Santa Teresa di Calcutta Agosto

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MARIOCAPALBO
00domenica 11 settembre 2016 20:33
OTTAVO MESE

1. L'amore di Cristo per noi lo condusse al Getsemani e al Calvario, e il peccato fu la causa di tutto ciò, i nostri peccati e i peccati del mondo. Il peccato porta a questo tuttora. Se fossimo puri come gli angeli e buoni come i santi non vi sarebbe bisogno delle Missionarie della Carità. Dio non è amato e onorato come dovrebbe dalla stirpe che Egli ha innalzato alla sublime dignità di figli adottivi. Vi è un vuoto e Dio sta cercando qualcuno che si ponga in questo vuoto dinanzi a Lui, si adoperi per questa stirpe e preghi perché Egli non abbia a sterminarla. E per colmare questo vuoto che noi, Missionarie della Carità, gioiamo in una situazione che per natura dovremmo odiare. Facciamo tutto quello che ci è possibile proprio per fare dimenticare a Dio l'ingratitudine dell'uomo in cambio del suo amore sconfinato e perché non dimentichi di usare misericordia. E lì, davanti a noi, appeso alla croce e grida: « Ho sete ». E per spegnere la sete di questo divino Signore che le Missionarie della Carità compiono tutte queste opere che sembrano follia per il mondo. Sicuramente è per noi una benedizione avere una piccola parte nella sequela della croce.

2. Guardiamo la compassione di Cristo per Giuda, l'uomo che ha ricevuto tanto amore e tuttavia ha tradito il suo Maestro, il Maestro che mantenne un sacro silenzio e che non lo avrebbe tradito dinanzi ai suoi compagni. Gesù avrebbe potuto facilmente parlare pubblicamente e rivelare agli altri le intenzioni nascoste del gesto di Giuda, ma non lo fece. Preferì, piuttosto, usare misericordia e carità; invece di condannarlo, lo chiamò amico. Se soltanto Giuda avesse guardato Gesù negli occhi come fece Pietro, oggi Giuda sarebbe stato l'amico della misericordia di Dio. Gesù ebbe sempre compassione.

3.
Gesù è la Luce Gesù è la Verità Gesù è la Vita
Noi dobbiamo essere: la Luce della Carità la Verità dell'Umiltà la Vita della Santità.

4. Le nostre opere d'amore altro non sono che opere di pace. Compiamole con amore sempre più grande e con sempre maggiore efficacia, ciascuno a proprio modo, nella vita quotidiana, nella vostra casa, nel vostro quartiere, è sempre lo stesso Gesù che dice: Ero affamato: non soltanto di cibo, ma della pace che viene da un cuore puro.
Ero assetato: non di acqua, ma della pace che estingue la sete bruciante provocata dalla guerra.
Ero nudo: non degli abiti, ma di quella meraviglio-sa dignità che dovrebbe rivestire i corpi degli uomini e delle donne.
Ero senza casa: non senza un rifugio fatto di mattoni, ma senza un cuore che comprenda, che protegga, che ami.

5. Poiché l'amore per essere genuino deve anche far soffrire: Dio amò il mondo a tal punto da donare suo Figlio. Suo Figlio amò il mondo a tal punto da dare la sua vita per esso.
E Gesù dice: « Come il Padre ha amato me dandomi al mondo, così anch'io ho amato voi dando la mia vita per
voi. Rimanete nel mio amore, dando voi stessi» (Cv. 15, 9). Questo darsi è la preghiera, è il sacrificio della castità, è la povertà, è l'obbedienza e il servizio libero offerto con tutto il cuore.

6. Dobbiamo amare sino ad essere disposti a soffrire. Non basta dire: « Io amo ». Dobbiamo tradurre questo amore in un atto vitale. E come si può fare? Donarsi sino a soffrire. Tempo fa, in una nostra casa per bambini non avevamo più zucchero per loro. Un bimbo di quattro anni udì che « Madre Teresa non aveva zucchero per i bambini ». Andò a casa e disse ai genitori:
« Non mangerò zucchero per tre giorni. Darò il mio zucchero a Madre Teresa ». Dopo tre giorni i genitori portarono il piccino a casa nostra. Era cosi piccolo che a malapena sapeva pronunciare il mio nome eppure seppe insegnarmi come amare di un amore grande. Non fu tanto quello che mi diede, ma il fatto che diede con grande amore, e diede sino al sacrificio, sino a provare sofferenza.

7. Alcune settimane fa ricevetti una lettera di un ragazzino dagli Stati Uniti. Doveva fare la Prima Comunione. Disse ai genitori: « Non state a preoccuparvi di comperarmi un abito particolare per la mia Prima Comunione. Farò la Prima Comunione con la divisa della scuola. Non organizzatemi alcuna festa, ma datemi per favore la somma corrispondente. La invierò a Madre Teresa ». E così, quel ragazzino di sette o Otto anni, già nel suo cuore fu capace di amare sino al sacrificio.

8. « Qualunque cosa facciate al più piccolo dei miei fratelli l'avrete fatto a me. » « Questo è il mio coman- damento, che vi amiate gli uni con gli altri. » Sopprimete questo comandamento e l'intiera grande opera della Chiesa di Cristo cadrà in frantumi. Poiché Gesù venne sulla terra per dare alla carità il giusto posto nel cuore degli uomini. « Da questo » diceva « gli uomini conosceranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri »... e questo comandamento durerà in eterno. Un amore sincero per il tuo prossimo consiste nel desiderare che stia bene e nel fargli del bene.

9. Ascolta Gesù, il tuo cooperatore, che ti dice: «Voglio che tu sia il mio fuoco d'amore tra i poveri, i malati, i morenti e i bambini; voglio che tu porti i poveri a me ». Impara questa frase a memoria e quando ti accorgi di mancare di generosità, ripetila. Possiamo rifiutare il Cristo proprio come rifiutiamo gli altri, come se gli dicessimo: « Non ti presterò le mie mani per operare, né i miei piedi per camminare, né la mia mente per studiare insieme, né il mio cuore per amare con te. Tu bussi alla porta, ma io non ti darò la chiave del mio cuore
». Ecco quel che prova Gesù con un fondo di amarezza: sente di non poter vivere la sua vita dentro un’anima

10. Alcune settimane fa, raccolsi una bimba dalla strada, e dal volto potei arguire che la piccina aveva fame. Non saprei dire da quanti giorni quella piccola non mangiava. Le diedi un pezzo di pane e la piccina, preso il pane, briciola dopo briciola, cominciò a mangiarlo. Le dissi: « Mangia, mangia il pane. Hai tanta fame ». La piccola mi guardò e disse: « Ho paura che quando il pane sarà finito avrò fame di nuovo ». La sofferenza di un affamato è qualcosa di terribile. La piccina aveva già sperimentato la sofferenza dell'affamato, che magari voi non avete mai sperimentato, né vi capiterà di sperimentare mai. Ma ricordate, ricordate di condividere la gioia di amare, donandovi al.l'altro sino a sentire dolore.

11. Se un ragazzo lascia il campo del padre e va a lavorare altrove, non sarà più collaboratore di suo padre. Essere collaboratore significa lavorare con qualcuno, condividerne la stanchezza, le umiliazioni, la vergogna e non soltanto il successo. Coloro che condividono ogni cosa, sono compagni che danno amore per amore, sofferenza per sofferenza. Gesù, tu sei morto, tu hai dato ogni cosa, la vita, il sangue, tutto. Ora tocca a me. Metto in tavola ogni cosa. Il soldato comune combatte nelle file, ma colui che è fedelissimo cerca di stare accanto al capitano per condividerne il destino. Questa è l'unica verità, l'unica cosa che importa; questo è lo spirito di Cristo.

12. Dobbiamo operare con grande fede, con fermezza, con efficienza; e soprattutto con grande amore e gioiosità, poiché senza questo la nostra opera sarà soltanto un lavoro di schiavi che servono un duro padrone.

13. La grandezza della nostra vocazione sta anche nel fatto che dobbiamo sentirci obbligati a provvedere a Cristo stesso che si cela dietro le sembianze dolorose e sofferenti del povero. Siamo obbligati ogni giorno ad esercitare il nostro ministero sacerdotale toccando il corpo di Cristo che ci si presenta sotto la forma di una umanità sofferente, dando la Santa Comunione a tutti coloro con i quali veniamo in contatto, diffondendo la fragranza del suo amore ovunque andiamo.
14. Una vita interiore sincera fa ardere d'amore la vita attiva e consumare ogni energia per essa. Fa si che troviamo Gesù nei vicoli bui degli slums, nelle miserie più penose del povero, come l'uomo-dio nudo sulla Croce, triste, disprezzato da tutti, l'uomo della sofferenza, annientato come un verme, dalla flagellazione e dalla crocefissione. Questa vita interiore ci aiuta a servire Gesù nel povero.

15. Desidero vivere in questo mondo che è cosi lontano da Dio, che ha volto così pesantemente le spalle alla luce di Gesù, per aiutare loro, i nostri poveri e caricarmi almeno un poco delle loro sofferenze. Poiché è soltanto nell'essere una cosa sola con essi che possiamo riscattarli, portando Dio nelle loro vite e conducendoli a Lui.

16. So che tutti voi amate i poveri - altrimenti non sareste qui - ma ognuno di noi cerchi di rendere questo amore più gentile, più caritatevole, più gioioso. Che i nostri occhi vedano con maggiore chiarezza e intensità di fede il volto del Cristo nel volto del povero.

17. La carità del povero è come una fiamma che brucia. Più asciutto è il combustibile e più splendore emana; in altre parole, i nostri cuori debbono rimanere separati dalle cure terrestri e restare uniti totalmente alla volontà di Dio. Allora il nostro servizio sarà ubbidiente e sgombro da tutto ciò che è inutile.

18. Mantenete sempre vivo l'amore per il più povero dei poveri. Non pensiate che sia una perdita di tempo nutrire l'affamato, visitare e prendersi cura dell'ammalato e dell'agonizzante, aprire la porta ed accogliere il rifiutato, chi non ha casa. No, questo è il nostro amore di Cristo tradotto in azione. Più umile sarà la vostra opera, più grandi dovrebbero essere il vostro amore e la vostra efficienza. Non abbiate paura della vita di sacrificio che proviene da una vita di povertà.

19. Noi tutti aspiriamo al paradiso dove risiede Dio, ma abbiamo il potere di essere in paradiso con Lui anche adesso, di essere felici con Lui anche in questo momento. Tuttavia, essere felici con Lui ora, significa amare come Lui ama, aiutare come Lui aiuta, donare come Lui dona, servire come Lui serve, soccorrere come Lui soccorre, ed essere con Lui ventiquattr'ore su ventiquattro.

20. Miei cari figli, senza la sofferenza, il nostro lavoro sarebbe soltanto una attività sociale, molto encomiabile e d'aiuto, ma non sarebbe l'opera di Gesù Cristo, non una parte della sua redenzione. Gesù volle aiutarci condividendo la nostra vita, la nostra solitudine, la nostra agonia e la nostra morte. Tutte queste cose Egli prese su di sé e le portò con sé in quella notte terribilmente buia; soltanto essendo una cosa sola con noi ci ha riscattati, consentendoci di fare lo stesso; tutta la desolazione dei poveri, non soltanto la loro povertà materiale, ma anche la privazione spirituale devono essere riscattate e noi dobbiamo condividerle.

21. Cristo doveva trattare con le folle che gridavano, che facevano a gomitate, era il loro stesso entusiasmo a manifestarsi cosi ed era fastidioso. Non si preoccupavano molto delle sue esigenze. Nelle loro espressioni di familiarità a volte capitava persino che si dimenticassero di Lui. Tuttavia aveva pazienza con essi, fossero pure aggressivi quanto volevano, alla fine avrebbe usato loro pietà. Non si vergognava dei peccatori, non passava loro accanto senza guardarli e se essi avessero voluto, avrebbero potuto averlo con loro come chiunque altro, per quanto questo gli potesse costare... « Sono venuto » diceva « non per i giusti, ma perché i peccatori si pentano. » Noi, Missionarie della Carità, abbiamo ricevuto la grazia, infatti, di essere chiamate a imitare questo tremendo amante del povero e dell'abbandonato. Proprio come Cristo, abbiamo a che fare con folle immense. Siamo state chiamate ad essere le sue collaboratrici negli slums permettendogli di irradiare la sua vita in noi e attraverso noi in quei quartieri disastrati.

22. Che ognuno di noi possa vedere Gesù Cristo nella persona del povero. Più disgustoso sarà il lavoro o le persone a cui accudire, più grandi saranno la nostra fede, il nostro amore e la gioiosa dedizione che dedichiamo a Nostro Signore, nascosto in questa sofferenza.

23. Più uniti siamo a Dio, più grandi saranno il nostro amore e la prontezza nel servire il povero con tutto il cuore. Molto dipende da questa unione dei cuori. L'amore di Dio Padre per il Figlio e del Figlio per il Padre dà vita allo Spirito Santo Dio. Cosi pure l'amore di Dio per noi e il nostro amore per Dio dovrebbero dar vita a questo libero servizio, donato con tutto il cuore, al povero.
24. Gesù dice: « Qualunque cosa facciate al più piccolo dei vostri fratelli l'avrete fatto a me. Quando accogliete uno di questi piccoli, accogliete me. Se darete un bicchiere d'acqua in mio nome, l'avrete dato a me.
» E per essere certi di comprendere quello di cui ci parla, ci dice che nell'ora della nostra morte saremo giudicati soltanto su questo. Avevo fame e mi deste da mangiare. Ero nudo e mi avete vestito. Ero senza casa e mi avete ospitato. Non è fame soltanto di pane, è fame d'amore. Essere nudo non significa soltanto non avere un pezzo di stoffa con cui coprirsi, essere nudo è essere privo della dignità umana ed anche della bella virtù della purezza ed è anche privazione del reciproco rispetto. Essere senza casa non è soltanto essere senza una casa fatta di mattoni; essere senza casa significa anche essere rifiutati, emarginati, non amati.

25. Il papa Paolo VI dice che vocazione significa capacità di prestare attenzione alle voci imploranti nel mondo; voci di anime innocenti che soffrono, che non hanno conforto, guida, amore. Questa richiesta viene soddisfatta dal nostro voto di servizio libero, e compiuto con tutto il cuore nei confronti del povero. Proprio come Cristo è venuto a fare il bene, curando gli infermi, scacciando i demoni, predicando il regno di Dio, anche noi dobbiamo dedicarci interamente alla ricerca del povero, dell'abbandonato, del malato, dell'infermo, dell'agonizzante, sia che si trovi nelle città o nei villaggi, o magari in mezzo alle immondizie; dobbiamo cercare di aver cura di essi, aiutandoli, recandoci a visitarli, e portando loro il messaggio di Cristo, facendo del nostro meglio per condurli a Dio.

26. Non accettiamo la povertà soltanto perché siamo costretti ad essere poveri, ma perché abbiamo scelto di essere poveri per amore di Cristo; poiché, pur essendo ricco, egli si fece povero per amore nostro. Non in- ganniamo noi stessi.

27. Con il voto di povertà priviamo noi stesse del possesso e del libero uso dei beni temporali. La virtù della povertà provoca la distruzione dell'attaccamento disordinato alle cose di questo mondo. Il voto è il mezzo e la virtù è lo scopo. Il metodo principale per riuscire ad osservare i punti essenziali della povertà è la stretta osservanza della vita comunitaria; cioè, ognuno, compreso la superiore, dovrebbe ritenersi soddisfatta di aver da mangiare e di che vestirsi e delle attrezzature date a tutti eguali, senza il minimo privilegio di spese che non siano veramente necessarie.

28. Dobbiamo fare del nostro meglio per tenere lo sguardo libero e sgombro dalle cose di questo mondo, cosicché il nostro servizio al povero possa diventare un unico, generoso atto d'amore. Fu proprio questo « saper vedere » che rese padre Damien l'apostolo dei lebbrosi, che fece San Vincenzo de' Paoli il padre dei poveri, che fece si che ciascuno di noi abbandonasse ogni cosa per servire i poveri.

29. Al mondo può apparire sciocco che noi godiamo di un cibo frugale, che mostriamo di gustare un umile alimento; che possediamo soltanto tre abiti fatti di stoffa grezza o delle vecchie tonache, che li aggiustiamo e vi mettiamo le toppe, che ne abbiamo grande cura e rifiutiamo di avere qualcosa in più; che godiamo nel camminare con scarpe di qualunque forma e colore; che ci facciamo un bagno con un secchio d'acqua soltanto, in stanzette da bagno minuscole; che sudiamo e traspiriamo ma rifiutiamo di avere un ventilatore; che ce ne andiamo in giro affamate e assetate ma rifiutiamo di mangiare nelle case della gente. Che rifiutiamo radio e grammofoni che potrebbero rilassarci i nervi tormentati dal duro compito di tutto un giorno; che percorriamo grosse distanze sotto la pioggia o sotto il sole cocente dell'estate, o che andiamo in bicicletta, viaggiamo in tram, in seconda classe, o nella terza classe di treni sovraffollati; che dormiamo su letti duri, trascurando i materassi spessi e morbidi che conforterebbero i nostri corpi doloranti dopo tutta una giornata di duro lavoro; che ci inginocchiamo su tappeti ruvidi e logori in cappella, abbandonando quelli più spessi e morbidi; che gioiamo nel giacere nelle corsie comuni in ospedale tra i poveri di Cristo, quando potremmo tranquillamente avere stanze private; che lavoriamo come dei facchini a casa e fuori casa quando potremmo facilmente assumere dei servi e fare soltanto i lavori leggeri; che proviamo piacere nel ripulire i gabinetti e lo sporco della casa dei moribondi e del « Shishu Bhavan », la casa del neonato, come se questi fossero i più bei lavori del mondo, considerandolo un tributo a Dio. Per il mondo noi stiamo sprecando la nostra vita preziosa, seppellendo i nostri talenti. Sì, le nostre vite sono profondamente sprecate se usiamo soltanto la luce della ragione. La nostra vita non ha senso se non guardiamo il Cristo nella sua povertà.

30. Nostro Signore ci offre un efficace esempio: « Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli dell'aria il loro nido dove posarsi, ma il Figlio dell'Uomo non ha dove posare il capo ». Sin dal primo giorno della sua esistenza umana venne cresciuto in una povertà che nessun essere umano fu mai in grado di sperimentare, poiché « pur
essendo ricco, si fece povero ». Poiché io sono sua collaboratrice, il suo «altro - Cristo », devo essere allevata e nutrita con questa povertà che Nostro Signore richiede da me.

31. La povertà del nostro Salvatore è anche più gran-de di quella della più povera delle bestie del mondo. « Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli dell'aria i loro nidi, ma il Figlio dell'Uomo non ha dove posare il capo. » E così era veramente. Non aveva una casa sua, né una fissa dimora. I Samaritani lo avevano scacciato ed egli doveva cercarsi un rifugio. Tutto era incerto, cibo e abitazione. Riceveva qualsiasi cosa come elemosina della carità altrui. Tale è infatti la grande povertà... Che commozione si prova quando pensiamo che egli è il Buon Pastore, il Signore del cielo e della terra e quando pensiamo a quello che avrebbe potuto possedere! Ma è proprio questo che rende maestosa la sua povertà, che è una povertà volontaria dettata dall'amore per noi, con l'intento di arricchirci spiritualmente.
Dobbiamo considerarci visitati dalla grazia per essere stati chiamati a condividere nel nostro piccolo la grande povertà di questo immenso Dio. Ci esalta anche il magnifico vagabondaggio della nostra vita. Il nostro non è un andare a zonzo, ma un coltivare questo vagabondo spirito di abbandono. Non abbiamo nulla su cui far conto, tuttavia viviamo in modo sublime, non disponiamo di nulla su cui camminare, eppure camminiamo senza paura; nulla su cui appoggiarci, ma ci appoggiamo su Dio con fiducia: siamo suoi ed egli è il nostro Padre provvidente.
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