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13. 44. Quindi egli che insiste per rendere pulito il nostro cuore continua coerentemente e ordina dicendo: Non accumulate tesori sulla terra, dove la tignuola e il bisogno di mangiare li dilapidano e dove i ladri scassinano e rubano; accumulatevi invece tesori nel cielo, dove né la tignuola né il bisogno di mangiare dilapidano e dove i ladri non scassinano e non rubano. Dove è infatti il tuo tesoro sarà anche il tuo cuore 119. Dunque se il cuore è sulla terra, cioè se uno con cuore simile compie un’azione per raggiungere un profitto sulla terra, come sarà pulito se si avvoltola per terra? Se invece agisce in cielo, sarà pulito perché sono puliti tutti gli esseri del cielo. Si deturpa infatti una cosa quando si mescola a un’altra di qualità inferiore, sebbene nel suo genere non sia turpe, perché anche dall’argento puro viene deturpato l’oro se si amalgamano. Così la nostra anima spirituale è deturpata dalla avidità delle cose della terra, sebbene la terra nel suo genere e ordine sia bella. In questo senso vorrei intendere il cielo non visibile, perché ogni corpo si deve considerare terra. Infatti deve sottovalutare tutto il mondo chi si accumula un tesoro in cielo, quindi in quel cielo, di cui è detto: Il cielo del cielo al Signore 120, ossia nel firmamento dello spirito. Infatti non dobbiamo destinare e stabilire il nostro tesoro e il nostro cuore in quel cielo che passerà, ma in quello che rimane per sempre, perché cielo e terra passeranno 121.

L’occhio simbolo dell’intenzione.

13. 45. E nel discorso rivela che ha impartito tutti questi ammaestramenti per la purificazione del cuore, quando dice: La lucerna del tuo corpo è l’occhio; se dunque il tuo occhio è chiaro, tutto il tuo corpo sarà nella luce; ma se il tuo occhio è malato, tutto il tuo corpo sarà nelle tenebre. Se dunque la luce che è in te è tenebra, quanto grandi saranno le tenebre? 122 Il passo si deve interpretare in modo da farci comprendere che tutte le nostre azioni sono oneste e gradite alla presenza di Dio, se sono compiute col cuore schietto, ossia con l’intenzione verso l’alto nella finalità dell’amore perché pieno compimento della Legge è la carità 123. Per occhio nel passo dobbiamo ravvisare l’intenzione stessa con cui facciamo tutto ciò che facciamo. E se essa sarà pura e retta e volta a raggiungere quel fine che si deve raggiungere, è indispensabile che siano buone tutte le nostre azioni che compiamo in riferimento ad essa. E il Signore ha considerato l’intero corpo tutte queste azioni, nel senso con cui anche l’Apostolo afferma che sono nostre membra alcune azioni che egli condanna e che ingiunge di mortificare dicendo: Mortificate dunque le vostre membra che sono secondo la terra: fornicazione, impurità, avarizia e le altre simili 124.

L’intenzione è luce dell’azione.

13. 46. Quindi non si deve considerare l’azione che si compie, ma con quale intento si compie. E questa disposizione è luce in noi, poiché con essa ci si evidenzia che compiamo con un buon intento quel che compiamo, poiché tutto quello che si evidenzia è luce 125. Difatti le azioni stesse, che da noi si rapportano alla società umana, hanno un risultato incerto e perciò il Signore le ha definite tenebre. Non so infatti, quando offro denaro a un povero che chiede, che cosa ne farà o che ne subirà; e può avvenire che con esso faccia o da esso subisca un male che io, nel dare, non ho voluto che si verificasse perché non ho dato con questo intento. Quindi se ho compiuto con retta intenzione un’azione che, mentre la compivo, mi era nota e quindi è considerata luce, anche la mia azione ne è illuminata, qualunque risultato abbia avuto. E questo risultato, appunto perché incerto e sconosciuto, è stato considerato tenebre. Se poi ho agito con cattiva intenzione, anche la luce stessa è tenebre. Si considera luce perché si è coscienti con quale intenzione si agisce, anche se si agisce con cattiva intenzione. Ma la luce stessa è tenebre, perché la schietta intenzione non si volge all’alto, ma devia al basso e per la doppiezza del cuore quasi diffonde ombra. Se dunque la luce che è in te è tenebra, quanto grandi saranno le tenebre? 126 Se l’intenzione del cuore, con cui fai quel che fai e ti è nota, si deturpa e acceca nell’avidità delle cose della terra e del tempo, a più forte ragione si deturpa e si rende oscura l’azione, anche se n’è incerto il risultato. Difatti anche se giova all’altro quel che tu fai senza retta e pura intenzione, ti sarà addebitato come hai agito e non come ha giovato a lui.

Non servire a due padroni.

14. 47. L’inciso che segue: Nessuno può servire a due padroni è anche esso relativo alla suddetta intenzione e lo spiega di seguito con le parole: Infatti o odierà l’uno e amerà l’altro, o sopporterà l’uno e disprezzerà l’altro. Sono parole che si devono esaminare attentamente. Difatti di seguito espone chi siano i due padroni, quando afferma: Non potete servire Dio e mammona 127. Si dice che in ebraico la ricchezza si chiama mammona 128. S’accorda anche il termine cartaginese, poiché il guadagno in cartaginese è mammon. Ma chi è schiavo della mammona, è schiavo di colui che, a causa della sua perversità posto a capo delle cose terrene, è definito dal Signore principe di questo mondo 129. Dunque l’uomo o avrà in odio l’uno e amerà l’altro, cioè Dio, o sopporterà l’uno e disprezzerà l’altro. Sopporta un padrone spietato e malefico chi è schiavo della mammona. Infatti avvinto dalla propria passione si assoggetta al diavolo e non lo ama, perché nessuno ama il diavolo, ma lo sopporta. Allo stesso modo in una casa con inquilini uno che si è unito con la schiava di un altro tollera, a causa della sua passione, una dura schiavitù, sebbene non ami colui del quale ama la schiava.

Schietta soggezione a Dio.

14. 48. Disprezzerà l’altro, ha detto il Signore, e non ha detto: Odierà. Di quasi nessuno infatti la coscienza può odiare Dio, ma lo disprezza, cioè non lo teme, quando, per così dire, è tranquillo sulla sua bontà. Da questa noncuranza e pericolosa tranquillità ci dissuade lo Spirito Santo quando per mezzo del profeta afferma: Figlio, non aggiungere peccato a peccato e non dire: La misericordia di Dio è grande, perché non capisci che la clemenza di Dio ti invita al pentimento 130. Di chi infatti è possibile richiamare al nostro pensiero la grande misericordia se non di colui che perdona tutti i peccati ai convertiti e rende l’olivo selvatico partecipe della untuosità dell’olivo? E di chi è così grande la severità se non di colui che non ha perdonato i rami naturali, ma per la mancanza di fede li ha recisi 131? Ma chiunque vuole amare Dio ed evitare di offenderlo non s’illuda di poter servire a due padroni e sgombri la retta intenzione del suo cuore da ogni doppiezza. Così avrà una idea del Signore nella bontà e lo cercherà nella semplicità del cuore.

Eccessiva attenzione alle cose del mondo.

15. 49. Quindi, continua il Signore, vi dico di non avere ansietà per la vostra vita di quel che mangerete né per il corpo di quel che indosserete 132, affinché, anche se non si esigono più le cose superflue, il cuore non sia nella doppiezza per le necessarie e per procacciarsele si perverta la nostra intenzione. Questo affinché, quando compiamo qualche azione apparentemente per compassione, ossia quando vogliamo che appaia il nostro interesse per l’altro, con quell’azione non intendiamo piuttosto il nostro profitto che il giovamento dell’altro e che perciò ci sembra di non peccare, perché non sono superflui ma necessari i vantaggi che vogliamo conseguire. Ma il Signore ci esorta a ricordare che Dio, per il fatto che ci ha creato e composto di anima e di corpo, ci ha dato molto di più di quel che sono il cibo e il vestito, perché non vuole che nella premura per essi noi guastiamo il cuore di doppiezza. La vita, dice egli, non vale forse più del cibo? affinché tu comprenda che chi ha dato la vita molto più facilmente darà il cibo; e il corpo più del vestito? 133, cioè vale di più, affinché tu ugualmente comprenda che chi ha dato il corpo molto più facilmente darà il vestito.

Per anima s’intende la vita.

15. 50. A questo punto abitualmente si pone il problema se questo cibo è relativo all’anima, perché l’anima è immateriale e il cibo materiale. Ma sappiamo che anima nel brano è usata in luogo di vita, il cui mantenimento è il cibo materiale. Con questo significato si ha anche la frase: Chi ama la propria anima la perderà 134. Che se non la interpreteremo in relazione alla vita presente che bisogna perdere per il regno di Dio, ed è evidente che i martiri lo han potuto, questo insegnamento sarebbe contrario alla massima con cui si afferma: Che cosa giova all’uomo, se guadagna tutto il mondo e poi subisce la perdita della propria anima? 135.

Non ansia per il cibo...

15. 51. Guardate, continua, gli uccelli del cielo, poiché non seminano né mietono né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non siete voi forse più di loro 136, cioè non avete voi più valore? Difatti senza dubbio l’animale ragionevole, come è l’uomo, è costituito in un ordine più alto degli animali irragionevoli, come sono gli uccelli. Chi di voi, soggiunge, per quanto si dia da fare, può aggiungere alla sua statura un solo cubito? E perché siete ansiosi per il vestito? 137, cioè: il vostro corpo può essere rivestito dalla provvidenza di colui per il cui assoluto potere è avvenuto che fosse condotto alla statura attuale. E che non per il vostro impegno è avvenuto che giungesse a questa statura il vostro corpo si può dedurre dal fatto che se v’impegnate e volete aggiungere un solo cubito a questa statura, non ci riuscite. Lasciate quindi a lui anche l’impegno di coprire il corpo, perché notate che per il suo impegno è avvenuto che abbiate il corpo con tale statura.

...e neanche per il vestito.

15. 52. Bisognava dare un ammaestramento anche per il vestito, come è stato dato per il cibo. Quindi continua: Osservate come crescono i gigli del campo; non lavorano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, nonostante tutto il suo fasto, era vestito come uno di essi. Ora se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani è gettata nel forno, quanto meglio vestirà voi, uomini di poca fede 138. Ma questi ammaestramenti non si devono esaminare come allegoria sì da farci investigare cosa simboleggino gli uccelli del cielo e i gigli del campo, perché sono allegati soltanto affinché da realtà di minor valore siano evidenziate quelle di maggior valore. È il caso del giudice, che non temeva Dio e non rispettava l’uomo, e tuttavia si piegò alla vedova che lo supplicava, per esaminare la sua interpellanza, non per compassione o senso di umanità, ma per non subire fastidio 139. Infatti in nessun modo quel giudice ingiusto rappresenta un attributo di Dio, ma il Signore ha voluto che se ne deducesse in che modo Dio, che è buono e giusto, tratta con amore coloro che lo pregano, poiché anche un uomo ingiusto, sia pure per evitare il fastidio, non può trattare con indifferenza coloro che lo infastidiscono con continue suppliche.

Il vero bene è l’unico fine.

16. 53. Dunque, continua, non affannatevi dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo? Di tutte queste cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste sa infatti che ne avete bisogno. Cercate prima il regno e la giustizia di Dio e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta 140. Con queste parole ha fatto capire con molta evidenza che queste cose, pur necessarie, non si devono desiderare come beni di tal valore che, nel compiere qualche azione, dobbiamo considerarli come fine. Che differenza vi sia fra un bene, che si deve considerare come fine, e una cosa necessaria che si deve usare lo ha dichiarato con questa massima, quando ha detto: Cercate prima il regno e la giustizia di Dio e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. Dunque il regno e la giustizia di Dio sono il nostro bene ed esso si deve considerare e assegnare come fine, per il quale fare tutto quel che facciamo. Ma poiché in questa vita siamo come soldati in viaggio per poter giungere a quel regno, una vita simile non si può tirare avanti senza le cose necessarie. Vi saranno date in aggiunta, dice, ma voi cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia. Poiché ha detto prima, ha fatto capire che il necessario si deve cercare dopo non nel tempo ma nel valore, quello come nostro bene, questo come cosa a noi necessaria, ma necessaria per quel bene.

Retta intenzione in Paolo.

16. 54. Ad esempio, non dobbiamo evangelizzare per mangiare, ma mangiare per evangelizzare. Infatti se evangelizziamo per mangiare, stimiamo più spregevole il Vangelo che il cibo e il nostro bene sarà ormai nel mangiare e la cosa necessaria nell’evangelizzare. E questo lo proibisce anche l’Apostolo, quando dice che gli era lecito e permesso dal Signore che coloro i quali annunziano il Vangelo vivano del Vangelo, ossia abbiano dal Vangelo le cose che sono necessarie alla vita, ma che egli non ha usufruito di questa concessione 141. V’erano molti infatti che desideravano avere il pretesto di acquistare e vendere il Vangelo; e l’Apostolo, volendo loro impedirlo, si guadagnava a stento il proprio vitto con le proprie mani 142. Di loro dice infatti in un altro passo: Per troncare il pretesto a quelli che cercano il pretesto 143. Anche se come gli altri buoni apostoli egli col permesso del Signore avesse avuto il vitto dal Vangelo, non avrebbe stabilito il fine della predicazione del Vangelo nel vitto, piuttosto avrebbe assegnato al Vangelo il fine del proprio vitto, ossia, come ha detto prima, non avrebbe predicato il Vangelo per avere il vitto e le altre cose necessarie, ma avrebbe usato gli utili disponibili per compiere il dovere di predicare il Vangelo non per libera scelta ma per necessità. Ma egli lo disapprovava con le parole: Non sapete che coloro, i quali esercitano funzioni nel tempio, traggono il vitto dal tempio e coloro che prestano servizio all’altare hanno in comune qualcosa dell’altare? Così il Signore ha disposto che coloro che annunziano il Vangelo vivano del Vangelo. Ma io non mi sono avvalso di nessuno di questi diritti 144. Con queste parole dimostra che è una concessione, non un ordine, altrimenti sembrerà che ha agito contro il comando del Signore. Poi continua e dice: Non ho scritto queste cose affinché avvengano così in me. Per me è meglio che io muoia anziché si renda infondato questo mio vanto 145. Lo ha detto, perché aveva stabilito di guadagnarsi il vitto con le proprie mani per alcuni che in lui cercavano un pretesto 146. Infatti, prosegue, non è per me un vanto predicare il Vangelo 147, cioè: Se predicherò il Vangelo affinché avvengano in me queste cose; ossia: Se predicherò il Vangelo appunto per conseguire tali proventi e disporrò il fine del Vangelo nel mangiare, bere e vestire. Ma perché non è per lui un vanto? È infatti, soggiunge, la soggezione al bisogno che mi asservisce, cioè predicare il Vangelo perché non ho da vivere, ovvero per conseguire un vantaggio nel tempo dalla predicazione di verità eterne. In tal modo nella evangelizzazione vi sarà un’imposizione, non un libera scelta. Quindi soggiunge: Guai a me se non predicassi il Vangelo 148. Ma come deve predicare il Vangelo? Nel riporre la ricompensa nel Vangelo stesso e nel regno di Dio. Così può predicare il Vangelo non per costrizione, ma per libera scelta. Se lo faccio per libera scelta, dice, ho diritto alla ricompensa, se invece lo faccio per imposizione, è un’amministrazione che mi è stata affidata 149, ossia: Se predico il Vangelo perché sono costretto dalla mancanza delle cose che sono necessarie alla vita fisica, altri per mio mezzo avranno la ricompensa del Vangelo, perché mediante la mia predicazione ameranno il Vangelo, io invece non l’avrò, perché non amo il Vangelo per sé, ma il compenso assegnato alle attività nel tempo. Ora è un oltraggio che uno tratti il Vangelo non come un figlio, ma come uno schiavo, a cui è stata affidata la gestione economica, come se egli distribuisse la roba d’altri e non abbia altro che i viveri che si danno al di fuori agli estranei, non come partecipazione al regno, ma come sostentamento di una miserabile schiavitù. Eppure in un altro passo l’Apostolo si considera amministratore 150. Infatti anche lo schiavo, adottato nel numero dei figli, può fedelmente amministrare per i suoi compartecipi la sostanza, in cui ha avuto la condizione di coerede. Ma quando dice: Se invece lo faccio per imposizione, è un’amministrazione che mi è stato affidata 151, volle che s’intendesse un amministratore che distribuisce l’altrui, da cui egli non ha nulla.

Rapporto fra fine e mezzo.

16. 55. Dunque qualunque cosa si cerca in relazione a un’altra è senza dubbio inferiore a quella per cui si cerca. Quindi viene prima quella per cui cerchi l’altra, e non quella che cerchi per l’altra. Perciò se cerchiamo il Vangelo e il regno di Dio per il cibo, riteniamo che venga prima il cibo e poi il regno di Dio, sicché, se il cibo non manca, non cerchiamo il regno di Dio. Dunque cercare prima il cibo e poi il regno di Dio significa porre quello al primo posto, questo al secondo. Se invece cerchiamo il cibo per avere il regno di Dio, osserviamo la massima: Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta 152.

Primalità del regno di Dio...

17. 56. Se cerchiamo prima il regno e la giustizia di Dio, cioè se li anteponiamo alle altre cose, in modo che per essi le cerchiamo, non deve subentrare l’ansietà che ci manchino le cose che sono necessarie alla vita in relazione al regno di Dio. Il Signore ha detto precedentemente: Sa il Padre vostro che avete bisogno di tutte queste cose. E quindi dopo aver detto: Cercate prima il regno e la giustizia di Dio non ha soggiunto di cercare poi queste, sebbene siano necessarie, ma: Tutte queste cose vi saranno date in aggiunta 153, ossia: Se cercate le cose di Dio, le altre verranno di seguito senza difficoltà da parte vostra, affinché, mentre cercate le cose della terra, non siate distolti dalle altre o affinché non stabiliate di conseguire due fini, sicché desideriate per sé il regno di Dio e le cose necessarie, ma piuttosto queste per l’altro. Così non vi mancheranno perché non potete servire a due padroni 154. Si impegna a servire due padroni chi desidera il regno di Dio e le cose del tempo come un grande bene. Non potrà avere uno sguardo sereno e servire soltanto a Dio Signore, se non valuta tutte le altre cose, se sono necessarie, soltanto in relazione a questo, cioè al regno di Dio. Come tutti i soldati ricevono le vettovaglie e la paga, così gli annunziatori del Vangelo ricevono il vitto e il vestito. Però non tutti fanno i soldati per la prosperità dello Stato, ma per gli utili che ricevono, così non tutti sono al servizio di Dio per la prosperità della Chiesa, ma per questi utili nel tempo, che ricevono come vettovaglie e paga, ovvero per l’uno e per l’altro. Ma già è stato detto: Non potete servire a due padroni. Quindi dobbiamo con cuore sincero fare del bene per tutti in vista del regno di Dio e nel compiere l’opera buona non attendere la ricompensa degli utili nel tempo o sola o assieme al regno di Dio. E a significare tutte le cose nel tempo ha indicato il domani, dicendo: Non affannatevi per il domani 155. Difatti non si può indicare il domani se non nel tempo, in cui al passato segue il futuro. Dunque quando compiamo qualche buona azione, non pensiamo alle cose del tempo, ma dell’eternità. Allora l’azione sarà buona e perfetta. Infatti il domani, soggiunge, avrà già per sé le sue inquietudini, ossia: quando sarà necessario, prendi il cibo, la bevanda, il vestito, quando cioè il bisogno comincerà a pressare. Vi saranno allora questi utili, perché il nostro Padre sa che di tutte queste cose abbiamo bisogno 156. Infatti, conclude, a ciascun giorno basta la sua afflizione 157, cioè: Basta che ad usare questi beni solleciti il bisogno, e ritengo che appunto per questo l’ha considerata afflizione, perché è per noi causa di pena, in quanto appartiene a questa soggezione alla sofferenza e alla morte che abbiamo meritato peccando. Dunque alla pena del bisogno nel tempo non aggiungere un male più grave, al punto che non solo soffri la mancanza di questi beni, ma anche che soltanto per soddisfarla onori Dio.

...che convoglia l’attenzione al bisogno...

17. 57. A questo punto, quando osserviamo che un servo di Dio s’impegna affinché questi utili non manchino per sé o per coloro che sono affidati alla sua accuratezza, si deve evitare con decisione di giudicare che agisce contro il comando del Signore e che è ansioso per il domani. Il Signore stesso, al quale provvedevano gli angeli 158, tuttavia a titolo di esempio, affinché in seguito nessuno ne menasse scandalo, dopo avere incaricato qualcuno dei suoi di provvedere il necessario, si degnò di avere le borse col denaro, da cui ricavare tutto ciò che occorresse alle esigenze indispensabili. E custode e ladro delle borse, come si ha nella Scrittura, fu Giuda che lo tradì 159. Può sembrare che anche l’apostolo Paolo fu ansioso per il domani, quando scrisse: Quanto alle collette in favore dei fratelli fate anche voi, come ho ordinato alle chiese della Galazia. Ogni primo giorno della settimana ciascuno metta da parte quel che gli è riuscito di risparmiare, affinché non si facciano le collette proprio quando verrò io. Quando poi giungerò, manderò quelli che avete scelto mediante lettera a portare il dono della vostra liberalità a Gerusalemme. E se converrà che vada anche io, verranno con me. Verrò da voi dopo avere attraversato la Macedonia perché attraverserò la Macedonia. Rimarrò forse da voi o anche passerò l’inverno, perché siate voi a predisporre per dove andrò. Non voglio vedervi solo di passaggio, ma spero di trascorrere un po’ di tempo con voi, se il Signore lo permetterà. Mi fermerò tuttavia ad Efeso fino alla Pentecoste 160. Così negli Atti degli Apostoli è scritto che le cose necessarie al sostentamento furono messe in riserva per il domani a causa di una imminente carestia. Vi leggiamo queste parole: In quei giorni alcuni profeti scesero ad Antiochia da Gerusalemme e fu una grande gioia. Mentre eravamo riuniti in adunanza, uno di loro, di nome Agabo, alzatosi in piedi, annunziò per mezzo dello Spirito che vi sarebbe stata una grande carestia che avvenne al tempo dell’imperatore Claudio. Allora alcuni dei discepoli, secondo quello che ciascuno possedeva, stabilirono di mandare un soccorso ai fratelli anziani della Giudea e lo mandarono per mezzo di Barnaba e Saulo 161. E poiché erano sistemate per l’apostolo Paolo sulla nave le cose necessarie al sostentamento, che venivano offerte, è evidente che il vitto era stato procurato non per un solo giorno 162. Egli scrive anche: Chi rubava non rubi più, anzi lavori producendo con le proprie mani l’utile per avere di che dare a chi ne ha bisogno 163. A coloro che non capiscono sembra che Paolo non osservi il comando del Signore: Guardate gli uccelli del cielo, poiché non seminano, né mietono né ammassano nei granai 164; e ancora: Osservate come crescono i gigli del campo; non lavorano e non filano 165, poiché comandò loro di lavorare con le proprie mani per avere anche di che offrire agli altri. Non sembra quindi che ha imitato gli uccelli del cielo e i gigli del campo, perché afferma di se stesso che ha lavorato con le proprie mani 166 per non esser di peso a nessuno 167; e di lui è stato scritto che a causa della identità del mestiere si era associato ad Aquila per un lavoro in comune, da cui trarre il sostentamento 168. Da queste e simili testimonianze della Scrittura appare evidentemente che nostro Signore non disapprova se secondo l’umana usanza si procura il vitto, ma se per esso si è al servizio di Dio, sicché nelle proprie attività non si ha di mira il regno di Dio ma il conseguimento degli utili.

...malgrado le difficoltà della vita.

17. 58. Dunque tutta la normativa si riduce a questo principio che anche nell’approvvigionamento degli utili teniamo presente il regno di Dio e che non teniamo presenti essi nel servizio al regno di Dio. Così, anche se verranno a mancare, e spesso Dio lo permette per metterci alla prova, essi non solo non fiaccano il nostro proponimento, ma lo confermano perché controllato e consolidato. Infatti, dice l’Apostolo, ci vantiamo nelle tribolazioni, sapendo che la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza; la speranza poi non delude perché l’amore di Dio è stato riversato nel nostro cuore per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato 169. Nel ricordo delle sue tribolazioni e sofferenze l’Apostolo ricorda di aver sofferto non soltanto nelle carceri e naufragi e in molte altre afflizioni di tal genere, ma anche per la fame, la sete, il freddo, la mancanza di vestiti 170. Quando leggiamo questi fatti, non pensiamo che le promesse del Signore abbiano barcollato in modo che soffrisse fame e sete e mancanza di vestiti l’Apostolo che cercava il regno e la giustizia di Dio, poiché ci è stato detto: Cercate prima il regno e la giustizia di Dio e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta 171. Difatti il nostro medico considera queste afflizioni come rimedi perché una volta per sempre ci siamo affidati interamente a lui e da lui abbiamo la garanzia della vita presente e della futura quando deve aggiungere quando togliere, come giudica che a noi giovi. Infatti egli ci guida e dirige per confortarci ed esercitarci in questa vita e per costituirci perennemente dopo questa vita nel riposo eterno. Anche l’uomo quando sottrae i viveri al proprio giumento, non lo priva della propria cura, anzi lo fa per curarlo.

Liberalità nel giudicare.

18. 59. E poiché gli utili si amministrano per spenderli, ovvero, se non v’è ragione di spenderli, si risparmiano, è incerto con quale intenzione avviene, poiché si può fare con semplicità o anche con doppiezza di cuore. Quindi opportunamente a questo punto ha aggiunto: Non giudicate per non esser giudicati, perché col giudizio con cui giudicherete sarete giudicati e la misura, con cui misurerete, vi sarà restituita 172. Ritengo che in questo passo ci si ingiunge soltanto d’interpretare dalla migliore prospettiva quelle azioni, sulle quali è dubbio con quale intenzione si facciano. Poiché la frase: Dai loro frutti li riconoscerete 173 è relativa alle azioni palesi, che non possono essere compiute con buona intenzione, come sono le violenze carnali, le bestemmie, i furti, l’ubriachezza ed altre, sulle quali ci si permette di giudicare, perché l’Apostolo dice: Spetta forse a me giudicare quelli di fuori? Non sono quelli di dentro che voi giudicate? 174 Riguardo al genere di cibi, poiché si possono indifferentemente usare con buona intenzione e con semplicità di cuore, senza avidità, tutti i cibi adatti all’uomo, l’Apostolo vieta che fossero giudicati coloro che si nutrivano di carne e bevevano il vino da coloro che si moderavano nell’uso di tali cibi. Egli dice: Chi mangia non disprezzi chi non mangia e chi non mangia non giudichi male chi mangia; e soggiunge: Chi sei tu per giudicare uno schiavo che non è tuo? Stia in piedi o cada, riguarda il suo padrone 175. Dai modi di agire, che possono verificarsi con intenzione buona, schietta e segnalata, sebbene anche con intenzione non buona, quei tali volevano esprimere un parere sulle condizioni più intime del cuore, sulle quali soltanto Dio giudica.

Giudizio e cose manifeste o nascoste.

18. 60. Attiene all’argomento anche quello che l’Apostolo dice in un altro passo: Non giudicate prima del tempo, finché venga il Signore e metta in luce i segreti delle tenebre, egli manifesterà le intenzioni dei cuori. E allora ciascuno avrà la sua lode da Dio 176. Vi sono delle azioni di mezzo che non sappiamo con quale intenzione si compiono, perché si possono compiere con buona e cattiva intenzione ed è avventato giudicarle, soprattutto per condannarle. Ma verrà il tempo di giudicarle, quando il Signore metterà in luce i segreti delle tenebre e manifesterà le intenzioni dei cuori. In un altro passo l’Apostolo dice: Di alcuni uomini i peccati sono manifesti perché precedono per il giudizio, altri invece dopo 177. Considera manifesti quei peccati, dei quali è evidente con quale intenzione si compiano; essi precedono per il giudizio, ossia perché se il giudizio sarà dopo di essi, non è temerario. Vengono dopo quelli che sono nascosti, perché anche essi a loro tempo non saranno nascosti. Allo stesso modo si deve pensare delle opere buone. Soggiunge infatti: Similmente anche le opere buone sono manifeste e tutte quelle stesse che non sono tali non possono rimanere nascoste 178. Giudichiamo dunque le opere manifeste, sulle nascoste lasciamo il giudizio a Dio perché anche esse, buone e cattive, non possono rimanere nascoste, quando giungerà il tempo in cui siano rese manifeste.

Giudizi temerari.

18. 61. Vi sono però due casi nei quali dobbiamo evitare il giudizio temerario, cioè quando è incerto con quale intenzione un fatto sia avvenuto, o quando è incerto quale sarà l’uomo che attualmente sembra buono o cattivo. Se, ad esempio, un tale lamentandosi dello stomaco, non ha voluto digiunare e tu non credendo, lo attribuirai al vizio dell’ingordigia, farai un giudizio temerario. Egualmente se sarai informato sulla manifesta ingordigia e abitudine alla ubriachezza e rimprovererai come se quel tale non possa correggersi ed emendarsi, giudicherai sempre con temerità. Non critichiamo dunque le azioni, di cui non sappiamo con quale intenzione siano compiute e non critichiamo allo stesso modo quelle che sono palesi, come se dubitassimo del ravvedimento; così eviteremo il giudizio, di cui nel testo è detto: Non giudicate per non essere giudicati 179.

Ricambio fra giudizio temerario e pena.

18. 62. Può turbare quello che ha soggiunto: Infatti col giudizio con cui giudicherete sarete giudicati e con la misura con cui misurerete sarete misurati 180. Forse che se noi avremo giudicato con un giudizio temerario, anche Dio ci giudicherà con temerità? O forse che, se avremo misurato con una misura ingiusta, anche presso Dio v’è la misura ingiusta con cui saremo misurati? Suppongo infatti che col termine di misura è stato indicato lo stesso giudizio. In senso assoluto Dio non giudica con temerità e non dà il contraccambio a qualcuno con una misura ingiusta. Ma è stato detto perché inevitabilmente ti condanna la temerità con cui condanni l’altro. Ma forse si deve presumere che la malignità danneggi un po’ colui contro il quale si muove e per niente colui dal quale si muove. Anzi al contrario spesso non danneggia affatto colui che subisce l’oltraggio e inevitabilmente invece danneggia chi lo fa. Infatti in che senso ha danneggiato i martiri la cattiveria dei persecutori? Ai persecutori invece moltissimo. E sebbene alcuni di loro si sono emendati, tuttavia nel periodo in cui perseguitavano li accecava la loro perversità. Così un giudizio temerario spesso non danneggia affatto colui che viene giudicato con temerità, ma inevitabilmente la temerità stessa danneggia colui che giudica con temerità. Ritengo che secondo questo principio siano da intendere anche le parole: Chiunque colpisce con la spada di spada morirà 181. Molti infatti colpiscono con la spada e non muoiono di spada, come anche lo stesso Pietro. Ma qualcuno potrebbe pensare che per merito del perdono dei peccati egli sia sfuggito a tale pena, sebbene niente di più assurdo si penserebbe che poté essere più grave la pena della spada che non toccò a Pietro di quella della croce che egli sostenne. Che dire allora dei briganti che furono crocefissi col Signore, giacché quegli che meritò il perdono lo meritò dopo essere stato crocefisso e l’altro non lo meritò affatto 182? Forse che avevano crocefisso tutti quelli che avevano ucciso e perciò anche essi meritarono di subire questa pena? È assurdo pensarlo. Quindi le parole: Chiunque colpisce con la spada di spada morirà non significano altro che l’anima muore col peccato, qualunque ne abbia commesso.

Fra odio e correzione.

[Modificato da MARIOCAPALBO 12/12/2011 10:42]