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16. 43. Sorge qui un altro problema. Poiché il Signore permette di ripudiare la moglie nel caso di fornicazione, ci si chiede in qual senso in questo brano si deve intendere la fornicazione: se nel senso in cui tutti la intendono, sicché ammettiamo che è indicata la fornicazione che si commette negli atti libidinosi, ovvero nel senso in cui la Scrittura, come è stato detto poco fa, di solito denomina fornicazione ogni dissoluzione immorale, come è l'idolatria o l'avarizia e da ciò ogni trasgressione della Legge a causa d'un illecito desiderio. Ma consultiamo l'Apostolo per non dire qualcosa senza criterio. Egli dice: A coloro che sono uniti in matrimonio comando, non io ma il Signore, che la moglie non si separi dal marito e se si è separata, che rimanga senza sposarsi o si riconcili col marito 131. Può avvenire che si separi per un motivo che il Signore ha permesso. Ovvero se alla donna è consentito rimandare il marito anche senza il motivo della fornicazione e non è consentito al marito, che cosa risponderemo su quel che ha detto di seguito: E il marito non rimandi la moglie 132? Perché non ha aggiunto: Eccetto il caso di fornicazione, dato che il Signore l'ha permesso? Evidentemente perché vuole che s'intenda la medesima formula, cioè che se l'ha rimandata, che è permesso nel caso di fornicazione, rimanga senza moglie o si riconcili con lei. Infatti non contro l'onestà si sarebbe riconciliato il marito con quella donna alla quale, poiché nessuno osò lapidarla, il Signore disse: Va' e non peccar più 133. Infatti anche chi dice: Non è lecito rimandare la moglie, salvo il caso di fornicazione, obbliga a ritenerla, se non v'è il motivo della fornicazione; se vi fosse, non obbliga a rimandarla, ma lo permette. Allo stesso modo si dice: Non è lecito alla donna sposare un altro se non dopo la morte del marito; se si sposasse prima della morte di lui, è colpevole; se invece dopo la morte del marito non si sposasse, non è colpevole perché non le è stato obbligato di sposare, ma permesso 134. Se dunque è uguale la formula in questo aspetto giuridico del matrimonio tra il marito e la moglie al punto che non solo della donna il medesimo Apostolo ha detto: La donna non ha il potere del suo corpo, ma l'uomo; ma anche di lui non ha taciuto dicendo: Egualmente anche l'uomo non ha il potere del suo corpo, ma la donna 135; se dunque identica è la formula, non si deve pensare che è lecito alla donna di rimandare il marito, salvo il caso di fornicazione, come non è lecito al marito.

Concessione di Paolo sul coniuge pagano...

16. 44. Si deve esaminare quindi in qual senso dobbiamo intendere la fornicazione e consultare, come avevamo incominciato, l'Apostolo. Egli continua e dice: Agli altri dico io, non il Signore 136. In questo passo prima si deve considerare chi sono gli altri; precedentemente dalla prospettiva del Signore parlava a coloro che sono nel vincolo coniugale; ora invece dalla propria prospettiva agli altri; dunque qui forse a coloro che non sono nel vincolo coniugale, ma non è questo il seguito. Infatti soggiunge: Se un cristiano ha la moglie pagana ed essa consente di abitare con lui, non la rimandi. Dunque anche qui parla di coloro che sono nel vincolo coniugale. Che significa dunque la sua espressione Agli altri? Evidentemente perché prima parlava a coloro che sono così uniti da essere l'uno e l'altra nella fede di Cristo; ora invece parla agli altri, cioè a coloro che sono così uniti senza essere l'uno e l'altra cristiani. Ma che dice ad essi? Se un cristiano ha la moglie pagana ed essa è d'accordo di stare con lui, non la rimandi; e se una donna ha il marito infedele ed egli è d'accordo di stare con lei, non rimandi il marito 137. Se dunque non obbliga dalla prospettiva del Signore, ma consiglia dalla propria prospettiva, anche questo è bene, sicché chi si comportasse diversamente non è violatore di un obbligo. Anche sulle vergini poco dopo dice che non ha un comando del Signore, ma che dà un consiglio e loda in tal modo la verginità da attrarre colei che volesse, ma non in modo che se non adempisse, si giudichi che ha trasgredito un comando 138. Sono cose diverse ciò che si comanda, ciò che si consiglia e ciò che si scusa. La donna è obbligata a non separarsi dal marito e se si è separata, a rimanere senza sposarsi o a riconciliarsi col marito, quindi non è consentito agire diversamente. Invece il cristiano è consigliato, se ha la moglie pagana che è d'accordo di stare con lui, di non rimandarla, quindi è consentito di rimandarla perché non v'è il comando del Signore di non rimandarla, ma il consiglio dell'Apostolo. Allo stesso modo si consiglia alla giovinetta di non sposarsi, ma se si sposerà, non osserverà il consiglio, ma non agirà contro un obbligo. Infine si permette, quando si dice: Vi dico questo per comprensione e non per comando 139. Perciò se è consentito rimandare il coniuge infedele, sebbene sia meglio non rimandarlo e tuttavia non è consentito secondo il comando del Signore di rimandare il coniuge, se non nel caso di fornicazione, anche la mancanza di fede è fornicazione.

...perché si redimono a vicenda.

16. 45. Ma che dici tu, o Apostolo? Evidentemente che il cristiano non rimandi la moglie pagana che è d'accordo di stare con lui. Sì, afferma. Poiché dunque anche il Signore comanda che il marito non rimandi la moglie, salvo il caso di fornicazione, perché in questo caso dici: Lo dico io, non il Signore 140? Evidentemente perché l'idolatria praticata dai pagani e qualsiasi dannosa credenza è fornicazione. Il Signore ha permesso, nel caso di fornicazione, che la moglie fosse ripudiata, ma poiché ha permesso non obbligato, ha dato modo all'Apostolo di consigliare che chi volesse non ripudi la moglie pagana, perché così eventualmente potrebbe divenire cristiana. Dice: Infatti il marito pagano viene reso alla grazia nella moglie e la moglie pagana nel marito cristiano 141. Come penso, era già avvenuto che alcune donne giungevano alla fede attraverso i mariti cristiani e i mariti attraverso le mogli cristiane; e quantunque senza far nomi, ha esortato con gli esempi a consolidare il proprio consiglio. Poi continua: Diversamente i vostri figli sarebbero impuri, invece ora sono resi alla grazia 142. Vi erano già infatti dei fanciulli cristiani che erano stati resi alla grazia o col sostegno di uno dei genitori o col consenso di entrambi. E questo non sarebbe avvenuto se da colui che credeva fosse sciolto il matrimonio e non fosse sopportata la mancanza di fede nel coniuge fino al momento favorevole del credere. Tale è il consiglio di colui al quale, come credo, fu detto: Se spenderai di più, al mio ritorno te lo restituirò 143.

Analogia del concetto di fornicazione.

16. 46. Quindi se la mancanza di fede è fornicazione e se l'idolatria è mancanza di fede e l'avarizia idolatria, non si deve dubitare che l'avarizia è fornicazione. Chi dunque può ormai con criterio distinguere ogni illecito desiderio dal concetto generale di fornicazione se l'avarizia è fornicazione? Se ne deduce che a causa degli illeciti desideri, non solo quelli che con atti libidinosi si commettono con i mariti e le mogli degli altri, ma assolutamente a causa dei desideri di qualunque specie i quali distolgono dalla legge di Dio l'anima che usa male del corpo e la danneggiano con rovina e disonore, senza colpa può il marito rimandare la moglie e la moglie il marito perché il Signore eccepisce il caso della fornicazione. Siamo costretti appunto a intendere, come è stato discusso precedentemente, la fornicazione con significato generico e universale.

Parità di doveri fra uomo e donna.

16. 47. Quando ha detto: Eccetto il caso di fornicazione, non ha indicato di chi di loro, dell'uomo o della donna. Infatti non si concede di ripudiare soltanto la moglie colpevole di fornicazione, ma anche chiunque rimanda la moglie, da cui egli stesso è costretto a fornicare, certamente la rimanda per motivo di fornicazione. Poniamo l'esempio d'una moglie che costringe il marito a sacrificare agli idoli. Chi ripudia una tal donna, la ripudia per motivo di fornicazione, non solo di lei, ma anche proprio, di lei perché colpevole di fornicazione, proprio per non fornicare. Nulla v'è infatti di più ingiustificato che per motivo di fornicazione ripudiare la moglie, se si dimostra che anche egli ha commesso fornicazione. Sovviene quel passo: Per il fatto che tu giudichi l'altro condanni te stesso, perché commetti le medesime colpe che giudichi 144. Perciò chiunque per motivo di fornicazione vuole ripudiare la moglie, deve prima essere immune dalla fornicazione; lo devo dire anche per la donna.

Alcune ipotesi sul rapporto coniugale.

16. 48. Sull'inciso: Chi sposa una ripudiata dal marito commette adulterio 145 si può discutere se commette allo stesso modo adulterio colui che la sposa e colei che egli sposa. Infatti lei è obbligata a rimanere senza sposarsi o a riconciliarsi, ma se si fosse separata dal marito, dice l'Apostolo 146. È molto diverso il caso se ripudia o se è ripudiata. Se infatti lei ha ripudiato il marito e sposato un altro, è evidente che ha abbandonato il primo marito nel desiderio di cambiare matrimonio e questa è senza dubbio una risoluzione da adultera. Se invece viene ripudiata dal marito, con cui desiderava rimanere, secondo l'insegnamento del Signore commette adulterio chi la sposerà, ma è incerto se anche lei è coinvolta in tale colpa. Tuttavia molto meno si può determinare in quale modo, quando uomo e donna si uniscono con uniforme consenso, uno di essi sia adultero e l'altro no. A questo si aggiunge che, se commette adulterio egli sposando una donna che è separata dal marito, sebbene non ha ripudiato lei ma è stata ripudiata, essa gli fa commettere adulterio, fatto che egualmente il Signore vieta. Se ne deduce che, tanto se è rimandata come se ha rimandato, è necessario che rimanga senza sposarsi o che si riconcili col marito.

Ipotesi sul permesso della moglie.

16. 49. Si pone anche il problema se il marito, nel caso che col permesso della moglie, o sterile o che non vuole subire l'accoppiamento, ricorresse a un'altra, non sposata né separata dal marito, possa essere senza la colpa del concubinaggio. Se ne ha un esempio nella narrazione dell'Antico Testamento 147. Però attualmente gli obblighi sono più alti e ad essi l'umanità è giunta attraverso quel cammino. Si devono quindi tener presenti per distinguere le tappe dell'economia della divina Provvidenza, che è venuta incontro al genere umano con ordine sovrano e non per arrogarsi delle norme di vita. Tuttavia formuliamo l'ipotesi che la norma dell'Apostolo che, cioè, la donna non ha potere sul suo corpo, ma l'uomo ed egualmente che l'uomo non ha potere sul suo corpo, ma la donna 148, si possa applicare al punto che, col permesso della moglie, che ha potere sul corpo del marito, l'uomo possa accoppiarsi con una donna, che non sia né moglie né separata dal marito. Però non si deve supporre che anche la donna lo possa fare col permesso del marito, perché lo esclude il buon senso di tutti.

Un caso singolare di adulterio.

16. 50. Tuttavia possono darsi alcuni motivi per cui sia plausibile che anche la moglie, col consenso del marito, lo possa fare, come si narra che sia avvenuto ad Antiochia una cinquantina di anni addietro ai tempi di Costanzo. Acindino allora prefetto, che poi fu anche console, mentre sollecitava un tale debitore di una libbra d'oro al fisco, per non saprei qual motivo, si adirò. E questo in tali alte magistrature è pericoloso perché ad essi ciò che va a genio è lecito, o meglio si presume che sia lecito. Lo minacciò giurando e affermando energicamente che se a un determinato giorno, che aveva stabilito, non versava l'oro in parola, sarebbe stato ucciso. Mentre dunque quegli era tenuto in un brutale stato di arresto e non poteva liberarsi da quel debito, cominciò a sovrastare e ad avvicinarsi il giorno tanto temuto. Aveva per caso una moglie bellissima, ma non aveva denaro per venire in aiuto al marito. Essendosi un ricco invaghito della bellezza di quella donna e avendo saputo che il marito di lei si trovava in quel frangente, mandò da lei promettendo di dare la libbra per una notte, se voleva unirsi coniugalmente a lui. Essa allora sapendo che non aveva lei il potere sul proprio corpo, ma il marito, riferì a lui, dicendo di esser pronta a farlo per il marito, se egli, signore del corpo coniugale, a cui era dovuta l'intera castità di esso, voleva che ciò avvenisse come di una cosa propria per la propria vita. Egli ringraziò e la autorizzò a farlo non giudicando affatto che quello fosse un accoppiamento da adultera, perché non v'era libidine e lo richiedeva una grande carità per il marito col suo consenso e volere. La donna andò nella casa di campagna di quel ricco, fece quello che volle quello spudorato; ma lei diede il suo corpo soltanto per il marito che non voleva accoppiarsi, come di solito, ma sopravvivere. Lei prese l'oro, ma colui che glielo aveva dato con l'inganno sottrasse quel che aveva dato e sostituì un involto simile con la terra. Appena la donna, giunta in casa sua, se ne accorse, uscì con impeto sulla pubblica strada per gridare quel che aveva fatto per amore del marito e che per questo era stata costretta a farlo. Si reca dal prefetto, confessa tutto ed espone la frode che ha dovuto subire. Allora il prefetto, riconosciutosi colpevole, perché con le sue minacce si era giunti a quel punto, ingiunse, come se pronunziasse la sentenza contro un altro, che si versasse la libbra d'oro al fisco dai beni di Acindino e quella donna fosse accompagnata come padrona in quel terreno, da cui aveva avuto la terra invece dell'oro. Del fatto non discuto in un qualche senso. Sia consentito a ciascuno di giudicare come vuole, poiché il fatto non è stato derivato dai libri ispirati. Tuttavia alla narrazione del fatto l'umano sentimento non riprova quel che, col consenso del marito, è stato compiuto in quella donna come l'abbiamo biasimato precedentemente quando si trattava l'argomento senza quell'esempio. Ma in questo brano del Vangelo niente si deve considerare più attentamente del gran male che è nella fornicazione al punto che, sebbene i matrimoni siano resi indissolubili da un vincolo così forte, è stato eccepito soltanto questo motivo dello scioglimento. L'argomento della fornicazione ha così fine.

Riserve sul giuramento...

17. 51. Gesù continua: Avete inteso che fu detto agli antichi: Non spergiurare, ma adempirai col Signore il tuo giuramento. Io invece vi dico di non giurare affatto, né per il cielo perché è il trono di Dio, né per la terra perché è lo sgabello dei suoi piedi, né per Gerusalemme perché è la città del gran re. Non giurare neanche per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello. Sia invece il vostro discorso: sì, sì, no, no; il di più è dal male 149. La virtù dei Farisei consiste nel non spergiurare. La conferma chi proibisce di giurare perché questo appartiene alla virtù del regno dei cieli. Come infatti non può dire il falso chi non parla, così non può spergiurare chi non giura. Però poiché giura chi invoca Dio come testimonio, si deve attentamente esaminare questo brano affinché non sembri che l'Apostolo ha agito contro il comandamento del Signore, poiché ha frequentemente giurato in questo senso, quando dice: In ciò che vi scrivo io attesto davanti a Dio che non mentisco 150; e ancora: Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo che è benedetto nei secoli sa che non mentisco 151. È simile anche questo pensiero: Dio, al quale rendo culto nel mio spirito col Vangelo del suo Figlio, mi è testimone in qual modo nelle mie preghiere mi ricordo sempre di voi 152. Qualcuno potrebbe eccepire che si ha il giuramento quando si afferma che è vero l'essere per cui si giura, sicché Paolo non ha giurato perché non ha detto: Com'è vero Dio, ma ha detto: Dio mi è testimone. È ridicolo pensarlo. Tuttavia a causa degli ostinati e degli ottusi, affinché qualcuno non pensi che vi sia differenza, sappia che anche in questo modo ha giurato l'Apostolo nel dire: Ogni giorno io affronto la morte come è vero che voi siete il mio vanto 153. Non si pensi che la frase significhi: Il vostro vanto mi fa affrontare ogni giorno la morte, come in quest'altra frase: Mediante il suo insegnamento è stato istruito, cioè mediante il suo insegnamento si è ottenuto che fosse perfettamente istruito. Il testo greco discrimina, perché in esso è scritto: , modo di dire che si proferisce soltanto da chi giura. Per questo dunque si capisce che il Signore ha ingiunto di non giurare, affinché l'uomo non ricorra al giuramento come a un'azione buona e con l'abitudine di giurare non incorra nello spergiuro. Perciò chi capisce che il giuramento si deve usare non nelle buone azioni ma in casi di necessità, si freni, per quanto gli è possibile, per usarlo soltanto per bisogno, quando avverte che gli individui sono renitenti a credere una verità, che è loro utile credere, se non viene confermata col giuramento. Attiene a questo il pensiero: Sia il vostro discorso: sì sì, no no. Questo è un bene e da conseguire. Il di più è dal male 154, cioè se sei costretto a giurare, sappi che proviene dalla debolezza di coloro ai quali inculchi qualche verità. E questa debolezza è certamente un male, dal quale ogni giorno invochiamo di essere liberati, quando diciamo: Liberaci dal male 155. Perciò non ha detto: il di più è un male; tu infatti non commetti un'azione malvagia perché usi bene del giuramento il quale, sebbene non buono, è tuttavia indispensabile per convincere l'altro di ciò che inculchi utilmente, ma esso proviene dal male di colui, dalla cui debolezza sei costretto a giurare. Ma soltanto chi lo ha sperimentato sa quanto sia difficile reprimere l'abitudine di giurare e di non compiere mai sconsideratamente un atto che talora la necessità costringe a compiere.

...perché impegna sempre l'essere divino.

17. 52. Poi si può esaminare perché dopo la frase: Io vi dico di non giurare è stato aggiunto: Né per il cielo perché è il trono di Dio e il resto fino alle parole: Né per la tua testa 156. Credo per il fatto che i Giudei non ritenevano di doversi attenere al giuramento, se avevano giurato per quei motivi. E poiché avevano udito dalla Scrittura: Manterrai al Signore il tuo giuramento 157, pensavano di non dover mantenere al Signore il giuramento, se giuravano per il cielo o la terra, o per Gerusalemme o la propria testa. Questo avveniva non per omissione di chi comandava, ma perché essi interpretavano male. Quindi il Signore insegna che nelle creature di Dio non v'è essere così vile che qualcuno presuma di spergiurare per esso, poiché dai più grandi ai più piccoli sono retti dalla divina Provvidenza, iniziando dal trono di Dio fino al capello bianco o nero. Dice: Né per il cielo perché è il trono di Dio, né per la terra perché è lo sgabello dei suoi piedi 158, cioè quando giuri per il cielo o per la terra, non supporre di non dovere al Signore il tuo giuramento perché sei indotto a giurare com'è vero lui, in quanto il cielo è il suo trono 159 e la terra il suo sgabello. Né per Gerusalemme perché è la città del gran re 160; è meglio che se dicesse: mia, sebbene è evidente che l'ha detto. E poiché egli ne è il Signore, deve il giuramento al Signore chi giura per Gerusalemme. E non giurare neanche per la tua testa 161. Che cosa un uomo poteva considerare che appartenesse di più a sé che la propria testa? Ma in che modo è nostra, se non abbiamo il potere di rendere in essa un capello bianco o nero? Quindi deve il giuramento a Dio, che misteriosamente regge il tutto ed è dovunque presente, chiunque vorrà giurare anche com'è vera la propria testa. Da qui si intendono anche gli altri modi che certamente non tutti si potevano allegare, ad esempio quello che abbiamo riferito come enunziato dall'Apostolo: Ogni giorno affronto la morte, come è vero che voi siete il mio vanto. E per dimostrare che doveva al Signore tale giuramento, aggiunse: Che ho in Cristo Gesù 162.

Implicazione di cielo e terra.

17. 53. Tuttavia a motivo dei materialisti affermo: Non si deve interpretare la frase che il cielo è il trono di Dio e la terra lo sgabello dei suoi piedi nel senso che Dio ha disposte le membra in cielo e in terra nella posa con cui noi sediamo, ma quella disposizione significa il giudizio. E poiché in tutto il complesso del mondo il cielo ha la più grande leggiadria e la più piccola la terra, come se la divina potenza sia più presente alla splendida bellezza e ordini quella inferiore nelle parti più lontane e più basse, si dice che siede nel cielo e che calca la terra. In senso spirituale il concetto di cielo indica le anime elette e quello di terra le peccatrici. E poiché l'uomo spirituale giudica tutte le cose e non è giudicato da nessuno 163, giustamente è considerato trono di Dio. Il peccatore invece, a cui fu detto: Sei terra e alla terra tornerai 164, poiché mediante la giustizia, che retribuisce secondo i meriti, è disposto in basso e, poiché egli che non è voluto rimanere nella legge, è punito dalla legge, convenientemente è considerato sgabello dei piedi di Dio.

Superamento del male nella fame e sete della virtù.

18. 54. Ma ormai per concludere anche questo argomento importante, che cosa di più travagliato e impegnativo si può dire o pensare, quando una coscienza devota pone in atto tutte le energie della propria attività, che superare un'abitudine viziosa? Tagli le membra che ostacolano il regno dei cieli e non sia fiaccata dal dolore. Sopporti nella fedeltà coniugale tutte le difficoltà che, sebbene assai moleste, tuttavia non comportano il reato di un disonesto pervertimento, cioè della fornicazione. Ad esempio se uno avesse una moglie sterile o deforme nel corpo o debole di membra, cieca o sorda o zoppa o con qualche altra imperfezione, o affranta da malattie, dolori, depressioni e qualsiasi cosa di veramente raccapricciante si possa pensare, eccettuata la fornicazione, lo sopporti per la fede e per l'umana convivenza. E non solo non ripudi una tale moglie, ma anche se non l'avesse, non sposi una separata dal marito e bella sana ricca e prolifica. E se non è lecito compiere queste azioni, molto meno si ritenga che gli sia consentito di attuare un altro qualsiasi illecito accoppiamento e fugga la fornicazione per trarsi da ogni indecoroso pervertimento. Dica il vero e non lo confermi con i frequenti giuramenti, ma con la onestà del costume. Accorrendo alla rocca del combattimento cristiano, come da un luogo più alto abbatta le innumerevoli schiere, a sé ribelli, di tutte le cattive abitudini, di cui poche sono state elencate affinché tutte fossero conosciute. Ma chi osa intraprendere tante fatiche se non chi arde in tale modo dell'amore alla virtù che, fortemente infiammato come da fame e sete e ritenendo insignificante la vita finché di essa non si sazia, compie ogni sforzo verso il regno dei cieli? Infatti, nel troncare nettamente le abitudini, non potrà essere forte in altro modo per affrontare tutti gli impegni che gli amatori di questo mondo considerano penosi, affannosi e del tutto difficili. Beati dunque quelli che hanno sete e fame della virtù perché saranno saziati. 165.

La beatitudine dei misericordiosi
e l'amore al prossimo
(18, 55 - 23, 80)

Confronto fra mite e misericordioso.

18. 55. Tuttavia in queste tribolazioni, quando un uomo incontra difficoltà, continuando il cammino per sentieri scabrosi e inagibili, aggredito da vari assalti e vedendo che da una parte e dall'altra si ergono gli ammassi della vita passata teme di poter continuare le opere intraprese, abbranchi il consiglio per meritare l'aiuto. E che cos'è altro il consiglio se non sopportare la debolezza degli altri e soccorrerla, quanto è possibile, perché desidera che alla propria si venga in aiuto da Dio. Quindi di conseguenza esaminiamo le opere di misericordia. Il mite e il misericordioso sembrano la medesima cosa, ma v'è questa differenza. Il mite, di cui abbiamo trattato precedentemente, non contesta le massime divine, proferite contro i suoi peccati, e le parole di Dio che ancora non comprende. Però non fa del bene a colui che non contesta e a cui non si oppone; il misericordioso invece non si oppone in modo che fa qualcosa per la correzione di colui che con l'opposizione renderebbe peggiore.

Generosità e condiscendenza.

19. 56. Dunque il Signore continua con le parole: Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente; ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l'altra; e a chi ti vuol chiamare in giudizio per toglierti la tunica, tu lasciagli anche il mantello; e se uno ti costringerà a fare un miglio, tu fanne con lui due. Da' a chi ti domanda e a chi desidera da te un prestito non volgere le spalle 166. La minore virtù dei Farisei consiste nel non eccedere nella vendetta la misura affinché non renda in contraccambio più di quel che ha ricevuto; e questo è già un gran passo. Non è facile trovare chi, ricevuto un pugno, si limiti a restituirlo; e udita da uno che oltraggia una sola parola, si contenti di ricambiarla e tale che significhi la medesima cosa; ma si vendica più sfrenatamente o perché sconvolto dall'ira o perché ritiene che chi ha oltraggiato per primo sia oltraggiato più gravemente di come è stato oltraggiato colui che non lo aveva oltraggiato. La Legge in cui era scritto: Occhio per occhio e dente per dente 167 frenò in gran parte tale modo di pensare. Con questi termini è indicata la misura, sicché la vendetta non superi l'oltraggio. Ed è il cominciamento della pace, ma è perfetta pace non volere affatto la vendetta.

Gradi fino alla misericordia.

19. 57. Dunque fra quel comportamento, che è contro la Legge, di rendere un male maggiore per uno minore e fra questo, che il Signore indica per istruire i discepoli, di non rendere male per male, tiene una via di mezzo che si renda quanto si è avuto. Così attraverso questo comportamento è avvenuto, in riferimento alla diversità dei tempi, il passaggio dalla somma discordia alla somma concordia. Rifletti dunque quanto differisca chi per primo fa del male nell'intento di offendere e danneggiare da chi non ricambia, anche se offeso. Chi invece non ha fatto del male per primo, ma offeso ricambia più gravemente o di proposito o di fatto, si è allontanato un po' dalla somma iniquità e si è avvicinato alla somma virtù, ma ancora non osserva ciò che ha ordinato la Legge che è stata sancita mediante Mosè. Chi dunque restituisce il tanto che ha ricevuto, già dona qualche cosa, giacché chi nuoce non incorre in una pena così grande come quella che ha dovuto subire chi, pur innocente, è stato da lui offeso. Colui dunque, che non è venuto ad abrogare la Legge ma a darle compimento 168, ha elevato questa virtù delle origini rendendola non severa ma misericordiosa. Ed ha lasciato capire che vi sono di mezzo altri due livelli e ha preferito parlare del punto più alto della misericordia. Ha infatti ancora qualche cosa da compiere chi non adempie la suddetta sublimità del comandamento, la quale è propria del regno dei cieli; ossia egli può restituire non in egual misura, ma di meno, ad esempio per due pugni uno o taglia l'orecchio in luogo di un occhio strappato. Da qui salendo in su chi non ricambia affatto si avvicina al comandamento del Signore, ma non vi giunge ancora. Al Signore sembra ancora poco, se in luogo del male che hai ricevuto non ricambi niente di male, se non sei disposto a sopportarne di più. Quindi non ha detto: Ma io vi dico di non rendere male per male, sebbene anche questo sia un grande comandamento, ma ha detto di non resistere al male in modo che tu non solo non ricambi quel che ti fosse inflitto, ma non resisti che te ne sia ancora inflitto. E questa massima si ha in quel che dice di seguito: Se qualcuno ti colpisse sulla tua guancia destra, porgigli anche l'altra 169. Non ha detto: Se qualcuno ti colpisse, non colpirlo, ma disponiti a lui che ti colpisce ancora. Intendono che il comandamento appartiene alla misericordia soprattutto coloro che si prodigano per coloro che grandemente amano, come figli o altre persone molto care ammalate, o bambini o frenetici. Da essi spesso subiscono molte sofferenze e se la loro salute lo richiede, si offrono a sopportarne di più, fino a quando termina la crisi dell'età o della malattia. Che altro dunque il Signore, medico delle anime, poteva insegnare a quelli che educava a curare il prossimo, se non di sopportare con animo tranquillo le deficienze di coloro alla cui salute volevano provvedere? Ogni disonestà infatti deriva dalla deficienza della coscienza, perché non v'è nulla di più innocente di chi è perfetto nella virtù.

Simbolismo della guancia destra.

19. 58. Si può esaminare anche che cosa significhi la guancia destra. Così si legge infatti nei codici greci, a cui si deve maggior credito. Invece molti codici latini riportano soltanto guancia, non destra. Il viso è quella parte dalla quale si riconosce l'individuo. Leggiamo nell'Apostolo: Voi sopportate se qualcuno vi riduce in schiavitù, se vi divora, se vi sfrutta, se è arrogante, se vi colpisce sul viso; poi soggiunge: Lo dico con vergogna 170, per indicare che cosa significa esser colpito nel viso, cioè essere vilipeso e disprezzato. E l'Apostolo non lo dice affinché non sopportassero quei tali, ma sopportassero lui che li amava in modo tale da sacrificare per loro se stesso 171. Ma poiché il viso non si può considerare destro o sinistro e tuttavia la riputazione può essere secondo Dio e secondo il mondo, viene assegnata, per così dire, alla guancia destra e sinistra, in modo che se in qualche discepolo di Cristo si biasimasse il fatto che è cristiano, egli sia disposto che in lui si biasimi di più se ha alcune onorificenze del mondo. Ad esempio l'Apostolo stesso, quando gli uomini condannavano in lui il nome cristiano, se taceva dell'onore che aveva nel mondo, non porgeva l'altra guancia a quelli che gli colpivano la destra. Infatti il dire: Sono cittadino romano 172 non significa che non era disposto che da quelli, che in lui biasimavano un nome di tanto valore e dignità, si biasimasse questo onore che egli considerava tanto inferiore. Forseché in seguito sopportò di meno le catene, che non era lecito imporre ai cittadini romani o decise di accusare qualcuno di questa ingiustizia? E se alcuni per il titolo della cittadinanza romana lo risparmiarono, tuttavia egli presentò loro qualcosa da colpire in quanto con la propria sopportazione desiderava emendarli da tanto pervertimento, perché avvertiva che in lui onoravano più la parte sinistra che la destra. Si deve infatti porre molta attenzione con quale sentimento compisse ogni azione, con quanta benevolenza e dolcezza verso coloro dai quali subì quelle offese. Anche la frase: Dio percuoterà te, muro imbiancato, che apparentemente proferì come ingiuria, quando per ordine del pontefice fu colpito con una manata sulla bocca 173, ai meno intelligenti sembra un'offesa, ma per gli intelligenti invece è una profezia. Il muro imbiancato è appunto l'ipocrisia, cioè la finzione che si pavoneggia della dignità sacerdotale e che sotto questo titolo, quale candida copertura, nasconde l'interiore sporcizia quasi fangosa. Difatti mantenne stupendamente quel che è proprio dell'umiltà, quando gli fu detto: Offendi il capo dei sacerdoti?; rispose: Non sapevo, o fratelli, che è il capo dei sacerdoti, perché è scritto: Non offendere il capo del tuo popolo 174. Mostrò così con quanta tranquillità avesse detto quelle parole che sembrava aver detto con ira, perché rispose con tanta prontezza e calma; e questo non è possibile che avvenga da parte di persone sdegnate e inquiete. E con la frase stessa ha detto il vero per coloro che comprendono: Non sapevo che è il capo dei sacerdoti, come se dicesse: Io ho conosciuto un altro capo dei sacerdoti, per il cui nome sopporto queste offese e che non è lecito insultare, ma che voi insultate poiché in me non avete odiato altro che il suo nome. Quindi è indispensabile non avere sempre in bocca con finzione certe parole, ma essere sempre disposto a tutto nel cuore, affinché ciascuno possa cantare le parole del Profeta: Pronto è il mio cuore, o Dio, pronto è il mio cuore 175. Molti infatti sanno porgere l'altra guancia, ma non sanno amare colui da cui sono colpiti. Il Signore, che per primo ha osservato i comandamenti che ha prescritto, al servo del sacerdote che l'aveva colpito sulla guancia, non porse l'altra, ma disse: Se ho parlato male, mostrami dov'è il male; se bene perché mi percuoti? 176. Ma non per questo non fu disposto nel cuore non solo a essere colpito sull'altra guancia per la salvezza di tutti, ma anche ad essere confitto in croce con tutto il corpo.

Generosità nel bene.

19. 59. Anche riguardo alla massima che segue: E a chi ti vuol chiamare in giudizio per toglierti la tunica tu lasciagli anche il mantello 177, si deve riflettere che è stata prescritta per rendere disponibile il cuore e non per ostentare un gesto. Ma quel che è stato detto della tunica e del mantello non si deve osservare soltanto per essi, ma per tutti i beni che per un qualche diritto civilmente consideriamo di nostra proprietà. E se questo è stato detto per le cose necessarie, tanto più conviene trattare con indifferenza le cose superflue. Tuttavia i beni che ho considerato di nostra proprietà si devono assegnare a quel rango che il Signore stesso ha imposto, quando dice: Se qualcuno ti vuol chiamare in giudizio per toglierti la tunica. Si intendano dunque tutti i beni per i quali ci si può chiamare in giudizio, in modo che da nostra proprietà passino alla proprietà di colui che chiama in giudizio o di colui a cui favore chiama in giudizio, come una veste, una casa, un terreno, un animale da tiro e in generale il denaro. È un grande problema se si devono includere anche gli schiavi. Invero non è conveniente che un cristiano possegga uno schiavo con la medesima attinenza che il cavallo o l'argento, sebbene può avvenire che sia di prezzo più alto un cavallo che uno schiavo e molto di più un oggetto d'oro o d'argento. Ma se con maggiore lealtà e onestà e in forma più adatta a onorare Dio lo schiavo viene ammaestrato e dominato da te padrone che da colui che desidera averlo, non so se si può affermare che deve essere trattato come un mantello. Un uomo infatti deve amare un altro uomo come se stesso perché, come dimostrano gli argomenti successivi, dal Signore di tutti gli si impone di amare anche i nemici.

Significato di tunica e vestito...

19. 60. Si deve anche riflettere che ogni tunica è vestito, ma non ogni vestito è tunica. Il termine vestito quindi significa più indumenti che quello di tunica. Penso che è stato detto: A chi vuole chiamarti in giudizio per toglierti la tunica, cedigli anche il vestito nel senso: A chi volesse toglierti la tunica, cedigli un altro vestito che hai. Perciò alcuni hanno tradotto mantello il termine che in greco è .

...e di uno o due migli.

19. 61. E se uno ti costringerà, dice il Signore, a fare un miglio, fanne con lui altri due 178. E questo non tanto perché tu agisca con i piedi, quanto piuttosto perché sii disposto con la coscienza. Difatti nella stessa storia del cristianesimo, che ha credito, non trovi che un tale comportamento sia stato attuato dai santi o dal Signore stesso, sebbene nell'uomo che si è degnato di assumere, ci offrì un esempio da seguire. Eppure apprendi che in tutti i paesi furono disposti a sopportare con animo sereno ogni difficoltà che fosse loro imposta ingiustamente. Ma possiamo pensare che per un modo di dire abbia detto: Fanne con lui altri due, oppure ha voluto che se ne facessero tre? Difatti con questo numero è simboleggiata la perfezione, affinché ognuno, quando compie questa azione, ricordi che esercita la virtù perfetta in quanto sopporta con benevolenza le infermità degli altri perché vuole che divengano sani. Si può riflettere che allo scopo ha proposto questi comandamenti anche con tre esempi, dei quali il primo è: se qualcuno ti colpisce sulla guancia; il secondo: se qualcuno vorrà toglierti la tunica; il terzo: se qualcuno ti costringerà a fare un miglio e in questo terzo esempio all'uno si aggiunge il due affinché si abbia il tre. Se un tale numero in questo passo non simboleggia, come è stato detto, la perfezione, s'interpreti che il Signore, nel comandare iniziando, per così dire, in termini più sopportabili, un po' alla volta ha aumentato fino a giungere a suggerire il doppio. Infatti ha voluto che in primo luogo si porgesse l'altra guancia, qualora fosse colpita la destra affinché tu sia disposto a sopportare meno di quel che hai già sopportato; difatti qualsiasi cosa simboleggi la destra, è certamente di maggior pregio di quel che simboleggia la sinistra e se qualcuno ha sopportato alcunché in un oggetto di maggior pregio, è meno doloroso sopportarlo in un oggetto di minor pregio. Poi ordina di cedere a colui, che vuol togliere la tunica, anche il mantello che è della stessa misura o non molto più ampio, comunque non il doppio. Al terzo posto, partendo dal miglio, a cui dice di aggiungerne altri due, ordina che tu sopporti qualche difficoltà fino al doppio indicando così che se qualcuno vorrà essere cattivo con te, si deve sopportare con rassegnazione sia un po' meno di quel che si è avuto prima o il medesimo o anche di più.

Due tipi di reazione all'ingiustizia.

[Modificato da MARIOCAPALBO 12/12/2011 10:46]