PARTE TERZA

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MARIOCAPALBO
00domenica 30 settembre 2012 17:31
CON CRISTO

PARTE TERZA

CON CRISTO

L'umile Gesù

Cercavo la via per procurarmi forza sufficiente a goderti, ma non l'avrei trovata, finché non mi fossi aggrappato al mediatore fra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù, che è sopra tutto Dio benedetto nei secoli. Egli ci chiama e ci dice: "Io sono la via, la verità e la vita"; egli mescola alla carne il cibo che non avevo forza di prendere, poiché il Verbo si è fatto carne affinché la tua sapienza, con cui creasti l'universo, divenisse latte per la nostra infanzia. Non avevo ancora tanta umiltà, da possedere il mio Dio, l'umile Gesù, né conoscevo ancora gli ammaestramenti della sua debolezza. Il tuo Verbo, eterna verità che s'innalza al di sopra delle parti più alte della creazione, eleva fino a sé coloro che piegano il capo; però nelle parti più basse col nostro fango si edificò una dimora umile, la via per cui far scendere dalla loro altezza e attrarre a sé coloro che accettano di piegare il capo, guarendo il turgore e nutrendo l'amore. Così impedì che per presunzione si allontanassero troppo, e li stroncò piuttosto con la visione della divinità stroncata davanti ai loro piedi per aver condiviso la nostra tunica di pelle. Sfiniti, si sarebbero reclinati su di lei, ed essa alzandosi li avrebbe sollevati con sé (7, 18, 24).

Tu sei la via

Dio mio, fa' ch'io ricordi per ringraziarti e ch'io confessi gli atti della tua misericordia nei miei riguardi. Le mie ossa s'impregnino del tuo amore e dicano: "Signore, chi simile a te? Hai spezzato i miei lacci, ti offrirò un sacrificio di lode". Come li hai spezzati, ora narrerò, e diranno tutti coloro che ti adorano, all'udirmi: "Benedetto il Signore in cielo e in terra, grande e mirabile il suo nome". Penetrate stabilmente nelle mie viscere le tue parole, da te assediato d'ogni parte, possedevo la certezza della tua vita eterna. L'avevo vista soltanto in un enigma e come attraverso uno specchio; tuttavia si era dissipato dalla mia mente ogni dubbio sulla sostanza incorruttibile e la derivazione da quella di ogni altra sostanza. Non desideravo acquistare ormai una maggiore certezza di te, quanto piuttosto una maggiore stabilità in te. Senonché dalla parte della mia vita terrena tutto vacillava, e bisognava ripulirmi il cuore dal fermento vecchio. La via, ossia Ia persona del Salvatore, mi piaceva, ma ancora mi spiaceva passare per le sue strettoie (8, 1, 1).

Il buon pastore

Dio buono, cosa avviene nell'uomo, che per la salvezza di un'anima insperatamente liberata da grave pericolo prova gioia maggiore che se avesse sempre conservato la speranza, o minore fosse stato il pericolo? Invero anche tu, Padre misericordioso, gioisci maggiormente per un solo pentito che per novantanove giusti, i quali non hanno bisogno di penitenza; e noi proviamo grande gioia all'udire ogni volta che udiamo quanto esulta il pastore nel riportare sulle spalle la pecora errabonda, e come la dracma sia riposta nei tuoi tesori fra le congratulazioni dei vicini alla donna che l'ha ritrovata: e ci fa piangere di gioia la festa della tua casa, ogni volta che nella tua casa leggiamo del figlio minore che era morto ed è tornato in vita, era perduto e fu ritrovato. Tu gioisci in noi e nei tuoi angeli santificati da un santo amore, perché sei sempre il medesimo, e le cose che non esistono sempre né sempre nel medesimo modo tu nel medesimo modo le conosci sempre tutte (8, 3, 6).

Tormento e gioia

Così avviene per una gioia vergognosa e abominevole, così per una permessa e lecita, cosi per la più sincera e onesta delle amicizie, cosi per chi era morto ed è tornato in vita, era perduto e fu ritrovato: sempre un gaudio più grande è preceduto da più grande tormento. Che è ciò, Signore mio Dio? Tu, tu stesso non sei per te stesso perenne gaudio, e alcuni esseri intorno a te non godono di te perennemente? E come in quest'altra parte dell'universo si alternano regressi e progressi, contrasti e accordi? E' forse la condizione che hai fissato per essa allorché dalla sommità dei cieli sino alle profondità della terra, dall'inizio sino alla fine dei secoli, dall'angelo sino all'ultimo verme, dal primo moto sino all'estremo hai disposto una per una nella sua propria sede tutte le varietà dei beni, tutte le tue giuste opere e le hai attuate ciascuna a suo proprio tempo? Ahimè, quale sublimità la tua nelle cose sublimi e quale profondità nelle profonde! Eppure non ti allontani mai da noi: noi stentiamo a tornare (8, 3, 8).

Amiamo, corriamo

Ebbene, Signore, agisci svegliaci e richiamaci, accendi e rapisci, ardi, sii dolce. Amiamo, corriamo. Non è forse vero che molti risalgono a te da un Tartaro di cecità ancora più profondo di Vittorino? Eppure si avvicinano e sono illuminati al ricevere la tua luce, e quanti la ricevono, ricevono da te il potere di divenire tuoi figli. Ora, se costoro sono poco conosciuti dalla gente, anche quanti li conoscono gioiscono poco per loro. Una gioia condivisa con molti è più abbondante anche per ciascuno. Ci si riscalda e accende a vicenda, e poi la grande notorietà avvalora ed estende a un grande numero di persone il richiamo alla salvezza. Ci si avvia, e molti seguiranno Perciò molto ne gioiscono anche coloro che si sono mossi per primi, poiché non gioiscono soltanto per sé. Lungi da me il pensiero che nella tua tenda vengano accolti meglio dei poveri i personaggi ricchi, o meglio dei vili i nobili. Anzi, tu hai scelto la debolezza del mondo per sgominare la forza, hai scelto la viltà di questo mondo e il disprezzo ciò che è nulla come se fosse qualcosa, per abolire ciò che è(8, 4, 9).

Dove fuggire lungi da me?

E tu, Signore, mentre parlava mi facevi ripiegare su me stesso, togliendomi da dietro al mio dorso, ove mi ero rifugiato per non guardarmi, e ponendomi davanti alla mia faccia affinché vedessi quanto era deforme, quanto storpio e sordido, coperto di macchie e piaghe. Visione orrida; ma dove fuggire lungi da me? Se tentavo di distogliere lo sguardo da me stesso, c'era Ponticiano, che continuava, continuava il suo racconto, e c'eri tu, che mi mettevi nuovamente di fronte a me stesso e mi ficcavi nei miei occhi, affinché scoprissi e odiassi la mia malvagità. La conoscevo, ma la coprivo, la trattenevo e me ne scordavo (8, 7, 16).

Tu, suprema dolcezza

O Signore, io sono servo tuo, io sono servo tuo e sono figlio dell'ancella tua. Poiché hai spezzato i miei lacci, ti offrirò in sacrificio di lode una vittima. Ti lodi il mio cuore, la mia lingua; tutte le mie ossa dicano: "Signore, chi simile a te?". Così dicano, e tu rispondimi, di all anima mia: "la salvezza tua io sono" Io chi ero mai, com'ero? Quale malizia non ebbero i miei atti, o, se non gli atti, i miei detti, o, se non i detti, la mia volontà? Ma tu, Signore, sei buono e misericordioso; con la tua mano esplorando la profondità della mia morte, hai ripulito dal fondo l'abisso di corruzione del mio cuore. Ciò avvenne quando non volli più ciò che volevo io, ma volli ciò che volevi tu. Dov'era il mio libero arbitrio durante una serie così lunga di anni? da quale profonda e cupa segreta fu estratto all'istante, affinché io sottoponessi il collo al tuo giogo lieve e le spalle al tuo fardello leggero, ò Cristo Gesù, mio soccorritore e mio redentore? Come a un tratto divenne dolce per me la privazione delle dolcezze frivole! Prima temevo di rimanerne privo, ora godevo di privarmene. Tu, vera, suprema dolcezza, le espellevi da me, e una volta espulse entravi al loro posto, più soave di ogni voluttà, ma non per la carne e il sangue; più chiaro di ogni luce, ma più riposto di ogni segreto; più elevato di ogni onore, ma non per chi cerca in sé la propria elevazione. Il mio animo era libero ormai dagli assilli mordaci dell'ambizione, del denaro, della sozzura e del prurito rognoso delle passioni, e parlavo, parlavo con te, mia gloria e ricchezza e salute, Signore Dio mio (9,1, 1).

Le frecce dell'amore

Ci avevi bersagliato il cuore con le frecce del tuo amore, portavamo le tue parole conficcate nelle viscere, e gli esempi dei tuoi servi, che da oscuri avevi reso splendidi, da morti vivi, ammassati nel seno della nostra meditazione erano fuoco che divorava il profondo torpore, per impedirci di piegare verso il basso. Tanto ne eravamo infiammati, che tutti i soffi contrari delle lingue perfide avrebbero rinfocolato, non estinto l'incendio (9, 2, 3).

Il grido dei salmi

Quali grida, Dio mio, non lanciai verso di te leggendo i salmi di Davide, questi canti di fede, gemiti di pietà contrastanti con ogni sentimento d'orgoglio! Novizio ancora al tuo genuino amore, quali grida non lanciavo verso di te leggendo quei salmi, quale fuoco d'amore per te non attingevo! Ardevo del desiderio di recitarli, se potessi, al mondo intero per abbattere l'orgoglio del genere umano. Ma lo sono, cantati nel mondo intero, e nessuno si sottrae al tuo calore (9, 4, 8).

Dio, unica speranza

Ti comprenderò, o tu che mi comprendi; ti comprenderò come sono anche compreso da te. Virtù dell'anima mia, entra in essa e adeguala a te, per tenerla e possederla senza macchia né ruga. Questa è la mia speranza, per questo parlo, da questa speranza o gioia ogni qualvolta la mia gioia è sana. Gli altri beni di questa vita meritano tanto meno le nostre lacrime, quanto più ne versiamo per essi, e tanto più ne meritano, quanto meno ne versiamo. Ecco, tu amasti la verità, poiché chi l'attua viene alla luce. Voglio dunque attuarla dentro al mio cuore: davanti a te nella mia confessione, e nel mio scritto davanti a molti testimoni (10, 1, 1).

Tace la voce, grida il cuore

A te, Signore, se ai tuoi occhi è svelato l'abisso della conoscenza umana, potrebbe essere occultato qualcosa in me, quand'anche evitassi di confessartelo? Nasconderei te a me, anziché me a te. Ora però i miei gemiti attestano il disgusto che provo di me stesso, e perciò tu splendi e piaci e sei oggetto d'amore e di desiderio, cosicché arrossisco di me e mi respingo per abbracciarti, e non voglio piacere né a te né a me, se non per quanto ho di te. Dunque, Signore, io ti sono noto con tutte le mie qualità. A quale scopo tuttavia mi confessi a te, già l'ho detto. E' una confessione fatta non con parole e grida del corpo, ma con parole dell'anima e grida della mente, che il tuo orecchio conosce. Nella cattiveria è confessione il disgusto che provo di me stesso; nella bontà è confessione il negarmene il merito, poiché tu, Signore, benedici il giusto, ma prima lo giustifichi quando è empio. Quindi la mia confessione davanti ai tuoi occhi, Dio mio, è insieme tacita e non tacita. Tace la voce, grida il cuore, poiché nulla di vero dico agli uomini, se prima tu non l'hai udito da me: e tu da me non odi nulla, se prima non lo hai detto tu stesso (10, 2, 2).

Il medico della mia intimità

Tu però, medico della mia intimità, spiegami chiaramente i frutti della mia opera. Le confessioni dei miei errori passati, da te rimessi e velati per farmi godere la tua beatitudine dopo la trasformazione della mia anima mediante la tua fede e il tuo sacramento, spronano il cuore del lettore e dell'ascoltatore a non assopirsi nella disperazione, a non dire: "non posso"; a vegliare invece nell'amore della tua misericordia, nella dolcezza della tua grazia, forza di tutti i deboli divenuti per essa consapevoli della propria debolezza. I buoni, poi, godono all'udire i mali passati di chi ormai se ne è liberato: godono non già per i mali, ma perché sono passati e non sono più. Glielo dice la carità, per cui sono buoni, che non mento nella mia confessione di me stesso. E' la carità a credermi in loro ( 10, 3, 4).

I miei beni sono opere tue

Ma quale frutto si ripromettono da questo desiderio? Aspirano a unirsi al mio ringraziamento, dopo aver udito quanto mi avvicina a te il tuo dono, e a pregare per me, dopo aver udito quanto mi rallenti il mio peso? Se è così, a loro mi mostrerò. Non è piccolo il frutto, Signore Dio mio, quando molti ti ringraziano per noi e molti ti pregano per noi. Possa il loro animo fraterno amare in me ciò che tu insegni ad amare, deplorare in me ciò che tu insegni a deplorare. Il loro animo, fraterno, lo potrà fare; non così un animo estraneo, dei figli di un altro, la cui bocca ha detto vanità, la cui mano è iniqua. Un animo fraterno, quando mi approva, gode per me; quando invece mi disapprova, si contrista per me, poiché, nell'approvazione come nella disapprovazione, sempre mi ama. Se è così, a loro mi mostrerò. Traggano un respiro per i miei beni, un sospiro per i miei mali. I miei beni sono opere tue e doni tuoi, i miei mali colpe mie e condanne tue. Respiri per gli uni, sospiri per gli altri, e inni e pianti salgano al tuo cospetto da questi cuori fraterni, turiboli di incenso per te; e tu, Signore, deliziato dal profumo del tuo santo tempio, abbi misericordia di me secondo la grandezza della tua misericordia, in grazia del tuo nome. Tu, che non abbandoni mai le tue imprese a metà, completa ciò che è imperfetto in me (10, 4, 5).

Le confessioni del presente

Questo frutto mi attendo dalle confessioni del mio stato presente e non più del passato. Perciò farò la mia confessione non alla tua sola presenza, con segreta esultanza e insieme apprensione, con segreto sconforto e insieme speranza: ma altresì nelle orecchie dei figli degli uomini credenti, partecipi della mia gioia e consorti della mia mortalità, miei concittadini e compagni del mio pellegrinaggio, alcuni più innanzi, altri più indietro, altri a pari di me. Sono questi i tuoi servi e i miei fratelli, che volesti fossero tuoi figli e miei padroni, che mi ordinasti di servire, se voglio vivere con te di te. Insufficiente sarebbe stato il precetto se il tuo Verbo me l'avesse dato a parole, quando non me ne avesse dato prima l'esempio con gli atti. Ed eccomi allora ubbidiente con atti e parole, sotto le tue ali perché troppo grande è il pericolo, se la mia anima non stesse chinata sotto le tue ali e la mia debolezza non ti fosse nota. Io sono un bambinello, ma è sempre vivo il Padre mio, e adatto a me il mio tutore. Infatti la medesima persona è il mio genitore e il mio tutore. Tu, tu solo sei tutti i miei beni, tu, onnipotente, che sei con me anche prima che io sia con te. Se è così, mi mostrerò a chi mi ordini di servire, non più quale fui, ma quale sono ormai e sono tuttora. Però io neppure giudico me stesso. Così mi ascoltino anche gli altri (10, 4, 6).

C'è speranza...

Tu, Signore, mi giudichi. Nessuno fra gli uomini conosce le cose dell'uomo, se non lo spirito dell'uomo che è in lui. Vi è tuttavia nell'uomo qualcosa, che neppure lo spirito stesso dell'uomo che è in lui conosce; tu invece, Signore, sai tutto di lui per averlo creato. Anch'io, per quanto mi avvilisca al tuo cospetto, stimandomi terra e cenere, so qualcosa di te, che di me ignoro. Noi ora vediamo certamente attraverso uno specchio in un enigma, non ancora faccia a faccia, quindi, finché pellegrino lontano da te, sono più vicino a me, che a te. Eppure ti so assolutamente inviolabile, mentre non so a quali tentazioni possa io resistere, a quali no. C'è speranza, perché tu sei fedele e non permetti che siamo tentati al di là delle nostre forze, offrendo con la tentazione anche lo scampo, affinché possiamo sostenerla. Confesserò dunque quanto so di me, e anche quanto ignoro di me. Perché quanto so di me, lo so per tua illuminazione, e quanto ignoro di me, lo ignoro finché le mie tenebre si mutino quale il mezzodì nel tuo volto (10, 5, 7).

MARIOCAPALBO
00domenica 30 settembre 2012 17:46
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