capitolo tredicesimo É TEMPO DI PENTIMENTO

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MARIOCAPALBO
00martedì 7 febbraio 2012 18:45

chiesa e rinnovamento

capitolo tredicesimo

É TEMPO DI PENTIMENTO

 

 

Oggi la situazione della Chiesa è talmente grave che la risposta appropriata deve essere radicata in un pentimento profondo ed in un ritorno a Dio. Noi tutti, sia come individui sia come Chiesa, dobbiamo pentirci e orientarci nel modo più incondizionato verso Dio.

 

            Ciascuno deve affrontare la propria situazione individuale e ricercare il pentimento in conformità. Tutti in pratica, in un modo o nell'altro, abbiamo accettato e tollerato il falso insegnamento, le mezze verità, il comportamento peccaminoso in noi stessi e in coloro di cui siamo stati responsabili. E poiché insieme formiamo il Corpo di Cristo, le nostre vite sono intrecciate: per la nostra situazione comune abbiamo una responsabilità comune. I veri riformatori di solito l'hanno identificata, in senso quanto mai reale, con i "peccati del popolo." La giustizia e la santità personali non sono in se stesse sufficienti per una riforma totale: c'è bisogno anche del pentimento collettivo. Poiché Dio si occupa di noi sia come individui sia come popolo, dobbiamo rispondere ad entrambi i livelli.

 

            La preghiera di Neemia di fornisce un esempio di come le dimensioni individuale e collettiva si mescolano in un'unica preghiera di pentimento da parte del riformatore:

 

O Signore, Dio del cielo, Dio grande e tremendo, che mantieni la Tua alleanza di misericordia verso coloro che Ti amano e che osservano i Tuoi comandamenti, siano attenti i Tuoi orecchi e i Tuoi occhi aperti per ascoltare la preghiera che io, tuo servo, ora offro alla Tua presenza giorno e notte per i Tuoi servi gli israeliti, confessando i peccati che noi israeliti abbiamo commesso contro di Te, me incluso e la casa di mio padre. Ti abbiamo offeso gravemente non osservando i Tuoi comandamenti, gli statuti e le ordinanze che hai affidato a Mosè, Tuo servo. Ma Ti prego, ricordati della promessa che hai fatto tramite Mosè, Tuo servo, quando hai detto: "Se sarete infedeli, Io vi disperderò tra le nazioni; ma se ritornerete a Me e osserverete con attenzione i Miei comandamenti, anche se i vostri esiliati sono stati portati alle estremità della terra, Io da là li radunerò e li ricondurrò al luogo che ho scelto quale dimora per il Mio nome. (Neemia, 1, 5-9)

 

            Per poter tornare a Dio nel pentimento individuale e collettivo, dobbiamo prima risolvere la problema della "colpa". Come abbiamo già discusso, spesso oggi siamo talmente interessati ad accertare il grado di colpevolezza soggettiva da non affrontare mai adeguatamente, arrivando persino a trascurarle, le azioni oggettivamente sbagliate e sleali. Il profeta Geremia ha parlato di una simile trascuratezza del male oggettivo:

 

A chi parlerò? Chi scongiurerò perché mi ascolti?

            Ecco, il loro orecchio non è circonciso, sono incapaci di prestare attenzione;

Ecco, la parola del Signore per loro è diventata oggetto di scherno; non la gustano...

Perché il piccolo e il grande allo stesso modo, tutti sono avidi di guadagno;

profeti e preti, tutti praticano la frode,

Vorrebbero rimediate come se fosse nulla, l'ingiuria fatta al Mio popolo:

Dicono: "Pace, pace!", sebbene non vi sia pace.

Sono odiosi; hanno commesso cose abominevoli,

ma non si vergognano affatto, non sanno neppure arrossire.

Per questo saranno tra coloro che cadono; alla loro ora della punizione, cadranno,

dice il Signore. (Ger 6,10; 13-15)

 

            In molti casi è praticamente impossibile accertare il grado soggettivo di responsabilità. Il rimedio sta nel fare del problema della colpa un apprezzamento subordinato, lasciando il giudizio a Dio. La nostra attenzione dovrebbe centrarsi solo sulla natura oggettiva del nostro modo di pensare e di agire e sulle loro conseguenze oggettive. La colpevolezza soggettiva non è neppure un giudizio che spetta agli uomini. Esso spetta a Dio, e come dice la Sua Parola: "Quando un uomo sa cosa è giusto fare e non lo fa, commette peccato." (Gc 4,17)

 

            Credo sia giunto il momento di smettere di giustificare con le scuse un comportamento oggettivamente sbagliato: "Non lo sapevo;" "Non avevo una preparazione sufficiente;" "Lo facevano tutti, e pareva che la Chiesa avesse cambiato il suo insegnamento;" "Mi resta difficile affrontare situazioni di conflitto, perciò ho seguito la corrente;" ecc. Lasciamo pure il problema nelle mani di Dio! Ma ora è giunto il momento di smetterla di investire le nostre energie nell'imbiancare muri che si stanno sgretolando e cominciare invece la ricostruzione dalle fondamenta, sulla base di un ritorno completo e generoso a Dio e alla Sua Parola.

 

Perché fanno traviare il Mio popolo dicendo: "Pace!" Quando non vi è pace, e perché mentre uno costruisce un muro, essi lo coprono di intonaco, dì allora agli imbianchini: "Farò scendere una pioggia torrenziale; cadrà una grandine grossa e si scatenerà un uragano. E quando il muro sarà caduto, non vi sarà forse chiesto: "Dov'è la calce con cui l'avete intonacato?" (Ez 13, 10-12)

 

É il momento di smetterla di far eco ai falsi profeti che dicono: "pace, pace," dove pace non è, e che confermano la gente in una vita di peccato, di tiepidezza e di corruzione.

 

Ma tra i profeti di Gerusalemme ho visto cose ancora più sconcertanti:

Adulterio, una vita di menzogne, parteggiare coi malfattori,

sì che nessuno si converte dal male...

Perché dai profeti di Gerusalemme l'empietà si è sparsa in tutto il paese...

Essi dicono a coloro che disprezzano la Parola del Signore: "Voi avrete la pace" ;

E a quanti seguono la caparbietà del loro cuore: "Non vi coglierà alcun male,"....

Se fossero rimasti nel Mio consiglio, e avessero proclamato al Mio popolo le Mie parole,

Li avrebbero distolti dalle loro vie perverse e dalle loro azioni malvagie.

(Ger 23,14; 15b; 17; 22)

 

            La Scrittura ci insegna ad accettare la responsabilità per il male commesso - che si tratti di male attivo o passivo, di un'azione o di un'omissione - e di lasciare nelle mani di Dio le dispute riguardanti la gravità della colpa. Come Chiesa e come individui, dobbiamo affrontare integralmente la presente situazione di tiepidezza e di generalizzata infedeltà e cercare Dio nel pentimento, affinché ci conceda misericordia e perdono. Poiché al presente la nostra situazione è sotto il giudizio.

 

Ecco, Io mando la sventura contro questo popolo,

il frutto dei loro schemi,

Perché non hanno prestato ascolto alle Mie parole,

             ed hanno disprezzato la Mia legge ...

Ecco, metterò davanti a questo popolo degli ostacoli che li faranno cadere;

Padri e figli allo stesso modo, vicini ed amici periranno ...

Ecco, un popolo viene da un paese del settentrione,

sorge una grande nazione sorta dall'estremità della terra.

Impugnano archi e lance, sono crudeli, senza pietà.

Il loro clamore è come quello di un mare agitato mentre cavalcano i loro destrieri,

Ognuno al suo posto per la battaglia contro di te, figlia di Sion ...

Figlia del Mio popolo, vestiti di sacco e rotolati nella cenere.

Fa lutto come per un figlio unico, lamentati amaramente,

Perché piomberà improvviso il distruttore sopra di noi (Ger 6, 19-23; 26).

 

            Il fatto è che milioni di cattolici uomini e donne, che si trovano sotto la responsabilità della Chiesa mediante il battesimo, vivono una vita che reca grave offesa a Dio e grave ingiuria agli uomini loro fratelli - una vita di adulterio e di fornicazione, di avidità e di lussuria, di stregoneria e di idolatria, d'ira e di odio, di gelosia, omicidio, omosessualità, disobbedienza ai genitori, oppressione dei poveri. Molti cercano di servire sia Dio sia il denaro, mescolano l'adorazione di Dio con l'invocazione degli spiriti cattivi, l'amore a Dio con l'odio verso gli uomini. Tra quanti esercitano delle responsabilità pastorali nella Chiesa vi sono genitori, preti e vescovi che agiscono come falsi profeti, assicurando l'innocenza dove in realtà esiste la colpa; come falsi sacerdoti che non insegnano più realmente la Parola di Dio, che non distinguono più il puro dall'impuro, il sacro dal profano; come falsi pastori, il cui peccato di negligenza e di passività ha permesso la dispersione del gregge, preda di bestie feroci che ora ruggiscono a volontà tra le pecore disperse "cercando qualcuno da poter divorare".

 

            Per noi, come Chiesa e come individui, la sola risposta appropriata a questa situazione è un pentimento profondo e completo; date le desolanti condizioni del popolo di Dio, i problemi dei gradi di colpa sono secondari. Dobbiamo valutare la nostra situazione, non secondo lo standard di "come è sempre stato", oppure di qual è la "norma statistica", ma secondo la norma della Parola di Dio, il suo standard e i suoi criteri, com'è chiaramente espresso nella Scrittura e nell'insegnamento della Chiesa.

 

            Secondo questo standard, abbiamo un bisogno immenso della Sua misericordia e del Suo perdono, un bisogno enorme di pentimento.  

 

Preparazione al pentimento

 

 

            Per non considerare "come se fosse nulla l'ingiuria fatta al Mio popolo" (Ger 6,14), dobbiamo accostarci al pentimento sia come individui, sia come Chiesa, considerando attentamente la nostra infedeltà davanti a Dio.

 

            Dobbiamo considerare non solo le cose fatte oggettivamente, ma anche la preoccupante natura di quanto abbiamo omesso di fare. Le nostre mancanze hanno permesso al male di fiorire e alla Chiesa di corrompersi. "Quando una persona sa cos'è giusto fare e non lo fa, commette peccato." (Gc 4,17).

 

            Dobbiamo considerare non solo il male commesso, ma anche il "bene" fatto, ma che non rientrava nella volontà di Dio. Cosa abbiamo fatto sotto l'impulso della "carne", dei desideri "dell'uomo naturale" e che in realtà è stato di ostacolo al piano di Dio per il Suo popolo? Talvolta persino alcune attività cristiane all'apparenza assai "meritevoli" possono essere al di fuori della volontà di Dio.

 

Non chiunque mi dice: 'Signore, Signore,' entrerà nel regno di Dio, ma solo chi fa la volontà del Padre mio che è in cielo. Quando verrà quel giorno molti mi diranno: "Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel Tuo nome? Non abbiamo esorcizzato i diavoli col Tuo potere? Non abbiamo compiuto anche molti miracoli nel Tuo nome?" Ma Io allora vi dichiarerò solennemente: "Non vi ho mai conosciuti. Allontanatevi da Me voi, operatori di iniquità!" (Mt 7, 21-23).

 

            Quanta parte di ciò che è stato fatto in nome del "rinnovamento" della Chiesa, non è stato altro che il prodotto del pensiero e dell'entusiasmo "naturale" dell'uomo - e non la volontà di Dio, - e quindi non ha portato frutto duraturo, non ha prodotto vita? Quanto di ciò che sembrava un "servizio" fatto a Dio, è stato invece disobbedienza, la manifestazione del fallimento nel ricercare Dio, nel conoscere veramente Lui, la Sua volontà, la Sua Parola? Quanta della nostra attività è stata in diretta contraddizione con la volontà di Dio e con le Sue vie?

 

            Quante volte ci siamo "indaffarati per molte cose" - molte cose buone e utili - dimenticando "l'unica cosa necessaria," e cioè l'ascolto impegnato di Dio, la conoscenza della Sua Parola, il fare la Sua volontà?

            Di tutto questo dobbiamo accettare la responsabilità e chiedere perdono, nella misura appropriata a ciascuno.

            Esaminiamo ora alcuni campi particolari che ci aiuteranno ad avvicinarci al pentimento.

 

Nella nostra vita personale. Ecco alcune domande da porsi:

            Mi sono lasciato sedurre dal falso insegnamento? Ho bramato credere a delle cose per soddisfare il desiderio della mia carne, per soddisfare le bramosie delle mie orecchie?

            Ho desiderato ardentemente ascoltare maestri e consulenti che mi dicessero ciò che volevo sentire?

            Mi sono servito della "libertà" della Chiesa postconciliare come occasione per soddisfare le voglie della carne?

            Ho permesso che il mio pensiero e la mia azione si formassero sulla base della cultura contemporanea in modo tale da soffocare la mia vita e la mia relazione con Dio e da oscurare la mia mente cristiana?

            Avery Dulles ci ricorda che se ci confronteremo con la prospettiva eterna, potremo essere aiutati a ricevere la rivelazione di come abbiamo illecitamente adottato il pensiero del mondo:

 

Suppongo che tra i cristiani siano in pochi ad affermare che la questione della vita oltre la morte è marginale o irrilevante ... eppure si ha l'impressione che molti agiscano come se credessero che la sola salvezza degna di considerazione debba essere raggiunta in questo mondo prima della morte, e se non da noi personalmente, per lo meno da qualche generazione futura. Il solo esercizio di chiederci se approviamo questo modo di pensare può risultare micidiale. Una volta riaffermata esplicitamente l'interpretazione cristiana della salvezza, vedremo l'ambiguità del nostro precedente comportamento. Siamo messi in guardia dalle apparenti conseguenze dei nostri silenzi ed omissioni, dei nostri entusiasmi e monotonie, delle approvazioni e disapprovazioni. Nella nostra vita e in quella di cristiani le cui professate credenze sono ineccepibilmente ortodosse, spesso troviamo l'evidenza di una tacita eresia.[1]

 

            Quando viene oscurata la prospettiva eterna della Parola di Dio ben presto la moralità, la spiritualità e la missione cristiana, diventano più vulnerabili alle pressioni della cultura contemporanea. Anche Giovanni Paolo II ha attirato la nostra attenzione verso questa vitale prospettiva eterna, e nell'accostarci al pentimento faremmo bene a meditare le sue parole:

 

Il cristianesimo è un programma pieno di vita. Messo a confronto con l'esperienza quotidiana della morte, di cui la nostra umanità è partecipe, ripete incessantemente: "Credo nella vita eterna." In questa dimensione della vita si trova la realizzazione finale dell'uomo in Dio stesso: "Sappiamo che ... saremo come Lui, poiché lo vedremo come Egli è." (1 Gv. 3,2)[2]

  

   Ovviamente Gesù non elimina la consueta sollecitudine e ricerca del pane quotidiano e di quanto possa contribuire al progresso della vita umana, ad un suo più alto grado di civiltà ed a renderla più appagante Ma la vita ineluttabilmente passa. Gesù ci indica che il vero significato della nostra esistenza terrena sta nell'eternità, e che l'intera storia umana coi suoi drammi e le sue gioie va considerata nella prospettiva dell'eternità.[3]

 

   Gesù, parlando del regno dei cieli, desidera insegnarci che l'esistenza umana ha valore solo nella prospettiva della verità, della grazia e della gloria futura. Ogni cosa va accettata e vissuta con amore e per amore nella realtà escatologica da Lui rivelata: "Vendete quello che avete e datelo in elemosina; rifornitevi di borse che non invecchiano, di un tesoro nei cieli che non verrà a mancare." (Lc. 12,33).[4]

 

            Poiché il comportamento moralmente sbagliato spesso inizia dal momento in cui la nostra comprensione di base della verità cristiana si fa incerta e la nostra limpida prospettiva eterna si oscura, ci dobbiamo chiedere:

 

            Ho fatto cose moralmente sbagliate, non importa con quali razionalizzazioni o chi mi ha detto che erano giuste?

            Col mio esempio e col mio incoraggiamento attivo, o col silenzio e con la passività, ho portato altri a credere e a fare cose sbagliate?

 

Il nostro "insegnamento."  Oltre alla revisione del modo in cui abbiamo vissuto, dobbiamo esaminare anche la fedeltà del nostro insegnamento. Si insegna in molti modi - in modo informale e formale, direttamente e delegando altri.

            Ho insegnato fedelmente e completamente il vangelo del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo, secondo l'interpretazione dei maestri e insegnanti ufficiali della Chiesa Cattolica? Oppure ho insegnato le opinioni di uomini come Parola di Dio?

            Ho "confermato" la gente nel loro orgoglio, nel loro senso di autosufficienza e di "autonomia", anziché portarli a sottomettersi a Dio e alla Sua Parola?

            Ho presentato un miscuglio della Parola di Dio e del "pensiero corrente della comunità accademica", che poi ha lasciato la gente confusa e incerta?

            Il mio insegnamento, o quello di chi ho delegato, (nella scuola dei miei figli, nei seminari o nei programmi di istruzione religiosa) ha portato la gente ad abbandonare il peccato e a vivere una vita di purezza e di santità, di zelo e di dedizione? Oppure il mio insegnamento ha comunicato, in maniera subdola, un certo cinismo riguardo alla possibilità di conoscere la Parola di Dio con una qualsiasi certezza, e quindi alla possibilità di vivere in maniera entusiasta ed eroica?

 

            A questo punto può essere utile meditare sulle riflessioni di un gruppetto di vescovi europei che hanno cominciato a riconoscere il modo in cui parte della "saggezza di questo mondo" può aver parzialmente oscurato il loro insegnamento:

 

Molte nostre decisioni e credenze sono collegate a un'antropologia influenzata dalle correnti filosofiche contemporanee, per le quali il fenomeno della "secolarizzazione" ha lasciato un marchio irreversibile sull'uomo moderno. Ora, quelle convinzioni non vanno forse relativizzate da questo rinnovamento del trascendente, che ci ricorda come ogni antropologia che dimentichi la dimensione spirituale dell'uomo è un'antropologia tronca? ... E non dobbiamo forse valutare alcuni dei nostri metodi di approccio, affinché il nostro parlare di Dio non si esaurisca semplicemente in una modalità astratta e razionale che purtroppo talvolta contraddistingue le nostre dichiarazioni e pubblicazioni?[5]  

 

Le sfere della nostra responsabilità 

 

            Dobbiamo anche esaminare come ci siamo comportati nelle nostre sfere di responsabilità, che sono più vaste della nostra vita e del nostro esempio personale, e perfino del nostro insegnamento.

 

            La maggior parte di noi ha una sfera definita di responsabilità per la vita di altri, al di là della nostra vita e del nostro esempio personale. I genitori ad esempio, in una certa misura sono responsabili della vita dei figli. I figli più grandi fino ad una data misura sono responsabili della vita dei più piccoli. In parrocchia i sacerdoti hanno una notevole responsabilità per la vita morale e spirituale dei parrocchiani. I leader di ordini religiosi hanno una rilevante responsabilità per la vita personale ed il servizio di quanti sono nell'ordine. I vescovi sono responsabili della salute globale, morale e spirituale, e della solidità di insegnamento nella loro diocesi, e assieme ad altri vescovi sono responsabili delle loro regioni, dei loro paesi, e del mondo.

 

            In pratica, tutta l'infedeltà di massa, il falso insegnamento e la corruzione morale e spirituale negli anni dopo il Concilio si sono verificati in situazioni per le quali altri hanno la responsabilità pastorale. In molte di queste situazioni, chi sta in posizione di responsabilità ha fatto poco per impedire che il male dilagasse, oppure si è solo pigramente lamentato della situazione, come fece Eli coi suoi figli. Quelle persone hanno mancato di esercitare la responsabilità e di usare in modo efficace la loro autorità.

            Nel pentirci, dobbiamo considerare da vicino in che modo ci siamo scaricati delle responsabilità che Dio ci aveva affidato nelle sfere di nostra competenza.

 

Riguardo alla gente. Ho permesso che la gente di cui sono responsabile fosse esposta al falso insegnamento?

            Ho permesso a coloro di cui sono responsabile di accettare l'insegnamento falso e di promulgarlo?

            Sono rimasto passivo di fronte all'immoralità senza pentimento nella vita di queste persone?

            Sono stato sufficientemente in contatto con la vita di quelli di cui sono responsabile, tanto da sapere cosa pensano e cosa fanno, e poterli così "pascere" con efficacia?

 

Riguardo alle istituzioni e ai programmi. Molti di noi sono responsabili di istituzioni, programmi o comunità. Ciò include le famiglie, le scuole, il catechismo, i programmi di istruzione per adulti, i curricoli dei seminari e le istituzioni diocesane. Dobbiamo porci delle domande riguardo al nostro servizio o sorveglianza anche di queste cose.

 

            Ho permesso alla mia famiglia (seminario, diocesi, ecc.) di diventare tiepida, trascurata nella fede?

            Ho tollerato l'insegnamento ed i consigli morali ambigui nella mia istituzione?

            Ho sorvolato sulle credenze e sulle pratiche infedeli e sleali?

            Ho insegnato con chiarezza, o fatto in modo di insegnare con chiarezza:

 

            - Il piano di salvezza di Dio;

- L'insegnamento della Chiesa sulla moralità sessuale;

- Le importanti differenze tra cristianesimo e religioni non cristiane.

- l'autorità della Scrittura, della tradizione e l'autentica autorità del magistero della Chiesa?

 

            I responsabili di istituzioni in particolare dovrebbero porsi le seguenti domande:

            Ho seguito il sentiero della "minor resistenza" ed associato alla mia facoltà persone ambigue nella vita e nell'insegnamento cristiano, solo perché non vi era nessun altro disponibile?

            L'esistenza nel tempo della mia istituzione è forse più importante della sua costante fedeltà a Dio? 

 
MARIOCAPALBO
00martedì 7 febbraio 2012 18:46

La responsabilità davanti a Dio  

 

            Tutti dobbiamo rispondere a Dio di come ci siamo presi cura di quanto ci ha affidato, che si tratti di persone, di istituzioni, delle nostre famiglie, di studenti, di altre persone e della nostra vita e del nostro esempio personale. Come abbiamo visto, la Scrittura insegna chiaramente che ogni cristiano deve rendere conto di come ha vissuto davanti a Dio. La Scrittura afferma inoltre che per coloro ai quali è stata affidata la responsabilità pastorale ci sarà una resa speciale dei conti.

 

            Giovanni Paolo II manifesta la propria consapevolezza di questa responsabilità davanti al Signore nel suo impegno straordinario a invitare alla conversione e alla santità di vita la sua diocesi di Roma. In un discorso rivolto agli studenti del Collegio Pontificio Irlandese, parlò proprio della consapevolezza di una simile responsabilità davanti a Dio:

 

Per il fatto che vivete a Roma, la diocesi di cui devo personalmente render conto al Signore, capirete con quanto ardore io desideri che Cristo venga formato in voi. (cf. Gal 4,19)[6]

 

            Abbiamo già esaminato come il Signore abbia ritenuto Eli responsabile per non aver esercitato una disciplina efficace verso i figli (1 Sama. 2, 12-36). Abbiamo anche visto come lo Spirito ammoniva le prime comunità cristiane perché tolleravano le infedeltà in mezzo a loro (Ap 3,12-23). Riflettiamo ora in maniera specifica sulle aspettative di Dio riguardo a chi ha delle responsabilità pastorali, particolarmente in relazione al ruolo profetico e pastorale condiviso fino ad una certa misura da quanti sono in posizione di autorità tra il popolo di Dio.

 

            Il fatto di non esercitare nel modo appropriato la funzione di insegnare e di avvertire che Dio ci ha affidato, significa correre il rischio di essere ritenuti responsabili delle possibili conseguenze di quella passività.

 

Figlio dell'uomo, ti ho posto a sentinella della casa di Israele; quando Mi sentirai dire qualunque cosa, dovrai avvertirli da parte Mia. Se dico al malvagio che certamente morirà, e tu non parli per dissuadere il cattivo dalle sue vie, lui (il malvagio) morirà per la sua colpa, ma Io riterrò te responsabile della sua morte. Ma se tu ammonirai il malvagio, cercando di allontanarlo dalla sua malvagità, ed egli si rifiuta di abbandonare le sue vie, egli morrà per la sua colpa ma tu ti salverai. (Ez 3, 17-19).

 

            Oggi tutti i genitori, gli insegnanti, i preti, vescovi, direttori dell'istruzione religiosa, rettori di seminario, presidenti di reparti teologici e di università - tutti condividiamo questo ruolo di "guardiani" e di "sorveglianti". La conseguenza per non avere svolto con efficienza questo ruolo sarà quella di essere ritenuti responsabili del male fatto sotto la nostra responsabilità.

 

            L'accorata valutazione di Gesù che sarebbe meglio essere gettati in mare con una macina al collo piuttosto che permettere che dei credenti semplici vengano corrotti, ci indica i Suoi sentimenti verso chi porta - o permette che altri portino - fuori strada i suoi "piccoli".

 

            Se la responsabilità principale in questi campi ricade su coloro cui è stata data autorità in vari campi della vita - e cioè genitori e leader della Chiesa ad ogni livello - in un certo senso ogni cristiano, in virtù del fatto di essere tale, ha la responsabilità di respingere il falso insegnamento e l'immoralità, anche quando non siamo direttamente responsabili. Siamo interessati al benessere gli uni degli altri solo in virtù del battesimo; siamo tutti fratelli e sorelle in Cristo. Spesso è conveniente che dei cristiani ordinari parlino direttamente alle persone coinvolte nella corruzione della fede, e che sottopongano il problema all'attenzione delle autorità appropriate - genitori, pastori, vescovi o superiori religiosi. Se l'autorità immediata non dà una risposta soddisfacente, spesso è opportuno recarsi dalla prossima autorità superiore. Ad un certo punto, questioni del genere devono esser lasciate al giudizio dell'autorità appropriata, che a sua volta dovrà rispondere a Dio della situazione. Nell'esercitare questo livello di base della responsabilità unicamente in virtù del fatto che siamo dei "cristiani coinvolti", è importante agire con rispetto e apertura alla possibilità di non percepire la situazione nel modo giusto, oppure che in essa vi sia più di quanto riusciamo a vedere. Allo stesso tempo, quando è in gioco una vera corruzione di verità e di vita, lavorare con insistenza e diligenza per portare il problema all'attenzione delle autorità relative è un servizio valido alla Chiesa intera ed al Signore.

 

            Nel presentarci al Signore e riflettere sulla Parola che Egli ci rivolge, nel misurare la nostra vita e la rimozione delle nostre responsabilità verso la Sua Parola, il passo seguente sarà quello di convertirci sinceramente a Dio nel pentimento. Esaminiamo ora alcuni degli elementi che riguardano un pentimento autentico.

 

Ricevere il perdono. Il perdono va ricercato in modo specifico, e non solamente presunto. Se ci pentiamo e riconosciamo il nostro peccato verso Dio e verso coloro ai quali abbiamo fatto dei torti, possiamo esser certi che Dio e quanti obbediscono alla Sua parola ci perdoneranno. Ciò nondimeno, il perdono va ugualmente ricercato, e quindi ricevuto come dono, non con presunzione.

 

Il dolore dei peccati. Quando riconosciamo i nostri peccati ed infedeltà e ci rivolgiamo a Dio per confessarli e chiedere perdono, è giusto manifestare il dispiacere. Questo infatti è parte fondamentale del pentimento sia individuale che collettivo. Nel passato, quando fu "riscoperta" la Parola di Dio ed il popolo di Dio tornò a misurare la propria vita su quella base, il pentimento includeva spesso un'adeguata manifestazione del dolore per i peccati e per le infedeltà commesse.

 

            Il fondamento di un dolore sincero consiste nel riconoscere contro chi abbiamo peccato, e le conseguenze che quella nostra infedeltà  ha provocato sia al mondo sia alla vita della gente. Il dolore del peccato non deve per forza essere radicato in una risposta emotiva: dobbiamo solo riconoscere il male commesso, e che è giusto esprimere dolore per quel male. In altre parole, non dobbiamo aspettarci che scaturiscano determinate emozioni prima di poter esprimere il dolore dei peccati, ma scegliere semplicemente di esprimerlo in modi diversi. Per molte persone i sentimenti di afflizione saranno una componente abituale di tale espressione; spesso il popolo di Dio, quando è tornato a Lui, ha lasciato spazio al "lutto e al pianto". Ad esempio, quando Esdra radunò il popolo per leggergli la Parola di Dio, questo scoppiò in un pianto dirotto perché vedeva quanto nella vita si fosse allontanato da Dio, sia come individui che come popolo (Neemia 8). In un'altra occasione, quando Esdra venne a sapere dell'infedeltà del popolo - inclusi i leader che si erano sposati con donne delle nazioni confinanti, adottandone le pratiche - cominciò a piangere e a addolorarsi, pregando e digiunando per il popolo:

 

Mentre Esdra pregava e riconosceva la loro colpa, piangendo e prostrandosi davanti alla casa di Dio, si radunò intorno a lui un'assemblea molto numerosa di israeliti, uomini, donne e fanciulli; e il popolo piangeva a dirotto (Esdra 10.1).

 

            Ai tempi di Esdra e di Neemia, il riconoscimento del peccato e l'espressione del dolore erano elementi essenziali del processo di restaurazione del popolo di Dio verso una relazione più intima e più fedele con Lui. Oggi, mentre Giovanni Paolo II è all'opera per restaurare la Chiesa nella fede, nella morale e nella missione, ha valore la stessa cosa: dobbiamo riconoscere il peccato ed esprimere un adeguato dolore, sia come individui sia come popolo.

 

Portare i frutti del pentimento. Quando le folle venivano da Giovanni Battista esibendo una parvenza di pentimento, egli le esortava a manifestare l'evidenza del cambiamento del cuore con azioni e cambiamenti concreti nella loro vita. (cf. Mt. 3,8).

            Ecco l'espressione richiesta ad ogni pentimento sincero: il comportamento illegale deve cedere il passo a quello giusto. Se vogliamo sia riparato il danno derivante dalla nostra azione sbagliata  o dall'azione mancata, spesso sono necessari anche atti di riparazione specifici.

 

La riparazione del danno. "Ripareranno, come se non fosse niente, l'ingiuria fatta al mio popolo" (Ger 6,14).

            Il pentimento deve essere profondo. Deve assumersi la responsabilità del male fatto e cercare di ripararne il danno e di rimettere le cose a posto. Come il pentimento del furto è autentico solo se include la restituzione della proprietà rubata, e il pentimento della calunnia non si può dire autentico senza l'impegno a restaurare la reputazione della parte oltraggiata, anche il pentimento verso Dio si esprime nella riparazione e nella restituzione in tutte le sue dimensioni.

 

            Dove abbiamo seminato il dubbio, o abbiamo permesso che fosse seminato, dobbiamo seminare certezza. Dove abbiamo prodotto ambiguità o permesso che questa fiorisse, dobbiamo restaurare la chiarezza. Dove abbiamo permesso che crescesse il cinismo sulle cose di Dio, questo va sostituito con la sincerità e la purezza di cuore. Nella misura in cui abbiamo permesso che la Parola di Dio e le Sue vie venissero distorte, trascurate o rinnegate nella nostra sfera di responsabilità, dobbiamo provvedere affinché la Parola di Dio venga restaurata.

            Che si tratti di famiglie, di parrocchie, diocesi, scuole, seminari, case editrici, ordini religiosi - dovunque la nostra passività pastorale o la mancanza di coraggio e di disciplina abbiano permesso che la Parola e il popolo di Dio fossero corrotti - lì si dovrà provvedere ed intervenire affinché siano messi in atto la restaurazione e il pentimento. Se alla nostra gente abbiamo raccomandato libri ingannevoli, dobbiamo fare l'opera contraria. Se che nella nostra istituzione abbiamo tollerato maestri che non presentavano fedelmente la Parola di Dio secondo l'interpretazione della Chiesa, dobbiamo provvedere e portare quelle persone al pentimento;  e se non si pentiranno, licenziarle. Se abbiamo permesso situazioni che minano la vita cristiana comunitaria della nostra famiglia, parrocchia o diocesi, dobbiamo fare qualcosa per cambiarle.

 

Un "fermo proposito di emendamento". Un altro prerequisito del pentimento sincero è ciò che la tradizione ha chiamato "fermo proposito di emendamento." Ciò significa essere ben determinati a fare quei passi per garantirci  di non ripetere quelle l'infedeltà o l'abdicazione dalle nostre responsabilità. Dobbiamo combattere la nostra debolezza, cambiare le nostre circostanze e fare qualunque altra cosa sia necessaria per adempiere fedelmente alla nostra responsabilità di "guardiani" e "pastori", per noi stessi e per il popolo di Dio.

 

            Molti di quanti oggi occupano posizioni di responsabilità pastorale nella Chiesa hanno semplicemente mancato di prendere alcune decisioni o di stabilire le circostanze che ci forniranno l'equipaggiamento necessario a portare a termine i nostri doveri di fedeltà a Dio. Credo sia praticamente impossibile essere un cristiano responsabile senza fare spazio, nella nostra vita di ogni giorno, alla preghiera e ad una solida lettura spirituale, senza lo studio della verità cristiana e il contatto con altri che pure vogliono vivere una vita cristiana piena di fervore, e servire fedelmente Dio. Prendersi il tempo per il Signore, per lo studio della Sua Parola e per il contatto regolare in un gruppo di sostegno con altri cristiani zelanti, manifesta il tipo di "fermo proposito di emendamento" richiesto da un pentimento sincero.

 

            É poi necessario che queste attività siano completate dalla decisione di eliminare dalla nostra vita quei contatti e situazioni che portano a diventare tiepidi ed infedeli nel servire Dio. Tutti dobbiamo discernere i punti in cui l'opera del mondo, della carne e del diavolo ci ha portati al peccato e all'infedeltà. Quindi prendere le misure necessarie per rinunziare alle opere specifiche del diavolo, crocifiggere la carne e diventare crocifissi al mondo, e così poter vivere interamente per Dio. L'atmosfera di mondanità, di sensualità e il cinismo che oggi spesso pervade molta gente, persino nei posti di leadership nella Chiesa, va ripudiata. Al suo posto deve regnare un'atmosfera di bontà, di purezza e di amore di Dio.

 

            C.S. Lewis ha messo il dito sul tipo richiesto di "separazione" dal mondo, se il cristiano vuol essere davvero fedele a Dio e realmente capace di servire il mondo secondo le Sue intenzioni:

 

Ogni attento lettore dei Salmi avrà notato che essi parlano duramente non solo quando siamo noi a fare il male, ma anche riguardo a qualcos'altro. Nel Salmo 26,4 l'uomo buono non è solo libero dalla "vanità" (falsità), ma non ha neppure "indugiato" in essa, né è stato in rapporti intimi con quelli che sono "vani". Li ha "odiati" (5) ... Nel Salmo 50,18 Dio biasima un uomo non perché era un ladro ma perché ha "accettato" un ladro. ... Non perché siamo "troppo buoni" per loro, ma si può dire perché non siamo buoni abbastanza. Non siamo abbastanza buoni per affrontare tutte le tentazioni, non abbastanza intelligenti per affrontare tutti i problemi prodotti anche in una sola serata passata in una simile società. La tentazione è quella di condonare, di essere conniventi; con le parole, le occhiate e le risatine, "essere consenzienti" .... "Non ci indurre in tentazione" spesso significa, tra le altre cose, "Negami quegli inviti gratificanti, quei contatti interessanti al massimo, la partecipazione a quei brillanti movimenti della nostra epoca che tanto spesso, ad un simile rischio, io desidero."[7]

 

            Oggi spesso la mancanza di una vera comunità cristiana nella Chiesa, l'assenza di un autentico sostegno cristiano e l'isolamento personale di molte persone in posizioni di comando, promuovono una vulnerabilità alla tentazione e all'infedeltà che va affrontata e cambiata. Quindi, per chiunque oggi voglia vivere come servo fedele di Cristo, diventa essenziale la ricerca di un adeguato sostegno cristiano e, per molti, può essere proprio quello il frutto vitale di un pentimento autentico.

 

 

 



[1] Avery Dulles, S.J., "Unmasking Secret Infidelities: Hartford and the Future of Ecumenism," Against the World, for

the World, ed. Peter Berger and Richard Neuhaus (New York: Seabury Press, 1976), pp. 59-60.

[2] LOR (3 Dicembre, 1979), p. 14, omelia, 1 Novembre, 1979.

[3] LOR (20 Agosto, 1979), p. 3, Messa per un Centro Italiano di Solidarietà

[4] LOR (27 Agosto, 1979), p. 3, Messa per le sorelle religiose.

[5] Valutazione del sottogruppo episcopale che studia il rinnovamento carismatico presentata al Segretariato Generale

dell'Episcopato Francese, Circolare 1979-4 (15 Febbraio, 1979), p. 2.

[6] LOR (4 Febbraio, 1980), p. 5, discorso al Collegio Pontificio Irlandese, 13 Gennaio 1980.

[7] C.S. Lewis, 'Reflections on the Psalms' (New York: Harcourt, Brace & World, 1958), pp. 66, 72, 74.

 
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