'amore" (1 Cor 13,2). Qui la scienza è equiparata ai misteri, dunque si tratta di un sapere rivelato, che comunque è del tutto inutile in mancanza dell'amore teologale. La Scrittura afferma inoltre che il dono della scienza è dato da Dio, ed è un dono ben distinto, come abbiamo detto, da quello della scienza: "L'ho riempito dello Spirito di Dio, perché abbia saggezza, intelligenza e scienza" (Es 31,3); è dunque Dio che concede il dono della scienza, che rimane comunque distinto dal dono della sapienza e da quello dell'intelletto, che esamineremo più avanti. Il libro del Siracide afferma che il dono della scienza, ossia la conoscenza rivelata della verità di Dio, è uno di quei doni che l'essere umano ha ricevuto fin dall'origine della creazione: "Il Signore creò l'uomo dalla terra… pose davanti a loro la scienza e diede loro in eredità la legge della vita" (Sir 17,1.9). Si vede dal parallelismo sinonimico che il termine "scienza" corrisponde a "legge della vita", cioè la Torah, ovvero la conoscenza della volontà di Dio e la sua dottrina. Coloro che hanno ricevuto il dono della sapienza apprezzano i contenuti della scienza di Dio, perché, avendo la sapienza, li possono guardare nella luce giusta: "I saggi fanno tesoro della scienza" (Prv 10,14). Essi sono in grado anche di comunicarla nel loro insegnamento: "La lingua dei saggi fa gustare la scienza" (Prv 15,2), "Le labbra dei saggi diffondono la scienza" (Prv 15,7). In conclusione: "Ricchezze salutari sono sapienza e scienza" (Is 33,6).

 

·         Scienza

"Grazie al dono della scienza ci è dato conoscere il vero valore delle creature nel loro rapporto col Creatore.
Grazie ad essa
- scrive S.Tommaso - l'uomo non stima le creature più di quello che valgono e non pone in esse, ma in Dio, il fine della propria vita."(Giovanni Paolo II).
Il dono della scienza insegna a fare ringraziamento e offerta di ogni cosa creata perché ci è stata data per aiutarci nel cammino verso Dio. La scienza suggerisce un ordinato e illuminato distacco dalle creature per entrare in armonia e in profonda comunione con esse e assaporarne tutta la bellezza come riflesso della bellezza di Dio.
Nel Siracide leggiamo :"...pose lo sguardo nel cuore degli uomini per mostrare loro la grandezza delle sue opere", "I loro occhi contemplarono la grandezza della sua gloria e i loro orecchi sentirono la magnificenza della sua voce".
Il dono della scienza è sorgente di lode, di canto ed è fonte di libertà interiore che porta alla contemplazione di Dio.

                                                                                                                                                                         

PIETA'   

Il Dono del Timor di Dio è destinato a guarire in noi la piaga dell'orgoglio; il dono della Pietà viene diffuso dallo Spirito Santo nelle nostre anime per combattere l'egoismo che è una delle cattive passioni dell'uomo decaduto, ed il secondo ostacolo alla sua unione con Dio. Il cuore del cristiano non deve essere né freddo né indifferente; bisogna che sia tenero e pronto alla dedizione; altrimenti non potrebbe elevarsi nella via nella quale Dio, che è amore, si è degnato di chiamarlo.
Lo Spirito Santo produce, dunque, nell'uomo il dono della Pietà, ispirandogli una reciprocità filiale verso il suo creatore. "Avete ricevuto lo Spirito d'adozione filiale, per il quale esclamiamo: Abba! o Padre!" (Rm 8, 15). Questa disposizione rende l'anima sensibile a tutto ciò che tocca l'onore di Dio. Fa sì che l'uomo coltivi in se stesso la compunzione dei suoi peccati, vedendo l'infinita bontà di colui che si è degnato di sopportarlo e perdonarlo, e pensando alle sofferenze ed alla morte del Redentore. L'anima iniziata al dono della Pietà desidera costantemente la gloria di Dio; vorrebbe condurre tutti gli uomini ai suoi piedi, e gli oltraggi che egli riceve sono particolarmente dolorosi per essa. La sua gioia è di vedere il progresso delle anime nell'amore, e gli atti di dedizione che esso ispira loro verso Colui che è il sommo bene. Piena di sottomissione filiale verso questo padre universale che è nei Cieli, ella si tiene pronta per fare in tutto la sua volontà, e si rassegna di cuore a tutte le disposizioni della sua provvidenza.
La sua fede è semplice e viva. Ella resta amorosamente sottomessa alla Chiesa, sempre pronta a rinunciare anche alle sue idee più care, se dovessero scostarsi in qualche cosa dai suoi insegnamenti o dalle sue pratiche, avendo un orrore istintivo della novità e dell'indipendenza.
Questo sentimento di dedizione a Dio che ispira il dono della Pietà, unendo l'anima al suo Creatore con affetto filiale, la unisce con affetto fraterno a tutte le creature, poiché esse sono l'opera della potenza di Dio e gli appartengono.
In prima linea, tra le affezioni del Cristiano, animato dal dono della Pietà, si pongono quelle verso le creature glorificate, delle quali Dio gode eternamente e che, a loro volta, godono pure per sempre di Lui. Egli ama teneramente Maria, è geloso del suo onore; venera amorosamente i Santi; ammira con effusione il coraggio dei martiri, e gli atti eroici di virtù compiuti dagli amici di Dio; si diletta dei loro miracoli, e onora devotamente le loro sacre reliquie. Ma la sua affezione non si limita solamente alle creature già coronate nel cielo; quelle che sono ancora sulla terra tengono pure un gran posto nel suo cuore. Il dono della Pietà gli fa trovare in esse lo stesso Gesù. La sua benevolenza verso i fratelli è universale. Il suo cuore è disposto al perdono delle ingiurie, a sopportare le altrui imperfezioni, alla scusa verso i torti del prossimo. Egli è compassionevole verso i poveri, sollecito verso gli infermi. Una affettuosa dolcezza rivela il fondo del suo cuore; e nei rapporti con i suoi fratelli della terra lo si vede sempre disposto a piangere con quelli che piangono, a rallegrarsi con quelli che sono nella gioia.
Tali sono, o divino Spirito, le disposizioni di coloro che coltivano il dono della Pietà, che hai riversato nelle anime loro. Per mezzo di questo ineffabile favore, neutralizza quel triste egoismo che sciuperebbe il loro cuore, li liberi da quell'odiosa aridità che rende l'uomo indifferente verso i suoi fratelli, e chiudi la sua anima all'invidia e all'odio. Per tutto ciò non è stata necessaria che questa pietà filiale verso il creatore; essa ha intenerito il suo cuore, ed il cuore si è impregnato di una viva affezione per tutto ciò che è uscito dalle mani di Dio. Fa' fruttificare in noi un sì prezioso dono; non permette che esso venga soffocato con l'amore di noi stessi. Gesù ci incoraggia dicendoci che il Padre celeste "fa sorgere il suo sole sopra cattivi e buoni" (Mt 5, 45). Non permettere, o divino Paraclito, che una tale paterna indulgenza sia un esempio perduto per noi, e degnati di sviluppare nelle anime nostre questo seme di dedizione, di benevolenza e di compassione che vi hai posto nello stesso momento in cui ne prendevi possesso per mezzo del Santo Battesimo.

 

·         Il dono della pietà

Anche il dono della pietà tocca la sfera emozionale volitiva, creando delle disposizioni abituali che qualificano il rapporto del cristiano con Dio. Innanzitutto va chiarito il termine: il dono della pietà non riguarda il rapporto col prossimo, perciò con questo termine non ci si riferisce alla disposizione d'animo di chi ha compassione del prossimo o è misericordioso verso chi lo offende; col termine "pietà" qui si intende descrivere la cosiddetta virtù di religione, ossia la disposizione di filiale ubbidienza, sentita dal cristiano come una esigenza interiore, insieme al dovere di sottomettersi alla volontà di Dio non per paura ma per amore. Il dono della pietà qualifica, appunto, il rapporto con Dio. Di riflesso, però, esso qualifica anche il rapporto con tutto ciò che sulla terra ha valore di "segno" della divina Presenza. Così, se da un lato il dono della pietà dispone il cristiano a sentirsi figlio di Dio, con tutto ciò che ne consegue sul piano delle decisioni e dei sentimenti, dall'altro lato lo dispone anche a un atteggiamento di delicatezza e di rispetto verso tutto ciò che Dio ha istituito nella Chiesa e nel mondo come un riflesso della propria universale Paternità. Sarà opportuno cercare qualche riscontro biblico.L'atteggiamento della pietà religiosa è tenuto in grande considerazione nella tradizione veterotestamentaria. Esso si iscrive in un preciso orientamento della volontà di Dio: "Uomo, ti è stato insegnato ciò che richiede il Signore da te: praticare la giustizia, amare la pietà, camminare umilmente con il tuo Dio" (Mi 6,8). La pietà corrisponde dunque a una delle aspettative di Dio, insieme alla giustizia e alla disponibilità a lasciarsi guidare da Dio nella vita, senza ostinarsi a perseguire i propri progetti personali e le proprie personali mete.Gli atteggiamento concreti della pietà si collegano a quella che comunemente viene definita "virtù di religione", vale a dire l'insieme di disposizioni necessarie per rapportarsi a Dio. Tra i personaggi biblici dell'AT che incarnano l'ideale della pietà possiamo ricordare soprattutto Giobbe e Tobi. Giobbe rimane convinto che Dio governa il mondo con perfetta sapienza, anche quando lo affligge misteriosamente: "Il Signore ha dato, il Signore ha tolto" (Gb 1,21); in sostanza, l'uomo che è illuminato dal dono della pietà religiosa sente con chiarezza che il proprietario di tutto è Dio, proprietario anche dei beni personali, che ciascun uomo ritiene di possedere a buon diritto, avendoli acquistati col proprio lavoro; ma Dio è proprietario anche delle vite umane create da Lui, e si riserva una libertà assoluta di decretare i tempi delle nascite e delle morti. Dio è il proprietario di ogni vita, anche di quella che una madre partorisce dolorosamente e che, essendo carne della sua carne, considera come qualcosa di "proprio". Anche su questa vita concepita e partorita, e su questo rapporto materno, Dio ha il primato e il diritto assoluto di proprietà: "Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se queste donne si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai. Ecco, ti ho disegnato sulle palme delle mie mani" (Is 49,15-16); "Dice il Signore Dio… Ecco, tutte le vite sono mie: la vita del padre e quella del figlio è mia" (Ez 18,4). Il NT attribuisce al Cristo risorto questo potere assoluto sui viventi: "E Gesù, avvicinatosi, disse loro: Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra" (Mt 28,18). Nell'AT anche Tobi è una figura che incarna l'ideale della pietà religiosa (cfr. Tb 1). Pur vivendo in terra straniera non perde l'antica fede e continua a vivere da israelita fedele; però, nella vita non tutto gli va bene: come accade a Giobbe, viene colpito anche lui da una malattia. Sua moglie assume allora un atteggiamento simile a quello della moglie di Giobbe, che si può sintetizzare nella frase, "Che ci hai guadagnato a essere un uomo religioso?" (cfr. Tb 2,14 e Gb 2,9). Tobi non le risponde e si raccoglie nella preghiera, riaffermando la propria sottomissione ai decreti di Dio: "Tu sei giusto, Signore, e giuste sono le tue opere… Tu sei il giudice del mondo" (Tb 3,2). L'uomo illuminato dal dono della pietà ha dunque un senso acuto della sua piccolezza di creatura davanti a Dio, che invece è padrone e giudice del mondo. Per questo si astiene dal giudicare i decreti di Dio, il suo operato e il suo modo di guidare la vita delle società come pure dei singoli esseri umani. Il Signore però risponderà alla fedeltà di Tobi con la sua solita misura traboccante: gli restituirà la salute, proteggerà suo figlio Tobia in un difficile viaggio, e libererà la fidanzata di Tobia da un maleficio che le impediva il matrimonio. L'epilogo della storia dà quindi torto alla moglie di Tobi, come anche la moglie di Giobbe viene smentita dai fatti, ma in entrambi i casi, però, la risposta di Dio arriva parecchio tempo dopo. Il giusto non è mai abbandonato al potere del male, ma è soccorso da Dio in tempi e modi che non sempre coincidono con le aspettative della logica umana. In questo senso il libro della Sapienza dice che "la pietà è più potente di tutto" (Sap 10,12): al legame religioso, che unisce l'uomo a Dio, corrisponde, da parte di Dio, una benedizione più potente di qualunque male. Una benedizione divina che comunque deve essere intesa non come uno scudo che preserva, ma come una corazza che ci permette di combattere senza che i colpi del nemico possano ucciderci. Il combattimento è infatti inevitabile. Il NT riafferma questo concetto: "La pietà è utile a tutto" (1 Tm 4,8). Essa è una caratteristica inalienabile nella personalità dell'uomo di Dio (1 Tm 6,11). Nello stesso tempo, per realizzare un rapporto pieno e integrale con Dio, "la sua potenza divina ci ha fatto dono di ogni bene per quanto riguarda la pietà" (2 Pt 1,3); qui l'Apostolo si riferisce ovviamente in modo esplicito al dono dello Spirito che viene a perfezionare la virtù di religione: il dono della pietà. Il prototipo di questo atteggiamento che definiamo "dono della pietà" è Gesù stesso nel suo modo di rapportarsi a Dio nei giorni della sua vita terrena. La nota più importante che caratterizza la pietà del Gesù storico è tutta racchiusa nel termine aramaico "Abbà", ricorrente nella sua preghiera personale. Si tratta di una parola tratta dal linguaggio dell'infanzia, che esprime l'intimità dell'ambiente domestico. In questo modo il Maestro costruisce il modello di riferimento del rapporto religioso tra i discepoli e Dio, un rapporto fatto di confidenza e di intimità come quello dei bambini verso i loro genitori, tra le mura domestiche. "Quando pregate, dite Abbà…" (Lc 11,2). Il senso della pietà cristiana è tutto qui. Il dono della pietà genera in noi gli stessi sentimenti di Cristo verso il Padre.

·         La Pieta’

La pietà, come dono dello Spirito Santo, ci rende capaci di rispondere all'amore misericordioso di Dio con un attaccamento filiale fatto di vigilanza e tenerezza, che si traduce in un'obbedienza pronta e gioiosa verso Dio e un'attenta misericordia verso il prossimo. (A.Doneda)
La consapevolezza dell'amore di Dio permette all'anima di volgere lo sguardo a Lui. Ci sentiamo figli protetti, custoditi in mani sicure, perché sappiamo che il suo perdono è amore, non giustizia.
Consapevole della propria povertà, la creatura si abbandona al suo Creatore per riceverne consolazione.
Dio ama e attende da ciascuno una risposta al suo amore.
Negli avvenimenti di ogni giorno e nelle prove più difficili, questo dono ci fa essere pronti ad ogni sacrificio, per amore di un Padre così tenero che in tutti gli eventi opera solo per il bene dei suoi figli. E' il dono della pietà che trasforma il nostro cuore e vi infonde gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù.