don Michele Sopocko (1888-1975)

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MARIOCAPALBO
00martedì 7 aprile 2015 19:39
vita e scritti

don
 Michele Sopocko
 (1888-1975)
Don Michele Sopocko nacque a Nowosady, nella circoscrizione di Vilnius. Negli anni 1910 - 1914 studió teologia all’Università di Vilnius, poi a Varsavia, dove frequentò l’Istituto Pedagogico Superiore.
Dopo aver conseguito il dottorato in teologia morale nel 1926, divenne padre spirituale nel seminario di Vilnius. Fece la sua abilitazione nel 1934.
Lavoró come professore di teologia pastorale alla Facoltà di Teologia dell’Università Stefano Bàthory a Vilnius e nel Seminario di Bialystok (1928 - 1962).
Negli anni 1918 - 1932 fu cappellano militare dell’Esercito Polacco a Varsavia e a Vilnius.
Don Michele Sopocko nelle sue opere scientifiche pubblicate pose le basi teologiche per le nuove forme di culto della Divina Misericordia che egli stesso divulgò assiduamente.
Era impegnato anche in attività sociali.
Era confessore di comunità religiose e laiche.
Scrisse lettere di formazione per la prima comunità di suore e successivamente stese le costituzioni per la nuova congregazione, fondata  in base alle riflessioni e proposte di santa Faustina. Compose preghiere alla Misericordia Divina basandosi sui suoi testi.
Dopo la morte di santa Faustina, con la quale mantenne i contatti fino alla fine della sua vita, realizzò con fedeltà la missione delineata loro nelle visioni.
Nel Diario è rimasta viva la testimonianza che rivela la bellezza della personalità e la ricchezza interiore di questo santo sacerdote.
La realizzazione dell’immagine, la sua esposizione alla venerazione pubblica, la divulgazione della coroncina alla Divina Misericordia, i primi tentativi di stabilire la festa della Divina Misericordia e la fondazione della nuova congregazione religiosa - si sono concretizzate a Vilnius, grazie agli sforzi di don Michele Sopocko.
Da allora, le loro opere comuni, riscattate con la preghiera e la sofferenza, s’irradiano su tutto il mondo.
Dal Diario di Santa Faustina Kowalska
 “Vedendo la dedizione e le fatiche del reverendo dr Sopocko per questa causa, ammiravo la sua pazienza ed umiltá. Tutto questo è costato molto, non solo in sacrifici e dispiaceri di vario genere, ma anche molto denaro; ed a tutto ha provveduto il reverendo dr Sopocko. Vedo che la Divina Provvidenza lo aveva preparato a compiere quest’opera della Misericordia, ancora prima che io pregassi Dio per questo. Oh, come sono misteriose le Tue vie, Dio, e felici le anime che seguono la voce della Tua grazia!”. “O mio Gesù, Tu vedi quanta riconoscenza ho per Don Sopocko, che ha portato tanto avanti la tua opera. Quell’anima così umile ha saputo resistere a tutte le tempeste e non si è scoraggiata per le contrarietà, ma ha corrisposto fedelmente alla chiamata divina”.
“Scrivi che giorno e notte il Mio sguardo riposa su di lui e che permetto queste contrarietà per aumentare i suoi meriti. Io do la ricompensa non per il risultato positivo, ma per la pazienza e la fatica sopportata per Me”. “Nella sua corona ci saranno tante corone quante sono le anime che si salveranno tramite quest’opera”
 
“Ai piedi di Gesù vidi il mio confessore e dietro di lui un gran numero di ecclesiastici di altissimo rango, con indumenti che non avevo mai visto, eccetto allora in visione. E dietro a loro varie classi di ecclesiastici.
Più in là vidi una folla così vasta di gente che non riuscii ad abbracciarla con lo sguardo.
Vidi che dall’Ostia uscivano due raggi, come sono nell’immagine, che si unirono strettamente fra di loro, ma non si confusero e passarono nelle mani del mio confessore e poi nelle mani degli ecclesiastici e dalle loro mani passarono alla gente e tornarono nell’Ostia”.
“...ho ricevuto una lettera da Don Sopocko. Ho appreso che la causa di Dio procede, sia pure lentamente”.
(...) “Ho conosciuto che nel momento attuale Iddio per quest’opera esige da me preghiere e sacrificio”.
(...) “Dalla lettera ho appreso quanta luce Iddio concede a questo sacerdote. Ciò mi conferma nella convinzione che Iddio porterà a termine quest’opera per suo mezzo, nonostante le contrarietà; che l’opera la porterà a termine, nonostante le contrarietà si accumulino.
So bene che più un’opera è bella e grande, tanto più tremende sono le tempeste che si scateneranno contro di essa”.“Dio nei Suoi imperscrutabili disegni spesso permette che proprio coloro che si sono sobbarcati le più grandi fatiche per qualche opera, non godano dei frutti di quell’opera su questa terra”.
“Dio conserva tutta la loro  gioia per  l’eternità, ma, nonostante tutto, qualche volta fa loro conoscere quanto
Gli sono graditi i loro sforzi e quei momenti danno forza a quelle anime per nuove battaglie e nuove prove.
Sono le anime che assomigliano maggiormente al Salvatore, il quale nella Sua opera fondata sulla terra ha assaporato soltanto amarezza” .  
“Gesù mi ha fatto conoscere che tutto dipende dal Suo volere, dandomi una grande serenità per quanto concerne l’insieme di quest’opera.
Ascolta, figlia Mia, sebbene tutte le opere che sorgono per Mia volontà siano esposte a grandi sofferenze, tuttavia considera se ce n’è stata mai qualcuna di esse esposta a maggiori ostacoli dell’opera direttamente Mia, l’opera della Redenzione.
Non devi preoccuparti troppo delle contrarietà.
Il mondo non è così forte come sembra, la sua forza è strettamente limitata”
“Per il suo interessamento una nuova luce risplenderà
nella Chiesa di Dio per la consolazione delle anime”.
Dal Diario di Don Michele Sopocko
“Esistono delle verità che si conoscono, spesso se ne sente parlare e se ne parla, ma che non si capiscono. Cosí  è stato con me, per quanto riguarda la verità sulla misericordia divina. Tante volte menzionavo questa verità nelle omelie, ci ho pensato durante i ritiri, le ripetevo nelle preghiere della Chiesa – particolarmente nei Salmi - ma non comprendevo il significato di questa verità né approfondivo il suo contenuto, cioè che essa è l’attributo più alto dell’opera di Dio all’esterno. Ci voleva alla fine una semplice religiosa, S. Faustina, della Congregazione della Beata Vergine Maria della Misericordia (Maddalene), la quale, guidata interiormente, me ne parlò, brevemente e spesso lo ripeteva, stimolandomi così ad esaminare, studiare e a riflettere spesso su questa verità.
(...) all’inizio non sapevo bene di che cosa si trattasse, ascoltavo, dubitavo, mi ponevo delle domande, facevo delle ricerche e mi consigliavo con gli altri soltanto qualche anno più tardi capii l’importanza di  quest’opera, l’immensità di quest’idea e mi sono convinto io stesso dell’efficacia di quell’antico, quanto grande e vivificante culto, ma trascurato da chi richiedeva ai tempi nostri un rinnovamento.
(...) La fiducia nella Misericordia Divina, il divulgare il culto di  questa misericordia tra gli altri e consacrare ad esso, senza alcun limite, tutti i miei pensieri, parole ed opere, senza un’ombra di cercare me stesso, sarà d’ora in poi un principio fondamentale della mia vita, con l’aiuto della medesima misericordia incommensurabile”.
 
“Il Vangelo non consiste nel predicare che
i peccatori dovrebbero diventare buoni, ma che
Dio è buono con i peccatori”
 (don Michele Sopocko).
Padre Sopocko morì in aura di santità il 15 febbraio 1975 a Bialystok (nel giorno dell’onomastico di santa Faustina).
Il 20 dicembre 2004 la Congregazione per le Cause dei Santi a Roma promulgò il decreto sull’eroicità delle virtù del Servo di Dio  don Sopocko.
Il 17 dicembre 2007 il Santo Padre Benedetto XVI ha promulgato il decreto del miracolo  di don Michele Sopocko.
È stato  Beatificato a Bialystok  Il 28 Settembre 2008
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Dal Diario di Santa Faustina Kowalska
Dice Gesù:
“È un sacerdote secondo il Mio Cuore; i suoi sforzi Mi sono graditi. Vedi, figlia Mia, che la Mia volontà deve compiersi e mantengo quello che ti ho promesso.  Per suo mezzo spargo consolazioni per la anime sofferenti e tormentate, per suo mezzo Mi è piaciuto diffondere il culto alla Mia Misericordia e per mezzo di quest’opera della Misericordia si accosteranno a Me più anime di quante ne verrebbero se egli continuasse ad assolvere giorno e notte fino alla fine della vita.
Infatti così egli lavorerebbe fino alla morte, mentre con quest’opera lavorerà fino alla fine del mondo.
 
 

PREGHIERA 

per impetrare grazie per l’intercessione del Beato don Michele Sopocko

 Dio, Padre di Misericordia,

Tu hai fatto diventare tuo servo don Michele Sopocko

un apostolo della tua Misericordia sconfinata

e un adoratore ardente

di Maria, Madre di Misericordia.

Concedimi, di ottenere tramite  la sua intercessione,

per la maggiore gloria della Tua Misericordia

e per risvegliare la fiducia nella Tua paterna bontà,

la grazia .............. che Ti chiedo,

per Cristo Signore nostro Gesù Cristo. Amen.

Padre nostro...Ave Maria ...Gloria al Padre …

 

L a   F i d u c i a
 
 
 La Misericordia Divina
 
Frammenti del libro del Reverendo Prof. Michele Sopocko
 
Beato Don Michele Sopocko
La Misericordia di Dio nelle sue opere
“Il fattore decisivo per ottenere la misericordia Divina è la fiducia.
La fiducia è restare in attesa  dell’aiuto da parte di qualcuno. Essa non costituisce una virtù distinta, ma è una condizione necessaria della virtù della speranza ed anche una parte  costituente della  virtù della fortezza e magnanimità. Siccome la fiducia deriva dalla fede, moltiplica la speranza e l’amore, e, a parte questo, in un modo o nell’altro si collega con le virtù morali, essa può essere definita la base sulla quale le virtù teologali si collegano con quelle morali. Le virtù morali da naturali si trasformano in soprannaturali se sono da noi praticate confidando nell’aiuto di Dio.
La fiducia naturale – in quanto aspettarsi l’aiuto umano – è una grande leva nella vita di ogni uomo. Ricordiamoci, per esempio, l’assedio di Zbaraz, Chocim o di altri luoghi fortificati, quando gli assediati resistevano eroicamente agli attacchi del nemico, sopportando ogni privazione, perché si aspettavano i soccorsi e la liberazione. Ma aspettarsi l’aiuto da parte degli uomini spesso porta delusione. Invece chi confida in Dio, non sarà mai deluso. “La grazia circonda chi confida nel Signore” (Sal 31,10).
(...) nel discorso di addio tenuto dopo l’ultima cena nel cenacolo, il Signore Gesù, avendo dato gli ultimi ordini e avendo preannunciato  agli Apostoli le persecuzioni che li avrebbero oppressi a causa del Suo Nome, indica la fiducia come condizione necessaria per resistere e per ottenere l’aiuto della Divina Misericordia: “Voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo!” (Gv 16,33). Questa è l’ultima parola del Salvatore pronunciata prima della passione (che è stata annotata dall’Apostolo prediletto), nel desiderio di ricordare a tutti i fedeli di tutti i tempi quanto è necessaria la fiducia, non soltanto consigliata – ma ordinata dal Salvatore.
Perché Dio con tanta insistenza raccomanda la fiducia? Perché essa è un omaggio  fatto alla Misericordia Divina. Chi si aspetta l’aiuto da parte di Dio, professa che Lui è onnipotente e buono, che può e vuole darci questo aiuto, e soprattutto che è misericordioso. “Nessuno è buono se non Dio solo” (Mc 10,18). Dobbiamo conoscere Dio nella verità, perché una conoscenza falsa di Dio raffredda la nostra relazione con Lui e blocca le grazie della Sua Misericordia.
(...) La nostra vita spirituale dipende principalmente dai concetti che ci facciamo su Dio. Ci sono tra noi e Dio delle relazioni fondamentali che risultano dalla nostra natura creata, ma ci sono anche delle relazioni che conseguono la nostra attitudine nei confronti di Dio la quale dipende dalle nostre idee su di Lui. Se ci facciamo dei concetti falsi sul Signore Altissimo, le nostre relazioni con Lui saranno poco adatte e i nostri sforzi di aggiustarle – infruttuosi. Se abbiamo un’idea inesatta su di Lui, nella nostra vita spirituale ci saranno molte carenze e imperfezioni. Se essa è vera secondo le possibilità umane, l’anima nostra, con tutta certezza, crescerà in santità e luce.
Quindi, il concetto su Dio è una chiave di santità, perché regola il nostro comportamento nei confronti di Dio come anche quello di Dio nei nostri confronti. Dio ci ha adottati come suoi figli purtroppo però, in pratica non ci comportiamo come figli; la figliolanza Divina spesso rimane soltanto una parola, e nelle opere non dimostriamo questa fiducia filiale verso un Padre così tanto Buono.
(...) La mancanza di fiducia ostacola Dio nell’elargire a noi le sue grazie, è come una nube oscura che blocca l’azione dei raggi solari, è come una diga che rende impossibile l’accesso all’acqua della sorgente.
(...) Nulla porta all’onnipotenza Divina tanta gloria, quanto il fatto che Iddio rende onnipotenti coloro che confidano in Lui. Tuttavia, per non deluderci mai, la nostra fiducia deve distinguersi con caratteristiche adeguate indicate dallo Stesso Re della Misericordia.
(...) Per riguardo a Dio la fiducia dovrebbe essere soprannaturale, assoluta, pura, forte e perseverante. Soprattutto la fiducia dovrebbe sgorgare dalla grazia e appoggiarsi su Dio.
(...) Confidando in Dio non ci si deve fidare troppo di noi stessi, dei nostri talenti, della propria ragione o forza, perché allora Iddio rifiuterà di aiutarci e ci permetterà di sperimentare la nostra incapacità. Nelle cose di Dio dovremmo temere noi stessi e avere il convincimento che da soli siamo capaci soltanto di deformare o perfino distruggere i disegni di Dio.
(...) Confidando in Dio non ci appoggiamo soltanto sui mezzi umani, perché in questo mondo le forze ed i tesori più grandi saranno inutili se Dio stesso non ci appoggia, non fortifica, non consola, non insegna, non custodisce. È vero che bisogna scegliere i mezzi che consideriamo necessari, ma non bisogna basarsi unicamente su di essi. Bisogna invece confidare totalmente in Dio. Questa fiducia dovrebbe essere a  metà strada tra il cosiddetto quietismo e l’attivismo eccessivo. I seguaci di quest’ultimo rimangono sempre inquieti perché nella loro attività si appoggiano unicamente su loro stessi. Invece confidare in Dio incita ad un lavoro assiduo anche nelle cose più piccole e nello stesso tempo preserva dall’inquietudine e agitazione delle persone troppo attive. Al contrario è pigrizia rimettersi totalmente a Dio senza essere fedeli ai propri doveri.
La fiducia in Dio deve essere forte e costante, senza dubbi e debolezze. Abramo aveva una tale fiducia, quando ebbe l’intenzione di offrire suo figlio in sacrificio. I martiri avevano una tale fiducia. Invece questa virtù è mancata agli Apostoli durante la tempesta e per questo motivo il Signore Gesù li ha rimproverati: “Perché avete paura, uomini di poca fede?” (Mt 8,26).
Avendo una fiducia forte, bisogna evitare la pusillanimità  e l’insolenza. La pusillanimità è la più vile delle tentazioni, perché appena perdiamo il coraggio di andare avanti nel bene, ben presto precipitiamo nell’abisso dei vizi. L’insolenza invece ci fa esporre ai pericoli (per esempio occasioni di commettere un peccato) nella speranza che Dio ci salverà. Abitualmente questo tipo di tentazione verso il Signore Dio finisce tragicamente per i tentatori.
Per riguardo a noi la fiducia dovrebbe essere legata al timore che risulta dalla conoscenza della nostra miseria. Senza questo timore la fiducia diventa presunzione mentre il timore senza la fiducia diventa pusillanimità. Il timore con la fiducia diventa umile e coraggioso e la fiducia col timore diventa forte e modesta.
Una nave a vela, per navigare, ha bisogno del vento e di un certo peso che la immerga nell’acqua affinché non si capovolga. Nello stesso modo anche noi abbiamo bisogno del vento della fiducia e del peso del timore. "Il Signore si compiace di chi lo teme, di chi spera nella sua grazia” (Sal 146,11).
La fiducia deve essere legata alla nostalgia, cioè al desiderio di contemplare le promesse Divine e di unirsi con il nostro Salvatore amato.
(...) La nostalgia di Dio dovrebbe essere conforme alla volontà di Dio, deve essere molto umile, non soltanto nel sentimento ma anche nella volontà, la quale deve incoraggiarci a lavorare incessantemente ed a offrirci totalmente a Dio. Tuttavia bisogna fondare la nostalgia fiduciosa sulla penitenza sincera per i nostri peccati, perché diversamente essa sarebbe un’illusione. “La grazia circonda chi confida nel Signore”.  (Sal 31,10).
Quando la tempesta infuria e la nave perde il suo albero, le funi ed il timone, mentre le onde la spingono contro le rocce dove c’è il pericolo di naufragare, i marinai spaventati ricorrono allora ad un mezzo estremo; gettano l’ancora affinché la nave  si arresti e preservi loro dallo schianto.  Per noi una tale ancora è confidare nell’aiuto Divino.
(...) "Benedetto l’uomo che confida nel Signore e il Signore è sua fiducia. Egli è come un albero piantato lungo l’acqua, verso la corrente stende le radici; non teme quando viene il caldo, le sue foglie rimangono verdi; nell’anno della siccità non intristisce, non smette di produrre i suoi frutti” (Ger 17,7-8).
Ecco i frutti della fiducia donati dallo Spirito Santo. Soprattutto la fiducia è un omaggio fatto alla misericordia Divina la quale, in cambio, dona a colui che confida forza e coraggio per vincere le difficoltà più grandi.
(...) La fiducia in Dio elimina ogni tristezza e abbattimento e colma l’anima di una gioia grandissima, anche nelle condizioni di vita più difficili.
(...) La fiducia fa miracoli perché essa ha a suo servizio l’onnipotenza di Dio.
(...) La fiducia dona la pace interiore che il mondo non può donare.
La fiducia apre la via a tutte le virtù.
Esiste una leggenda che racconta  che tutte le virtù avevano deciso di lasciare la terra, contaminata da numerosi misfatti, e di tornare nella dimora celeste. Quando si avvicinarono alla porta dei Cieli, il portiere le fece entrare tutte, tranne la fiducia, affinché i poveri uomini  sulla terra non cadessero nella disperazione in mezzo a tante tentazioni e sofferenze. Di conseguenza, la fiducia dovette tornare indietro e tutte le altre virtù la seguirono.
La fiducia consola particolarmente l’uomo morente che, all’ultimo momento della vita, ricorda tutti i peccati della sua vita e ciò lo porta alla disperazione. Proprio per questo motivo bisogna offrire ai morenti degli atti di fiducia adeguati, bisogna indicare loro la dimora ormai vicina, dove il Re di Misericordia attende con gioia coloro che confidano nella sua misericordia.
La fiducia assicura una ricompensa dopo la morte, come dimostrano numerosi esempi di Santi. Soprattutto Disma  il ladrone morente sulla croce accanto al Signore Gesù  che si rivolse a Lui con fiducia all’ultimo momento della sua vita e udì la dolce promessa: “Oggi sarai con me nel paradiso” (Lc 23,43).
(...) “Maledetto l’uomo che confida nell’uomo, che pone nella carne il suo sostegno e il cui cuore si allontana dal Signore. Egli sarà come un tamerisco nella steppa, quando viene il bene non lo vede; dimorerà in luoghi aridi nel deserto, in una terra di salsedine, dove nessuno può vivere” (Ger 17,5-6).
Ecco l’immagine del mondo di oggi che confida talmente in sé stesso, nella sua saggezza, nella sua forza e nelle sue invenzioni. Tutto questo, invece di renderlo felice, provoca in lui la paura di un’autodistruzione. Indubbiamente, le invenzioni sono una cosa buona e conforme alla volontà di Dio che aveva detto: “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra, soggiogatela e dominate” (Gen 1,28), ma non bisogna confidare unicamente nella propria ragione, dimenticando il Creatore e la lode e fiducia a Lui dovute.
 (...) La diffidenza degli uomini verso Dio è  un malinteso assurdo e privo di fondamento. Essa si crea a causa del fatto che trasferiamo su Dio i nostri difetti ed errori e Gli attribuiamo quello che scorgiamo in noi stessi. Ci immaginiamo un Dio incostante, capriccioso come noi, severo e  afflitto come noi: ecco, pensando così e comportandoci in questo modo noi offendiamo Dio e arrechiamo un grande danno a noi stessi. Dove saremmo adesso se Colui che dirige le nostre sorti fosse stato talmente vendicativo e talmente irascibile come noi spesso l’immaginiamo? La causa della nostra concezione erronea di Dio come anche il fatto di attribuire a Lui i nostri difetti è la conseguenza della nostra debolezza e tristezza, del nostro timore incessante e della nostra inquietudine interiore che regna d’altronde quasi in tutto il mondo.
Si può paragonare la fiducia ad una catena che pende dal cielo, alla quale attacchiamo le nostre anime. La mano di Dio solleva questa catena e rapisce coloro che la reggono forte.
(...) Stringiamo quindi questa catena durante la preghiera, come quel cieco di Gerico che sedeva lungo la strada e gridava con insistenza:“Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me!”. Confidiamo in Dio nei nostri bisogni temporali ed eterni, nelle nostre sofferenze, pericoli ed abbandoni. Confidiamo anche nei momenti in cui ci sembra che Dio ci abbia abbandonati, quando ci nega le Sue consolazioni, quando non ci esaudisce, quando ci dona una croce pesante. Proprio allora bisogna confidare di più in Dio, perché è tempo di esperienza, tempo di prova che ogni anima deve passare.
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Preghiera
Spirito Santo, donami la grazia di una fiducia inflessibile,
per i meriti del Signore Gesù e timorosa, a causa della mia debolezza.
Quando  la povertà busserà alla mia porta:
Gesù, confido in Te.
Quando una malattia mi affliggerà oppure quando l’infermità mi toccherà:
Gesù, confido in Te.
Quando il mondo mi respingerà e quando mi perseguiterà con il suo odio:
Gesù, confido in Te.
Quando la calunnia nera mi sporcherà e mi riempirà di amarezza:
Gesù, confido in Te.
Quando gli amici mi abbandoneranno e mi feriranno con le loro parole e le loro azioni:
Gesù, confido in Te.
Spirito di amore e di misericordia, sii per me un rifugio, una dolce consolazione e speranza affinché io non cessi mai di confidare in Te,
anche nelle circostanze più difficili della mia vita!
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MARIOCAPALBO
00martedì 7 aprile 2015 19:42

LE LETTERE DI DON MICHELE SOPOCKO


 


Lettera I LA VITA RELIGIOSA


Gesù, confido in Te! Care sorelle in Cristo,


è ormai la seconda settimana che, per volontà di Dio, sono in solitudine in seno alla natura, da cui, come da un libro vivo, leggo e glorifico l’infinita misericordia di Dio. Contemporaneamente percorro col pensiero il paese intero immerso nel lutto, mi unisco a tutti i compatrioti sofferenti, dispersi in tutto il mondo e vedo in spirito come la misericordia del Signore scolpisca nelle loro anime le virtù eroiche necessarie all’espiazione e alla propiziazione, per implorare e ringraziare di tutto l’inesprimibile bontà divina, per ottenere nuove grazie ed meriti futuri, per poter già “esaltare la misericordia di Dio in eterno”. Vedo in spirito come la bontà eterna scolpisca particolarmente queste virtù nelle anime elette, dilettissime, che vivono sotto una regola religiosa, le quali hanno rinnegato il mondo, i suoi beni illusori, la propria volontà, dedicandosi, senza nessuna riserva, a fortificare il regno di Dio in se stesse ed a diffonderlo tra gli altri nel mondo intero.


Il regno di Dio è il regno dello Spirito, che alza i suoi edifici meravigliosi su fondamenta poste dallo Spirito di Dio. Gli uomini che vivono esclusivamente secondo la carne non aiuteranno mai il Signore a costruire la Gerusalemme eterna. Bisogna vivere secondo lo Spirito, rinnegare se stessi, per capire cosa cosa esiga, dalla nostra miseria, il Re della misericordia. Bisogna sottomettere allo spirito tutte le potenze del corpo, armonizzare tutta la propria natura, sottomettere la propria volontà a quella di Dio e così preparare il terreno alla potenza che, dall’alto, farà sì che le nostre azioni diventino le azioni di Cristo, perché, come dice l’apostolo delle genti, ”non vivo più io, ma è Cristo che vive in me”.


Il regno visibile di Dio sulla terra è la chiesa cattolica governata, secondo la legge dello Spirito Santo. E’ un edificio stupendo, esteso tra il cielo e la terra, che unisce in sé due mondi, quello temporale e quello eterno. “Nella casa del Padre mio ci sono tanti posti” disse il Salvatore, intendendo la Sua sposa, la chiesa cattolica, che nei suoi vani lascia entrare tutte le genti, i vari stati, collocandoli  secondo i propri meriti ed accontentandoli  tutti. Ci sono coloro che, attraversata appena la soglia ed illuminati dal raggio e dalla bellezza del vestibolo non vogliono più andare avanti. A loro basta la grigia semioscurità per divampare della gioia del Signore, ancora invisibile però già pregustabile. Ci sono coloro che nutrono il desiderio di entrare negli appartamenti. Trovandosi nella luce più grande, di fronte agli ostacoli, li superano a fatica, quali formiche. Il Signore misericordiosissimo ne vede gli sforzi e volontariamente apre le porte delle sue grazie e viene verso loro, in aiuto. Ci sono alcuni infine tali che desiderano entrare in una stanza decorosa, dove, seduto sul trono, è  il sovrano. Essi corrono, come le spose, allo sposo. Questi sono dilettisimi, basta che abbiano una veste sposale adeguata.


Quando, durante la preghiera,  ci si tuffa con un pensiero in tale magnifico sistema delle opere del Signore, facilmente si capisce che la vita religiosa è una delle forme necessarie tra i vari modi di dare onore al Re della Misericordia, che è una delle stanze più vicine alla stupenda camera regale, che qui sono chiamati sono coloro in cui il Figlio di Dio si è compiaciuto particolarmente, le spose del Re della Misericordia, verso cui corrono, con grande gioia, indossata la pura veste angelica dell’ umiltà, obbedienza e rinnegamento, cioè della povertà. E’ vero che in ogni anima, anche in quella che vive nel turbine del mondo, può essere stabilito il Regno di Dio, perché tutti i cristiani cattolici sono chiamati, però, tra tutti i chiamati, non tutti sono scelti e ad ognuno tra questi scelti personalmente sono indicati il posto ed il lavoro. Cristo affidò agli Apostoli i vari compiti e li mise nei vari appartamenti della sua fortezza. Pietro, lo stabilì quale Pietra. Giovanni, lasciò che si addormentasse amorosamente sul suo cuore.  A Filippo chiese, con una sola parola, di lasciare tutto per seguirLo. Nella predica sulla montagna, il re della misericordia pose i vari gradi di desiderio della perfezione ed adorazione del Padre Eterno, di cui indicò uno degli attributi in modo particolare, con la raccomandazione di imitarLo proprio in questo: “Siate misericordiosi, come il Padre vostro celeste è misericordioso”.


Questo non è più un consiglio evangelico, ma una richiesta da cui nessuno può essere svincolato. Questo è un comandamento ed allo stesso modo la condizione indispensabile per la perfezione. E’un commento alle altre parole del Maestro: “Siate perfetti, come il Padre vostro è perfetto”. In che cosa può meglio manifestarsi tale perfezione, se non nel meditare la misericordia di Dio e invocare, tramite l’amore di Dio, il debito di gratitudine, se non nell’imitare tale misericordia con opere di misericordia nei confronti dell’anima e del corpo del prossimo. E’comprensibile allora il motivo per cui le anime che desiderano stare il più vicino al Signore misericordiosissimo, per entrare nella camera più luminosa, più vicina alla stanza regale, siano obbligate, con il quarto voto della misericordia, ad indossare una nuova veste sposale per attingere continuamente la misericordia direttamente dal cuore aperto dello sposo e distribuirla agli altri.


Per quanto riguarda l’oggetto di tale voto, esso è molto chiaro, perché lo stesso Salvatore lo ha precisato: “Avevo fame e mi avete dato da mangiare…”. L’oggetto di tale voto saranno le opere di misericordia corporale (dar da mangiare agli affamati, dar da bere agli assetati, vestire gli ignudi, alloggiare i pellegrini, visitare gli infermi, visitare i carcerati, seppellire i morti) e spirituale (consigliare i dubbiosi, insegnare a chi non sa, ammonire i peccatori, consolare gli afflitti, perdonare le offese, sopportare pazientemente le persone moleste, pregare Dio per i vivi e per i morti). E’ di ampia portata e di profondo contenuto e basterà sia per l’ordine contemplativo, sia per i vari rami degli ordini attivi, perché abbraccia l’intera vita cristiana, forma l’essenza di ogni ordine, tanto più, perciò, può diventare l’oggetto del voto di coloro che lodano e diffondono il culto della Misericordia Divina.            


Carissime sorelle in Cristo, gioisco delle grazie particolari della misericordia di Dio che si sono manifestate nella vostra vocazione. Elette del cuore di Gesù, filari dell’ordine futuro, mediatrici dei segreti di Dio, per cui pregavo da cinque anni, durante ogni santa messa, a voi soprattutto sono  indirizzate le parole del Maestro: “Voi siete la luce del mondo e il sale della terra, ma se il sale perdesse sapore, con che cosa glielo si renderà?”. Confido che non lo perdiate, che, con l’aiuto della misericordia di Dio cresciate in virtù, approfondiate la teologia, rafforziate gli atti di misericordia, ma anzitutto vi esercitiate nella contrizione abituale, riconoscendo la propria personale indegnità e l’incapacità di realizzare questo compito, mettendo tutta la fiducia nella misericordia di Dio. 


Acciocché il tralcio, innestato nella vite, porti il frutto, deve maturare solo in spirito di penitenza e d’amore. Lo spirito di penitenza dovrebbe essere il principio di tutto l’anno di noviziato: “Se non vi pentirete, morirete”, disse il Salvatore. Egli stesso fece penitenza per noi e la esige dai suoi servi: “Se uno vuole seguirmi, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno”. Non si tratta di ricercare una penitenza straordinaria, che si potrebbe fare soltanto con il permesso del padre spirituale o della maestra e sotto condizione che essa non procuri un danno alla salute, ma si tratta di accettare con pazienza le diverse croci quotidiane, abbandonandosi alla volontà di Dio. “Lo spirito contrito ed il cuore afflitto è il sacrificio a Dio” esclama il salmista ispirato.


Questo spirito di penitenza può essere realizzato durante l’anno in diverse forme. Per esempio, durante il primo mese del noviziato, si può cercare di accettare in silenzio le osservazioni giuste ed ingiuste degli altri; durante il secondo mese, evitare i più piccoli sospetti e giudizi del prossimo, considerando se stessi come peggiori; il terzo mese, evitare le consolazioni degli altri nei momenti di fallimento; il quarto mese, evitare le consolazioni spirituali durante la riflessione e la preghiera; il quinto mese, non spazientirsi delle proprie cadute ed imperfezioni; il sesto mese, sopportare con pazienza i cambiamenti del tempo (freddo o caldo), oppure i dispiaceri nelle relazioni con il prossimo dal carattere difficile, ecc.    


Oltre che nello spirito di penitenza, bisogna  esercitarsi nel vero amore del prossimo, perché soltanto l‘amore può essere la sorgente degli atti di misericordia verso l’anima ed il corpo. Inoltre dovrete essere sincere con i padri spirituali e le maestre, con loro bisogna cercare di parlare riguardo le cose spirituali il più spesso possibile. Bisogna abituarsi a far tutto non solo bene, ma con zelo, scegliere le cose migliori fra due che sono buone, ma soprattutto curare la purezza della coscienza per poter trovare, durante l’esame di coscienza quotidiano, sempre meno peccati veniali che non possiamo evitare da soli, ma soltanto con l’aiuto della Grazia particolare di Dio. Per questo motivo, bisogna sviluppare in sé lo spirito di preghiera.


Nelle condizioni in cui mi trovo adesso, non mi è possibile scrivervi tutto ciò che vorrei. Durante la preghiera ed in ogni Santa Messa, continuerò ad implorare il Signore Misericordiosissimo che dia la luce a voi ed ai vostri direttori e superiori. Confido che Gesù abbia cura di quest’opera perché ella è uscita dal Suo Cuore Misericordiosissimo. Confido che fra poco si creino condizioni migliori per lavorare, ma per adesso ringraziamo Dio per tutto ciò che abbiamo e confidiamo nella Sua Misericordia.


Don Michal, 13. 03. 1942


 


Lettera II TUTTO È COMPIUTO

Gesù, confido in Te! Care Sorelle in Cristo,


Una delle ultime frasi di Gesù sulla croce fu: “Tutto è compiuto”. Con queste parole il Salvatore espresse il compimento di tutte le profezie, le prefigurazioni e le tipologie veterotestamentarie riguardanti la persona del Messia, in altri termini, il compimento della propria missione, cioè il compimento della Volontà del Padre nei minimi particolari. Cristo Signore è il modello di tutti i cristiani, perchè anche loro devono con insistenza cercar di conoscere la volontà di Dio riguardo alla propria persona e realizzarla quanto meglio possibile, per poter ripetere alla fine della vita le parole del Salvatore: “Tutto è compiuto”.


Carissime sorelle in Cristo, è giunto il momento decisivo e cruciale nella vostra vita, cioè il momento in cui avete deciso di dedicare il resto del pellegrinaggio terreno al servizio di Dio, ovviamente avendo prima percepito che questa è la volontà di Dio. E’ questa una delle più importanti tappe di tale pellegrinaggio, alla fine del quale bisogna, con la coscienza pura, dire come Cristo Signore: “Tutto è compiuto”, mi sono presentato all’appello di Dio, chi d’ ora in poi desidero unicamente servire. Sottometterò la mia alla Sua santa volontà in ogni minimo particolare, piegherò  i miei pensieri, parole e azioni ai Suoi pensieri e alle parole contenute nei santi vangeli, nelle scienze teologiche e nel diritto canonico, ma anche nella regola riconosciuta dalla chiesa, per potere, al tramonto della vita, in piena consapevolezza e la serenità, ancora una volta ripetere più profondamente: “Tutto  è compiuto”, cioè ho compiuto la volontà di Dio.


Questa è stata l’eterna volontà divina: che voi viveste nel ventesimo secolo con tali persone, in un preciso ambiente, vi trovaste esposte a certe tentazioni,  poteste ricevere le grazie necessarie per combatterle e poi, in seguito ad un loro eventuale uso sconveniente e contrario alla volontà di Dio, risollevarvi e tuffarvi con fiducia nell’abisso della misericordia di Dio, per poter d’ ora in poi servirla, conoscerla sempre di più, divulgarne il culto e indurre gli altri. Questa indubbiamente è stata la volontà divina. Gioisco perchè avete riconosciuto questa volontà e accettata, perchè non avete sommerso, sotto gli interessi personali, la voce dello sposo, perchè, alle chiamate interiori ed esteriori, avete risposto con le parole del Maestro: “Ecco io vengo”, per poter alla fine ripetere “Tutto è compiuto”!            


Si è compiuta la salvezza: dal costato del Salvatore nasce la Sua sposa, la madre dei bambini rinati nel santo battesimo, la chiesa cattolica. Questa d’ora in poi attingerà da quel costato la sorgente di grazie per tutta l’umanità, e vi vuole, Care sorelle,  porre il più vicino possibile a quella sorgente e farvi mediatrici per i peccatori, gli indifferenti, gli abbandonati e trascurati, gli inetti, gli ammalati, i prigionieri, i senzatetto, soprattutto, però, i disperati, per soffiare nelle loro anime la fiducia e ancora, una volta, la fiducia nella smisurata, illimitata, incomprensibile, inesprimibile misericordia  di Dio: “Gesù, confido in Te”.


Trema l’inferno nelle sue fondamenta, di fronte alla nuova, e allo stesso tempo alla vecchia parola d’ordine, la quale fra poco risuonerà nel mondo intero. Ecco stanno nascendo i nuovi apostoli di Cristo, che volevate uccidere. Creeranno la nuova famiglia umana, che arerà tutta la terra con l’aratro forte della fiducia nella misericordia di Dio, la parola d’ordine che riscalderà tutto ciò che è freddo, renderà tenero tutto ciò che è duro, ravviverà tutto ciò che è secco, accenderà tutto ciò che è sta per spegnersi, darà il colore della vita a tutto ciò che è arido, unirà individui, famiglie, società, nazioni e stati nell’ abbraccio del vero amore fraterno, l’amore di Dio e del prossimo!            


Ecco lo stupendo compito, che vi ricorda oggi, nel giorno solenne, il Salvatore divino. Ecco il nobile fine, che propone di scegliere, secondo le proprie capacità ed inclinazioni a voi tutte e ad ognuna personalmente. Ecco il riassunto del programma del lavoro preparatorio da realizzare nel corso del noviziato, nel lavoro educativo e autoeducativo, perché dopo si proceda arando, volontariamente, consapevolmente e con zelo, la terra indicata ad ogni anima, senza guardare indietro, senza cercare olio per le lampade, aspettando la ricompensa soltanto dal misericordiosissimo sposo celeste. I suddetti fini e compiti siano pur elevati e sproporzionati tanto rispetto alle nostre forze, capacità, disposizioni, quanto rispetto ai nostri limiti ed imperfezioni, ma, ancorchè involontariamente ci assalgano la paura ed il dubbio, dobbiamo sperimentare prima su noi stessi l’azione dell’illimitabile, incomprensibile ed infinita misericordia di Dio – come Saulo sulla via di Damasco oppure come Pietro nel cortile di Caifa – per poter dopo rinfrancare gli altri nella fiducia, sostenere chi vacilla e dubita, facendogli ripetere la giaculatoria animante 
e vificante: ”Gesù, confido in Te”.


Anche se, immersi tante volte nell’incommensurabile misericordia, cioè nel sacramento della penitenza, abbiamo purificato le nostre anime dalle ferite di peccato nel preziosissimo sangue del nostro Salvatore, che continua a sgorgare dal Suo costato aperto, può in noi causare ansia e scoraggiamento il nostro passato, forse non sempre raggiante e puro, anzi, oscuro e storto almeno in alcuni periodi della vita. Può darsi che la contrizione non sia stata sufficiente oppure sia mancato il proponimento forte di non commettere più peccati o che non si sia compiuta la penitenza data o che non si sia confessato tutto; ma anche se Dio ci ha già perdonato, veramente vorrà darci adesso più grazie e, anche se ce le volesse concedere, per quali motivi lo farebbe? Questi e altri dubbi ci possono turbare fino a minare la speranza.            


Si deve tuttavia necessariamente eliminare ogni dubbio fin dall’inizio, combattere in se stessi la paura e le ansie, considerandole tentazioni molto pericolose e combatterle con la giaculatoria “Gesù, confido in Te!”. Tu mi assicurasti il perdono, quando rimettesti alla Maddalena le colpe di cui si rammaricava, quando perdonasti Pietro una volta pentito, quando promettesti il paradiso al malfattore sulla croce. Tu assicurasti che ci sarebbe stata più gioia per un peccatore pentito che per novantanove giusti. Tu sei il buon pastore, che lascia il gregge delle pecore buone sul pascolo e va a cercarne una smarrita, tu mi cercavi, quando mi ero impegolato nelle spine del peccato e mi ero ferito dolorosamente e,  trovatomi, mi hai preso tra le braccia ed adesso mi stai guarendo con cura le ferite del peccato nella mia anima. Gesù, confido in Te. In Te, non nelle promesse illusorie del mondo bugiardo… In Te, non nelle tentazioni astute e scaltre di Satana…In Te, non nelle passioni sfrenate ed esuberanti… Confido instancabilmente che tutte le azioni della mia vita si trovino nell’eternità, fuorché i peccati, che Gesù ha annientato nel sacramento della penitenza e che li dimentichi così come dimenticò la vita di peccato della Maddalena, il rinnegamento di Pietro, la persecuzione di Saulo, come anche dimenticò le colpe di Agostino; basta che io mi penta ancora. L’ultima pietra del male, che comunque appartiene al passato, dovrebbe diventare la pietra angolare al nuovo edificio della santità. Gesù, confido in Te.


L’ansia e lo scoraggiamento possono essere dovute al nostro stato attuale, al nostro carattere pieno dei vizi, magari, alle nostre cadute, le quali, nonostante il proposito di migliorare, continuano a ripetersi frequentemente nostro malgrado. Si deve, perciò, ricordare la sentenza ascetica memorabile che sulla terra non esiste nessuno stato di perfezione ma soltanto l’aspirazione. La santità sulla terra non è niente di stabile, è uno stato dinamico come disse 
il Salvatore. “Da allora in poi viene annunziato il Regno di Dio e ognuno si sforza per entrarvi” (Lc 16,16). Ciò si nota nelle numerose parabole del Signore Gesù; nella parabola di dracma perduta…, del grano di senape crescente, particolarmente nella parabola dei servi e dei talenti. Solo coloro che lavorano, riceveranno il guadagno. Soltanto a coloro che, dopo avere ricevuto i talenti, sono andati ad impiegarli e ne hanno guadagnati il doppio, il salvatore celeste promette il regno dei cieli. Siate perfetti come il Padre Celeste ”. Quanto di più ci avviciniamo al fine irraggiungibile, tanto più numerose troviamo in noi le mancanze. Per questo non dobbiamo scoraggiarci, ma senterci stimolati ad appoggiarsi nel nostro maestro, nel tentativo di uscirne. E’ dogma della fede che la grazia divina è necessaria per la salvezza; con le nostre proprie forze non siamo in grado di evitare i peccati veniali quotidiani. Perciò la fiducia nell’aiuto promesso dal salvatore nostro è il migliore rimedio a tutti i dubbi dovuti dallo stato di imperfezione attuale delle nostre anime.            


L’ansia e lo scoraggiamento possono essere dovuti anche di più all’incertezza del futuro: persevererò, ce la farò oppure crollerò, come potrò andare avanti, se fino adesso non ho fatto i grandi progressi? Il Signore Cristo disapprova tali previsioni e dice: “Non affannatevi dunque per domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascuno giorno basta la sua pena.” (Mt 6, 34) L’autore ben conosciuto di “Sì, Padre” afferma che “essere santo significa vivere completamente il presente”. E’proprio così, perché siamo responsabili solo dei momenti presenti, non di quelli futuri. Perciò fantasticare è pericoloso quanto riflettere ed considerare male il passato. Se a qualcuno risulta difficile resistere alla riflessione sul futuro, che si presenta nero, risvegliando ansia e dubbi per quanto potrebbe capitare, egli si aiuti con la giaculatoria“Gesù, confido in Te” La fiducia nella misericordia di Dio ristabilirà la pace interiore, turbata dalla paura del futuro, perché Dio è il nostro scudo e la nostra corazza come lo dice il salmista.


Ciò comporta che la fiducia nella misericordia di Dio ha un ruolo privilegiato nella vita spirituale come nessun’altra virtù, perciò il Salvatore la raccomanda più vivamente, dicendo per un verso: Senza di me non potete far nulla e per altro verso: Abbiate fiducia, io ho vinto il mondo!”, “Abbi fiducia, figlia, i tuoi peccati sono perdonati”, “Abbi fiducia e vedrai la gloria di Dio”, “Perché hai dubitato, uomo di poca fede”, “Non abbiate paura, io sono con voi” ecc. Perciò prima di tutto dobbiamo consolidare la nostra fiducia riguardo al passato, al presente ed al futuro, perché solo così avremo il perno della nostra vita interiore, solo così ci troveremo su un terreno solido nel nostro lavoro educativo con noi stessi e in futuro con le altre anime, solo così potremo fare olocausto di noi stessi con i voti, offrendoci senza nessuna riserva al Signore Dio, al Suo servizio esclusivo.            


Oggi si parla tanto di servire il Signore con gioia, perché essa è veramente indispensabile. “Servite il Signore con gioia” esclamava il salmista. Però non la si può estorcere contro la propria volontà. Essa arriva e sparisce di frequente impercettibilmente, giacché la gioia è un sentimento piacevole che nasce in chi è in possesso di un certo bene. La durata della gioia dipende dalla durata del bene; con esso appare e con esso sparisce, se lo perdiamo oppure ci rendiamo conto della sua vanità od almeno della sua imperfezione. La sofferenza, quando viene vissuta senza scopo, di solito bandisce e divora la gioia. Invece la sofferenza, accolta e vissuta con un’intenzione buona genera una gioia bellissima, purissima e permanente, come la ebbero i martiri. Tale sofferenza ci avvicina a Dio, al sommo bene, che è il solo a concederci la gioia perenne. Perciò è la fiducia nella misericordia di Dio che trasforma la sofferenza nella gioia permanente. E, mediante la giaculatoria “Gesù, confido in Te”, l’anima sofferente viene inondata nel suo profondo da la pace infinita, capace di irradiare esternamente la gioia. Nella tristezza bisogna cercare la consolazione affidandoci con fiducia alla misericordia di Dio, come la trovavano i santi; in tale fiducia si trova il segreto della gioia soprannaturale, nonostante le lacrime amare che continuano a fluire dagli occhi sgomenti. Soltanto Maria Immacolata che ebbe fiducia illimitata, poté inneggiare l’inno di gioia: “il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore”, come cantò non solo quando incontrò la cugina Elisabetta, ma probabilmente anche sotto la croce quando la spada del dolore ne trafisse  il cuore, perché ella sempre lodava  la misericordia di Dio in cui confidava.


“Di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temonoHa soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della Sua Misericordia” (Lc 1, 50.54)


Sulla terra tutto passa: passano irreparabilmente i giorni della vita avvicinandoci a quello della morte, con la quale passeremo all’eternità; con la vita passa la gioia terrena che assomiglia vagamente a quella che ci aspetta nell’eternità, ove prenderemo parte della pace eterna senza nessun turbamento e smarrimento. Colui che spesso ripeteva durante la vita “Gesù, confido in Te” non verrà sorpreso dalla morte addormentato, ma vigilante coi fianchi cinti, fiducioso, quasi come con la fiaccola accesa. Con l’ultimo respiro dirà “Gesù, confido in Te” e subito dopo sentirà il richiamo delizioso: “Vieni, benedetto, alla gioia eterna”. Ovviamente la fiducia non può diventare il quietismo oppure la fiducia esagerata. Soltanto se unita con la penitenza vera e sincera, essa diventa una capacità morale giusta.


Senza tale unione può trasformarsi nel peccato contro lo Spirito Santo, isolenza che inibisce l’azione della grazia divina nell’anima. Peccare contro la fiducia nella misericordia di Dio è la più gran disgrazia, perché, come afferma l’autore di “Sì, Padre”, non tanto il peccato, quanto la persistenza in esso è il male peggiore. Il quietismo inclina a tale persistenza. Perciò, care sorelle in Cristo, pronunciando le parole “Gesù, confido in Te” dovremo fare tutto ciò che ci è possibile al fine di corrispondere alla grazia di Dio e collaborare debitamente con essa. Innanzitutto, in conformità con la regola, senza una ragione importante, non possiamo omettere la riflessione giornaliera, che è indispensabile. 
Mediante essa si allarga e consolida la nostra conoscenza di Dio e della Sua misericordia, manifesta a noi soprattutto attraverso la vita, passione e morte del Signore Gesù, attraverso la vita eucaristica del nostro salvatore, nel sua dolcissimo cuore e in quello della Sua dilettissima madre, che è la nostra madre di Misericordia. Bisogna, comunque, sapere che è meglio rimanere nella riflessione una mezz’ora intera senza sosta invece di pregare due volte al giorno quindici minuti. Nel primo caso si approfondisce di più, nel secondo si perde tanto tempo per la preparazione e il raccoglimento, senza i quali la riflessione solitamente è poco fruttuosa. E’ bene conoscere, particolarmente all’inizio, il metodo di San Ignazio ed esercitarsene. Dopo ogni anima può fare la riflessione secondo il proprio metodo. La preghiera non è l’unico segno della nostra vita pia, però rimane il segno sostanziale della nostra vera religiosità, vera. Oltre a ciò bisogna ogni giorno fare l’esame di coscienza, sia generale sia particolare, la lettura spirituale della Sacra Scrittura e dei libri ascetici, lo studio della teologia e del diritto  canonico, conoscere meglio la storia della nostra Madre Chiesa, conversare su temi spirituali con le consorelle e su quelli riguardanti la vita interiore con la maestra, rimanendo fedeli allo stesso tempo al compimento dei propri compiti familiari, affinché la pace della casa non sia turbata. Ciò non è facile, però, con l’aiuto di Dio e la buona volontà, tutto si può migliorare, lasciandoci guidare dalla prudenza, che è la guida di tutte le virtù, auriga virtutum. Soprattutto bisogna preoccuparci di realizzare debitamente tutto ciò che ci obblighiamo o ci obbligheremo a compiere attraverso i voti.


Questa è l’aspetto più importante che dovrebbe diventare il principale oggetto dei nostri sforzi Il Signore Dio smarrirà colui che violenta la Chiesa di Dio”, grida il profeta; mediante il voto la nostra anima e il nostro corpo diventano la chiesa di Dio, la dimora dello Spirito Santo. Mediante il voto di castità, che pronuncerete, diventerete il tempio del Signore. Poichè a Maria, tempio vivo, Dio diede il privilegio di essere l’Immacolata Concezione, pensate quanto voi, quali spose del Salvatore, dovete cercare di rimanere intatte nei pensieri, nelle parole e nelle azioni. Bisogna rigorosamente evitare le occasioni e le tentazioni e combatterle con  tranquillità, però con decisione, fin dall’inizio, dicendo subito: “Gesù, confido in Te”, nella condizione in cui vi trovate al momento. È difficile precisare l’oggetto dei voti di povertà, obbedienza e pratica della misericordia, perciò vi basti effondere una promessa. Anch’essa tuttavia deve essere praticata seriamente, perché riguarda Dio. Cercherò di delineare il mio parere in proposito.


L’oggetto del voto di povertà comporta, rispetto ai beni temporali, l’atteggiamento di distacco di chi sa di non poter disporre liberamente della proprietà legalmente ottenuta, ma sempre in tutto parla con la maestra e chiede l’autorizzazione  per attuare i propri progetti.


L’oggetto del voto di obbedienza comporta la sottomissione della propria volontà, se non in tutte le azioni, il che attualmente è impossibile, almeno in un ambito preciso scelto in accordo con la maestra. Si può per esempio limitare l’ambito dell’atteggiamento da tenere  verso le persone con cui si vive quotidianamente,  genitori, sorelle o fratelli, e decidere di non far niente senza averle prima consultate, oppure almeno di non fare quello chi a loro dispiace. Ovviamente solo se una tale decisione non coincide con un’altra  già precedentemente convenuta.            


Adesso bisogna soprattutto lottare contro almeno uno dei vizi, per esempio contro quello che è più diffuso, cioè l’ egoismo oppure l’ esagerato amor proprio, che è la malattia dei nostri tempi, malattia individuale, nazionale e sociale, che è la morte di Dio e del prossimo, tomba della pace interiore ed esteriore, sorgente di confusione, di ogni contesa e guerra, seme di peccato e di oltraggio. Questo vizio limita la nostra prospettiva sul mondo, diminuendola sempre di più. Rende impossibile la vita comunitaria, trasformando a volte il luogo di preghiere e di raccoglimento in una caverna delle iene che si mordono e si odiano reciprocamente. Perciò si deve subito e con forza sradicare quel vizio, prendendo come modello il Maestro Divino, il quale disse: “Imparate da me che sono mite ed umile di cuore”. Solo uno che si sia liberato di se stesso, del suo esagerato amor proprio, può diventare grande ed aperto, ricettivo nei confronti dell’azione della grazia di Dio, può dire onestamente e senza ipocrisia: “Gesù, confido  in Te”.


Mi è impossibile scrivervi tutto ciò che vorrei, mi manca sia il tempo sia lo spazio. Spero che voi stesse, con una guida illuminata conosciate, capiate e mettiate in pratica tutte le indicazioni di Cristo e della sua sposa, la chiesa, inerenti ad un fine così nobile quale è la vita religiosa. Spero che la misericordia di Dio non  limiti le grazie alle Sue combattive serve. Esse si sono proposte uno solo obiettivo davanti ai loro occhi. Spero che la Madre della misericordia vi prenda sotto il suo mantello in modo particolare e che guidi i vostri passi. Spero che l’angelo custode di ognuna di voi, sotto la comando del principe degli spiriti celesti, san Michele Arcangelo, vi guidi sulla via diritta, vi ammonisca con la voce interiore e vi parli mediante la bocca dei confessori e dei padri spirituali, vi sostenga con ispirazioni e preghiere al cospetto del trono dell’Altissimo. Auguro a tutte voi ed ad ognuna personalmente che il giorno 11 di questo mese sia il giorno del vostro fidanzamento con Gesù e che, nell’anno prossimo, esso diventi il giorno delle nozze delle vergini sagge, con le lampade accese di amore e di fiducia, per far luce agli altri uomini. Prego con fervore ogni giorno con queste intenzioni e, specialmente in quel giorno, ripeterò le parole del salmista “Mostrami, Signore, la tua misericordia e donami la tua salvezza!”.


In Dio, don Michele, 9.04.1942


 


Lettera III “Misericordia Dei confidentibus  in Eum, 


Misericordia di Dio per coloro che confidano in Lui!”


Care Sorelle in Cristo,


Ogni grande idea si esprime solitamente con parole brevi, che diventano la parola d’ordine dei loro propugnatori. Anche l’idea della misericordia di Dio dovrebbe averne una, con la quale si possano riconoscere i suoi adoratori, un motto per i suoi apostoli, con quale salutarsi ogni volta si incontrano  e nella quale si compendiano la profondità ed il programma dell’apostolato. Alla ricerca di tale parola d’ordine sono ricorso alla Sacra Scrittura, alla lettera di Dio per gli uomini – e vi ho trovato due espressioni molto adeguate e una di esse può essere da noi assunta come la parola d’ordine: “La Misericordia di Dio per coloro che operano misericordia” e “La Misericordia di Dio per coloro che confidano in Lui”. Tutte e due s’incontrano diverse volte nella Sacra Scrittura, letteralmente oppure come un pensiero fondamentale delle pericopi più lunghe o più brevi. Mi sembra, perciò, che tutte e due siano adeguate, ma io propendo per la prima. Questa parola d’ordine è presente in tutti i libri dell’Antico Testamento, però più spesso la si può incontrare nei Salmi, di cui addurrò alcuni brani. Nel Salmo 13, Davide si sente del tutto abbandonato ed esprime grande fiducia solo nella misericordia di Dio: “Nella tua misericordia ho confidato/ Gioisca il mo cuore nella tua salvezza” (Sal.13, 6). Nel Salmo 17, il re ispirato supplica il soccorso di Dio contro la crudeltà dei nemici, esprimendo fiducia in Dio misericordioso Mostrami i prodigi del tuo amore / tu che salvi dai nemici / chi si affida alla tua destra (Sal 17, 7). Nel Salmo 21, Davide ringrazia della vittoria attribuendola alla fiducia riposta nella misericordia di Dio Perché il re confida nel Signore / per la fedeltà dell’Altissimo non sarà mai scosso (Sal 21,8). Nel Salmo 31, lo stesso autore davanti ai grandi pericoli che lo minacciano prega al Signore e fa riferimento anche alla fiducia ma io ho fede nel Signore / Esulterò di gioia per la tua grazia” (Sal31,7b-8a).


Nel Salmo 32, esprime la propria gioia perchè il Signore ha perdonato a colui che ha confidato in Lui Molti saranno i dolori dell’empio / ma la grazia circonda chi confida nel Signore (Sal32,10). In quasi tutto il Salmo 33 risuona il messaggio che tutto avviene, non come la gente desidera, ma come Dio misericordioso guiderà gli eventi Ecco, l’occhio del Signore veglia su chi lo teme, / su chi spera nella sua grazia(Sal33,22). Lo stesso nel Salmo 52 Io invece come olivo verdeggiante / nella casa di Dio. / Mi abbandono alla fedeltà di Dio / ora e per sempre (Sal52,10) e nel salmo 86 Tu sei buono, Signore, e perdoni, / sei pieno di misericordia con chi ti invoca (Sal86,5). Nel Salmo 103, Davide identifica la fiducia con il timore figliale Come il cielo è alto sulla terra, / così è grande la sua misericordia su quanti lo temono” (Sal103,11).


Nel salmo 143, lo stesso autore ispirato, di fronte alla ribellione del figlio Absalom chiede aiuto il più presto possibile ed è sicuro di ottenerlo di ottenerlo “Al mattino fammi sentire la tua grazia, / poiché in te confido (Sal143,8). Nel Salmo 147, l’autore ispirato chiede al creato di lodare Dio, perché il Signore si compiace di chi lo teme, / di chi spera nella sua grazia (Sal147,11). Infine il Salmo 136 può essere considerato quasi una litania della misericordia di Dio nell’Antico Testamento, perché il salmista, enumerando ogni beneficio ottenuto da chi confida in Dio, aggiunge in ogni strofa il ritornello: “Perché eterna è la Sua misericordia”.


Non riporto ulteriori citazioni della Sacra Scrittura, limitandomi ad un brano solo del Nuovo Testamento, il più peculiare: “Andiamo con fiducia alla capitale di grazie, perché possiamo sperimentare la misericordia e trovare grazia”. Qui l’Apostolo delle Genti richiede la fiducia e garantisce la misericordia di Dio a tutti coloro che in essa confidano. Presuppongo, perciò, che il primo testo sia più appropriato, perché corrisponde di più alla giaculatoria messa sotto l’immagine, con la differenza che la prima forma è più esclamativa, la seconda, invece, più indicativa.


“Con le parole si manifesta la volontà, con le azioni la potenza”, disse Mickiewicz, esprimendo così una ben conosciuta verità di vita, più volte confermata nella Sacra Scrittura, ma in modo particolare sottolineata dal Salvatore nella parabola sugli operai e sui talenti. Nell’azione si manifesta il nostro valore presso Dio e gli uomini. Perciò ci dovremmo preparare debitamente ed  esercitarci ora, in conformità con il tipo di azione prescelto (interiore, contemplativa o esteriore). Nel nostro modo di agire, sia quello esteriore sia quello interiore, lo scopo principale dovrebbe essere duplice: la gloria di Dio e il profitto per il prossimo. La gloria consiste nel conoscerLo ed amarLo sempre di più, meditando la misericordia di Dio; il profitto invece comporta il compito di compiere atti di misericordia verso l’ anima ed il corpo del prossimo. Quest’ultimo ha un’importanza  pregnante ai nostri giorni, perché tra la gente si riscontrano tante sperequazioni e divergenze di idee. Che cosa ha causato tale divisione tra la gente? Soprattutto la deviazione da Dio. Chi non sa oppure si dimentica che Dio è il Padre di tutti gli uomini, non riconosce la fraternità esistente tra le genti delle diverse nazioni. Un ruolo non secondario va riconnesso anche alla questione sociale. Questa si chiede se prevalga lo spirito di egoismo oppure di sacrificio, se la base della società sia lo sfruttamento dei deboli a vantaggio dei potenti oppure se l’organizzazione stessa imponga sacrifici a tutti, nell’interesse del bene comune, innanzitutto però prendendosi cura dei più deboli. Ci sono tanti uomini che hanno troppo e pretendono ancora di più, non di meno ci sono coloro che hanno molto poco, anzi, che non hanno quasi niente e che vorrebbero ricevere viene loro rifiutato. Tra questi due estremi contrapposti potrebbe scoppiare una lotta – una lotta tanto più terribile in quanto, da una parte, contende la potenza d’oro e dall’altra la potenza del desiderio di possederlo, che rasenta la disperazione. Guardando quello che accade si può profetizzare che tale lotta non cesserà fin quando la gente non si volgerà alla misericordia di Dio e non incomincerà ad imitare Dio in quell’ attributo, con atti di misericordia verso il prossimo.


Il cristianesimo garantisce il diritto di proprietà, conforme al comandamento “non rubare”, il quale d’altronde sgorga dalla legge naturale, dall’imperfezione della natura umana dopo la caduta, lo garantisce, però, come utile a rendere il sacrificio, come condizione per poi liberarsene , come una particella di libertà, senza la quale uomo non avrebbe avuto il merito. La Chiesa solo approssimativamente chiede una decima del guadagno per le opere della misericordia, però non lascia senza vincoli le altre novanta per cento parti del reddito, richiedendo che in ogni istante siano disponibili per il bene comune, nella misura nota solo a Dio. Oltre all’ elemosina materiale, bisogna anche portare l’elemosina in spirito ai poveri, cioè  trattenere rapporti d’amicizia con loro, sostenerli con un consiglio, intruirli, pregare per loro. Sedendo accanto al lettuccio di ammalati e sofferenti, entrando nei segreti di cuori amareggiati, di coscienze svuotate, nelle case private, negli ospedali, nelle botteghe, nelle scuole, nelle città e nelle campagne, in varie condizioni, pienamente conosceremo tutti gli aspetti di questo programma, inizieremo a realizzarlo, contribuiremo a rasserenare le menti inquiete.


L’elemento individuale insito in atti di misericordia consiste nella santificazione personale di quanti compiono tali atti. Niente nobilita l’uomo quanto vedere nei poveri materialmente e spiritualmente presente lo stesso Cristo Signore; mettendo le mani nelle loro piaghe, materiali oppure spirituali, immaginare che si tocchino le piaghe sulle mani, sulle gambe, sulla testa e sul costato dello stesso Salvatore. Riconoscere in loro i nostri padroni e in noi stessi i servi. Chiamarli  messaggeri di Dio, chiamati ad esistere per provare fino a che punto imitiamo Dio nel suo specifico attributo. Ciò significa che i poveri non sono superflui. Il Salvatore disse: I poveri li avrete sempre con voi. Un povero che soffre serve Dio e la società, così come colui che prega. 
Egli compie l’ufficio espiatorio, l’olocausto di cui i meriti scendono su di noi, perché egli porta un peso più grande di quello che possono portare gli altri e nella sua preghiera risuona una potenza che dalla natura apre alla sopra-natura e, tirandone la tenda, rende l’implorazione ed l‘invocazione di milioni di persone.


Noi invece abbiamo la passibilità, con l’aiuto di Gesù Cristo, re della misericordia, fondandoci sulla Sua misericordia, di rendere misericordia alla gente e  contribuire al cammino di  santificazione, aiutandola a crescere nella santità e svolgere così un’influenza positiva sulla società. Colui che confida in Dio misericordiosissimo, non sarà soltanto il passivo ricevente delle grazie, ma cercherà di compiere le opere della misericordia.


Aggiungo i saluti a tutti   Don Michele


 
 




 

MARIOCAPALBO
00martedì 7 aprile 2015 19:44

Lettera IV IL SANTISSIMO SACRAMENTO DELL’ALTARE


Gesù, confido in Te! 06. 08 1942. Carissime Sorelle in Cristo,

Visitando otto anni fa la Terra Santa, sono rimasto particolarmente impressionato dalla vista, sul Monte Tabor, del luogo della Trasfigurazione del Signore. Il Signore Gesù, consapevole dell’avvicinarsi della Sua passione, volle consolidare nella fede nella sua divinità gli apostoli prescelti (Pietro, Giacemmo e Giovani) e si manifestò loro in tutto lo splendore della Sua gloria e della maestà. Offrendo in quel luogo a Dio il sacrificio incruento, mi sono ricordato, o meglio, mi sono reso conto che il Cristo Signore fa il miracolo della Trasfigurazione ogni giorno, non solo davanti agli Apostoli prescelti, ma davanti a tutti i presenti, in tutti i nostri santi templi, durante 
la santa messa, ove, benché non manifesti apertamente lo splendore della Sua gloria e maestà, operando la transustanziazione del pane in carne e del vino in sangue, risveglia la nostra fede agli stessi sentimenti che ebbero gli apostoli sul Monte Tabor.

Il Santissimo Sacramento è la manifestazione dell’illimitata misericordia di Dio. La misericordia di Dio consiste nel rivolgersi del creatore alle creature, allo scopo di farle uscire dalle miserie e cancellare le mancanze.

Ebbene, nel santissimo sacramento dell’altare, la parola eterna, “per la quale tutto si è fatto”, non solo si rivolge, ma si offre come dono perfetto alla gente, donandosi continuamente con la Sua somma saggezza, potenza e generosità. “Prendete e mangiatene, questa è la mia carne” – dice il Salvatore.

Com’è straordinaria questa espressione! Nutrirsi di Dio, incarnare in sé Dio, diventare il tabernacolo vivente di Dio, ricevere il corpo di Gesù, il quale morì sulla croce, giacque nella tomba, salì al cielo, siede alla destra del Padre, ove è la gioia degli angeli, la gloria del cielo, lo stupore degli spiriti benedetti. Assieme al corpo c’è il sangue, l’anima e la divinità, che ne sono inseparabili. “Fate questo in memoria di me” – cioè prendete il pane, dite come dico io: “Questo è il mio corpo” e, in quel momento, il pane diventerà il Mio corpo sulle mani di tutti i sacerdoti senza eccezione, perché la potenza delle Mie parole non dipende dai meriti di colui che le pronuncia.

Questo sarà il Mio corpo per tutti i secoli, in tutti i luoghi, Mi moltiplicherò su milioni di altari, in miliardi di ostie e particelle, però in ognuna rimarrò intero, vivo, presente con umanità e divinità. Come si può estrinsecare la perfezione di quel dono misericordioso, come paragonarlo con qualunque altro? Gli altri doni di Dio, anche tutti i sacramenti trapassano, ma il santissimo sacramento è un dono continuo che dura in ogni momento, sia di notte sia di giorno, fino alla fine dei tempi. Egli rimane con noi pronto ad ascoltarci, continua ad intercedere per noi presso al Padre celeste, a contemplare le Sue perfezioni, a lodarle, si umilia nel nostro nome per dare gloria a Dio, continua a ringraziare nel nostro nome, implora il perdono dei nostri peccati, ricompensa e rende soddisfazione, incessantemente si offre come il nostro mediatore davanti al Padre celeste, per allontanare il colpo della giustizia ed ottenere la misericordia.

Quando il nostro emisfero è sommerso nel sonno, nell’altro emisfero i sacerdoti tengono in mano l’olocausto per i peccati del mondo. In tal modo il nostro mediatore è continuamente sospeso tra il cielo e la terra dinanzi al Padre celeste, coprendo il mondo peccaminoso con le sue piaghe come lo vide suor Faustina in un’estasi. Noi lo dimentichiamo, Egli non cessa di ricordarsi di noi; noi lo offendiamo, Egli persiste ad offrirsi per noi; noi lo attristiamo, Egli ci consola; noi cadiamo sotto i colpi delle tentazioni, Egli continua ad alzarci, ci fortifica e ci chiama:“Venite da me che siete affaticati ed oppressi ed io vi darò sollievo”. Possiamo, perciò, arguire che il Santissimo Sacramento è un dono continuo della misericordia; che il nostro cuore sarebbe duro, se non si spronasse all’amore ed alla gratitudine sempre più grande verso Gesù, nostro Signore e la santa comunione, ricevuta in maniera sempre più dignitosa. Ella è un tesoro infinito di grazie che possiamo ricavare ininterrottamente senza mai diminuire, con cui possiamo ripagare i nostri debiti e soddisfare le nostre necessità e quelle del mondo intero.

La misericordiosa offerta da Cristo, nostro Signore alla gente, nel santissimo sacramento, è la manifestazione della saggezza, della potenza e della generosità divina. La saggezza sta nel trovare il fine adeguato ed i mezzi che consistono in tutto ciò che troviamo nel sacramento dell’Altare. Il Signore Gesù è tornato al Padre, però non ci abbandona, ha nascosto il suo splendore sotto il velo eucaristico, donandoci la possibilità di esercitarci con fede in ciò che non vediamo, ci insegna, indossando su di Sè la semplice forma del pane, la semplicità e la modestia nel modo di vestirci, ci insegna l’umiltà, la vita nascosta, il distacco dal mondo, il sacrificio e il rinnegamento della propria volontà, nell’obbedienza, il rinnegamento dei beni materiali, nella povertà; ricevendoLo sotto la forma di nutrimento, c’incoraggia ed esercita non solo a rimanere strettamente uniti a Lui, ma a lasciarci costantemente trasformare e edificare. La saggezza eterna ci ha preparato una lezione esplicita sulla misericordia di Dio, che continua a persistere, a rialzare l’uomo volto a partecipare alla vita divina ed all’unione sempre più stretta col Redentore.   

La potenza divina si manifesta nei miracoli che si ripetono continuamente nel santissimo sacramento: il miracolo della trasfigurazione del pane nell’essenza del corpo di Cristo e del vino nell’essenza del Suo sangue, il miracolo della presenza Sua sugli altari, senza cessare di rimanere nel cielo, il miracolo della Sua presenza in ogni particola, anzi, in ogni particella, il miracolo della forma del pane e del vino che mantengono il proprio gusto e colore, il miracolo che tutto ciò succede dopo che il sacerdote ha pronunciato sull’altare le parole di consacrazione. Sant’Agostino, riflettendo sulla potenza divina che si manifesta nel sacramento dell’altare, escalmò: “Iddio, benché Tu fossi il più saggio, non potresti fare niente di migliore; sebbene Tu fossi onnipotente, non potresti fare niente di più perfetto; ancorché Tu fossi il più ricco, non avresti niente di più prezioso che il Santissimo Sacramento”. San Giovanni apostolo, nel suo Vangelo, fin dall’inizio, parla della Parola Eterna, che si fece carne e venne ad abitare in mezzo noi e, cominciando il racconto dell’Ultima Cena, in cui fu instaurato il Santissimo Sacramento, innanzitutto ricorda che Dio  Padre aveva dato, nelle mani del Figlio, ogni potenza e forza.

Riconosciamo la generosità di uno che ci ama dal dono offertoci, particolarmente quando non c’è dovuto e quando non aspettiamo niente da costui. Da Gesù nostro Signore non c’è dovuto niente; nonostante ciò, Egli ci dona non solo le grazie, ma se stesso. Ci si dona in un modo che rovescia tutte le leggi della natura, tramite i miracoli più straordinari, umiliandosi per la sua misericordia, sopportando disonore, insulto, sacrilegio, come risulta dal giorno in cui ha stabilito il santissimo sacramento. Che cosa aspettava? Sapeva che dalla gran parte della gente avrebbe ottenuto indifferenza, tiepidezza, abbandono, talvolta le peggiori insolenze e bestemmie. Malgrado 
ciò lo accettò per la sua misericordia.            

Mediante il sacramento dell’altare, continua a mantenersi la relazione tra il cielo ed il purgatorio. Per un verso il Salvatore, nell’offerta della santa messa, si dona al Padre celeste per l’umanità, per alto verso il Padre celeste ci dona il Suo Figlio nella santa comunione, la cui l’efficacia si stende su vivi e morti. Ai vivi dà forza, consolazione e gioia, alle anime sofferenti nel purgatorio, tramite le nostre preghiere, dà sollievo, li addolcisce nelle sofferenza. L’esperienza ci convince di questa verità. L’anima che vede che Dio le si dona per prima, sente come la cosa giusta donarsi a Lui completamente. Non solo lo desidera, ma è piena di buona volontà e di santo zelo che 
la trasformano, che le fanno trovare la gioia, nei sacrifici, e la forza, per superare gli ostacoli. 
Il Sacramento dell’Altare non solo rialza l’anima, ma anche indebolisce il nemico, perché come dicono i Padri del Concilio di Trento, indebolisce il fuoco della passione e decresce l’impulso della carne.

Oh, quale tristezza ci sarebbe stata senza il santissimo sacramento! Nelle Chiese niente  avrebbe parlato al nostro cuore (come si vede nelle chiese protestanti). Il mondo sarebbe stato un esilio senza la consolazione nelle sofferenze, senza la luce nelle tenebre e senza consiglio nei dubbi. Il Santissimo Sacramento, invece, cambia tutto in gioia: le chiese diventano il paradiso, ove si può pregustare la patria ed ove si può inneggiare con il salmista: “Quanto sono amabili le tue dimore, \ Signore degli eserciti! \ Il mio cuore e la mia carne \ esultano nel Dio vivente.”(Sal 84, 2.3b) 
Come siamo felici malgrado le calamità dell’ambiente. Come siamo sicuri, nonostante i pericoli. 
Come siamo ricchi, anche se la miseria ci circonda! Come siamo forti, malgrado l’enormità dei nemic! Come siamo gioiosi, a dispetto del fiume di lacrime! Come sono straordinarie la gloria e grandezza in noi, nonostante l’umiliazione e il disprezzo. Dio ci rende onore, scendendo dalla dimora della Sua gloria per poterci visitare ed esserci compagno nel nostro pellegrinaggio. Per Sua misericordia, ogni giorno si ripetono questa discesa e visita Sua in tutti i templi: anche adesso, in vari posti, Egli si fa  quasi prigioniero solitario perché possiamo avere facile acceso a Lui, perché Egli possa ascoltare le nostre richieste. Quale questa gloria è per noi!

Tramite il Santissimo Sacramento si realizza la comunione dei santi sulla terra, nel cielo e nel purgatorio. Come due misure equivalenti ad una terza sono uguali tra di loro, così tutte le anime che ricevono lo stesso corpo del Salvatore nell’unico amore di un solo sposo, si uniscono strettamente, nonostante lo spazio terreno ed il diverso stato di vita dopo la morte. In Lui ci uniamo con i santi nel cielo, da cui otteniamo aiuto. In Lui ci uniamo anche con le anime del purgatorio ed a loro assicuriamo consolazione e refrigerio. “Per ipsum, cum ipso, et in ipso” – per Cristo, con Cristo ed in Cristo si realizza la comunione dei santi come professiamo nel nostro Credo.

I santi nel cielo gioiscono soprattutto per l’umanità di Cristo, sempre presente anche nel santissimo sacramento, per il Suo dolcissimo volto, sorgente di ogni loro bellezza, bontà e felicità, per il Suo cuore, la cui la misericordia essi hanno sperimentato su di sé. Gioiscono delle Sue ferite, attraverso le quali leggono con quale prezzo sono stati ripagati i loro tradimenti. Come un naufrago sopravvissuto, quando già nel porto, con gioia e gratitudine, rinfrancato dal timore dei pericoli passatiti, si stringe ai piedi di colui che si è gettato nella corrente per salvarlo,  con lo stesso trasporto essi inneggiano quegli inni di ringraziamento che Giovanni sentì e scrisse nell’Apocalisse: “A Colui che siede sul trono e all’Agnello lode, onore, gloria e potenza, nei secoli dei secoli” (Ap 5, 13) “(…) perché sei stato immolato e hai riscattato per Dio con il tuo sangue uomini di ogni tribù, lingua, popolo e nazione e li hai costituiti per il nostro Dio un regno di sacerdoti e regneranno sopra la terra.” (Ap 5, 9). Anche noi sulla terra gioiamo della presenza del Cristo-Uomo sui nostri altari e, pur non vedendoLo direttamente, grazie alla fede, vi ritroviamo i Suoi tratti con le perfezioni divino-umane e, tramite Lui, ci uniamo ai santi nel cielo e alle anime che del purgatorio, sotto la sua giustizia, e intercediamo per loro alla Sua misericordia.

Nel santissimo sacramento veniamo continuamente innondati dalla misericordia di Dio. Ciò 
ci obbliga a rispettarLo e amarLo, a fare la santa comunione di frequente ed in modo degno, 
a visitarLo nella Chiesa.

Quanto è terribile questo luogo!” (Gn 28, 17) disse Giaccone, dopo essersi svegliato dal sonno in cui aveva visto la scala che univa la terra al cielo. Tanto più può rispettare queste parole un cristiano credente di fronte al tabernacolo, in cui viene conservato il santissimo sacramento. “Questa è proprio la casa di Dio” (Gn 28, 17), cui si deve la somma gloria. Quanto più il Signor Gesù si umilia nel santissimo sacramento, tanto più dobbiamo renderGli onore.

Il Padre celeste ce ne diede esempio, quando fece scendere gli angeli verso la mangiatoia 
del figlio, perché onorassero il re dei re e perché annunziassero la Sua gloria a quanti abitavano nelle vicinanze. Sulle rive del Giordano aprì il cielo e rese testimonianza ai peccatori del Suo amatissimo figlio, di cui si era compiaciuto. Quando la malizia umana Lo inchiodò in croce e Lo coprì di sommo disprezzo, il Padre celeste fece oscurare tutta la terra, resuscitare i morti, mentre un terremoto  spezzava le rocce. Questo ci spiega quanto grande dovrebbe essere il nostro amore nei confronti del Signore Gesù, che si è umiliato nel santissimo sacramento, perché lì davvero si è voluto umiliare. Nella mangiatoia almeno aveva la forma di un neonato, sulla croce conservava la forma umana,
invece qui non ha più niente di simile all’uomo e tanto meno a Dio. Agli occhi umani ha una forma poco pregevole, in cui, comunque, è nascosto un raggio della stessa grandezza che illuminò Mosè sul Monte Sinai ed i discepoli sul Monte Tabor. Questa particola sulla patena contiene Dio infinito, che i cieli non sono in grado di racchiudere 
in se stessi. Quanto grande è la Sua umiliazione, per cui tante anime pie, tra cui suor Faustina, videro gli eserciti degli angeli rendere onore senza sosta al re dei cieli, ivi nascosto, come san Giovanni Evangelista quando vide ventiquattro vegliardi con quattro esseri viventi di fronte al trono (Apocalisse 4 e 5.6)!

Tutto questo ci fa capire quale dovrebbe essere il nostro rispetto nei confronti del santissimo sacramento. Qui, davanti al quale tutto il cielo trema e Gli rende onore, possiamo noi stare con la mente dispersa ed il cuore indifferente, con un vestito inadeguato e futile?. Non siamo soltanto i servi del Signore, ma anche debitori di fronte al giudice, creature difronte al creatore. Noi siamo polvere e cenere della terra. Perciò santa Teresa di frequente ripeteva in monastero: “Mie sorelle, dovreste essere di fronte al Santissimo Sacramento come le anime benedette nel cielo”. Suor Faustina, invece, di fronte al santissimo sacramento sempre, quando nessuno la guardava, rimaneva in ginocchio con le mani incrociate. Da un tale rispetto esteriore sgorga l’effusione della pietà interiore, perché un atteggiamento esteriore influisce sul raccoglimento, e Dio lo ripaga subito e rende in sovrabbondanza all’anima la grazia della pietà e dello zelo. Da un tale rispetto deriva anche l’insegnamento necessario al prossimo, un certo tipo di apostolato verso coloro che ci osservano. All’opposto la mancanza di rispetto in chiesa o cappella, troppa libertà, sussurrio raffreddano 
ed inibiscono la pietà negli altri e, in certi casi, causano titubanza nella fede.

Il nostro secondo obbligo verso il santissimo sacramento è l’amore nei confronti di Gesù Cristo, 
ivi  presente. Molte le ragioni. Lì è presente il padre della misericordia, Dio, degno d’amore tanto sulla terra quanto in cielo, ove gli angeli ed i santi, proprio nell’amarLo, trovano la più grande felicità. Lì è presente Dio, per la Sua misericordia, quale gli angeli non hanno sperimentato su loro stessi, come noi, per Sua misericordia. La riflessione su questo è il mezzo migliore per risvegliare l’amore. Lì è presente Dio-Uomo, il più bello ed il più perfetto tra i figli dell’uomo. Questa presenza di Cristo tra gli uomini ha, per alcuni aspetti, di più ragione di essere che quella in cielo. Perché nel cielo non viene umiliato, si trova al Suo posto, all’apice della gloria, che riceve dagli angeli e dai santi per i quali, come ho già detto, la sua umanità è fonte di felicità permette inesprimibile. Qui per sua misericordia discende dall’alto, si dona ai peccatori, che non lo amano, di parlare con Lui, di riceverLo, pur esposto a disprezzo, ingiuria e sacrilegio. Nel cielo è come il re sul suo trono, invece qui si fa la vittima per i peccatori,  per i servi che si sono ribellati; si fa il mediatore che implora la misericordia e li protegge dalle pene divine. Oh, come siamo poco o niente riconoscenti, se non siamo pieni d’amore verso il nascosto prigioniero eucaristico, a cui ci abituiamo e che totalmente dimentichiamo! Per questo bisogna esaminare il proprio comportamento ed imitare Santa Maria Maddalena de Pazzi, Santa Catterina di Siena, Santa Teresa e gli altri cuori giusti che avevano un grande amore verso il Santissimo Sacramento.

L’amore dovrebbe dare un valore ad ogni momento che possiamo trascorrere in adorazione 
in chiesa oppure almeno col pensiero volto al Santissimo Sacramento, durante il lavoro. L’amore ci spinge a fare un’ora santa, durante la giornata o almeno per settimana, dove offrire tutte le nostre azioni (preghiere, impegni, passatempi) al prigioniero eucaristico, in espiazione dei peccati. L’amore fa sì che, nonostante i lavori più impegnativi, l’anima si unisca a Lui con le giaculatorie. Gli offre le sue sofferenze, umiliazioni, difficoltà e pesi. Prima di tutto l’amore ci prepara ad ascoltare degnamente la santa messa, durante la quale viene celebrata l’eucarestia e si compie quella meravigliosa trasfigurazione che ci spinge alla nostra trasfigurazione interiore, ad estirpare i vizi, le imperfezioni e tanto di più i peccati e ad innestare e praticare le virtù che sono necessarie, anzi indispensabili a rinnovare l’immagine e la somiglianza divina. Lo potremo fare esclusivamente in unione con Cristo Signore, se Lo riceviamo spesso e devotamente nella santa comunione.            

Il terzo obbligo nostro verso il Santissimo Sacramento comporta l’impegno a una frequente 
e degna comunione, che è un mezzo salvifico sia per l’ anima sia per il corpo. Anche se il peccato originale viene tolto con il santo battesimo e i peccati commessi col sacramento della penitenza, nella natura umana rimangono le ferite dell’ignoranza, la ferita della debolezza e dell’inclinazione al male della volontà, le ferite della concupiscenza carnale, dei desideri e del disordine in tutta la natura, in cui non c’è più armonia tra le facoltà spirituali e corporali: le facoltà corporali disobbediscono alle facoltà spirituali, le quali, a loro volta, disobbediscono alla volontà divina. Nessuno con i propri sforzi è in grado di far ritornare tale armonia.

Soltanto la cura divina, che agisce piano piano, come un rimedio, può arrivare a tal fine. 
Tale cura sta nel ricevere frequentemente la santa comunione, perciò il Signor Gesù disse: “Io sono il pane vivo disceso dal cielo. Chi mangia di questo pane vivrà in eterno”, vivrà qui, sulla terra, una vita piena, armoniosa, divino-umana e, dopo la morte, nella gloria eterna. “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, anche se muore, vivrà in eterno”.
Tramite la santa comunione ci uniamo in modo il più stretto possibile con il Signor Gesù – Dio abita in noi e noi in Lui, noi ci trasformiamo in Lui fino a diventare, si può dire, un solo corpo ed un solo sangue. Colui che Lo riceve degnamente è come un altro Cristo; non perché Cristo si sia trasformato in noi, ma perché noi ci trasformiamo in Lui. RicevendoLo di frequente, ci rendiamo conto che non è accettabile che la nostra lingua, su cui si poserà il corpo di Gesù, sparli oppure dica parole senza pensare; che il nostro corpo, che sarà il vivo ciborio del santissimo sacramento, sia inquinato dalla lussuria anche se minima; che il cuore, che diventerà dimora divina, abbia accesso a ciò che non è santo e puro. Perciò si capisce che la santa comunione smorza le concupiscenze, estingue il fuoco del desiderio e così guarisce la nostra impotenza spirituale. La donna che soffriva di emorragia era sicura che sarebbe stata guarita dopo aver toccato il lembo del mantello del Salvatore. Quanto di più coloro che non solo ne toccano la veste, ma decorosamente ricevono il Corpo ed il Sangue del Signor Gesù. Le parole sono inadeguate e inefficaci, bisogna vivere e sperimentare i benefici del frumento degli eletti e del vino che dà la vita alle vergini, come dice l’autore ispirato: “Chi  mangia di me, vivrà per me”. Ciò significa che la sua vita non sarà più la vita né terrena, né carnale, ma la vita di Cristo Gesù; ne imiterà umiltà, purezza, obbedienza, mitezza, povertà e pazienza. Potrà ripetere con l’Apostolo Paolo: “Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me”. San Brnardo, invece, dice: “Se sperimenti meno rabbia, invidia, impurità e le altre ingiurie, ringrazia di tutto ciò il Santissimo Corpo di Cristo Gesù”.

Per ottenere buoni effetti, bisogna ricevere il santissimo sacramento degnamente. Soprattutto bisogna prepararsi bene, sia per il Signore sia per noi stessi; per il Signore, perché stiamo per ricevere il re dei re, per noi stessi invece, perché la comunione, senza preparazione, è causa di condanna. Non è possibile leggere senza tremore la parabola evangelica sul commensale al banchetto nuziale, che, privo dell’abito nuziale, fu gettato fuori, con le mani e i piedi legati, 
nelle tenebre, ove è pianto e stridore di denti. Questo abito nuziale è, per noi, la grazia santificante, cioè la libertà dal peccato mortale e l’intenzione pura. I peccati veniali, che senza la grazia particolare non si possono evitare, 
non sono in sé un ostacolo, perché il Signor Gesù li toglie con la Sua presenza. Se non sono volontari, commessi con consapevolezza e volontà cattiva (per esempio l’attaccamento alle creature dovuto dalle occasioni liberamente scelte, le piccole rabbie, maldicenze ecc.), possono talvolta costituire un ostacolo che almeno abbassa se non toglie addirittura gli effetti buoni della santa comunione. Bisogna, allora, prendere su serio quel grande pensiero: “Mi preparerò alla santa comunione e perciò durante questa preparazione decido di compiere devotamente tutte 
le mie azioni di sera, di notte e di mattino; occorre compiere di frequente atti d’amore verso Dio 
e chiedere se stessi chi è Colui che verrà a me e perché  lo farà? Chi sono io?”. Alla fine bisogna risvegliare in sé il desiderio di ricevere il Signore Gesù e, quando non lo sentiamo, chiedere questa grazia, offrendo in cambio l’atteggiamento della Santissima Vergine e di tutti i santi.

Ricevendo la santa comunione, bisogna risvegliare l’ atto di fede, di speranza e carità, dolore, desiderio ed avvicinarsi con la grandissima umiltà, piena di rispetto, ripetere, non solo con e labbra ma con attenzione, le parole del centurione oppure quelle del figlio prodigo: “Ho peccato contro il Cielo e contro di te, non sono più degno di essere chiamato tuo figlio” (Lc 15, 19). L’amore pieno di fiducia sarà il coronamento della preparazione ed accompagnerà lo stesso atto. Talvolta non sperimentiamo tale amore, allora possiamo chiederlo con fiducia: “Gesù, confido in Te” Tuttavia l’amore di Dio non sta nel sentimento, ma si racchiude nella volontà e nella disponibilità a servirLo e dedicarsi totalmente a Lui.            

Subito dopo la santa comunione, evitiamo di parlare e, nel raccoglimento, ascoltiamo ciò che 
ci dice Gesù Cristo in un momento così prezioso e seguiamo il movimento della grazia. Dopo risvegliamo in noi l’atto di adorazione, di meraviglia e amore. Umiliamoci di fronte all’infinita grandezza del Salvatore, offriamo lode agli angeli e ai santi per completare i nostri onori indegni. Restiamo affascinati dalla misericordia di Dio che si abbassa alla miseria della creatura. Desideriamo appartenere solo a Gesù, rinneghiamo tutto ciò che è terreno. 
Successivamente manifestiamo un atto di ringraziamento per quell’inesprimibile misericordia e supplichiamo lo stesso Salvatore affinché ringrazi il Padre celeste da parte nostra, che siamo indegni. Chiediamo con semplicità e fiducia, presentiamo a Lui sinceramente le nostre miserie e le varie mancanze, le necessità del prossimo, dei compatriotti dispersi nel mondo intero e dei sofferenti, le necessità dei  nemici e alla fine quelle di tutto il mondo. Questo è un momento in cui possiamo chiedere e ricevere tutto. Poi possiamo offrire noi stessi, tutto ciò che abbiamo e che siamo perché ci guidi secondo la Sua volontà. Alla fine facciamo un proposito adeguato, che dovrebbe essere frutto della santa comunione. Tali atti dovrebbero durare circa mezz’ora. Si può accorciare quel tempo solo in caso di urgenza però, anche in tal caso, bisogna continuare, di ritorno dalla chiesa oppure durante il lavoro o durante un dialogo inevitabile con un’altra persona. Diamo importanza al ringraziamento dopo la santa comunione, perché lo esige la religiosità, la gratitudine ed il nostro proprio interesse, perché in questi momenti l’anima sperimenta la più grande dolcezza nel rapporto col Signore Gesù. Allora Egli è disposto ad illuminarla molto volentieri, a riscaldarla, commuoverla, allora quel sacramento porta i frutti. Chi trascura il ringraziamento, ostacola la grazia, imita un povero che non vuole accettare l’elemosina che un ricco gli sta per dare.

La comunione senza la preparazione e senza il ringraziamento adeguato non solo non porta frutto, ma anche danno, causando la tiepidezza spirituale volontaria. Allora colui che la riceve non esce dai vizi, non fa progresso nel cammino della virtù, abusa delle grazie divine di cui dovrà rendere conto. Per tale anima la religione non rappresenta nessun valore, diventa fredda, come marmo, insensibile e dura, come una pietra. Tale uomo non fa nessun tipo di penitenza, cerca la consolazione nelle creature, non pensa alla santificazione ed è incline alla caduta. “Perché tu sei tiepido, cioè nè caldo nè freddo” dice lo Spirito Santo (Apocalisse 3,16).            

Attualmente tante persone rimangono senza la santa comunione nei luoghi lontani dalle chiese 
e dai sacerdoti, per esempio in prigione, in lavoro, durante le vacanze ecc. Ciononostante si può usufruire dei frutti buoni di cui parlavo sopra ricevendo la comunione spirituale. Essa consiste nel fervente desiderio di ricevere il Signore Gesù, mossi da un amore che ci riempie il cuore. Quella comunione di desiderio, chiamata la comunione spirituale, è molto utile all’anima, perché risveglia l’inclinazione alle cose divine ed il desiderio a una vita perfetta, dà la forza di esercitarsi nelle virtù e talvolta porta più profitto della stessa comunione sacramentale, se ricevuta con meno amore. Oltre a ciò può essere ricevuta in qualsiasi luogo, non solo nelle chiese e nella cappella, ma anche a casa, durante il lavoro ed, in modo particolare, durante la visita del santissimo sacramento. Il modo di ricevere la santa comunione è il seguente: in quel momento ci raccogliamo e col pensiero ci mettiamo di fronte al tabernacolo dove è racchiuso il santissimo sacramento. Risvegliamo gli atti di fede, di speranza, di amore, di dolore, di lode e di desiderio. Raffiguriamo con il pensiero il sacerdote che ci dà il santissimo sacramento. RiceviamoLo in spirito con grande umiltà, rispetto ed amore fiducioso. Rendiamo poi grazie, come dopo la Comunione sacramentale. Proprio con la comunione spirituale l’angelo del Signore nutrì suor Faustina tredici volte durante la sua malattia, rivelandole come fosse gradita a Dio tale pratica, che voi, serve della misericordia di Dio praticherete e verso cui incoraggerete altre anime di buona volontà.

La visita al santissimo sacramento è il nostro quarto obbligo verso Gesù, prigioniero eucaristico. Se Gesù fosse venuto visibilmente in un luogo sulla terra, come fece in Giudea, e lì avesse parlato con quelli a cui Egli avesse fatto una visita, senza dubbio avremmo considerato obbligo, ma anche motivo di gioia poter raggiungerLo. E se si fosse seduto tra di noi, nella nostra città, ed avesse detto: “Venite a me, mi piace molto intrattenermi con voi”, sicuramente avremmo considerato degno di pena colui che non Gli fosse andato incontro. La fede, però, ci assicura che in ogni santissimo sacramento abbiamo lo stesso Gesù, davanti al quale si sono presentati i tre magi 
per prostrarsi alla Sua presenza, davanti al quale si inginocchiano tutti gli angeli e che ci invita: “Venite da me tutti”, “Chiedete e vi sarà dato”, “I miei tesori sono inesauribili”. “Qui riceverete le grazie non solo per voi stessi, ma anche per i vostri vicini, per le anime del purgatorio e per il mondo intero”. La chiesa ci incoraggia a tale pratica.            

Il modo presentarci a visitare il Signore Gesù nel santissimo sacramento può variare, però sempre deve esserci la pietà esteriore ed interiore. La prima è condizione indispensabile alla seconda, la quale, invece, condiziona la possibilità di trarre profitto dalla visita. Prima dobbiamo raccoglierci e risvegliare la gioia di poter passare un attimo in compagnia con Signore Gesù. Successivamente rendiamo lode esteriore ed omaggi interiori. Dopo parliamo con Gesù, con  semplicità, di tutto ciò che ci indica il cuore, esprimiamo la nostra gioia e tristezza, le difficoltà 
e le preoccupazioni. E se non sappiamo che cosa dire, esprimiamoci con semplicità, umiliandoci di fronte a Lui nellanostra miseria, Gli presentiamo le nostre richieste, quali mendicanti ai piedi di un ricco, le nostre necessità e quelle della chiesa, quelle della patria, del nostro popolo, del prossimo e dei nemici. Passiamo di seguito a riflettere sulla vita del Salvatore nel santissimo sacramento, sulla lode che Egli rende al Padre, sulla Sua misericordia, mitezza e pazienza verso gli uomini, sulla Sua umiltà, povertà e mortificazione, e facciamo il proposito di vivere secondo nobili esempi. Allontaniamoci dal santissimo sacramento, lasciamo il nostro cuore nel ciborio e controlliamo i sensi per non dissipare e disperdere le grazie ricevute. Se il tempo ce lo permetta, recitiamo una diecina del rosario. Compiendo i suddetti obblighi verso il santissimo sacramento, voi, quali serve della misericordia di Dio diventerete sempre più perfette, trasformandovi interiormente. A questo invita il Signore Gesù nella Sua trasfigurazione, in ogni santa messa. Vi auguro questo e con questa intenzione prego  per voi senza sosta. Dedicato a Dio da don Michele

 

Lettera V  LA DIREZIONE SPIRITUALE

Gesù, confido in Te! Carissime sorelle in Cristo, 

La solennità di Cristo Re dell’universo ricorda al mondo che Gesù, nostro Signore, è il sommo sovrano sulla terra, alla cui l’autorità sono sottomessi ogni uomo, ogni società, ogni nazione e ogni stato, che inoltre Egli governa ogni anima, particolarmente quella che aspira alla perfezione, pur tramite il suo vicario, confessore oppure padre spirituale. Perciò, quando Paolo si convertì, Gesù stesso non gli rivelò i Suoi progetti, ma lo rimandò da Anania, perché sentisse dalla sua bocca quanto doveva fare.

La perfezione è una lunga ed ardua scalata in alto, su un ripido sentiero, circondato da  abissi. Avventurarsi in quel percorso, senza una guida esperta, è una grande imprudenza, perché è molto facile lasciarsi trascinare dalle illusioni, per quanto riguarda lo stato dell’ anima. Occorre un medico spirituale, capace di diagnosticare lo stato di salute della nostra anima, per poterci indicare un rimedio efficace. Poichè non siamo neppur in grado di essere artefici della nostra propria salute corporale, tanto di più non lo siamo di quella spirituale.

Il direttore spirituale è necessario ai principianti, perché li sostenga nell’esercizio della penitenza e ne attenui il fervore iniziale, perché, nei momenti delle consolazioni spirituali, li avverta che esse non dureranno per sempre, viceversa, nel momento del dubbio, li consoli, calmi e fortifichi, spiegando che la desolazione spirituale è un mezzo ottimo per consolidare l’anima sulla via della virtù e per purificare il nostro amore. Tanto di più occorre il padre spirituale sulla via illuminativa, per poter discernere le virtù necessarie ed indicare gli esercizi ed i metodi per farle crescere, prevenire lo scoraggiamento, confortare, incoraggiare alla continua tensione nello sforzo, indicare il frutto che ci aspetta, dopo aver superato la prova.

Ancora di più occorre il padre spirituale quando bisogna salire sulla via unitiva, quando bisogna custodire in sé, con i sacrifici ed l’accondiscendenza continua alle ispirazioni della grazia, i doni dello Spirito Santo, che vanno distinti dalle istigazioni di satana e della propria natura inquinata, cosa che l’anima non è in grado di fare da sola. Nella formazione spirituale dell’anima, la presenza del padre spirituale è indispensabile. La confessione si limita a riconoscere le proprie colpe. La direzione spirituale si estende molto oltre. Cerca il fondamento del peccato, 
le inclinazioni profondamente radicate in noi, fa riferimento al temperamento, alle tentazioni, alla imprudenza; lo fa per trovare un rimedio che combatta la malattia alla radice.      Per lottare in modo efficace con i nostri vizi, il direttore spirituale indica le virtù opposte ad essi, sia quelle comuni a tutti i cristiani, sia quelle particolari ai vari gruppi delle persone, aiuta a trovare i mezzi migliori nella pratica delle virtù, negli esercizi spirituali (la riflessione, l’esame di coscienza, la devozione particolare al Sacro cuore di Gesù, alla Maria Vergine, ecc.). Aiuta anche a discernere la propria vocazione e dopo aiuta a capire i compiti di ogni stato.

Perché il direttore spirituale possa guidare l’anima sulla retta via, dovrebbe conoscere le vicende più importanti della sua vita, i peccati più frequenti, gli sforzi sostenuti per uscirne, i risultati ottenuti, per sapere come ancora conviene operare. Dovrebbe inoltre essere a conoscenza della disposizione attuale, delle inclinazioni, ripugnanze, stile di vita, tentazioni e tattica di combattimento, delle virtù necessarie e dei mezzi per acquistarle. La persona che vuole usufruire della direzione spirituale deve presentare tutto alla sua guida. Allora il direttore spirituale può più facilmente preparare un programma adeguato allo stato dell’anima, perché tutte le anime non possono essere guidate allo stesso modo, bisogna adeguarsi al livello in cui uno si trova per poterlo aiutarlo ad andare in alto, senza fretta, sul sentiero ripido della perfezione. Alcune anime sono più ferventi ed inclinate al sacrificio, altre invece più quiete e più lente, in quanto non tutte sono chiamate allo stesso grado di perfezione. Perciò sbagliano molto coloro che vogliono che uno solo padre spirituale guidi (per esempio in una congregazione) in modo uguale, che formi tutti secondo lo stesso modello e assicuri a tutti la stessa direzione. Questo è assolutamente impossibile e, ovunque venga praticato, porta danno al progresso delle singole anime, anzi, quell’ atteggiamento contrasta con il diritto canonico.            

Non vi parlerò delle qualificazioni dei direttori spirituali, né dei loro compiti, che loro devono conoscere; menzionerò solo che dovrebbero essere caratterizzati dalla bontà, dalla scienza necessaria, ma soprattutto dalla prudenza, dalla prudenza soprannaturale, rafforzata dal dono del consiglio dello Spirito Santo, che sia il padre spirituale sia le anime guidate devono pregare. Santa Teresa, avendo la possibilità scegliere tra un confessore prudente e santo ed uno prudente e saggio, per quanto meno santo, preferì il secondo. Devo qui accennare agli obblighi delle persone guidate.

Nel direttore spirituale bisogna veder lo stesso Cristo. Se com’è vero che il potere viene da Dio, tanto più vale questo nei riguardi del potere esercitato sulle anime da un sacerdote; Egli è un ambasciatore di Cristo, che esercita il potere Divino: “Siamo messaggeri di Cristo e quanto vi rammettiamo in realtà è Dio che vi rammette”.

Perciò è ovvio che bisogna rispettare il padre spirituale, fidarsi in lui ed ascoltarlo. Bisogna rispettarlo come il rappresentante di Dio. Se un direttore avesse qualche vizio, non bisogna soffermarsi su questo, ma, vista la sua importanza  e la missione che svolge, evitare la critica amara quanto la familiarità esagerata.

Il rispetto dev’essere  accompagnato dalla fiducia piena, filiale e una grande apertura del cuore sincero e la fedele, disposto ad esprimere apertamente le cose buone e quelle cattive, senza pensarci troppo e senza nascondere le tentazioni e le debolezze, i desideri ed i propositi, le buone opere e le intenzioni, in poche parole tutto ciò che riguarda il bene dell’anima. Quanto più il padre ci conosce, tanto più gli è facile darci sagge indicazioni, incoraggiamenti, consolazione, per rafforzarci, consolarci e guidarci. Le persone timide parlino delle loro difficoltà e quelle invece inclini a parlare troppo che non trasformino la direzione spirituale in una pia chiacchierata ma si limitino a riferire il necessario.

Se si vuole che la direzione sia vera, occorre l’obbedienza al padre spirituale. Non c’è niente di peggio che eludere al direttore spirituale le proprie emozioni ed opinioni. Non c’è niente i più dannoso per l’anima perché, cosi facendo, non si cerca la volontà di Dio ma quella propria, inoltre si elude un mezzo divino per scopi egoistici. L’unico desiderio nostro dev’essere quello di conoscere la volontà divina, tramite l’obbedienza al nostro direttore spirituale, invece di costringerlo a ricorrere all’autorità con i mezzi più o meno convincenti. Si può ingannare il padre spirituale, ma non Colui il cui posto egli sostituisce. Se vediamo che un certo consiglio ci risulta difficile od impossibile da realizzare, dobbiamo dirglielo con semplicità. Il direttore può sbagliare, ma noi non sbagliamo quando gli siamo obbedienti. Se ci consigliasse qualcosa che va contro la fede o il decoro, allora bisogna cambiare il direttore.

Si può cambiare il direttore soltanto per una ragione grave e dopo matura riflessione perché occorre una continuità della direzione, cosa che diventa impossibile se il direttore viene cambiato di frequente.

Alcune anime vorrebbero tale cambiamento solo per la curiosità di conoscerne un altro. Questo accade particolarmente quando un direttore continua a ripetere gli stessi consigli spiacevoli per la natura dell’anima guidata. Altre invece desiderano cambiare per personale instabilità, superbia, una certa scontentezza permanente  per quello che hanno, per il desiderio di aprirsi ai vari confessori, volendo attirare attenzione, per vergogna o semplicemente per nascondere al confessore  alcune debolezze umilianti. Questi sono motivi non validi e bisogna combatterli, 
se si vuole progredire con coerenza e costanza nella vita spirituale.           

La Chiesa sempre di più insiste sulla libertà dell’anima nella scelta del confessore. Le opinioni però variano, fino a non riconoscere la direzione spirituale e a rigettare le sue condizioni. Chi non riconosce la direzione spirituale, rifiuta il progresso spirituale e allo stesso modo la santità, perché solo in casi eccezionali, quando vengono a mancare i direttori, lo stesso Dio diventa il padre spirituale delle anime elette.

Quando ci sono le ragioni sufficienti per cambiare il direttore, non bisogna ritardare ad andare da un altro.Tale ragioni possono essere seguenti: quando, nonostante gli sforzi, non siamo in grado di avere rispetto, di essere aperti e fiduciosi nei confronti del direttore, perché allora sarebbe  impossibile usufruire dei suoi consigli, quando veniamo a sapere che il direttore ci allontana dalla perfezione a causa delle sue idee troppo mondane, oppure per la sua simpatia troppo vivacemente visibile, con prove palesi in alcune circostanze; quando siamo sicuri che al direttore mancano scienza, prudenza e previdenza necessarie. Per poter cambiare il direttore non occorre sapere che le nostre accuse sono giuste od ingiuste, basta che ci portano danno.

Queste riflessioni mi sono venute in mente all’approssimarsi della ricorrenza della festa di Cristo Re. Condividendole insieme a voi, vi auguro che Cristo, tramite i direttori spirituali, regni nei cuori degli adoratori della Misericordia e a loro doni la Sua benedizione.

Don Michal Sopocko


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