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19. 63. Quindi in questo passo il Signore ci avverte sul giudizio temerario e offensivo. Egli vuole infatti che con cuore sincero e rivolto unicamente a Dio compiamo tutte le azioni che compiamo; e vi sono molte azioni che è incerto con quale sentimento si compiano ed è avventato il giudicarle. Invece giudicano temerariamente su fatti incerti e li criticano con indifferenza soprattutto coloro che amano biasimare e condannare anziché emendare e correggere ed è il vizio della superbia o invidia. Perciò il Signore prosegue e dice: Perché osservi la pagliuzza nell’occhio di tuo fratello e non vedi la trave nel tuo occhio? 183. È il caso, ad esempio, che egli ha peccato per ira, tu invece critichi con odio. Quanta differenza appunto v’è fra la pagliuzza e la trave, altrettanta quasi fra l’ira e l’odio. L’odio infatti è un’ira inveterata che, per così dire, con l’invecchiare ha acquisito tanta resistenza che giustamente si considera trave. Può avvenire infatti che, se ti adiri con un uomo, intendi che si corregga; se invece lo odi, non ottieni che egli intenda correggersi.

Umiltà e bontà nel correggere.

19. 64. Come puoi dire a un tuo fratello: Permetti che tolga la pagliuzza dal tuo occhio, mentre nell’occhio tuo c’è la trave? Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e poi vedrai di togliere la pagliuzza dall’occhio di tuo fratello 184, ossia: Prima rimuovi l’odio e poi potrai correggere l’uomo che ami. E ha detto bene: Ipocrita. Infatti biasimare i vizi è compito di uomini buoni e benevoli, ma, quando lo fanno i cattivi, recitano la parte degli altri, come gli attori che nascondono sotto la maschera quel che sono e imitano con la maschera quel che non sono. Quindi nell’appellativo di ipocriti intenderai gli impostori. Ed è veramente molto insopportabile e spiacevole la razza degli impostori poiché, mentre intraprendono con odio e astio la censura dei vizi, intendono anche essere considerati consiglieri. E quindi con tenerezza e prudenza si deve stare attenti che se la emergenza costringerà a riprendere o rimproverare qualcuno, per prima cosa riflettiamo se è un vizio che non abbiamo mai avuto o che ce ne siamo liberati. E se non l’abbiamo mai avuto, riflettiamo che anche noi siamo uomini e abbiamo potuto averlo; se invece l’abbiamo avuto e non l’abbiamo più, la comune debolezza renda attenta la memoria in modo che non l’odio ma la compassione preceda la riprensione o il rimprovero, sicché tanto se contribuiscono al suo ravvedimento come alla sua ostinazione, giacché il risultato è incerto, noi tuttavia siamo tranquilli sulla sincerità del nostro giudizio. Se poi riflettendo riscontreremo che anche noi ci troviamo in quel vizio, in cui si trova colui che ci apprestavamo a riprendere, non riprendiamo e non rimproveriamolo, ma proviamone insieme dolore e invitiamolo non ad ascoltarci ma a tentare insieme.

L’uniformarsi in Paolo.

19. 65. In merito dice l’Apostolo: Sono diventato giudeo con i Giudei, per guadagnare i Giudei; con coloro che sono sotto la legge sono diventato come uno che è sotto la legge, pur non essendo sotto la legge, allo scopo di guadagnare quelli che sono sotto la legge; con coloro che non hanno legge sono diventato come uno che è senza la legge, pur non essendo senza la legge di Dio, anzi essendo nella legge di Cristo, per guadagnare coloro che sono senza legge. Sono diventato debole con i deboli per guadagnare i deboli; sono diventato tutto per tutti per guadagnare tutti 185. Certamente non realizzava questa esperienza per finzione, come alcuni vorrebbero interpretare per proteggere la loro detestabile finzione con l’autorità di un così sublime modello, ma la realizzava, perché considerava come propria la debolezza di colui al quale voleva venire incontro. E l’ha premesso dicendo: Infatti pur essendo libero da tutti, sono diventato servo di tutti per guadagnarne il maggior numero 186. E affinché tu comprenda che non per finzione ma mediante la carità questo avviene, perché con essa commiseriamo i deboli, come se lo fossimo noi, in un altro passo esorta con le parole: Voi, fratelli, siete stati chiamati alla libertà, purché non usiate questa libertà come pretesto della passione, ma mediante la carità siate a servizio gli uni degli altri 187. E questo non può avvenire se uno non considera come propria la debolezza dell’altro per sopportarla con serenità fino a che non se ne libera colui di cui cura la salute.

Prudenza nel correggere.

19. 66. Quindi raramente e in casi di grande necessità si devono usare i rimproveri, in modo che anche in essi ci preoccupiamo che si sia sottomessi a Dio e non a noi stessi. Egli infatti è fine affinché nulla facciamo con doppiezza di cuore, togliendo dal nostro occhio la trave dell’invidia o malignità o finzione per vedere di trar fuori la pagliuzza dall’occhio del fratello. La vedremo infatti con gli occhi della colomba 188, quali sono esaltati nella sposa di Cristo, che Dio si è scelto come Chiesa gloriosa, perché non ha neo o grinza, cioè è pulita e riservata 189.

Prudenza nella evangelizzazione.

20. 67. Il termine di riservatezza può trarre in errore alcuni che desiderano obbedire ai comandamenti di Dio, sicché ritengono che sia una colpa occultare il vero, come è una colpa dire talora il falso. In questo modo spiegando le verità, che coloro ai quali vengono spiegate non possono capire, fanno un danno maggiore che se le tenessero completamente e sempre nascoste. Quindi il Signore molto opportunamente soggiunge: Non date una cosa santa ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci affinché non le calpestino con le loro zampe e non si voltino per sbranarvi 190. Difatti il Signore, sebbene non abbia mai mentito, ha mostrato di aver tenute nascoste alcune verità, dicendo: Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso 191. E l’apostolo Paolo dice: Io non ho potuto parlare a voi come a uomini spirituali, ma come ad esseri carnali. Come neonati in Cristo vi ho dato da bere latte per bevanda e non cibo solido, perché non eravate capaci, ma neanche ora lo potete, perché siete ancora carnali 192.

Cani e porci contro la verità.

20. 68. Nel comando con cui ci si proibisce di dare una cosa santa ai cani e di gettare le nostre perle ai porci, si deve esaminare attentamente che cosa significhi una cosa santa, che cosa le perle, i cani e i porci. Una cosa santa è quella che è empietà violare e profanare. Di questo crimine sono considerati colpevoli il tentativo e l’intenzione, sebbene la cosa santa è di per sé inviolabile e improfanabile. Sono da considerarsi perle tutti i grandi valori dello spirito e poiché sono nascoste in un recesso, sono tratte, per così dire, dalla profondità e si rinvengono negli involucri delle allegorie, quasi paragonabili ai gusci di conchiglia aperti. È ammessa dunque questa interpretazione: si possono considerare una sola e medesima realtà una cosa santa e la perla, ma una cosa santa dal fatto che non si deve profanare, una perla dal fatto che non si deve conculcare. Un tizio tenta di profanare quel che non vuole illeso; conculca invece quel che ritiene spregevole e lo considera sotto di sé e perciò si dice che è calpestato tutto ciò che si conculca. Perciò i cani, poiché assaltano per dilaniare, non permettono che rimanga illeso l’essere che dilaniano. Non date, dice il Signore, una cosa santa ai cani 193, poiché anche se non è possibile dilaniare e profanare ed essa rimane illesa e inviolabile, si deve riflettere che cosa intendono coloro che si oppongono con odio accanito e per quanto sta in loro, se fosse possibile, tentano di distruggere la verità. I porci poi, sebbene non assalgano col morso come i cani, imbrattano dappertutto calpestando. Non gettate dunque, dice il Signore, le vostre perle davanti ai porci affinché non le calpestino con le loro zampe e non si voltino per farvi a pezzi 194. Ritengo dunque che non illogicamente i cani siano indicati per coloro che contraddicono la verità e i porci per coloro che la conculcano.

Motivazione della segretezza.

20. 69. Dice: Si voltino per farvi a pezzi, non dice: Facciano a pezzi le perle. Calpestandole infatti, quando si voltano, per ascoltare ancora qualche parola, fanno a pezzi colui da cui sono state già gettate le perle che hanno calpestato. Difatti non troverai con facilità che cosa possa essere gradito a chi ha calpestato le perle, cioè ha conculcato le verità divine conseguite con tanto impegno. E non vedo come chi le insegna non sia fatto a pezzi dallo sdegno e dal disgusto. L’uno e l’altro, il cane e il porco, sono animali immondi. Si deve evitare dunque di svelare la verità a chi non l’accoglie; è meglio che cerchi da sé una verità nascosta, anziché travisi o neghi quella che gli è svelata. E oltre l’odio e il conculcamento non si trova altra ragione per cui le grandi verità rivelate non siano accolte; e per il primo sono stati indicati i cani e per l’altro i porci. E tutta questa immondezza si rende comprensibile attraverso le cose del tempo, ossia attraverso l’amore di questo mondo, al quale ci si ingiunge di rinunziare affinché possiamo essere puri. Chi dunque desidera avere il cuore sereno e puro non deve ritenersi colpevole, se tiene segreta una verità che colui, al quale la tiene segreta, non può capire. Né da questa massima si deve presumere che sia permesso mentire poiché non ne consegue che quando si tiene nascosto il vero si dice il falso. Si deve quindi ottenere prima che siano tolti gli impedimenti, per i quali avviene che uno non accoglie il vero; e se non lo accoglie a causa delle immondezze, si deve purificarlo con la parola e con l’azione, per quanto ci è possibile.

Gesù modello dell’insegnamento.

20. 70. Poiché si riscontra che nostro Signore ha detto alcune verità che molti dei presenti o per contrasto o per disprezzo non accolsero, non si deve ritenere che ha dato una cosa santa ai cani o che ha gettato le perle davanti ai porci, perché egli non ha parlato per quelli che non potevano accoglierle, ma per quelli che lo potevano ed erano ugualmente presenti e che non conveniva trascurare a causa della immondezza degli altri. E quando lo interrogavano quelli che lo mettevano alla prova e rispondeva loro in modo che non potessero contraddire, sebbene si struggessero con i propri veleni, anziché saziarsi del suo cibo, tuttavia dal loro intervento gli altri, che potevano apprendere, ascoltavano con vantaggio. Ho detto questo affinché se uno per caso non potrà rispondere a chi lo interroga, non si ritenga scusato col dire che non vuole dare una cosa santa ai cani e gettare le perle davanti ai porci. Chi sa cosa rispondere deve rispondere, sia pure per gli altri, nei quali sorge la sfiducia se riterranno che la questione non si può risolvere, e questo su argomenti utili e attinenti al problema della salvezza. Vi sono certamente molti argomenti che possono essere messi in discussione da coloro che non hanno una occupazione e sono superflui, vuoti e spesso dannosi, sui quali tuttavia qualcosa si può dire, ma si deve manifestare e spiegare il motivo, per cui non è necessario indagarli. Sugli argomenti importanti si deve qualche volta rispondere a quel che viene chiesto, come ha fatto il Signore quando i Sadducei gli chiesero riguardo alla donna, che ebbe sette mariti, di chi sarebbe stata nella risurrezione. Rispose che nella risurrezione non prenderanno né marito né moglie, ma saranno come gli angeli in cielo 195. Talora colui che interroga si deve interrogare su un altro argomento e, se lo esporrà, egli si risponda da se stesso su ciò che ha chiesto e, se non vorrà, non sembri ingiusto ai presenti se egli non ha una risposta su ciò che ha chiesto. Infatti quelli che, per mettere alla prova, interrogarono se si doveva dare il tributo, furono interrogati su un altro assunto, cioè: di chi aveva l’effigie la moneta che fu da loro mostrata; e poiché risposero su ciò che era stato loro richiesto, ossia che la moneta aveva l’effigie di Cesare, in certo senso si risposero da sé su ciò che avevano chiesto al Signore. Perciò egli dalla loro risposta concluse: Rendete dunque a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio 196. Poiché i più ragguardevoli dei sacerdoti e gli anziani del popolo lo interrogarono con quale autorità compisse le sue opere, egli li interrogò sul battesimo di Giovanni; e poiché essi non volevano dire qualche cosa che, a loro avviso, era contro se stessi e non osavano a motivo dei presenti parlare male di Giovanni, egli disse: Neanche io vi dico con quale autorità compio questa opera 197; e la risposta sembrò molto giusta ai presenti. Dissero di ignorare ciò che non ignoravano, ma che non volevano dire. E in verità era giusto che essi, i quali volevano che si rispondesse loro su ciò che avevano chiesto, facessero essi quel che chiedevano si facesse per essi; se lo avessero fatto, avrebbero certamente risposto a se stessi. Essi stessi infatti avevano mandato da Giovanni a chiedere chi fosse, o meglio erano stati mandati essi, come sacerdoti e leviti, credendo che fosse il Cristo, quando egli negò di esserlo e rese testimonianza al Signore 198. E se da quella testimonianza avessero voluto riconoscerlo, avrebbero insegnato a se stessi con quale autorità Cristo compiva quelle opere, sebbene avessero chiesto come se non lo sapessero per trovare il pretesto di calunniarlo.

Richiesta del bene, ricerca del vero.

21. 71. Essendo dunque stato comandato di non dare una cosa santa ai cani e di non gettare le perle davanti ai porci, un uditore poteva replicare e dire, poiché era consapevole della propria ignoranza e instabilità e credeva che gli si ingiungesse di non dare quel che sapeva di non avere ancora ricevuto; poteva dunque replicare e dire: Quale cosa santa mi proibisci di dare ai cani e quali perle di gettare davanti ai porci, poiché mi accorgo che ancora non le ho? Perciò molto opportunamente ha soggiunto: Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto; infatti chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto 199. La richiesta è relativa a conseguire la sanità e la serenità della coscienza, affinché possiamo eseguire gli obblighi imposti; la ricerca invece è relativa a scoprire la verità. Poiché la felicità si consegue con l’azione e la conoscenza, l’azione postula la moralità degli atti, la contemplazione la rivelazione della verità. Di queste nozioni la prima si deve chiedere, la seconda ricercare, affinché quella sia data, questa sia ritrovata. Ma in questa vita la conoscenza è piuttosto della via che del conseguimento. Ma quando l’uomo troverà la via vera, giungerà al conseguimento che tuttavia sarà aperto a chi bussa.

Chiedere, cercare, bussare, esemplificati.

21. 72. Ma affinché questi tre atti, la richiesta, la ricerca e la bussata si evidenzino, a titolo d’esempio supponiamo che un tale dai piedi malati non può camminare. Prima quindi deve essere guarito e reso abile a camminare, e a questo è relativa l’ingiunzione: Chiedete. Ma a che serve che può camminare o anche correre, se si smarrirà per sentieri che deviano? Secondo compito è dunque che trovi la via che conduce dove egli vuol giungere. Quando l’avrà raggiunta e percorsa, se troverà chiuso l’ambiente in cui vuole abitare, non gli gioverà l’aver potuto camminare, l’aver camminato e l’essere arrivato se non gli viene aperto; a questo attiene l’ingiunzione: Bussate.

Confronto fra noi e il Padre nel fare il bene.

21. 73. Ed ha assicurato una grande speranza colui che nel promettere non illude; ha detto infatti: Chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto 200. Quindi si richiede la perseveranza per ricevere quel che chiediamo, trovare quel che cerchiamo e affinché ci si apra dove bussiamo. Come infatti ha trattato degli uccelli del cielo e dei gigli del campo 201, affinché non perdessimo la speranza che ci sarebbe stato per noi vitto e vestito in modo che la speranza da cose umili si elevasse a quelle di valore, così a questo punto continua: O chi di voi, se il figlio gli chiederà un pane, gli darà una pietra? O se gli chiederà un pesce, gli darà un serpente? Se dunque voi, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele chiedono 202. In che senso i cattivi danno cose buone? Ma ha considerato cattivi quelli che amano ancora il mondo e quelli che peccano. Le cose buone che danno si devono considerare buone secondo il loro modo di agire, poiché le ritengono un bene. E sebbene queste cose in natura siano buone, tuttavia sono nel tempo e di spettanza a questa vita soggetta al male. E il cattivo che le dà non dà del suo. Infatti del Signore è la terra e quanto contiene 203, perché egli ha creato il cielo e la terra e il mare e tutte le cose che sono in essi 204. Si deve molto sperare che Dio darà le cose buone a noi che le chiediamo e che non possiamo essere ingannati nel ricevere una cosa per un’altra, quando chiediamo a lui, perché anche noi, pur essendo cattivi, sappiamo dare quel che ci si chiede. Infatti non inganniamo i nostri figli, e tutte le cose buone che diamo non le diamo del nostro ma del suo.

Il bene da farsi.

22. 74. La perseveranza e un certo vigore del camminare sono stabiliti nell’onestà morale che si svolge fino alla purificazione e serenità del cuore. Avendo parlato a lungo di essa il Signore conclude: Tutto il bene che volete gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro; questa è appunto la Legge e i Profeti 205. Nei codici greci troviamo: Dunque tutto quanto voi volete che gli uomini facciano per voi, anche voi fatelo per loro, ma penso che per dar rilievo alla massima nei codici latini sia stato aggiunto il concetto di bene. Infatti si presentava il caso che se uno volesse che a suo riguardo avvenga qualche cosa in termini di disonestà e allo scopo citi questa massima, ad esempio se un tizio volesse essere stimolato a bere senza ritegno e si riempia di bicchieri di vino ed egli stimoli prima un altro da cui vuole essere stimolato, è assurdo pensare che abbia rispettato tale massima. Siccome questo poteva lasciare perplessi, come penso, è stato aggiunto a chiarire il pensiero una parola, in modo che alla frase: Tutto quanto voi volete che gli uomini facciano per voi, è stato aggiunto di bene. E se manca nei codici greci anche essi devono essere emendati. Ma chi oserebbe farlo? Si deve quindi ammettere che la massima è completa e del tutto esatta, anche se non si aggiunge quella parola. L’espressione Tutto quanto volete deve essere non secondo l’uso ovunque corrente ma con proprietà. La volontà infatti è soltanto del bene, poiché per le azioni malvagie e disonorevoli secondo proprietà si parla di passione e non di volontà. Non sempre i libri della Scrittura si esprimono così, ma dove è necessario usano termini così appropriati che non lasciano intendere altro.

Insistenza sull’amore al prossimo.

22. 75. Sembra che questo comandamento appartenga all’amore del prossimo e non anche a quello di Dio, giacché in un altro passo il Signore dice che sono due i comandamenti in cui si assommano tutta la Legge e tutti i Profeti 206. Infatti se avesse detto: Quanto volete che vi sia fatto, anche voi fatelo, con questa sola formula avrebbe incluso l’uno e l’altro comandamento, poiché con immediatezza si avrebbe il concetto che ognuno vuole essere amato e da Dio e dal prossimo. Quindi se gli si comandasse di fare quel che vorrebbe sia fatto a lui, gli si comanderebbe di amare Dio e gli uomini. Ma poiché più espressamente sono stati indicati gli uomini nella frase: Tutto quanto voi volete che gli uomini vi facciano, anche voi fatelo a loro 207 sembra che sia stato prescritto soltanto il comandamento: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Ma non si deve disattendere quel che ha soggiunto: Questo sono infatti la Legge e i Profeti 208. Nei due comandamenti non dice soltanto: Si assommano la Legge e i Profeti, ma ha detto: Tutta la Legge e tutti i Profeti, come se fosse ogni profezia. Ma poiché nel passo in esame non l’ha aggiunto, ha lasciato vuoto il posto all’altro comandamento che riguarda l’amore di Dio. Qui invece poiché espone i comandamenti della sincerità del cuore e ci si preoccupa per loro perché nessuno abbia il cuore doppio nei confronti di coloro ai quali il cuore si può tenere nascosto, cioè nei confronti degli uomini, solo questo si doveva ingiungere. Non v’è quasi nessuno il quale voglia che l’altro tratti con lui con doppiezza di cuore. Ma questo è impossibile che, cioè, un uomo dia qualcosa a un altro con semplicità di cuore, se non lo dà in modo da non attendere da lui alcun vantaggio nel tempo e lo faccia con quella intenzione sulla quale abbiamo trattato in precedenza, quando parlavamo della serenità dell’occhio.

L’occhio puro e la retta intenzione.

22. 76. Dunque l’occhio purificato e reso sereno sarà abile e idoneo a percepire e ad esprimere logicamente la sua luce interiore. Questo è l’occhio del cuore. E ha un occhio simile chi stabilisce il fine delle proprie opere buone, affinché siano veramente buone, non nell’intento di essere graditi agli uomini, ma anche se avverrà di essere graditi, lo riferisce piuttosto alla loro salvezza e alla gloria di Dio e non alla propria ostentazione. Quindi non compie il bene per la salvezza del prossimo per esigere da lui le cose necessarie a trascorrere la vita; inoltre non condanna avventatamente l’intenzione e la volontà dell’uomo in quell’azione, in cui non si evidenzia con quale intenzione e volontà sia stata compiuta; poi qualsiasi obbligo esegue per l’altro, lo esegue con l’intenzione con cui vuole che sia eseguito per sé, ossia che da lui non attenda qualche vantaggio nel tempo. Così sarà il cuore sereno e puro, nel quale si cerca Dio. Beati quindi i puri di cuore perché vedranno Dio 209.

 

La beatitudine dei pacifici nella sincerità e coerenza (23, 77 - 27, 87)

Porta stretta e via angusta.

[Modificato da MARIOCAPALBO 12/12/2011 10:42]