00 12/12/2011 10:30

10. 26. Quindi continua: Se dunque offrirai il tuo dono all'altare e lì ti ricorderai che un tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia il tuo dono davanti all'altare e va' prima a riconciliarti col tuo fratello e allora tornando offri il tuo dono 73. Dal testo evidentemente appare che in precedenza s'era parlato di un fratello, poiché la proposizione che segue si congiunge alla precedente con un collegamento tale che comprova la precedente. Non ha detto infatti: Se invece offrirai il tuo dono all'altare, ma ha detto: Se dunque offrirai il tuo dono all'altare. Se invero non è lecito adirarsi senza motivo col fratello o dirgli racha o imbecille, molto meno è lecito trattenere un qualche cosa nella coscienza, al punto che lo sdegno si volga in odio. Si riferisce a questo anche quel che si afferma in un altro passo: Il sole non tramonti sulla vostra collera 74. Ci si ordina dunque che se, mentre portiamo un dono all'altare, ci ricorderemo di avere qualche rancore contro un fratello, di lasciare il dono sull'altare, avviarci a far pace con lui e poi venire a offrire il dono. Se l'ingiunzione si prendesse alla lettera, si potrebbe forse pensare che è bene far così se il fratello è nelle vicinanze; difatti non si può procrastinare a lungo, dato che ti si ordina di lasciare il tuo dono davanti all'altare. Se quindi venisse in mente un tal pensiero su un assente e, il che può avvenire, su di uno residente al di là del mare, è assurdo pensare che si deve lasciare il dono davanti all'altare per offrirlo a Dio dopo avere attraversato terre e mari. Siamo quindi costretti a ricorrere a interpretazioni allegoriche, affinché questo pensiero possa essere inteso senza incorrere nel non senso.

...e interpretazione allegorica.

10. 27. Per altare quindi allegoricamente, nell'interiore tempio di Dio, possiamo intendere la fede stessa, di cui è simbolo l'altare visibile. Infatti qualunque dono offriamo a Dio, sia la spiegazione della Scrittura, o l'insegnamento, o l'orazione, o un inno, o un salmo, o un altro qualsiasi dei doni dello Spirito che si presentano alla coscienza, non gli può esser gradito se non è sorretto dalla sincerità della fede e posto, per così dire, sopra di lei stabilmente fisso, in modo che ciò che diciamo sia senza detrazioni e senza errori. Difatti molti eretici non avendo l'altare, cioè la vera fede, invece della lode han detto bestemmie perché, appesantiti dalle opinioni della terra, hanno gettato in terra, per così dire, il proprio atto di devozione. Però deve essere retta anche l'intenzione di chi offre. Avviene talora dunque che stiamo per offrire qualcuno di tali doni nel nostro cuore, cioè nell'interiore tempio di Dio, perché dice l'Apostolo: Il tempio di Dio è santo e siete voi 75 e: Nell'uomo interiore abita il Cristo mediante la fede nei vostri cuori 76. Allora se verrà in mente che un nostro fratello abbia qualcosa contro di noi, cioè, se l'abbiamo offeso in qualche modo, allora è lui che ce l'ha contro di noi; infatti noi ce l'abbiamo con lui, se egli ci ha offesi e allora non è il caso di andare a riconciliarci, perché non dovrai chiedere scusa a lui che ti ha recato offesa, ma soltanto rimetterai, come desideri che ti sia rimesso dal Signore quel che tu hai commesso. Si deve andare a riconciliarsi, quando ci verrà alla memoria che eventualmente noi abbiamo offeso il fratello e si deve andare non con i piedi del corpo ma con gli atteggiamenti della coscienza, affinché ti prostri con benevolenza al fratello, al quale con un pensiero affettuoso sei corso, mentre eri alla presenza di colui al quale dovrai offrire il dono. Così infatti, anche se è presente, lo potrai rabbonire con un sincero atto di coscienza e ricondurlo all'affabilità chiedendogli perdono, se prima l'hai chiesto a Dio, perché sei andato al fratello non con un tardo movimento del corpo, ma con un rapido sentimento di affetto. E ritornando, cioè richiamando il proposito all'atto che avevi cominciato a compiere, offrirai il tuo dono.

Superbia e povertà di spirito.

10. 28. D'altronde chi si comporta in modo da non adirarsi con un suo fratello senza motivo, o da non dirgli racha senza motivo, o da non chiamarlo imbecille senza motivo e non lo si avverte con molta superbia? Ovvero se eventualmente si è caduti in una di queste colpe, chi non chiede perdono con sentimento implorante, ed è l'unica riparazione, a meno che non si è gonfi dal soffio di una stupida presunzione? Beati dunque i poveri di spirito, perché di essi è il regno dei cieli 77. Ma ormai vediamo quel che segue.

Le beatitudini dei mansueti e l'accordo con l'avversario (11, 29-32)

L'accordo con l'avversario.

11. 29. Mettiti presto d'accordo col tuo avversario, mentre sei per via con lui, affinché egli non ti consegni al giudice e il giudice all'inserviente e tu non venga gettato in carcere. In verità ti dico: non ne uscirai fino a che non paghi l'ultimo quattrino 78. Intendo chi è il giudice: Il Padre infatti non giudica nessuno, ma ha rimesso ogni giudizio al Figlio 79. Intendo chi è l'inserviente: Gli angeli lo servivano 80 e riteniamo per fede che verrà con gli angeli per giudicare i vivi e i morti 81. Comprendo che cosa è il carcere, cioè le pene delle tenebre che, in un altro passo, definisce del di fuori 82. Credo perciò che la gioia del premio divino sia all'interno nella intelligenza stessa o nella facoltà più intima che pensar si possa. Di questa gioia si dice al servo meritevole: Entra nella gioia del tuo Signore 83, allo stesso modo che nell'attuale ordinamento dello Stato chi viene chiuso in carcere è cacciato fuori dal tribunale o dal pretorio del giudice.

L'ultimo quattrino e l'eternità.

11. 30. L'inciso sul dover sborsare l'ultimo quattrino si può probabilmente interpretare che è stato espresso nel senso che nulla rimane senza punizione come comunemente parlando diciamo: fino in fondo, quando vogliamo indicare che qualcosa è talmente esigito che non si lascia nulla; oppure affinché col termine di ultimo quattrino siano simboleggiati i peccati della terra. La terra infatti è la quarta parte ed anche l'ultima delle sovrapposte componenti di questo mondo, sicché devi iniziare dal cielo, citi per seconda l'aria, terza l'acqua, quarta la terra. Quindi l'inciso: Fino a che non sborsi l'ultimo quattrino 84 si può convenientemente interpretare: fino a che non sconti i peccati della terra. E questo appunto anche l'uomo peccatore ha udito: Terra sei e nella terra tornerai 85. Mi meraviglierei se l'espressione: Fino a che non sborsi non significhi la pena che è definita eterna. Con che cosa sarà scontato quel debito in una condizione in cui ormai non si dà luogo a pentirsi e a vivere più onestamente? Forse in questo passo è stata usata l'espressione: Fino a che non sborsi come in un altro in cui è detto: Siedi alla mia destra fino a che io non ponga tutti i tuoi nemici sotto i tuoi piedi 86; infatti, quando i nemici saranno posti sotto i suoi piedi, quegli non cesserà di sedere alla destra. Così è della frase dell'Apostolo: Egli deve regnare fino a che non ponga tutti i suoi nemici sotto i propri piedi 87; infatti, quando vi saranno, non cesserà di regnare. Come dunque in quel passo viene segnalato che regnerà per sempre colui di cui è stato detto: Deve regnare fino a che non ponga i nemici sotto i piedi, così in quest'altro si può intendere che colui di cui è stato detto: Non ne uscirai fino a che non sborsi l'ultimo quattrino, non ne uscirà per sempre, poiché per sempre sborserà l'ultimo quattrino, mentre sconta le pene eterne dei peccati della terra. Non avrei detto questo affinché sembri che ho evitato una trattazione più attenta sul senso, con cui nella Sacra Scrittura si dicono eterne le pene dei peccati, sebbene in qualunque senso siano presentate, si devono piuttosto evitare che averne scienza.

Chi è l'avversario con cui riconciliarsi.

11. 31. Ma esaminiamo chi è l'avversario con il quale ci si ordina di essere subito compiacenti, mentre siamo con lui per via. O è il diavolo o l'uomo o la carne o Dio o un suo comandamento. Ma non veggo in che senso ci si ordini di essere compiacenti col diavolo, cioè concilianti e condiscendenti; infatti alcuni hanno tradotto il termine greco conciliante, altri condiscendente. Ma non ci si ordina di mostrare compiacenza al diavolo, perché dove c'è la compiacenza, c'è l'amicizia e nessuno direbbe che si deve far amicizia col diavolo. Poi non è ammissibile essere concilianti con lui, perché una volta per sempre rinunciando a lui, gli abbiamo dichiarato guerra e saremo premiati per averlo vinto e neanche è ammissibile essere condiscendenti con lui, perché se non fossimo mai stati condiscendenti, mai saremmo incorsi negli affanni della vita. Per quanto riguarda l'uomo, sebbene ci si comandi di avere con tutti la pace per quanto sta a noi 88, in cui è possibile riscontrare compiacenza, conciliazione e condiscendenza, non noto tuttavia come potrei spiegare che dall'uomo noi siamo consegnati al giudice, in cui ravviso Cristo giudice, al cui tribunale tutti si devono presentare, come dice l'Apostolo 89. Come dunque consegnerà al giudice chi egualmente al giudice sarà presentato? Ma se viene consegnato al giudice appunto perché ha offeso un uomo, sebbene non consegni chi è stato offeso, molto più coerentemente si deduce che dalla Legge stessa il reo viene consegnato perché contro di essa ha agito offendendo un uomo. Infatti se qualcuno ha fatto del male a un uomo uccidendolo, non ci sarà più l'occasione di riconciliarsi con lui, perché non è più con lui per via, cioè in questa vita. Tuttavia otterrà egualmente la guarigione pentendosi e ricorrendo con l'offerta di un cuore afflitto alla misericordia di colui che rimette a quelli che si riconciliano con lui e che gode maggiormente di chi si pente che di novantanove giusti 90. Molto meno distinguo in che senso ci si possa ordinare di essere compiacenti, riconcilianti e condiscendenti con la carne. I peccatori certamente amano la carne, si conciliano con essa e le accondiscendono; coloro invece che la assoggettano non le accondiscendono, ma le costringono ad accondiscendere ad essi.

Il magistero divino accolto dai mansueti.

11. 32. Forse dunque ci si ordina di essere condiscendenti con Dio, a lui compiacenti per riconciliarci con lui, dal quale ci siamo allontanati peccando, sicché può essere considerato nostro avversario. Infatti è giustamente considerato avversario di coloro ai quali resiste perché Dio resiste ai superbi e dà la grazia agli umili 91 e: Inizio di ogni peccato è la superbia e inizio della superbia dell'uomo è apostatare da Dio 92; e l'Apostolo dice: Se infatti, pur essendo nemici, siamo stati riconciliati con Dio mediante la morte del suo Figlio, molto più, ora che siamo riconciliati, saremo salvi nella vita di lui 93. Dal passo si può comprendere che non v'è un essere cattivo nemico di Dio, poiché si riconciliano con lui quelli che gli sono stati nemici. Perciò chiunque in questa via, cioè in questa vita, non si sarà riconciliato con Dio mediante la morte del suo Figlio, sarà da lui consegnato al giudice, perché il Padre non giudica alcuno, ma ha consegnato ogni giudizio al Figlio 94. E così tengono dietro tutti gli altri concetti che sono stati espressi in questo verdetto, dei quali abbiamo già trattato. Ve n'è uno solo che si oppone a questo significato, cioè in quale senso si può ragionevolmente affermare che noi siamo per via con Dio, se in questo passo egli stesso deve essere considerato avversario dei cattivi e con lui ci si ordina di riconciliarci prontamente, salvo che, siccome egli è dovunque, anche noi, mentre siamo ancora per questa via, siamo evidentemente con lui. Infatti dice la Scrittura: Se salirò nei cieli, là tu sei; se scenderò negli inferi, eccoti; se userò le mie ali verso l'orizzonte e abiterò all'estremità del mare, anche là mi condurrà la tua mano e mi guiderà la tua destra 95. Forse non va a genio pensare che i cattivi siano con Dio, sebbene Dio è dovunque in atto, ma allo stesso modo non pensiamo che i ciechi siano nella luce, sebbene la luce affluisce ai loro occhi. Allora non resta altro che in questo passo per avversario intendiamo il comandamento di Dio. Che cosa infatti si oppone molto fortemente a coloro che vogliono peccare come il comandamento di Dio, cioè la sua Legge e la Sacra Scrittura? Essa infatti ci è stata data per questa vita, affinché sia con noi per via e non conviene essere in contrasto con essa affinché non ci consegni al giudice, ma conviene essere condiscendenti con essa. Nessuno sa infatti quando dovrà uscire da questa vita. È condiscendente con la Sacra Scrittura chi la legge o l'ascolta con deferenza perché le attribuisce la massima autorità. Perciò non odia quel che ha compreso, sebbene avverta che è in contrasto con i propri peccati, anzi ama maggiormente il proprio emendamento e gioisce che non si perdoni ai propri malanni fino a che non siano risanati. Se poi qualcosa a lui risulta oscuro o non vero, non susciti le controversie delle obiezioni, ma preghi per capire e ricordi che si deve devozione e rispetto a un'autorità così grande. Ma chi si comporta così se non colui che si appressa a dissigillare e prendere visione del testamento del Padre non con la minaccia di litigi, ma mite nella deferenza. Beati dunque i miti, perché essi avranno in eredità la terra 96. Esaminiamo quel che segue.

La beatitudine degli afflitti
e fornicazione anche nello sguardo
(12, 33-36)

L'intento di fornicare.

12. 33. Avete udito che è stato detto: Non fornicare, ma io vi dico che chi guarderà una donna per unirsi a lei, già ha fornicato con lei nel cuore 97. Dunque è virtù minore non fornicare con l'accoppiamento del corpo e quella maggiore del regno di Dio è non fornicare nel cuore. Perciò chi non commette fornicazione nel cuore molto più facilmente evita di commetterla nel corpo. Lo ha ratificato egli che l'ha comandato, perché non è venuto ad abrogare la Legge, ma a confermarla 98. Si deve evidentemente riflettere che non ha detto: chi si accoppierà con una donna ma: Chi guarderà una donna per unirsi con lei, cioè che la osserverà con l'intento e la coscienza di unirsi con lei; e questo non significa essere solleticato dalla istigazione della sensualità, ma acconsentire pienamente alla passione, sicché non si modera il disonesto impulso, ma se se ne darà l'occasione, viene soddisfatto.

Stimolo, compiacimento, consenso.

12. 34. Sono tre appunto i momenti, in cui si commette il peccato, con lo stimolo, il compiacimento e il consenso. Lo stimolo avviene sia attraverso la memoria o mediante i sensi, quando vediamo, udiamo, odoriamo, gustiamo o tocchiamo un determinato oggetto. E se il percepire l'oggetto produrrà compiacimento, il compiacimento illecito si deve inibire. Ad esempio, quando siamo in digiuno e alla vista dei cibi sorge la bramosia dell'organo del gusto ed essa si ha soltanto con il compiacimento, ma non vi acconsentiamo e lo reprimiamo con l'imperativo della ragione egemonica. Ma se è avvenuto il consenso, si avrà interamente il peccato, noto a Dio nel nostro cuore, anche se di fatto non si palesa agli uomini. Dunque si verificano così i tre momenti, quasi che lo stimolo provenga dal serpente, cioè da un movimento fisico scorrevole e svolgentesi, ossia posto nel tempo; giacché, anche se tali emozioni si svolgono all'interno nell'anima sono dal corpo attratte all'esterno. E se oltre i cinque sensi un qualche movimento occulto influisce sull'anima, anche esso è posto nel tempo ed è scorrevole. Perciò quanto più scorre di nascosto per raggiungere la coscienza, tanto più convenientemente è paragonato a un serpente. Questi tre momenti dunque, come avevo iniziato a dire, sono simili all'avvenimento che è riferito nella Genesi, nel senso che dal serpente si attuano lo stimolo e un determinato convincimento; nel desiderio sensuale, come in Eva, il compiacimento; nella coscienza, come in Adamo, il consenso 99. Compiuti questi tre atti, l'uomo viene espulso dal paradiso terrestre, cioè dalla beatificante luce della virtù alla morte; e molto giustamente. Infatti chi convince non costringe. E tutti gli esseri sono belli nel proprio ordine e nei rispettivi gradi; ma non si deve ripiegare da quelli in alto, in cui è stata costituita l'anima ragionevole, a quelli in basso. Nessuno è costretto a compiere una simile azione e perciò se la compie, viene punito da una giusta legge di Dio, perché non la commette contro la propria volontà. Tuttavia il compiacimento prima del consenso non v'è, o è tanto lieve che quasi non v'è ed acconsentirvi è un grande peccato perché è proibito. Se qualcuno acconsente, commette un peccato nella coscienza. Se invece giunge all'atto, può sembrare che l'impulso si plachi, ma in seguito, quando si ripete lo stimolo, si accende un compiacimento più vivo, che tuttavia è di molto inferiore a quello che con azioni assidue si traduce in abitudine. Ed è molto difficile superarla; però se uno non si trascura e non rifugge il buon combattimento cristiano, supererà anche una simile abitudine con la guida e l'aiuto di Dio. Così verso la pace e l'ordine di prima l'uomo si sottomette a Cristo, la donna all'uomo 100.

Tre modi di peccare: nella coscienza, atto, abitudine.

12. 35. Come dunque si giunge al peccato attraverso tre momenti, con lo stimolo, il compiacimento, il consenso, così tre sono le differenze del peccato, nella coscienza, nell'atto, nell'abitudine, quasi tre morti: una per così dire in casa, cioè quando si consente alla sensualità nella coscienza; l'altra messa in vista per così dire fuori della porta, quando il consenso si traduce nell'atto; la terza, quando dalla violenza della cattiva abitudine, come da un mucchio di terra, è oppressa l'anima intellettuale, già per così dire in putrefazione nel sepolcro. Chi legge il Vangelo sa che il Signore ha risuscitato questi tre tipi di morti. E forse riflette quale differenza abbia anche la voce di chi fa risorgere, poiché in un caso dice: Fanciulla, alzati 101; e in un altro: Giovinetto, dico a te, alzati 102; e nell'altro: Si commosse profondamente, pianse e di nuovo si commosse e quindi con grande voce gridò: Lazzaro, vieni fuori 103.

Ogni peccato è fornicazione.

12. 36. Perciò nel concetto di fornicazione considerata in questo brano è opportuno annoverare ogni soddisfazione viziosa e disonesta. Ripetutamente la Scrittura considera fornicazione l'idolatria, mentre l'apostolo Paolo con il concetto di idolatria definisce l'avarizia 104. Chi può dubitare quindi che ogni cattivo desiderio è fornicazione poiché l'anima, trascurata la legge superiore da cui è guidata, come una prostituta si avvilisce, a titolo di compenso, con l'osceno piacere delle cose abiette. Quindi l'individuo, il quale avverte che la soddisfazione carnale contrasta alla retta volontà mediante l'abitudine del peccato poiché, non essendo repressa, dalla sua violenza viene tratta in servitù, ricordi, per quanto gli è possibile, quale pace ha perduto ed esclami: Me sventurato, chi mi libererà dal corpo di questa morte? La grazia di Dio mediante Gesù Cristo nosstro Signore 105. Così infatti, poiché si riconosce sventurato, piangendo implora l'aiuto del consolatore. E non è un trascurabile avvicinarsi alla felicità il riconoscimento della propria miseria, perciò: Beati quelli che piangono perché saranno consolati 106.

La beatitudine degli affamati e assetati
della virtù egemone
(13, 37 - 18, 54)

L'occhio che è scandalo.

13. 37. Quindi continua con le parole: Se poi il tuo occhio destro ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo via da te; ti conviene infatti che vada perduto uno dei tuoi membri anziché tutto il tuo corpo vada nella geenna 107. Al caso si richiede un grande coraggio per recidere le membra. Qualunque significato abbia l'occhio, senza dubbio è una tal cosa che si ama ardentemente. Di solito da quelli che vogliono esprimere ardentemente il proprio affetto si dice: Lo amo come i miei occhi o anche più dei miei occhi. L'aggiunta del destro forse serve ad indicare il vigore dell'affetto. Sebbene infatti gli occhi siano volti insieme a guardare e se entrambi sono volti, hanno eguale influsso, tuttavia gli uomini temono maggiormente di perdere il destro. Così questo è il significato: Qualunque cosa tu ami da considerarla l'occhio destro, se ti è occasione di scandalo, ossia se ti è d'impedimento alla vera felicità, cavalo e gettalo via da te. Ti conviene infatti che vada perduto uno di questi oggetti che ami in modo che sono a te uniti come membra, anziché tutto il tuo corpo vada nella geenna.

Interpretazione dell'occhio e della mano.

13. 38. Continua a parlare della mano destra e di essa dice egualmente: Se la tua mano destra ti è occasione di scandalo, tagliala e gettala via da te; ti conviene infatti che vada perduto uno dei tuoi membri, anziché tutto il corpo vada nella geenna 108. Ci costringe perciò a esaminare più attentamente che cosa ha inteso dire per occhio. Sull'argomento non mi viene in mente qualche cosa di più appropriato se non che è un carissimo amico; infatti è esso di certo che possiamo rettamente considerare un membro che amiamo ardentemente; ed è anche consigliere perché è l'occhio che mostra il cammino; e perfino nelle cose di Dio perché è destro, affinché il sinistro sia pure un amato consigliere, ma nelle cose delle terra attinenti ai bisogni del corpo. Era superfluo parlare di esso come occasione di scandalo, dal momento che non si deve risparmiare neanche il destro. Nelle cose di Dio il consigliere è occasione di scandalo se col pretesto della religione e della dottrina tenta di indurre a qualche rovinosa eresia. Quindi anche la mano destra sia interpretata come un caro aiutante e collaboratore nelle opere che riguardano Dio. Infatti come nell'occhio s'intende la contemplazione, così nella mano giustamente l'azione in modo che la mano sinistra si ravvisi nelle opere che sono indispensabili a questa vita e al corpo.

Matrimonio e divorzio.

14. 39. È stato detto: Chi ripudierà la propria moglie le dia l'atto di ripudio 109. Questa giustizia minore è propria dei farisei e ad essa non è contrario ciò che dice il Signore: Io invece vi dico: chiunque rimanderà la propria moglie, eccetto il caso di convivenza, la espone all'adulterio e chi sposa una ripudiata dal marito commette adulterio 110. Infatti chi ha comandato di darle l'atto di ripudio, non ha comandato che la moglie sia ripudiata, ma ingiunge: Chi la ripudierà le dia l'atto di ripudio affinché la preoccupazione dell'atto frenasse lo sdegno ingiustificato di chi ripudia. Chi dunque ha imposto una dilazione ha indicato, per quanto gli è stato possibile, a uomini duri che non voleva la rottura. E quindi il Signore stesso in un'altra circostanza, interrogato in proposito rispose così: Mosè l'ha disposto per la durezza del vostro cuore 111. Sebbene infatti fosse un duro colui che voleva ripudiare la moglie, si sarebbe facilmente messo in pace pensando che con la consegna dell'atto di divorzio ormai senza danno essa poteva sposarsi con un altro. Quindi il Signore, per confermare che non ripudi la moglie con disinvoltura, ha accettato il solo caso della convivenza e ingiunge che tutte le altre difficoltà, se eventualmente vi fossero, siano tollerate con coraggio per la fedeltà coniugale e per la castità; afferma inoltre che è un adultero chi sposasse una donna divorziata dal marito. Paolo ha mostrato il limite di questo obbligo, perché dice che si deve rispettare fino a quando vive il marito di lei e dopo la sua morte le consente di sposarsi 112. Anche egli ha tenuto presente questa norma, e in essa non un proprio criterio, come in alcuni avvertimenti, ma ha indicato l'ordinamento della prescrizione del Signore, quando dice: Agli sposati ordino, non io ma il Signore, che la moglie non si separi dal marito e se si è separata, rimanga senza sposarsi o si riconcili con suo marito; e il marito non ripudi la moglie 113. Penso che con tale norma il marito, se l'ha ripudiata, non deve sposarne un'altra, ma riconciliarsi con la moglie. Può avvenire che rimandi la moglie nel caso di convivenza che il Signore ha inteso escludere. Ora se a lei non è consentito di sposarsi, se è vivo il marito da cui si è separata, né a lui di sposarne un'altra, se è viva la moglie che ha rimandato, molto meno è consentito di commettere peccaminose violenze carnali con qualsiasi donna. Più fortunati si devono considerare quei matrimoni i quali, sia dopo aver messo al mondo i figli, sia anche per il rifiuto della prole, abbiano potuto con reciproco consenso osservare la continenza. Infatti questo non avviene contro il comandamento con cui il Signore vieta di ripudiare la moglie, perché non la ripudia chi convive con lei non secondo la carne, ma secondo lo spirito. D'altra parte si osserva quel consiglio, di cui l'Apostolo dice: Per il resto coloro che hanno moglie vivano come se non l'avessero 114.

Odio e amore nel tempo.

15. 40. Di solito turba di più la coscienza degli ingenui, che tuttavia già bramano di vivere secondo i comandamenti di Cristo, ciò che il Signore stesso dice in un altro passo: Chi viene a me e non odia il padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria anima non può essere mio discepolo 115. Per i meno intelligenti può sembrare contraddittorio che in un passo proibisce di rimandare la moglie, eccetto il caso di fornicazione, in un altro nega che può essere suo discepolo chi non odierà la moglie. Che se lo dicesse per l'accoppiamento non porrebbe sullo stesso piano padre e madre e fratelli. Ma è molto vero che il regno dei cieli è oggetto di forza e coloro che usano la forza lo conseguono 116. Di questa forza si ha bisogno perché l'uomo ami i nemici e odi padre madre moglie figli e fratelli. Infatti l'uno e l'altro adempimento ingiunge colui che ci invita al regno dei cieli. Ed è facile comprendere col suo insegnamento che queste disposizioni non sono contraddittorie, ma una volta comprese, è difficile metterle in pratica, sebbene anche in questo caso col suo aiuto è facile. Invero il regno eterno, al quale si è degnato di chiamare i suoi discepoli, che dichiara anche fratelli 117, non ha tali soggezioni al tempo. Infatti non v'è Giudeo, né Greco, né maschio, né femmina, né schiavo, né libero, ma Cristo è tutto in tutti 118. E il Signore stesso dice: Alla risurrezione non prenderanno né marito né moglie, ma saranno come gli angeli in cielo 119. È necessario dunque che chi vorrà già fin d'ora riflettere sulla vita di quel regno, odi non gli uomini ma queste soggezioni al tempo, con cui si sostenta questa vita fluente che trascorre col nascere e col morire. Chi non odia questo stato non ama ancora quella vita, in cui non si avrà il condizionamento del nascere e morire che stringe i rapporti matrimoniali.

Amore e odio nell'eternità.

15. 41. Faccio l'ipotesi d'interrogare un buon cristiano, che ha comunque la moglie e con essa mette ancora figli al mondo, se la vuole avere con sé come moglie nel regno di Dio. Memore certamente delle promesse di Dio e di quella vita, in cui questo essere soggetto al divenire assumerà l'immunità dal divenire e questo essere soggetto alla morte assumerà l'immunità dalla morte 120, già attratto da un grande o per lo meno da un certo amore per quella vita, con orrore risponderà che non lo vuole assolutamente. Se di nuovo lo interrogassi se dopo la risurrezione vuole che la moglie viva con lui nella conseguita immunità dal divenire propria degli angeli, promessa ai santi, risponderà che lo vuole ardentemente come non voleva l'altro. Così si riscontra che il buon cristiano ama nella donna la creatura di Dio e desidera che lei sia restituita all'essenza pura e a una nuova esistenza, ma odia il congiungimento e l'accoppiamento soggetti al divenire e al morire, ossia ama in lei che è una creatura umana, odia che è moglie. Così ama anche il nemico, non in quanto è nemico, ma in quanto è uomo, sicché desidera che a lui pervenga la condizione che desidera per sé, ossia che restituito al bene e alla nuova esistenza giunga nel regno dei cieli. Questo si deve intendere anche del padre, della madre e degli altri vincoli del sangue 121, sicché in essi odiamo quel che il genere umano ha ottenuto con la nascita e la morte e amiamo ciò che con noi può essere condotto in quel regno, perché in esso nessuno dice: Padre mio, ma tutti all'unico Dio: Padre nostro 122; non: Madre mia, ma tutti alla Gerusalemme del regno: Madre nostra 123; né: Fratello mio, ma tutti per tutti: Fratello nostro 124. L'unione poi per noi, raccolti assieme a lui nell'unità, sarà come di un solo coniuge 125, perché ci ha liberato dalla prostituzione di questo mondo con l'effusione del proprio sangue. È necessario dunque che il discepolo di Cristo odi i beni che passano in coloro che desidera vengano con lui ai beni che rimarranno per sempre e tanto più li odi in loro quanto più li ama.

Vario rapporto con la moglie.

15. 42. Dunque il cristiano può vivere in concordia con la moglie, sia per ottenere la placazione del senso, e questo, come dice l'Apostolo, per condiscendenza non per obbligo 126; sia per ottenere la procreazione dei figli, e questo in certo senso può esser lodevole; sia per avere un vincolo fraterno senza accoppiamento, avendo la moglie come se non l'avesse 127, e questo nel matrimonio dei Cristiani è uso assai dignitoso e nobile, purché odi in lei il pretesto del bisogno nel tempo e ami la speranza della felicità nell'eternità. Infatti odiamo senza dubbio ciò che desideriamo che alfine non sia più, come la vita stessa del mondo attuale che se non odiassimo perché nel tempo, non desidereremmo la futura che non è soggetta al tempo. Per una tal vita è stata creata l'anima, di cui è stato detto: Chi inoltre non odierà la propria anima non può essere mio discepolo 128. A questa vita è indispensabile questo cibo, che si altera, di cui il Signore stesso dice: Forse che l'anima non vale più del cibo 129, cioè questa vita a cui è indispensabile il cibo. E quando dice che dà la propria anima per le sue pecore 130, parla certamente di questa vita, perché dichiara che dovrà morire per noi.

Parità di diritti fra coniugi.

[Modificato da MARIOCAPALBO 12/12/2011 10:47]