LA NATURA E LA GRAZIA

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MARIOCAPALBO
00sabato 13 settembre 2014 21:57
SANT'AGOSTINO

SANT'AGOSTINO


LA NATURA E LA GRAZIA


Giustizia umana e giustizia divina.

1. 1. Ho letto di corsa, ma non con scarsa attenzione, e da cima a fondo, il libro che mi avete mandato, carissimi figli Timasio e Giacomo!, mettendo da parte per un poco le altre occupazioni che avevo tra mano. Ho visto nel libro un uomo acceso di zelo ardentissimo contro coloro che, invece d'accusare nei propri peccati la volontà umana, cercano piuttosto di scusarla, accusando la natura umana. Se la prende troppo costui contro questa peste, che anche autori di letteratura secolare hanno gravemente ripresa esclamando: A torto si lagnano gli uomini della loro natura 1! Questo giudizio è stato rincalzato dall'autore del libro con tutte le risorse dell'ingegno a sua disposizione. Temo però che favorisca piuttosto coloro che hanno zelo per Dio, ma non secondo una retta conoscenza; poiché ignorando la giustizia di Dio e cercando di stabilire la propria, non si sono sottomessi alla giustizia di Dio 2. Quale sia poi la giustizia di Dio di cui l'Apostolo parla qui lo spiega immediatamente aggiungendo: Il termine della legge è il Cristo, perché sia data la giustizia a chiunque crede 3. Chi pertanto arriva a capire che la giustizia di Dio non risiede nel precetto della legge che intimorisce, ma nell'aiuto della grazia del Cristo, e la grazia è l'unico termine a cui guida utilmente come pedagogo il timore della legge 4, costui capisce perché è cristiano. Infatti se la giustificazione viene dalla legge, il Cristo è morto invano 5! Se invece non è morto invano, in lui soltanto viene giustificato il peccatore, al quale, perché crede in colui che giustifica l'empio, la fede viene accreditata come giustizia 6. Tutti infatti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente mediante il suo sangue 7Al contrario quanti non si credono inclusi tra coloro che hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, certamente non hanno nessuna necessità di diventare cristiani, perché non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Ed egli perciò non è venuto a chiamare i giusti, bensì i peccatori 8.


La dottrina di Pelagio e la risposta di S. Agostino.

2. 2. Quindi se la natura umana, propagata dalla carne di quell'unico prevaricatore, può bastare a se stessa per osservare la legge e raggiungere la perfezione della giustizia, stia sicura essa del premio, cioè della vita eterna, "anche se in qualche popolo o in qualche tempo passato le rimase nascosta la fede nel sangue del Cristo. Dio infatti non è così ingiusto da privare i giusti del giusto premio, se ad essi non è stato annunziato il sacramento della divinità e umanità del Cristo, cioè il mistero d'essersi manifestato nella carne 9. Come avrebbero potuto credere in quello di cui non avevano sentito parlare? E come ne avrebbero sentito parlare senza uno che lo annunziasse 10? Infatti è scritto: La fede dipende dalla predicazione e la predicazione a sua volta si attua per la parola del Cristo. Ma ora mi domando, dice [l'Apostolo]: Non hanno forse udito? Tutt'altro: per tutta la terra è corsa la loro voce e fino ai confini del mondo le loro parole 11Ma prima dell'avvenimento di questi fatti, prima che la stessa predicazione possa giungere fino ai confini di tutta la terra - poiché non mancano popoli lontani, sebbene se ne indichino pochissimi, ai quali non si è ancora predicato! -, come la natura umana può raggiungere la sua salvezza o come la raggiunse senza la notizia di questi avvenimenti futuri o senza aver conosciuto ancora questi avvenimenti passati? Non la raggiunge forse con la fede in colui che ha fatto il cielo e la terra 12 e di cui, per intuito naturale, si sente anche lei creatura e con la vita retta in ossequio alla divina volontà, senza aver ricevuto in nessun modo la fede nella passione e risurrezione del Cristo?". Se ciò poté avvenire o può avvenire, allora dico anch'io quello che l'Apostolo ha detto della legge: Il Cristo è morto invano 13. Se infatti egli dice questo della legge che ricevé la sola nazione giudaica, quanto più giustamente si dirà della legge naturale data a tutto il genere umano: "Se la giustificazione viene dalla natura, il Cristo è morto invano"! Ma se il Cristo non è morto invano, allora la natura umana non potrà mai in nessun modo essere giustificata e riscattata dalla giustissima ira di Dio, cioè dalla sua punizione, se non mediante la fede e il sacramento del sangue del Cristo.


Il bene viene da Dio, il male dal peccato dell'uomo.

3. 3. È vero: la natura dell'uomo fu creata in origine senza colpa e senza nessun vizio; viceversa la natura attuale dell'uomo, per la quale ciascuno nasce da Adamo, ha ormai bisogno del Medico 14, perché non è sana. Certo, tutti i beni che ha nella sua struttura, nella vita, nei sensi e nella mente, li riceve dal sommo Dio, suo creatore e artefice. Il vizio invece che oscura e indebolisce questi beni naturali!, così da rendere la natura umana bisognosa d'illuminazione e di cura, non l'ha tratto dal suo irreprensibile artefice, ma dal peccato originale che fu commesso con il libero arbitrio. Perciò lo stato di pena in cui è la natura dipende da una giustissima punizione. Se è vero infatti che adesso siamo una creatura nuova nel Cristo 15, è vero tuttavia che eravamo per natura meritevoli d'ira come gli altri. Ma Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amati, da morti che eravamo per i peccati ci ha fatti rivivere con il Cristo, per la cui grazia siamo stati salvati 16.


La salvezza viene solo dalla grazia di Dio.

4. 4. Questa grazia del Cristo, senza la quale né i bambini né i grandi possono salvarsi, non si dà per meriti, ma gratis, ed è per questo che si chiama grazia. Dice l'Apostolo: Sono giustificati gratuitamente mediante il suo sangue 17. Quelli dunque che non sono liberati per mezzo di questa grazia, sia perché non hanno potuto ancora ascoltare 18, sia perché non hanno voluto obbedire, sia anche perché in età di non poter ascoltare non hanno ricevuto il lavacro della rigenerazione 19 che potevano ricevere e che li avrebbe salvati, tutti costoro sono, sì, giustamente condannati, perché non sono senza un qualche peccato: o quello che hanno contratto originalmente o anche quello sopraggiunto a causa della loro cattiva condotta. Tutti hanno peccato infatti, sia in Adamo e sia in se stessi, e sono privi della gloria di Dio 20.


La salvezza è un atto della misericordia divina.

5. 5. Tutta la massa umana deve dunque scontare le sue pene e, se a tutti si rendesse il dovuto castigo della condanna, non si renderebbe certo ingiustamente. Perciò coloro che vengono liberati dalla condanna per grazia, non si chiamano vasi pieni di meriti propri, bensì vasi di misericordia 21. Misericordia di chi se non di colui che mandò il Cristo Gesù in questo mondo a salvare i peccatori 22, che da sempre ha conosciuti, predestinati, chiamati, giustificati e glorificati 23? Chi dunque vuol essere tanto pazzo da non rendere ineffabili grazie alla misericordia divina liberatrice di quelli che vuole, se in nessun modo avrebbe il diritto d'incolpare la giustizia divina anche se fosse condannatrice di tutti senza eccezione?


La falsa sapienza dei pelagiani.

6. 6. Se questo nostro modo di sentire è conforme alle Scritture, non saremmo costretti a discutere contro la grazia cristiana, né a tentar di dimostrare con parole che la natura umana nei bambini non ha bisogno del Medico perché è sana e nei grandi può, se vuole, bastare da se stessa alla giustizia. Sono queste delle affermazioni che sembrano fatte con acume, ma sono fatte con un discorso sapiente che rende vana la croce del Cristo 24Non è questa la sapienza che viene dall'alto 25. Non voglio citare quello che segue, perché non ci si rimproveri d'offendere i nostri amici, che desideriamo veder correre, con i loro ingegni fortissimi e prontissimi non sulla strada sbagliata, ma sulla strada giusta!


Non c'è salvezza senza il mistero del Cristo.

7. 7. Quanto dunque è lo zelo dell'autore del libro da voi mandatomi contro quelli che cercano di difendere i propri peccati con la debolezza della natura umana, altrettanto e ancora più ardente dev'essere il nostro zelo perché non sia resa vana la croce del Cristo 26. Ma è resa vana, se si ammette la possibilità di giungere in qualche modo alla giustificazione e alla vita eterna senza il sacramento del Cristo. Ciò si difende appunto in cotesto libro. Non voglio dire consapevolmente, perché allora a mio giudizio l'autore non meriterebbe nemmeno il nome di cristiano! Ma piuttosto credo inconsapevolmente, però con grandi forze, che invece vorrei sane, non come quelle che sono soliti avere gli agitati.


La discussione di Pelagio sulla possibilità dell'uomo di essere senza peccato.

7. 8. Costui infatti prima distingue così: "Altro è cercare se una cosa sia possibile, e ciò riguarda la sua possibilità soltanto, altro se esista". Nessuno mette in dubbio la legittimità di questa distinzione: è logico infatti che quello che adesso esiste fosse prima possibile, non è invece logico che esista di fatto quello che può esistere. Poiché il Signore risuscitò Lazzaro 27, certamente ne ebbe prima la possibilità; ma perché non risuscitò Giuda, si deve forse dire: "Non ne aveva la possibilità"? Certamente lo poteva, ma non volle. Se l'avesse voluto, avrebbe fatto pure questo con lo stesso potere, perché anche il Figlio dà la vita a chi vuole 28. Ma notate dove miri e cosa si proponga con questa distinzione legittima ed evidente. Dice: "Noi trattiamo solo della possibilità, perché, se non raggiungiamo la certezza nei suoi riguardi, stimiamo cosa gravissima ed illogica passare ad altro". Rigira la cosa in molti modi e con lunghi discorsi, perché nessuno creda tratti d'altro che della possibilità di non peccare. Tra i molti ragionamenti con i quali la spiega c'è anche questo: "Lo ripeto ancora: Io dico che l'uomo può essere senza peccato. Tu che dici? Che l'uomo non può essere senza peccato? Né io dico che esiste un uomo senza peccato, né tu dici che non esiste un uomo senza peccato: noi discutiamo della possibilità e dell'impossibilità, non dell'esistenza e dell'inesistenza". Poi ricorda che alcuni testi tra quelli che ordinariamente vengono portati contro di loro citandoli dalle Scritture non sono pertinenti al quesito se l'uomo possa o non possa essere senza peccato. Dice che i testi: "Nessun uomo è puro da immondezza 29, Non c'è uomo che non pecchi 30, Non c'è un giusto sulla terra 31, Non c'è alcuno che faccia il bene 32 e altri simili, servono a dimostrare l'inesistenza e non l'impossibilità. Con questi esempi si prova quali fossero alcuni uomini di un tempo, non che non potessero essere diversi, e proprio per questo si trovano giustamente colpevoli. Se infatti sono stati tali perché non hanno potuto essere diversi, sono senza colpa".


La categoria della possibilità non è applicabile ai bambini.

8. 9. Ecco quello che ha detto costui. Ora io pongo il caso di un bambino nato in un luogo dove non poté essere soccorso mediante il battesimo del Cristo ed è deceduto. In questo caso egli è stato tale, ossia è deceduto senza il lavacro della rigenerazione 33, perché non poté essere diverso. Lo assolva dunque costui e gli apra il regno dei cieli contro la dichiarazione del Signore 34. Ma non l'assolve l'Apostolo che dice: A causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte e così ha raggiunto tutti gli uomini, che tutti hanno peccato in lui 35. Giustamente dunque non viene ammesso nel regno dei cieli per quella condanna che corre attraverso tutta la massa umana e questo succede per il bambino che non solo non è stato cristiano, ma non ha avuto nemmeno la possibilità d'esserlo.


La categoria della possibilità spesso non è applicabile nemmeno agli adulti.

9. 10. Ma dicono: "Non viene condannato, perché dall'Apostolo è stato detto che tutti hanno peccato in Adamo 36 non per un peccato contratto con l'origine del nascere, ma per imitazione"! Se dunque in tanto si dice che Adamo è il padre di tutti i peccati successivi in quanto tra gli uomini fu il primo peccatore, perché non si mette a capo di tutti i giusti Abele invece del Cristo, essendo stato Abele il primo giusto tra gli uomini? Ma non parlo di un bambino. Un giovane o un vecchio è morto in una regione dove non poté udire il nome del Cristo: ha potuto costui diventare giusto mediante la sua natura e il suo libero arbitrio o non ha potuto? Se dicono che ha potuto, ecco la vanificazione della croce del Cristo 37: "sostenere che senza di essa uno può essere giustificato mediante la legge naturale e l'arbitrio della volontà". È doveroso dire anche in questo caso: Il Cristo è morto invano 38. Tutti infatti potrebbero raggiungere la giustificazione, anche se il Cristo non fosse morto, e se restano ingiusti ci restano perché lo vogliono, non perché non possono essere giusti. Se poi senza la grazia del Cristo non ha potuto in nessun modo essere giustificato, allora costui assolva, se ne ha il coraggio, anche chi "è senza colpa" - secondo le sue parole - "se è stato tale perché non ha potuto essere diverso".


Un primo sofisma di Pelagio.

10. 11. Obietta però a se stesso, come se l'obiezione venisse da un altro, dicendo: "Lo può essere, dirai, ma con la grazia di Dio"! Poi con l'aria di rispondere soggiunge: "Rendo grazie alla tua umanità che non solo non ti contenti di non opporti alla mia affermazione da te finora osteggiata e non solo non ti contenti d'ammetterla, ma non ti rifiuti nemmeno d'approvarla. Dire infatti che l'uomo ha tale possibilità, ma in dipendenza di questo o di quello, che altro è se non mostrare il come e la condizione per l'ammissione di questa possibilità? Nessuno approva la possibilità d'una cosa più di chi ne pone anche la condizione, perché non può esserci la condizione senza la cosa". Dopo di che passa a porsi un'altra obiezione: "Ma sembra, dirai, che qui tu neghi la grazia di Dio perché non la ricordi". Risponde: "La nego io che affermando il fatto affermo necessariamente anche la causa che lo produce o tu che negando il fatto neghi senza dubbio anche ogni causa che lo produca?". Si è già dimenticato che stava rispondendo ad uno che non nega la possibilità e da parte del quale poco innanzi aveva proposto questa obiezione: "Lo può essere, ma con la grazia di Dio". In che modo dunque la possibilità per la quale costui tanto si affanna viene negata da uno che gli sta dicendo: "Lo può, ma con la grazia di Dio"? Comunque, non ha per noi alcun interesse ora se costui, lasciato da parte chi ammette già la cosa, se la prende ancora contro coloro che negano la possibilità dell'uomo d'essere senza peccato. Se la prenda con chi vuole, purché riconosca che senza la grazia di Dio l'uomo non può essere senza peccato. E negar ciò è prova di scelleratissima empietà. Dice in proposito: "Chi ammette il fatto stesso che l'uomo è senza peccato, ammette che lo è o per grazia o per aiuto o per atto di misericordia o per qualsiasi altro mezzo che renda possibile all'uomo d'essere senza peccato".


L'equivoco di Pelagio si va chiarendo.

11. 12. Confesso alla vostra Dilezione che a leggere queste espressioni fui inondato dalla gioia che costui non negasse la grazia di Dio come unico mezzo che può giustificare l'uomo, perché è proprio questo l'errore che detesto e aborrisco maggiormente nelle discussioni di tali individui. Ma continuando a leggere tutto il seguito cominciai ad avere dei sospetti, prima di tutto per le similitudini che usava. Scrive infatti: "Se ora dico che l'uomo può disputare, l'uccello volare, la lepre correre, senza dire con quali mezzi lo possono, cioè con la lingua, le ali, i piedi, nego forse le condizioni delle funzioni mentre ammetto le funzioni stesse?". È chiaro ch'egli ricorda delle funzioni basate sulla natura, essendo state create per tali nature quelle membra: lingua, ali, piedi. Non fa un solo esempio che sia tale e quale lo vogliamo noi perché si possa applicare alla grazia, senza la quale l'uomo non viene giustificato. Nel caso della grazia si tratta di nature da guarire e non di nature da costituire. Già dunque allarmato da questo, cominciai a leggere il resto e trovai che non mi ero insospettito invano.


La pedagogia dei peccati veniali.

12. 13. Prima che io arrivi a questo punto, vedete che cosa abbia detto costui. Trattando la questione della differenza dei peccati e obiettando a sé quello che dicono alcuni: "Non potersi evitare tutti i peccati veniali per la stessa moltitudine con la quale ci assaliscono", afferma che "non devono essere rimproverati nemmeno un poco, se non si possono in nessun modo evitare". Non fa evidentemente attenzione alle Scritture del Nuovo Testamento, le quali insegnano 39 che l'intento della legge intimidatrice è che per i peccati veniali ci si rifugi nella grazia misericordiosa del Signore: vale a dire che la funzione della legge di fare da pedagogo si conclude nella medesima fede che è stata più tardi rivelata 40 e nella quale si ha sia il perdono dei peccati commessi, sia l'aiuto della medesima grazia per non commetterli. Propria infatti di coloro che progrediscono è la via, benché coloro che sono bravi nel progredire si dicano già perfetti viatori. Ma la perfezione assoluta alla quale non c'è più nulla da aggiungere si ha nel momento che si comincia a possedere ciò a cui si tendeva.


Agostino esorta Pelagio all'umiltà della preghiera.

13. 14. Quanto poi alla domanda che si rivolge a costui: "Tu stesso sei forse senza peccato?", essa veramente non tocca l'argomento su cui verte la questione! Ma la risposta che dà: "Alla sua negligenza lo deve imputare chi non è senza peccato" è una buona risposta. Prenda però motivo da questo per degnarsi di pregare Dio che tale sua cattiva negligenza non lo domini, come lo pregava colui che diceva: Rendi saldi i miei passi secondo la tua parola e non prevalga su di me il male 41, per evitare che confidando nella propria diligenza, come se dipendesse dalla sua forza, non arrivi alla vera giustizia né qui né là dove la dobbiamo desiderare e sperare senza alcun dubbio perfetta.


Meno che di Gesù, di nessuno la Scrittura dice che sia senza peccato.

14. 15. Anche l'obiezione che alcuni gli fanno: "Non si trova mai scritto con queste precise parole che l'uomo può essere senza peccato", costui la respinge facilmente rispondendo che "la questione non è con quali parole venga fatta un'affermazione". Forse non è tuttavia senza ragione che nelle Scritture, dove talvolta alcuni uomini vengono detti irreprensibili, di nessuno si dica che è senza peccato, all'infuori di colui 42 del quale si dice esplicitamente che non aveva conosciuto il peccato 43 e del quale in un testo concernente i santi sacerdoti afferma che fu provato in ogni cosa a somiglianza di noi, escluso il peccato 44, cioè in quella sua carne che era somigliante alla carne del peccato 45, sebbene non fosse la carne del peccato, e tuttavia non sarebbe somigliante, se tutta l'altra carne non fosse carne del peccato. Come poi sia da interpretare il testo: Chiunque è nato da Dio non commette peccato e non può commettere peccato, perché un seme divino dimora in lui 46, mentre lo stesso apostolo Giovanni, quasi non fosse egli nato da Dio o parlasse a persone non ancora nate da Dio, scrive esplicitamente: Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi 47, ho cercato di spiegarlo come potei nei libri che su questo argomento scrissi a Marcellino 48! Che le parole: Non può commettere peccato 49 valgano come se si dicesse che "non deve peccare" mi sembra un'interpretazione da non disapprovare. Quale pazzo direbbe che si deve peccare, se il peccato consiste proprio nel fare ciò che non si deve fare?


I peccati della lingua.

15. 16. Certo, l'affermazione dell'apostolo Giacomo: Nessun uomo può domare la lingua 50 non mi sembra che si possa intendere alla maniera in cui la spiega l'autore del libro: "È detto in tono di rimprovero, come se si chiedesse: Nessuno dunque può domare la sua lingua? Sarebbe un rimbrotto di questa specie: Voi potete domare le fiere e non potete domare la lingua? Quasi ritenesse più facile domare la lingua che le fiere". Non credo che questo sia il senso del testo! Se infatti avesse voluto convincere della facilità di domare la lingua, avrebbe dovuto sviluppare nel seguito il confronto con le bestie e invece afferma: [La lingua è] un male ribelle, è piena di veleno mortale 51, certo più dannoso di quello delle bestie e dei serpenti, perché l'uno uccide il corpo e l'altro l'anima:Una bocca menzognera uccide l'anima 52. S. Giacomo dunque non espresse né volle che s'intendesse quella sua sentenza nel senso che domare la lingua sia più facile d'ammansire le bestie, ma volle piuttosto mostrare quanto grande sia nell'uomo il male della lingua, tanto da non poter essere domato da nessun uomo, benché gli uomini dominino anche le bestie. E non dice questo perché lasciamo per trascuratezza che questo male continui a tiranneggiare su di noi, ma affinché per domare la lingua noi chiediamo l'aiuto della grazia divina. Non dice infatti: "Nessuno" può domare la lingua, ma: "Nessun uomo", perché quando viene domata riconosciamo tale risultato alla misericordia di Dio, all'aiuto di Dio, alla grazia di Dio. Si applichi dunque l'anima a domare la lingua e nel suo sforzo chieda aiuto: preghi con la lingua che si domi la lingua, intervenendo il dono di colui che disse ai suoi: Non siete infatti voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi 53. Siamo dunque avvertiti dal precetto divino a comportarci così; poiché però non bastiamo ad osservarlo con la nostra forza e il nostro sforzo. dobbiamo invocare l'aiuto di Dio con la preghiera.


S. Giacomo esorta alla preghiera e quindi alla grazia.

16. 17. Perciò lo stesso S. Giacomo, dopo aver rilevato il male della lingua 54 dicendo tra l'altro: Non dev'essere così, fratelli miei 55, nel porre fine all'argomento ricorda con quale aiuto non avverrebbe più quello di cui dice: Non dev'essere così. Scrive: Chi è saggio e accorto tra voi? Mostri con la buona condotta le sue opere ispirate a saggia mitezza. Ma se avete nel vostro cuore gelosia amara e spirito di contesa, non vantatevi e non mentite contro la verità. Non è questa la sapienza che viene dall'alto: è terrena, carnale, diabolica; poiché dove c'è gelosia e spirito di contesa, c'è disordine e ogni sorta di cattive azioni. La sapienza che viene dall'alto invece è anzitutto pura, poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, senza parzialità, senza ipocrisia 56Questa è la sapienza che doma la lingua, una sapienza che discende dall'alto, non che balza dal cuore umano. Oserà qualcuno togliere anche questa alla grazia di Dio e porla con superbissima vanità in potere dell'uomo? Perché dunque si prega di riceverla, se averla dipende dall'uomo? Oppure ci si oppone anche a questa preghiera per non offendere il libero arbitrio che basta a se stesso con le sue possibilità naturali per osservare tutti i precetti della giustizia? Ci si opponga dunque al medesimo apostolo Giacomo che esorta e dice: Se qualcuno di voi manca di sapienza, la domandi a Dio che dona a tutti generosamente e senza rinfacciare e gli sarà data. La domandi però con fede senza esitare 57. Questa è la fede alla quale sospingono i precetti, perché la legge imperi e la fede impetri. Con la lingua che nessun uomo riesce a domare, ma ben ci riesce la sapienza che discende dall'alto 58tutti manchiamo in molte cose 59. Anche a quest'affermazione l'apostolo Giacomo dà il medesimo senso che all'altra: Nessun uomo può domare la lingua 60.


Per vivere secondo lo spirito è necessaria la grazia di Dio.

17. 18. Similmente non si obiettino a costoro per sostenere l'impossibilità di non peccare le parole: La sapienza della carne è in rivolta contro Dio, perché non si sottomette alla sua legge e neanche lo potrebbe. Quelli infatti che sono nella carne, non possono piacere a Dio 61. Dice la sapienza della carne, non la sapienza che discende dall'alto 62. Per quelli che sono nella carne non intende coloro che non sono ancora usciti dal corpo, ma coloro che vivono secondo la carne 63, com'è chiaro. A questo testo è estranea la nostra questione. Quello che aspetto d'udire da lui, se posso, è la risposta al seguente quesito: coloro che vivono secondo lo spirito e che quindi in qualche modo non sono più nella carne, benché vivano ancora qui, è per la grazia di Dio che vivono secondo spirito o per questo bastano a se stessi con la possibilità della natura già ricevuta da loro al momento della creazione e con la loro propria volontà? Eppure è certo che pieno compimento della legge non è se non la carità 64 e la carità di Dio non è diffusa nei nostri cuori da noi stessi, bensì dallo Spirito Santo che ci è stato dato 65.


I peccati d'ignoranza.

17. 19. Tratta costui anche dei peccati d'ignoranza e dice che "l'uomo deve stare attentissimo a non ignorare e che l'ignoranza in tanto è colpevole in quanto l'uomo non sa per negligenza ciò che avrebbe dovuto conoscere usando la necessaria diligenza". Costui mette tutto in discussione, pur di non pregare e dire: Fammi capire e imparerò i tuoi comandi 66. Altro è aver trascurato di sapere, e i peccati di negligenza sembra che si espiassero anche con certi sacrifici della legge 67, altro è voler capire senza riuscirvi e andare contro la legge perché non si capisce cosa voglia. Ecco perché siamo esortati a chiedere la sapienza a Dio che dona a tutti abbondantemente 68, certo a tutti coloro che la chiedono così e tanto la chiedono come e quanto deve chiedersi un bene tanto grande.


Pregare equivale ad affermare la necessità della grazia.

18. 20. Costui confessa che "i peccati commessi hanno tuttavia bisogno d'essere rimessi da Dio e per essi si deve pregare il Signore", naturalmente per meritarne il perdono, perché per sua stessa confessione "la potenza della natura e della volontà umana", da lui molto lodata, "non può far sì che non sia stato fatto quello che è stato fatto". In questa situazione di necessità non le resta dunque che pregare d'esser perdonata. Che preghi invece d'esser aiutata a non peccare non lo raccomanda mai e non l'ho letto qui. Strano l'assoluto silenzio su questo punto!, mentre la preghiera del Signore ci fa chiedere ambedue i benefici: che siano rimessi a noi i nostri debiti e che non siamo indotti in tentazione 69; il primo, perché siano cancellati i peccati passati, il secondo perché siano evitati i peccati futuri. E sebbene ciò non si avveri senza l'intervento della volontà, tuttavia perché si avveri non basta la volontà da sola. A questo scopo quindi non è né superfluo né indiscreto offrire preghiere al Signore. Che c'è invece di più stolto di ricorrere alla preghiera per fare quello che hai già in tuo potere?


La tesi di Pelagio che il peccato di Adamo non ha nociuto alla natura umana.

19. 21. Considerate ora il punto più importante del problema: come costui tenti di presentare la natura umana quasi fosse assolutamente senza nessun vizio e come lotti contro le chiarissime Scritture di Dio con una sapienza che rende vana la croce del Cristo 70. Ma questa non perderà il suo valore e quella sarà invece distrutta. Quando l'avremo dimostrato, forse la misericordia di Dio interverrà anche a far pentire costui d'aver fatto tali affermazioni. Scrive: "In primo luogo bisogna discutere l'assunto che per il peccato la natura sia stata debilitata e cambiata 71. A tal proposito mi chiedo innanzi tutto che cosa sia il peccato: se una sostanza o se un nome privo affatto di sostanza, un nome che non indica una realtà, un'esistenza, un corpo, ma un'azione mal fatta". Poi soggiunge: "Credo che sia così. E se è così, come ha potuto debilitare o cambiare la natura ciò che è privo di sostanza?". Notate, vi prego, come incosciamente costui tenti d'eliminare la supplica salvatrice espressa da queste parole medicamentose: Io ho detto: Signore, abbi pietà di me, risana l'anima mia, perché ho peccato contro di te 72. Cosa viene risanato, se nulla è stato ferito, nulla piagato, nulla debilitato e guastato? Ma se c'è qualcosa da risanare, cos'è che l'ha guastato? Senti il salmista confessare e perché lo chiami a disputare? Dice: Risana l'anima mia 73. Domandagli che cosa abbia guastato ciò di cui implora il risanamento e ascolta quanto segue: Perché ho peccato contro di te 74. Lo interroghi costui, gli chieda quello che crede di dover chiedere e gli dica: O tu che gridi: Risana l'anima mia, perché ho peccato contro di te 75, che cos'è il peccato? "È una sostanza o è un nome privo affatto di sostanza, un nome che non indica una realtà, un'esistenza, un corpo, ma semplicemente un'azione mal fatta?". Risponde il salmista: È così come dici tu: il peccato non è una qualche sostanza, ma con questo nome si esprime soltanto un atto illecito. E il nostro scrittore a sua volta: "Per quale motivo allora tu gridi: Risana l'anima mia, perché ho peccato contro di te 76Come ha potuto guastare la tua anima ciò che non ha sostanza?". Addolorato della propria ferita, perché la discussione non lo distolga dall'orazione, non replicherà seccato il salmista: "Vattene, ti prego; discuti piuttosto, se puoi, con colui che ha detto: Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori 77? E qui chiama sani i giusti e malati i peccatori".


È nulla il peccato?

20. 22. Non v'accorgete dove tenda e dove allunghi la mano questa polemica 78? A far perdere ogni importanza alle parole: Lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati 79.Come lo salverà, se non ha malattia di sorta? I peccati infatti, dai quali il Vangelo dice che dev'essere salvato il popolo del Cristo, non sono delle sostanze e secondo costui non possono viziare. O fratello, sarebbe bene che ti ricordassi che sei cristiano. Forse basterebbe credere a queste verità; ma poiché vuoi discutere, se c'è alla base una fede fermissima, ciò non è dannoso, anzi è pure vantaggioso. Non stiamo a giudicare se la natura umana non possa essere viziata dal peccato ma, credendo alle Scritture divine che la dicono viziata dal peccato, indaghiamo come ciò sia potuto avvenire! Abbiamo già imparato che il peccato non è una sostanza. Non t'accorgi, per omettere altre cose, che anche il non mangiare non è una sostanza? Ci si astiene da una sostanza, qual è il cibo. Eppure, per quanto l'astenersi dal cibo non sia una sostanza, la sostanza del corpo, se questo si astiene completamente dal cibo, tanto languisce, tanto si corrompe per i disturbi della salute, tanto si esaurisce nelle sue forze, tanto s'indebolisce e si accascia che, pur se continua a vivere in qualche modo, sarà difficile farla tornare a quel cibo, astenendosi dal quale si è tanto viziata. Alla pari non è una sostanza il peccato. Ma una sostanza è Dio e la sostanza somma e il solo vero cibo della creatura razionale. Da lui avendo disertato per disobbedienza e non potendo più per debolezza cibarsi di lui, mentre ne doveva anche godere, non senti quello che il salmista dice: Il mio cuore abbattuto come erba inaridisce, dimentico di mangiare il mio pane 80?


La dottrina di Pelagio.

21. 23. Osservate come insista ancora con argomenti appena verosimili contro la verità della Scrittura santa. Dice il Signore Gesù, ed è chiamato Gesù proprio perché salva il suo popolo dai suoi peccati 81: Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori 82E l'Apostolo dice in concordanza: Questa parola è sicura e degna di essere da tutti accolta: Gesù Cristo è venuto in questo mondo per salvare i peccatori 83. Contro quest'affermazione, degna di fede e d'ogni accoglienza, costui dice che "simile infermità non doveva contrarsi per i peccati, perché tale pena del peccato non servisse a far commettere peccati ancora più numerosi". Anche per i bambini si cerca il soccorso di un Medico tanto grande e costui dice: "Che cercate? Sono sani quelli per i quali cercate il medico. Neppure il primo uomo fu condannato alla morte per il peccato e dopo infatti non peccò più". Quasi che della perfezione della giustizia di Adamo dopo il peccato abbia avuto costui notizie ulteriori rispetto a quanto ammette la Chiesa: essere stato anche lui liberato dalla misericordia del Cristo Signore. Egli dice: "Anche i suoi posteri non solamente non sono più deboli di lui, ma hanno pure osservato più precetti di lui, mentre egli ne ebbe uno solo e lo trasgredì". Egli vede che i discendenti di Adamo nascono in condizioni certamente diverse da quelle in cui fu creato lui: non solo sono incapaci di precetto, poiché non hanno affatto intelligenza, ma sono appena capaci d'attaccarsi alle mammelle quando hanno fame. Eppure, quando nel seno della Chiesa li vuol salvare con la sua grazia colui che salva il suo popolo dai suoi peccati 84, cotesti individui vi si oppongono e, quasi sapessero vedere dentro la creatura meglio di lui che l'ha creata, con voce insana li dichiarano sani.


Il peccato è la più grave pena del peccato stesso.

22. 24. Scrive costui: "La punizione del peccato sarebbe occasione di peccato, se dopo il peccato Adamo si fosse trovato tanto indebolito da peccare ancora di più". E non pensa quanto giustamente la luce della verità abbandoni il trasgressore della legge, che allora diventa cieco e necessariamente inciampa di più e cadendo s'infortuna e infortunatosi non può più risorgere. Così gli resta solo d'ascoltare la voce della legge per sentirsi ammonito ad implorare la grazia del Salvatore. Non è forse una pena quella di coloro di cui l'Apostolo dice: Pur conoscendo Dio, non gli hanno dato gloria né gli hanno reso grazie come a Dio, ma hanno vaneggiato nei loro ragionamenti e si è ottenebrata la loro mente ottusa 85? Questo ottenebramento era già una vendetta e una punizione. Tuttavia a causa di questa pena, cioè a causa della cecità del cuore, prodotta dall'eclissarsi della luce della sapienza, caddero in peccati ancora più numerosi e gravi. Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti 86. Grave è questa pena per chi la capisce. E guarda dove andarono a finire per essa: Hanno cambiato la gloria dell'incorruttibile Dio con l'immagine dell'uomo corruttibile, di uccelli, di quadrupedi e di serpenti 87Queste empietà fecero per la pena del peccato, per la quale si ottenebrò la loro mente ottusa 88E tuttavia aggiunge che per queste azioni, che, sebbene siano un castigo, sono esse pure dei peccati, Dio li ha abbandonati all'impurità secondo i desideri del loro cuore 89. Ecco come Dio li condannò ancora più gravemente lasciandoli ai desideri del loro cuore, alle immondezze. Notate anche le azioni che fanno a causa di questa punizione: Fino a disonorare tra loro i propri corpi 90. E che questa sia la pena dell'iniquità, di essere anch'essa iniquità, lo sottolinea con maggiore evidenza dicendo: Hanno cambiato la verità di Dio con la menzogna, hanno adorato e servito la creatura al posto del Creatore, che è benedetto nei secoli. Amen. Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami 91Ecco quante volte Dio punisce e dalla sua punizione nascono altri peccati più numerosi e più gravi. Le loro donne infatti hanno cambiato i rapporti naturali in rapporti contro natura. Egualmente anche gli uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono accesi di passione gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi maschi con maschi 92. E per chiarire che questi peccati avevano pure la funzione di punire altri peccati aggiunge anche per costoro: Ricevendo così in se stessi la punizione che si addiceva al loro traviamento 93. Notate quante volte intervenga Dio a punire il male e quali peccati nascano e pullulino dalla sua stessa punizione. Attenti ancora. L'Apostolo dice: E poiché hanno disprezzato la conoscenza di Dio, Dio li ha abbandonati in balìa di una intelligenza depravata, sicché commettono ciò che è indegno, colmi come sono di ogni sorta d'ingiustizia, di raggiri, di malizie, di avarizia, di invidia, di omicidi, di litigi, di frodi, di malignità; detrattori, calunniatori, nemici di Dio, insolenti, orgogliosi, tronfi, ingegnosi nel male, ribelli ai genitori, insensati, sleali, senza cuore, senza misericordia 94. Qui dica ora costui: "Non si doveva punire il peccato in tal modo che il peccatore peccasse ancora di più in forza della sua punizione".


Bastiamo a noi stessi per peccare, ma non per risorgere dal peccato.

23. 25. Forse risponderà che Dio non costringe a queste azioni, ma semplicemente abbandona coloro che meritano d'essere abbandonati. Se dice questo, dice una verità verissima. Privàti come sono della luce della giustizia e perciò ottenebrati, che altro possono fare se non tutte quelle opere delle tenebre che ho elencate, finché non obbediscano alla voce che dice ad essi: Svégliati, o tu che dormi, dèstati dai morti e il Cristo ti illuminerà 95? Morti li dice la Verità, come anche nella frase: Lascia i morti seppellire i loro morti 96La Verità dunque definisce morti quelli che costui nega che il peccato abbia potuto danneggiare e viziare, cioè perché ha scoperto che il peccato non è una sostanza. Nessuno gli dice che "l'uomo è stato fatto così che certamente può andare dalla giustizia al peccato, ma non può dal peccato tornare alla giustizia"; la verità è che per andare al peccato gli bastò il libero arbitrio con il quale viziò se stesso, per tornare invece alla giustizia ha bisogno del Medico perché non è più sano, ha bisogno del Risuscitatore perché è morto. E di questa grazia niente assolutamente dice costui, quasi che l'uomo possa guarire da sé con la sola sua volontà, perché essa l'ha potuto viziare da sola. Noi non diciamo a costui che "la morte del corpo ha valore di peccato", essendoci nella morte del corpo una punizione soltanto, e nessuno infatti pecca morendo corporalmente!; ma diciamo che ha valore di peccato la morte dell'anima, la quale è stata abbandonata dalla sua vita, cioè dal suo Dio, e fa necessariamente opere morte, finché non risorga per la grazia del Cristo. Noi ci guardiamo bene dal dire che "la fame, la sete e le altre molestie corporali mettono nella necessità di peccare": tanto che la vita dei giusti, esercitata da queste sofferenze, ha trovato il modo di splendere più nitida e superandole con pazienza di guadagnare una gloria più grande, ma aiutata dalla grazia di Dio, aiutata dallo Spirito di Dio, aiutata dalla misericordia di Dio, non esaltandosi con superba volontà, bensì meritandosi la fortezza con la confessione della propria debolezza. Sapeva infatti dire a Dio: Tu sei la mia pazienza 97. Di questa grazia, di questo aiuto, di questa misericordia, senza di cui non possiamo vivere bene, non so perché costui non dica assolutamente nulla. Anzi, difendendo la natura come bastante con la sola volontà a se stessa per essere giusta, contraddice apertissimamente alla grazia del Cristo che ci giustifica. Perché poi, dopo che è stato prosciolto il reato del peccato mediante la grazia, rimanga ad esercizio di fede la morte del corpo, sebbene la morte sia venuta dal peccato, l'ho spiegato già anche questo, come ho potuto, nei libri indirizzati a Marcellino di santa memoria 98!


La libera morte di Gesù.

24. 26. Riguardo alla sua affermazione che "il Signore poté morire senza il peccato" rispondo che per il Signore anche il nascere fu una scelta di misericordia, non una necessità di natura. Così pure morì volontariamente. E questo è il nostro prezzo con il quale poté redimerci dalla morte. Ecco quanto tenta di vanificare la polemica di costoro, quando difendono così la natura umana che il libero arbitrio possa fare a meno di tale prezzo perché gli uomini dal potere delle tenebre e del principe della morte siano trasferiti nel regno del Cristo Signore. Eppure il Signore, quando si avviò alla passione, disse: Ecco, viene il principe di questo mondo e non troverà nulla in me 99, nulla s'intende del peccato per cui il principe della morte lo potesse uccidere agendo secondo il proprio diritto. Ma affinché tutti sappiano che io faccio la volontà del Padre mio, alzatevi e andiamocene di qui 100: sappiano cioè che io non muoio per necessità di peccato, ma per volontarietà d'obbedienza.


Ci sono dei mali che fanno del bene.

24. 27. Costui scrive: "Nessun male è causa di un bene". Come se la pena fosse un bene. E tuttavia essa è stata per molti causa d'emendamento. Esistono dunque dei mali che fanno bene per la mirabile misericordia di Dio. Che forse provò qualcosa di buono colui che dice: Mi hai nascosto il tuo volto e sono stato turbato 101? Certamente no. Eppure questo turbamento fu in qualche modo per lui un medicamento contro la superbia. Aveva infatti detto nella sua prosperità: Non vacillerò in eterno 102, e attribuiva a se stesso quello che gli veniva dal Signore. Che cosa possedeva che non avesse ricevuto 103? Gli si doveva dunque far capire da chi gli veniva, perché ricevesse da umile quello che aveva perduto da superbo. Perciò dice: Nella tua bontà, o Signore, hai accordato stabilità alla mia gloria. Ecco la mia prosperità 104 in cui dicevo: Non vacillerò 105. Ma essa mi veniva da te e non da me. Poi mi hai nascosto il tuo volto e sono stato turbato 106.


Il peccato non era necessario.

25. 28. Un animo superbo non lo può assolutamente comprendere, ma grande è il Signore per darcene la convinzione nel modo che sa. Noi siamo più inclini a cercare le risposte per le obiezioni mosse contro il nostro errore che a cercare d'intendere quanto le obiezioni siano salutari perché ci liberiamo dall'errore. Bisogna quindi ricorrere non tanto alle discussioni con costoro quanto alle orazioni per costoro, come per noi. Noi non diciamo ad essi quello che costui obietta a se stesso: "Perché ci fosse posto per la misericordia di Dio era necessario il peccato". Magari non ci fosse stata la miseria a rendere necessaria la misericordia! Ma all'iniquità del peccato, tanto più grave quanto più facile sarebbe stato per l'uomo non peccare quando era ancora esente da qualsiasi debolezza, tenne dietro una pena giustissima: ricevé in se stesso la pena del contrappasso del suo peccato perdendo l'obbedienza del suo corpo, a lui in qualche modo sottomesso, per aver trascurato l'obbedienza principale che sottometteva lui stesso al suo Signore. E per il fatto che adesso nasciamo con la medesima legge del peccato, la quale nelle nostre membra si scontra con la legge della nostra mente 107, non dobbiamo né mormorare contro Dio, né discutere contro una realtà manifestissima, ma cercare la misericordia di Dio ed invocarla a soccorso della nostra pena.


 
MARIOCAPALBO
00sabato 13 settembre 2014 21:57
La grazia di Dio è necessaria anche ai giusti per non peccare.

26. 29. Notate molto attentamente come dice: "Dio usa la sua misericordia anche in questa direzione quando occorre, perché aiutare l'uomo dopo il peccato è necessario. Dio però non ha voluto la causa di tale necessità". Vi accorgete o no che non dice necessaria la misericordia di Dio perché non pecchiamo, ma solo perché peccammo? Poi soggiunge: "Anche un medico dev'essere pronto a medicare chi si è già ferito, ma non deve desiderare che un uomo rimanga ferito". Ammesso che questo paragone sia pertinente al nostro caso, certo la natura umana non può essere ferita dal peccato, perché il peccato non è una sostanza. Accettato dunque il paragone, come uno che per esempio zoppica a causa di una ferita, viene medicato perché, guarito dal male passato, il suo incedere torni ad essere normale per il futuro, così il Medico divino non guarisce i nostri mali unicamente perché essi spariscano, ma perché in seguito possiamo camminare bene, e non lo potremo nemmeno da sani se non con il suo aiuto. Infatti un uomo che fa il medico, quando ha guarito un altro uomo, che da allora in poi dovrà essere sostentato con elementi e alimenti corporali perché la sua salute si consolidi e perseveri con l'assistenza opportuna, lo lascia a Dio, il quale offre i mezzi della convalescenza a coloro che vivono nella carne, come era il padrone anche degli altri rimedi che il medico adoperava durante la cura. In realtà un medico non guarisce nessuno con medicine di sua creazione, ma con sostanze che sono di colui che crea tutte le cose necessarie ai sani e ai malati. Viceversa Dio, quando egli stesso per mezzo dell'uomo Gesù Cristo 108, mediatore tra Dio e gli uomini, guarisce spiritualmente un malato o risuscita un morto, cioè giustifica un peccatore 109, e quando l'ha ricondotto alla perfetta salute, ossia alla perfezione della vita e della giustizia, non l'abbandona se non è abbandonato da lui!, perché viva sempre nella pietà e nella giustizia. Come infatti l'occhio corporale, benché sanissimo, non può vedere se non è aiutato dal chiarore della luce, così l'uomo, benché perfettissimamente giustificato, non può vivere rettamente se non è aiutato da Dio con la luce eterna della giustizia. Dio dunque ci guarisce non solo così da cancellare ciò in cui peccammo, ma da prestare anche l'aiuto perché non pecchiamo.


Come un dolore caccia un altro dolore, così un peccato può curare un altro peccato.

27. 30. Molto acutamente tratta, esamina e per quanto gli sembra respinge e confuta un'obiezione mossa contro di loro: "Per togliere all'uomo l'occasione di superbia e di vanagloria era necessario che non potesse vivere senza peccare". Costui replica: "È assurdissimo e stupidissimo ammettere la necessità del peccato per impedire l'insorgere del peccato, atteso che è certamente peccato anche la superbia stessa ". Come se una piaga non procurasse dolore e un taglio non aggiungesse altro dolore per far sparire il dolore. Se noi non l'avessimo sperimentato e lo sentissimo raccontare in terre dove non fosse mai accaduto, senza dubbio diremmo con aria di schermo e forse con le medesime parole di lui: "È assurdissima la necessità del dolore per far sparire il dolore di una piaga".


Il peccato più pericoloso è la superbia.

27. 31. Dicono: "Ma Dio può guarire tutti i mali". Certamente Dio opera per guarire tutti i mali, ma opera secondo il suo giudizio e non prende dal malato l'ordine da seguire nella guarigione! Senza dubbio voleva per esempio rendere fortissimo l'Apostolo. A lui tuttavia dice: La mia potenza si manifesta pienamente nella debolezza 110 e, nonostante le ripetute preghiere, non gli tolse quel non so quale stimolo della carne che gli è stato dato perché non montasse in superbia nella grandezza delle rivelazioni 111. Tutti gli altri vizi infatti si fanno valere solo in azioni cattive, la superbia invece è la sola da cui bisogna guardarsi anche nelle azioni buone! Perciò i buoni sono preavvisati a non attribuire a proprio potere i doni di Dio e a non esaltare se stessi per non perdersi più gravemente che se non facessero nulla di buono. Ad essi vien detto: Attendete alla vostra salvezza con timore e tremore. È Dio infatti che suscita in voi il volere e l'operare secondo i suoi benevoli disegni 112. Perché dunque "con timore e tremore" invece che "con sicurezza", se è Dio che opera? Solo perché, stante il concorso della volontà nostra, senza la quale non possiamo operare rettamente, può ben presto insinuarsi nell'animo umano la tentazione di stimare merito esclusivo della volontà l'operare rettamente e dire nella propria prosperità: Non vacillerò in eterno 113. Per questo colui che con la sua benevolenza aveva assicurato stabilità alla gloria del salmista, ha nascosto appena per un poco il suo volto perché chi aveva detto ciò rimanesse turbato 114: proprio con tali dolorosi sistemi bisogna sanare il tumore della superbia.


Dio ci vuole umili.

28. 32. Non si dice dunque all'uomo: "Ti è necessario peccare per non peccare", ma gli si dice: Dove t'insuperbisci di qualche bene Dio ti abbandona per qualche istante, perché tu sappia che non è tuo, ma suo, e impari a non essere superbo. Anche quella famosa asserzione dell'Apostolo, qualunque ne sia il senso, non è forse così strana che non la si crederebbe, se non l'avesse fatta lui che dice la verità e che non è lecito contraddire? Chi tra i fedeli ignora che da satana è venuta la prima suggestione 115 del peccato e che è lui il primo istigatore di tutti i peccati? E tuttavia certuni vengono consegnati a satana perché imparino a non bestemmiare 116. Come dunque un'opera di satana scaccia un'altra opera di satana? Faccia attenzione a queste e a simili cose costui, perché non gli sembrino estremamente acute le sue osservazioni che hanno il suono di una certa acutezza, ma quando si vagliano si trovano ottuse. Perché poi adopera anche similitudini con le quali più che altro intende suggerire la risposta che gli si deve dare? Scrive: "Che dirò ancora se non che si potrebbe credere che i fuochi si estinguano con i fuochi, se si può credere che i peccati si curino con i peccati?". Che direbbe costui, se pur ammesso che nessuno possa estinguere i fuochi con i fuochi, tuttavia, come ho già spiegato, è vero che i dolori si possono curare con i dolori? Se cerca e impara la verità, si possono altresì scacciare i veleni con i veleni. Del resto, se qualche volta si è accorto che i calori della febbre si possono rompere con certi calori medicinali, forse concederà anche che i fuochi si estinguono con i fuochi.


Qualitativamente la superbia è un peccato specifico, cronologicamente è stato l'inizio di tutti i peccati.

29. 33. Chiede costui: "In che modo potremo separare la stessa superbia dal peccato?". Perché mai insiste con questa domanda, se è evidente che anche la superbia è peccato? Scrive: "Tanto il peccare è insuperbirsi quanto l'insuperbirsi è peccare. Cerca che cosa sia ogni peccato e vedi se trovi un peccato che non coinvolga la superbia". Costui poi spiega e tenta di dimostrare questa sua sentenza nel modo seguente: "Se non sbaglio, ogni peccato è disprezzo di Dio e il disprezzo di Dio è sempre superbia. Che c'è infatti di tanto superbo quanto disprezzare Dio? Ogni peccato dunque è anche superbia, dicendo pure la Scrittura: L'inizio d'ogni peccato è la superbia 117". Cerchi costui diligentemente e troverà che nella legge il peccato di superbia è molto ben distinto da tutti gli altri peccati. Molti peccati infatti si commettono per superbia, ma è vero anche che non tutte le azioni sbagliate avvengono per superbia: non certamente quelle che si fanno per ignoranza, per debolezza o spesso nel pianto e nel dolore. E inoltre la superbia, essendo per se stessa un grande peccato, sussiste così da sola senza altri peccati che il più delle volte, come ho detto 118, giunge con passo veloce ad insinuarsi non nei peccati, ma anche nelle stesse buone azioni. Le parole poi: L'inizio d'ogni peccato è la superbia 119, che costui intende diversamente, in tanto sono verissime in quanto fu la superbia ad abbattere il diavolo, da cui ebbe origine il peccato, e il diavolo, preso allora da invidia contro l'uomo che stava ancora in piedi, lo sgambettò per farlo cadere con il peccato che aveva fatto cadere lui stesso. Fu certo infatti la porta dell'orgoglio quella che il serpente cercò per entrare quando disse: Diventerete come Dio 120. Ecco perché si legge: L'inizio d'ogni peccato è la superbia, e: Principio della superbia umana è allontanarsi da Dio 121.


Ciascun uomo ha come suo il peccato originale.

30. 34. Che significa poi questo suo discorso: "Inoltre come può l'uomo essere debitore davanti a Dio per il reato di un peccato che sa non essere suo? Suo infatti non è" spiega "se è necessario. O se è suo, è volontario. E se è volontario, può evitarsi". Noi rispondiamo: È assolutamente suo. Ma il vizio da cui nasce non è stato sanato ancora completamente. Che quel vizio scoppiasse è certamente dipeso dall'uso non retto della sanità, e adesso l'uomo, ormai per quel vizio in cattivo stato di salute, commette molti peccati o per debilità o per cecità. Per lui bisogna supplicare che guarisca e che poi viva in perpetua sanità, senza che s'insuperbisca credendo che per essere sanato disponga della medesima possibilità con la quale si è viziato.


Quando scomparirà l'ultima ombra della superbia umana.

31. 35. E mi sia concesso di dire tutto questo certamente non senza confessare che ignoro il troppo profondo segreto di Dio: perché mai egli non guarisca immediatamente anche la stessa superbia che insidia l'animo umano perfino nelle buone azioni. Per guarirne le anime pie lo supplicano con lacrime e grandi gemiti che porga ad esse la sua destra nel tentativo di vincerla e quasi di calpestarla e schiacciarla. Appena l'uomo gioisce d'aver vinto anche la superbia in qualche opera buona, la superbia alza la testa di mezzo alla stessa gioia e dice: Ecco io vivo, di che trionfi? Ed io vivo, proprio perché trionfi. Forse prima del tempo ci piace trionfare come d'averla vinta, mentre l'ultima sua ombra sparirà, mi sembra, in quel meriggio che la Scrittura promette con le parole: Farà brillare come luce la tua giustizia e come il meriggio il tuo diritto 122, purché si avveri quello che è scritto prima: Manifesta al Signore la tua via, confida in lui ed egli farà 123: non che siano essi stessi a fare, come alcuni credono. Dicendo: Ed egli farà, sembra che non abbia avuto di mira se non quelli che dicono: Siamo noi a fare, cioè da noi giustifichiamo noi stessi. Nella giustificazione operiamo certamente anche noi, ma operiamo cooperando con Dio che opera prevenendoci con la sua misericordia 124. Ci previene però per guarirci e anche ci seguirà perché da sani diventiamo pure vigorosi!, ci previene per chiamarci e ci seguirà per glorificarci, ci previene perché viviamo piamente e ci seguirà perché viviamo con lui eternamente, essendo certo che senza di lui non possiamo far nulla 125. Ambedue le verità sono state scritte: Dio mio, la tua misericordia mi previene 126; e: La tua misericordia mi seguirà per tutti i giorni della mia vita 127. Manifestiamo dunque a lui la nostra via 128 accusandola, non la lodiamo difendendola. Se infatti non è la sua strada, ma la nostra, senza dubbio non è retta. Manifestiamola accusandoci, perché a lui non rimane nascosta nemmeno se cerchiamo di coprirla. Invece è bello dar lode al Signore 129.


Tutto è Dio per noi: la via e la forza di camminare.

32. 36. Egli ci darà quello che piace a lui, se quello che dispiace a lui in noi dispiacerà anche a noi. Egli, com'è scritto, invertirà i nostri passi sviati dalla sua via e farà diventare nostra via la sua 130, perché a coloro che credono e confidano in lui egli si offre a mantenere fedelmente la promessa: Ed egli farà 131. Questa è la via giusta. La ignorano coloro che hanno lo zelo di Dio, ma non secondo una retta conoscenza e, cercando di stabilire la propria giustizia, non si sono sottomessi a quella di Dio. Il termine infatti della legge, perché sia data la giustizia a chiunque crede, è il Cristo 132 che ha detto;Io sono la via 133. Anche coloro che camminano già su questa strada si sentono ugualmente dissuadere dalla parola di Dio dal vantarsi in essa delle proprie forze. A quelli infatti ai quali l'Apostolo dice per questo motivo: Attendete alla vostra salvezza con timore e tremore. È Dio che suscita in voi il volere e l'operare secondo i suoi benevoli disegni 134, per lo stesso motivo anche il salmo dice:Servite il Signore con timore ed esultate a lui con tremore. Accogliete l'ammonizione, perché il Signore non si adiri e non perdiate la via giusta, quando ad un tratto divampi la sua ira su di voi 135Non dice: "Perché non si adiri il Signore" e non "vi mostri la via giusta", o non "v'introduca nella via giusta". Ma con le sue parole: Perché non perdiate la via giusta 136 vuole impressionare efficacemente coloro che camminano già sulla buona strada. Come la potrebbero smarrire se non per superbia? Questa, l'ho detto tante volte e si dovrà ripetere tante altre volte, è da evitarsi anche nelle buone azioni, cioè sulla stessa via giusta, perché l'uomo reputando suo quello che è di Dio non perda quello che è di Dio e ritorni a quello che è suo. Facciamo perciò quanto è affermato nella conclusione di questo salmo: Beati tutti coloro che confidano in lui 137, evidentemente perché faccia, perché mostri la sua strada colui al quale si dice: Mostraci, Signore, la tua misericordia 138, e ci doni la salute per poter camminare colui al quale si dice: Donaci la tua salvezza 139, e ci guidi sulla medesima strada colui al quale si dice: Guidami, Signore, per la tua via e camminerò nella tua verità 140, e ci conduca là dove conduce la strada, cioè a quelle sue promesse, colui al quale si dice: Là mi condurrà la tua mano, là mi porterà la tua destra 141, e allora sfami coloro che sederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe colui del quale è detto: Li farà mettere a tavola e passerà a servirli 142. Non è infatti che quando ricordiamo queste verità, togliamo l'arbitrio della volontà, ma predichiamo la grazia di Dio. A chi in realtà giovano queste verità se non a chi vuole? Ma a chi vuole con umiltà e non a chi s'inorgoglisce delle forze della sua volontà, come se essa bastasse da sola alla perfezione della giustizia!


La creatura per quanto perfetta non sarà mai alla pari di Dio.

33. 37. Lungi poi da noi che diciamo a costui ciò che egli dice detto da alcuni contro di lui: "L'uomo si mette alla pari di Dio, se si dice che è senza peccato" 143. Come se si mettesse alla pari di Dio l'angelo perché è senza peccato. Quanto a me, la mia sentenza è questa: anche quando ci sarà in noi tanta giustizia da non poterle aggiungere assolutamente più nulla, la creatura non sarà uguale al Creatore. Se poi taluni credono che il nostro avanzamento futuro sarà tanto grande che ci convertiremo nella sostanza di Dio e diventeremo proprio ciò che è Dio, vedano essi su che basare la loro sentenza. Io confesso che non ne sono persuaso.


L'umiltà è verità.

34. 38. A questo punto esprimo tutto il mio consenso all'autore di cotesto libro, perché contro coloro che dicono: "Sembra ragionevole, sì, ciò che asserisci, ma sarebbe superbia dire che l'uomo può esser senza peccato" risponde che, se fosse assolutamente vero, non potrebbe dirsi in nessun modo superbia. Infatti osserva con tanto acume ed esattezza: "Da quale parte si deve preferire di mettere l'umiltà? Dalla parte senza dubbio della falsità, se dalla parte che spetta alla verità sta la superbia". Perciò piace a lui e gli piace con ragione che si preferisca collocare l'umiltà dalla parte della verità e non dalla parte della falsità! Ne consegue che di Giovanni il quale ha scritto: Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi 144 non si può minimamente dubitare che abbia detto la verità, altrimenti potrebbe sembrare che abbia detto questa falsità per amore d'umiltà. Ecco perché aggiunge: E la verità non è in noi, mentre forse erano sufficienti le parole: Inganniamo noi stessi, per evitare che alcuni potessero pensare che le sue parole: Inganniamo noi stessi avessero solo il significato che è superbo anche chi si loda di un bene vero. Aggiungendo dunque: E la verità non è in noi mostra in modo chiaro, come piace giustissimamente anche a costui, che non diciamo assolutamente la verità, se diciamo che siamo senza peccato: altrimenti l'umiltà, messa dalla parte della falsità, perderebbe il premio della verità.


È tutt'uno il Dio Creatore e il Dio Salvatore.

34. 39. Quanto poi alla persuasione che egli ha di sostenere la causa di Dio col difendere la natura, non tiene conto che col dire sana la medesima natura respinge la misericordia del Medico. Ma colui stesso che è il Salvatore della natura ne è il Creatore. Non dobbiamo dunque lodare così il Creatore da sentirci sospinti, anzi veramente convinti di dover ritenere superfluo il Salvatore. Onoriamo pertanto la natura dell'uomo con degne lodi e indirizziamo queste lodi alla gloria del Creatore, ma del fatto che ci ha creati siamogli così grati da non essergli ingrati del fatto che ci risana. I vizi ben nostri che egli risana non li attribuiamo all'opera divina, ma alla volontà umana e alla giusta punizione divina; però, come confessiamo che era in nostro potere impedire che accadessero, così dobbiamo confessare che guarirne dipende più dalla misericordia di Dio che dal nostro potere. Questa misericordia di Dio e il soccorso medicinale del Salvatore costui li ripone unicamente nel fatto "che Dio ci perdona i peccati commessi in passato e non nel fatto che ci aiuta ad evitarli in futuro"! È qui che costui sbaglia con grave danno: egli, sebbene non se ne accorga, ci distoglie dal vigilare e dal pregare che non entriamo in tentazione 145, sostenendo che è assolutamente in nostro potere impedire che ciò accada.


La disperazione della salvezza.

35. 40. Pensa giustamente costui che "gli esempi di alcuni peccatori sono riferiti dalle Scritture, non perché ci spingano alla disperazione di non riuscire a non peccare e perché sembri da essi che ci venga offerta in qualche modo la sicurezza di peccare", ma perché impariamo o l'umiltà di pentirci o anche in tali cadute il dovere di non disperare della salvezza. Alcuni infatti, dopo esser caduti in peccato, si perdono ancora di più per disperazione e non solo trascurano la medicina di pentirsi, ma si fanno schiavi di libidini e di desideri scellerati per soddisfare brame disoneste e riprovevoli, come se a non farlo perdessero pur quello a cui li istiga la libidine, convinti d'esser ormai già sull'orlo della sicura dannazione. Contro questa malattia estremamente pericolosa e dannosa giova il ricordo dei peccati in cui sono caduti anche i giusti e i santi.


È possibile morire senza peccato, pur non essendo possibile vivere senza peccato.

35. 41. Ma acuta apparisce l'interrogazione che fa costui: "In che stato bisogna credere che tali santi siano partiti da questa vita: con il peccato o senza il peccato?". Se si risponde: Con il peccato, allora bisognerebbe ritenere che li abbia colpiti la dannazione, e ciò è incredibile. Se invece si dice che sono usciti da questa vita senza nessun peccato, allora si avrebbe la prova che almeno all'avvicinarsi della morte qualcuno è stato senza peccato in questa vita. Ora, qui costui, sebbene acutissimo, tiene poco conto del fatto che nemmeno i giusti dicono invano nell'orazione: Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori 146, e che il Cristo Signore, dopo aver esposto la medesima orazione, aggiunge nell'insegnarla questo veracissimo commento: Se voi infatti perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi le vostre 147. Infatti con questo quotidiano incenso spirituale, passi l'espressione, che portiamo davanti a Dio sull'altare del cuore, invitati come siamo a tenere il cuore in alto, benché non si viva quaggiù senza peccato, si può morire senza peccato, perché appena si commette un peccato per ignoranza o debolezza subito si cancella con facile indulgenza.


Eccettuata la Vergine Maria, nessun santo visse senza peccare.

36. 42. Poi ricorda coloro "dei quali si dice non solo che non peccarono, ma che vissero anche santamente: Abele, Enoch, Melchisedech, Abramo, Isacco, Giacobbe, Giuseppe, Gesù di Nave, Finees, Samuele, Natan, Elia, Eliseo, Michea, Daniele, Anania, Azaria, Misaele, Ezechiele, Mardocheo, Simeone, Giuseppe di cui era sposa la vergine Maria, Giovanni". Aggiunge pure delle donne: "Debora, Anna madre di Samuele, Giuditta, Ester, l'altra Anna figlia di Fanuel, Elisabetta" e anche la stessa Madre del Signore e Salvatore nostro, e di essa dice "che va necessariamente riconosciuta senza peccato dal nostro senso religioso". Escludiamo dunque la santa vergine Maria, nei riguardi della quale per l'onore del Signore non voglio si faccia questione alcuna di peccato. Infatti da che sappiamo noi quanto più di grazia, per vincere il peccato sotto ogni aspetto, sia stato concesso alla Donna che meritò di concepire e partorire colui che certissimamente non ebbe nessun peccato? Eccettuata dunque questa Vergine!, se avessimo potuto riunire tutti quei santi e quelle sante durante la loro vita terrena e interrogarli se fossero senza peccato, quale pensiamo sarebbe stata la loro risposta? Quella che dice costui o quella dell'apostolo Giovanni? Lo chiedo a voi. Per quanto grande potesse essere la loro santità nella vita corporale, alla nostra eventuale domanda non avrebbero forse gridato ad una sola voce: Se dicessimo di essere senza peccato, inganneremmo noi stessi e la verità non sarebbe in noi 148? O forse risponderebbero in questo modo più per umiltà che per verità? Ma a costui già piace, e gli piace con ragione, "di non mettere il pregio dell'umiltà dalla parte della falsità". Allora, se quei santi nella loro risposta dicessero la verità, sarebbero peccatori e la verità sarebbe in essi, proprio per il loro umile riconoscimento. Se al contrario mentissero, sarebbero ugualmente peccatori, perché in essi non ci sarebbe la verità.


Certamente la Scrittura non elenca i peccati di tutti i suoi personaggi.

37. 43. Costui scrive: "Diranno forse: Avrebbe mai potuto la Scrittura ricordare i peccati di tutti?". No certamente, e gli direbbero la verità coloro che gli dicessero così, chiunque fosse a dirglielo, né vedo che costui abbia risposto alcunché di valido contro di loro, sebbene io veda che non ha voluto tacere. State infatti a sentire per favore che cosa abbia detto. Scrive: "Questo si può dire giustamente di coloro di cui la Scrittura non ricorda né il bene né il male. Di coloro invece di cui ricorda la giustizia avrebbe ricordato senza dubbio anche i peccati, se fosse stata convinta che ne avevano commessi". Dica dunque che non rientrava nella giustizia la fede tanto grande di coloro che, affollandosi numerosi prima e dopo l'asinello di Gesù, con canti di lode in mezzo anche a nemici frementi contro la loro dimostrazione, andavano gridando: Osanna al Figlio di Davide. Benedetto colui che viene nel nome del Signore 149. Osi dunque costui dire, se può, che in tanta folla di gente non c'era nessuno che avesse assolutamente un qualche peccato. Se è assurdissimo dir questo, perché mai la Scrittura non ricorda nessun peccato di quelli dei quali ebbe cura di ricordare tanta bellezza di fede?


MARIOCAPALBO
00sabato 13 settembre 2014 21:58
La Scrittura attesterebbe secondo Pelagio che Abele visse senza alcun peccato.

37. 44. Ma forse anche costui avvertì la debolezza della sua risposta e per questo soggiunge: "Passi però che in altri tempi la Scrittura abbia sorvolato sui peccati di tutti per il grande numero delle persone. Ma all'origine stessa del mondo, quando non esistevano che quattro persone soltanto, come spieghiamo che non abbia voluto ricordare i peccati di tutti? A causa dell'ingente moltitudine che non esisteva ancora? Non è forse perché ricorda soltanto i peccati di quelli che ne commisero e non poteva ricordare i peccati di chi non ne commise?". E aggiunge ancora altre parole che dànno una base più estesa e più chiara a questa sua sentenza. Scrive: "È certo che in un primo tempo si riferiscono esistenti soltanto quattro persone: Adamo ed Eva, dai quali nacquero Caino e Abele. Eva peccò e la Scrittura lo racconta 150. Adamo pure peccò e la Scrittura non lo tace 151. Che abbia peccato anche Caino l'attesta ugualmente la medesima Scrittura 152, e dei tre ci fa conoscere non solo il fatto dei peccati, ma anche la loro qualità. Se avesse peccato pure Abele, la Scrittura l'avrebbe detto certamente. Ma non l'ha detto e dunque Abele non peccò. Anzi lo presenta come giusto. Dobbiamo dunque credere a quello che si legge e credere illecito sostenere quello che non si legge".

La Scrittura non si ferma sui Peccati leggeri di Abele.

38. 45. Dicendo così tiene poco conto di quello che aveva già detto immediatamente prima, cioè che "cresciuta ormai la moltitudine del genere umano, la Scrittura per il grande numero delle persone poté sorvolare sui peccati degli uomini". Se avesse ben inteso la portata di queste sue parole, avrebbe visto che nemmeno di un uomo soltanto si poteva o si doveva, posta la possibilità, riferire tutta la fitta molteplicità dei peccati leggeri. I fatti riferiti dalla Scrittura sono necessariamente limitati e il lettore deve istruirsi da pochi esempi su molte verità necessarie. Delle stesse persone di allora, sebbene ancora poche, la Scrittura non ha voluto dire quante e quali fossero, cioè quanti figli e quante figlie abbiano procreato Adamo ed Eva e come li abbiano chiamati. - Per questo taluni, poco attenti a quante notizie la Scrittura passi sotto silenzio, hanno creduto che lo stesso Caino si sia unito con la madre per procreare la prole che gli si attribuisce 153, pensando che quei due figli di Adamo non avessero sorelle, perché la Scrittura le tace allora, mentre nella ricapitolazione successiva suppone quello che aveva omesso, cioè che Adamo procreò figli e figlie 154, senza manifestare né il tempo della loro nascita, né il loro numero, né i loro nomi -. Così non era necessario nemmeno che la Scrittura dicesse se Abele, benché meritamente chiamato giusto 155, abbia riso qualche volta un po' smodatamente, se abbia scherzato irriflessivamente o abbia guardato qualcosa con concupiscenza o se qualche volta abbia colto dei frutti oltre il giusto o abbia preso qualche piccola indigestione per eccesso di cibo o se durante la preghiera abbia pensato a qualcosa che lo distraesse, e quante volte gli siano scappati questi e molti altri simili peccati. O forse non sono questi i peccati dai quali ci esorta universalmente a guardarci e liberarci l'Apostolo ordinandoci: Non regni più dunque il peccato nel vostro corpo mortale, sì da sottomettervi ai suoi desideri 156? Per non obbedire ad essi in azioni che non sono lecite o sono meno convenienti dobbiamo combattere una battaglia quotidiana e continua. Da questo vizio di peccato dipende infatti che si lascia libero l'occhio di posarsi dove non dovrebbe e, se questo vizio diventa potente e prepotente, si commette anche l'adulterio nel corpo, mentre nel cuore è tanto più svelto quanto più veloce è il pensiero e nessuna remora gli fa ostacolo. Coloro che sono riusciti a frenare in gran parte questo peccato, cioè il richiamo di questo attaccamento vizioso, così da non obbedire alle sue brame e non mettere a sua disposizione le proprie membra come strumenti d'ingiustizia 157, hanno meritato anche d'esser chiamati giusti, e l'hanno meritato per l'aiuto della grazia di Dio. Tuttavia, poiché spesso questo peccato striscia insensibilmente nelle situazioni più banali e qualche volta incontrollate, ci furono alcuni che sono stati giusti e nello stesso tempo non sono stati immuni dal peccato! Infine, se nel giusto Abele la carità di Dio, che è la sola a rendere veramente giusto chiunque è giusto, era ancora tale da poter e dover crescere, quello che le mancava costituiva un difetto 158! E in chi può non esser manchevole la carità finché non si giunge a quella sua fortezza che ingoi in sé tutta l'umana debolezza?

Nulla si deve ritenere contro la Scrittura.

39. 46. Conclude questo passo proprio con una gran bella sentenza: "Dobbiamo credere a quello che si legge e credere illecito sostenere quello che non si legge: questo valga per sempre". Al contrario io dico che non dobbiamo credere a tutto quello che leggiamo, ammonendoci l'Apostolo: Leggete tutto e tenete ciò che è buono 159, e dico che non è illecito sostenere qualcosa anche senza averlo letto. Infatti possiamo sostenere in buona fede come testimoni quello che abbiamo sperimentato anche senza forse averlo letto. Costui risponderà probabilmente: "Io dicendo ciò parlavo delle Scritture sante". Magari non volesse sostenere nulla non dico che non abbia letto in quelle Lettere, ma nulla contro ciò che vi ha letto! Allora ascolterebbe fedelmente e obbedientemente quanto è scritto nel testo: A causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte e così ha raggiunto tutti gli uomini, che tutti hanno peccato in lui 160. Allora non svaluterebbe la grazia di un Medico così grande, rifiutandosi di riconoscere che la natura umana è rimasta viziata. Magari leggesse da cristiano che all'infuori di Gesù Cristo non esiste altro nome sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati 161 e non difendesse il potere della natura umana tanto da far credere che l'uomo può salvarsi con il libero arbitrio anche senza questo nome.

Gesù è necessario a noi più di quanto pensasse Pelagio.

40. 47. Ma forse costui pensa che il nome del Cristo è necessario soltanto perché impariamo mediante il suo Vangelo in che modo dobbiamo vivere e non anche perché siamo aiutati dalla sua grazia a vivere bene. Almeno per questo confessi che nell'animo dell'uomo ci sono delle tenebre miserevoli: sa in che modo deve domare un leone e non sa in che modo deve vivere. O anche per sapere in che modo deve vivere gli basta il libero arbitrio e la legge naturale? Questo è un discorso sapiente che rende vana la croce del Cristo 162. Ma colui che ha detto: Distruggerò la sapienza dei sapienti 163, poiché la croce non può essere resa vana, rovescia certamente tale sapienza mediante la stoltezza della predicazione che sana i credenti 164. Se infatti il potere naturale basta a se stesso mediante il libero arbitrio sia per conoscere come deve vivere, sia per vivere bene, allora il Cristo è morto invano 165, allora è annullato lo scandalo della croce 166. Perché qui non dovrei gridare anch'io? Ma sì che griderò e con dolore cristiano rimprovererò costoro: Non avete più nulla a che fare con il Cristo voi che cercate la giustificazione nella natura; siete decaduti dalla grazia 167: ignorando infatti la giustizia di Dio e volendo stabilire la propria, non vi siete sottomessi alla giustizia di Dio 168. Come il Cristo è infatti il termine della legge, così è anche il Salvatore della natura umana viziata, perché sia data la giustizia a chiunque crede 169!

Siamo tutti in peccato.

41. 48. All'obiezione che fa a se stesso come rivoltagli da coloro contro i quali scrive e desunta dalle parole: Tutti hanno peccato 170, risponde che "manifestamente l'Apostolo parlava di coloro che esistevano in quel tempo, ossia dei giudei e dei gentili". Veramente il passo da me ricordato: A causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte e così ha raggiunto tutti gli uomini, che tutti hanno peccato in lui 171, abbraccia con questa sua sentenza e gli antichi e i nostri predecessori e noi e i nostri posteri. Costui cita anche un altro testo per provare che non sempre quando si dice tutti bisogna intendere tutti assolutamente senza fare eccezioni. Il testo è questo: Come per la colpa di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna, così anche per l'opera di giustizia di uno solo si riversa su tutti gli uomini la giustificazione che dà vita 172. Costui commenta: "Non c'è dubbio che per la giustizia del Cristo non sono stati santificati tutti, ma soltanto quelli che gli hanno voluto obbedire e sono stati purificati dall'abluzione del suo battesimo". Con questo testo non dimostra davvero quello che vuole. Infatti allo stesso modo che è detto: Come per la colpa di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna 173, senza tralasciare nessuno, così anche nel testo dove è detto: Per l'opera di giustizia di un solo si riversa su tutti gli uomini la giustificazione che dà vita 174 non è stato tralasciato nessuno, non perché tutti credono in lui e vengono lavati dal suo battesimo, ma perché nessuno viene giustificato senza credere in lui e senza essere lavato dal suo battesimo. Si dice dunque tutti, perché non si creda che qualcuno possa salvarsi in qualche altro modo facendo a meno di lui. Se per esempio in una città c'è un solo maestro di lettere, diciamo giustissimamente: Egli insegna qui le lettere a tutti, non perché tutti i cittadini attendono a imparare le lettere, ma perché nessuno le impara se non da lui che le insegna. Similmente nessuno viene giustificato senza che sia il Cristo a giustificarlo!

È fuori discussione nell'uomo la possibilità di non peccare, ma per la grazia divina.

42. 49. Scrive costui: "Ma voglio ammettere che la Scrittura attesti che tutti gli uomini sono stati peccatori. Allora essa dice quello che sono stati, non dice che non potevano essere diversi. Perciò, anche quando si potesse dimostrare che tutti gli uomini sono peccatori, ciò non nuocerebbe tuttavia alla nostra tesi, perché noi non difendiamo tanto quello che gli uomini sono, quanto quello che gli uomini possono essere". Fa bene costui a riconoscere qui finalmente che nessun vivente è giusto davanti a Dio 175. Protesta tuttavia che la questione non sta qui, ma nella stessa possibilità di non peccare, nella quale nemmeno noi abbiamo bisogno di combattere contro di lui. Né m'interessa troppo infatti se siano esistiti sulla terra o esistano o possano esistere in futuro taluni che abbiano avuto o abbiano adesso o avranno la carità di Dio perfetta, a cui non ci fosse nulla da aggiungere - la carità è infatti la più vera, la più piena, la più perfetta giustizia -, perché ciò che confesso e difendo è che questo è possibile alla volontà umana solo se aiutata dalla grazia di Dio, senza l'affanno di sapere quando e dove e in chi si verifichi! Né dubito della possibilità stessa, perché tanto essa che la sua realizzazione provengono nei santi dalla volontà umana appena è sanata da Dio e aiutata da lui, quando la carità di Dio, nella massima pienezza in cui la può accogliere la nostra natura sana e pura, si diffonde nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato 176. Meglio dunque si difende la causa di Dio (patrocinando la quale costui dice di fare l'avvocato della natura), quando si riconosce e il Creatore e il Salvatore, piuttosto che quando si rende vano il soccorso del Salvatore difendendo la creatura come se fosse sana e integra nelle sue forze!

In causa è l'uomo decaduto.

43. 50. È vero però quello che asserisce costui: "Dio, tanto buono quanto giusto, fece l'uomo tale da bastare a se stesso per evitare il male del peccato, ma purché l'avesse voluto". Chi ignora infatti che l'uomo fu creato sano e senza colpa, dotato di libero arbitrio e in possesso del libero potere di vivere santamente? Ma ora si tratta dell'uomo che i ladri hanno lasciato semivivo sulla strada 177, dell'uomo piagato e trafitto da gravi ferite che non può ascendere più al culmine della giustizia con la stessa facilità con la quale poté discenderne, dell'uomo che per quanto già ricoverato in albergo ha bisogno ancora di cure. Dio dunque non comanda cose impossibili, ma comandando ti ordina sia di fare quello che puoi, sia di chiedere quello che non puoi! E vediamo ormai da dove viene all'uomo il potere e da dove gli viene il non potere. Costui dice: "Non dipende dalla volontà il potere che proviene dalla natura". Io dico: "Certamente dipende dalla volontà che l'uomo non sia giusto, se lo può per natura; ma sarà la medicina a dare alla natura dell'uomo il potere che non ha più per il vizio"!

Non ci può essere liberazione dal peccato se non in forza della fede in Gesù.

44. 51. Ma che bisogno c'è ormai di fermarci su tanti punti? Veniamo più addentro alla causa che sola o quasi sola abbiamo con costoro limitatamente alla presente questione! Come egli stesso dice, "il problema attuale non è di sapere se siano esistiti o se esistano alcuni uomini senza peccato in questa vita, ma se siano potuti o possano esistere". Anche se io ammettessi che siano esistiti o che esistano, tuttavia non riconoscerei in nessun modo che siano potuti o possano esistere se non in quanto giustificati dalla grazia di Dio per Gesù Cristo nostro Signore, e questi crocifisso 178. Sanò appunto gli antichi giusti la stessa fede che sana anche noi, cioè la fede nel mediatore tra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù 179, la fede nel suo sangue, la fede nella sua croce, la fede nella sua morte e risurrezione. Dunque, animati da quello stesso spirito di fede, anche noi crediamo e perciò parliamo 180.

L'ambiguità di Pelagio.

44. 52. Ma vediamo che cosa risponde costui ad una obiezione che muove a se stesso e in cui appare veramente intollerabile ai cuori cristiani. Ecco le suo parole: "Quello che urta parecchi, dirai, è che tu difenda la possibilità dell'uomo d'essere senza peccato facendo a meno della grazia di Dio". Proprio questo ci urta, proprio questo gli rinfacciamo. Questo appunto egli dice e noi ci soffriamo molto a sentirglielo dire. Che dei cristiani su tal punto facciano tali questioni non lo sopportiamo per l'amore che abbiamo verso gli altri e verso di loro stessi. Ascoltiamo dunque come costui si tiri fuori nella presente questione posta dalla nostra obiezione. Scrive: "O cieca ignoranza, o pigrizia di menti incolte! Si crede che io patrocini senza la grazia di Dio ciò che invece mi si sente dire doversi attribuire a Dio soltanto". Se non conoscessimo il seguito, a sentire unicamente queste parole, penseremmo d'aver creduto il falso su costoro andando dietro alle folate della fama e alle asserzioni di alcuni fratelli che ci sembravano testimoni attendibili. Che cosa infatti si sarebbe potuto dire con più brevità e verità di questo: la possibilità di non peccare, per quanta ce ne sia o ce ne sarà in un uomo, non si deve attribuire se non a Dio? Lo diciamo anche noi. Diamoci la mano.

Le spiegazioni di Pelagio.

45. 53. Dobbiamo ascoltare o no le altre dichiarazioni di costui? Le dobbiamo ascoltare interamente e anche le dobbiamo certamente correggere o schivare. Scrive costui: "Quando infatti si dice che lo stesso potere non è affatto dell'arbitrio umano, ma della natura, cioè dell'autore della natura, ossia di Dio, com'è mai possibile intendere senza la grazia di Dio ciò che si fa appartenere propriamente a Dio?". Comincia già ad apparire il senso del suo dire. Ma perché non corriamo il rischio d'ingannarci, lo spiega più estesamente e chiaramente. Scrive: "Affinché ciò si renda più manifesto, ne dobbiamo discutere un poco più a lungo. Noi diciamo infatti che ogni possibilità dell'uomo si fonda non tanto sul potere del suo arbitrio quanto sulla necessità della sua natura". Illustra la sua esposizione anche con degli esempi o similitudini. Dice: "Io per esempio ho la possibilità di parlare. Il poter parlare non dipende da me, ma il fatto di parlare dipende da me, cioè dalla mia propria volontà. E poiché il parlare dipende da me, io posso fare l'uno e l'altro, cioè parlare o non parlare. Ma poiché il poter parlare non dipende da me, cioè dal mio arbitrio e dalla mia volontà, la possibilità di parlare mi rimane necessariamente. Anche se desiderassi di non poter parlare, non potrei tuttavia perdere la possibilità di parlare, a meno che non mi strappassi l'organo che serve a parlare"! Molti invero possono dirsi i modi in cui l'uomo potrebbe privarsi della possibilità di parlare senza privarsi dell'organo della loquela. Se per esempio si fa qualcosa che tolga la voce stessa, nessuno potrà parlare, pur rimanendogli le membra: la voce umana non è infatti un membro. Si può causare l'impossibilità di parlare danneggiando molto qualche membro interno pur senza sopprimerlo. Ma non vorrei dare l'impressione d'insistere su di una parola e sentirmi dire che anche danneggiare è sopprimere. Ebbene, ci possiamo impedire di parlare anche chiudendo e tappando la bocca con delle bende in modo da non aver più né la forza né la possibilità d'aprirla, mentre avevamo prima la possibilità di chiuderla, continuando però a disporre di membra integre e sane.

La necessità naturale non esclude la volontà.

46. 54. Ma a noi che ce ne viene? Vediamo che cosa ne derivi costui. Scrive: "È privo d'arbitrio volontario e di deliberazione tutto ciò che è costretto da necessità naturale". Anche qui sorgerebbe qualche problema. È infatti assurdissimo dire che non appartiene alla nostra volontà volere essere beati per il fatto che in forza di non so quale buona costrizione di natura non possiamo in nessun modo non volerlo. Né osiamo dire che Dio non abbia la volontà della giustizia, ma ne abbia la necessità per il fatto che non può voler peccare.

La volontà umana influisce anche nel campo della necessità naturale.

47. 55. Notate anche quello che segue. Scrive: "Dell'udito pure, dell'odorato o della vista è possibile pensare lo stesso: udire, odorare, vedere dipende da noi; poter udire, poter odorare, poter vedere non dipende da noi, ma da necessità naturale". O sono io a non capire quello che dice o è lui. In che modo infatti non è in nostro potere la possibilità di vedere, se è in nostro potere la necessità di non vedere, perché è in nostro potere la cecità con la quale ci togliamo, se vogliamo, la stessa possibilità di vedere? E poi il vedere com'è in nostro potere, se vogliamo, atteso che, pur rimanendo intatta l'integrità del nostro corpo e dei nostri occhi, non possiamo vedere volendo, sia a causa della notte, se vengono tolte le luci che si accendono fuori, sia nel caso che qualcuno ci rinchiuda in un luogo tenebroso? Ugualmente, se non è in nostro potere la possibilità d'udire o di non udire, ma dipende da una costrizione di natura, e invece il fatto di udire o non udire dipende dalla nostra volontà, perché costui non si avvede quanti suoni udiamo senza volerlo, che penetrano nel nostro udito anche con gli orecchi turati, come lo stridore d'una sega o il grugnito di un porco? Sebbene il turarsi gli orecchi dimostri che non è in nostro potere non udire con gli orecchi aperti, tuttavia una tale otturazione che ci tolga lo stesso udito ottiene forse pure l'effetto che sia in nostro potere anche l'impossibilità di udire. Non si dimostra poi costui poco attento in quello che dice dell'odorato? Dice: "Non è in nostro potere la possibilità o l'impossibilità di odorare, ma è in nostro potere", cioè dipende dalla nostra libera volontà, "odorare o non odorare". Al contrario. Se ci trovassimo messi in mezzo a degli odori cattivi e molesti e qualcuno ci costringesse a rimanerci con le mani legate, noi, pur conservando assolutamente l'integrità e la salute delle membra, vorremmo non odorare e non lo potremmo affatto, perché, essendo costretti a tirare il fiato, tireremmo insieme anche il fetore che non vorremmo.

La nostra volontà non basta a non peccare.

48. 56. Alla stessa maniera dunque in cui sono sbagliate quelle similitudini, è sbagliata pure la tesi per la quale le ha volute adoperare. Costui infatti seguita e dice: "In modo simile dobbiamo intendere la possibilità di non peccare: dipende da noi non peccare, non dipende da noi il potere di non peccare". Anche se parlasse della natura integra e sana dell'uomo (che adesso non abbiamo, Poiché nella speranza noi siamo stati salvati. Ora, ciò che si spera, se visto, non è più speranza. Ma se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza 181), non avrebbe ragione di dire che non peccare dipende esclusivamente da noi, quantunque peccare dipenderebbe da noi: anche allora infatti ci sarebbe l'aiuto di Dio che si offrirebbe a farci volere, come la luce si offre ad occhi sani per farli vedere. Ma poiché parla della vita attuale in cui un corpo corruttibile appesantisce l'anima e la tenda d'argilla grava la mente dai molti pensieri 182, mi sorprende con che cuore costui anche senza l'aiuto della medicina del nostro Salvatore faccia dipendere da noi il non peccare e sostenga che il poter non peccare dipende dalla natura, la quale appare tanto viziata che il colmo del vizio è non vederlo.

Con le gambe rotte non si può camminare.

49. 57. Scrive costui: "Poiché non peccare è cosa nostra, possiamo peccare e non peccare". Allora se un altro dicesse: Poiché è cosa nostra non volere l'infelicità, possiamo volerla e non volerla? Eppure non ci è affatto possibile volerla. Chi può desiderare d'essere infelice, anche se vuole delle cose che poi contro la sua volontà lo renderanno infelice? Inoltre, poiché non peccare è molto più proprio di Dio, oseremmo forse dire che egli può peccare e non peccare? Ci mancherebbe che dicessimo che Dio può peccare. Ugualmente è chiaro, al contrario di quanto pensano gli stolti, che Dio non perderà la sua onnipotenza per il fatto di non poter né morire né rinnegare se stesso 183. Cos'è dunque quello che dice costui e con quali regole di retorica tenta di convincerci di quanto non vuole approfondire? Aggiunge ancora e dice: "Poiché la possibilità di non peccare non è cosa nostra, anche desiderando di non avere la possibilità di non peccare, non possiamo non avere la possibilità di non peccare". Lo dice con una frase contorta e quindi oscura. Lo possiamo rendere più chiaro in questo modo: poiché non è cosa nostra la possibilità di non peccare, vogliamo o non vogliamo abbiamo la possibilità di non peccare. Non dice infatti: Vogliamo o non vogliamo non pecchiamo. Senza dubbio pecchiamo se vogliamo. Ma asserisce piuttosto che, vogliamo o non vogliamo, noi continuiamo a possedere la possibilità di non peccare, che dice insita nella natura. Ma di un uomo che ha le gambe sane si può passabilmente dire che ha la possibilità di camminare, voglia o non voglia. Con le gambe rotte invece non ha più tale possibilità, anche se volesse camminare. È malata la natura di cui si dice: Perché mai si insuperbisce chi è terra e cenere 184? È malata, implora il Medico. Grida: Salvami, Signore 185. Grida: Guarisci l'anima mia 186. Perché costui soffoca queste voci con il risultato d'impedire la sanità futura difendendo una presunta possibilità presente?

Pelagio sostiene che la natura umana ha la possibilità inalienabile di non commettere alcun peccato.

50. 58. E notate che cosa soggiunge credendo di confermare il proprio pensiero. Scrive: "Nessuna volontà può togliere ciò che risulta inseparabilmente insito nella natura". Perché allora quell'affermazione: Voi non fate quello che vorreste 187? Perché anche l'altra affermazione: Io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio 188? Dov'è la possibilità che risulterebbe inseparabilmente insita nella natura? Ecco gli uomini non fanno le azioni che vogliono. E l'Apostolo parlava certamente di non peccare, non parlava di volare, perché erano uomini e non uccelli. Ecco l'uomo non fa il bene che vuole, ma fa il male che non vuole: in lui c'è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo 189. Dov'è la possibilità che risulterebbe inseparabilmente insita nella natura? Chiunque l'Apostolo rappresenti 190, se non parla di se stesso, certamente rappresenta l'uomo. Costui invece sostiene che la stessa natura umana ha la possibilità inalienabile di non commettere nessun peccato. Ora, l'effetto di queste parole, anche se le dice uno che non sa - ma non è uno che non sa, lui che queste parole mette in bocca agli incauti che pur temono Dio - è di annullare la grazia del Cristo, quasi che la natura umana sia sufficiente a se stessa per la propria giustizia.

La grazia è per Pelagio la stessa possibilità naturale di non peccare creata da Dio nell'uomo.

51. 59. Per calmare il malumore dei cristiani che gridano per la propria salvezza e dicono: Perché affermi che l'uomo può non peccare senza l'aiuto della grazia di Dio?, egli risponde: "La possibilità di non peccare non sta tanto in potere dell'arbitrio quanto nella necessità della natura. Tutto ciò che si basa sulla necessità naturale, indubbiamente appartiene all'autore della natura, cioè a Dio. Come mai dunque si stima che si dica senza grazia di Dio ciò che si indica come propriamente appartenente a Dio?". Si è fatto esplicito il pensiero che rimaneva nascosto: ora non c'è più modo di celarlo. In tanto attribuisce alla grazia di Dio la possibilità di non peccare in quanto Dio è il Creatore di quella natura nella quale dice inseparabilmente insita la possibilità di non peccare. L'uomo dunque se vuole fa, se non vuole non fa. Avendo infatti una possibilità indelebile, non gli può capitare d'esser debole di volontà o meglio d'avere il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo. Se dunque è così, perché allora le parole: C'è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo 191? Se l'autore di cotesto libro parlasse della natura umana che all'inizio fu creata innocente e sana, la sua affermazione si potrebbe in qualche modo accettare. Sebbene, non si sarebbe dovuta dire dotata di una possibilità inseparabile, cioè inalienabile, per usare la sua parola, una natura che poteva viziarsi e andare in cerca del Medico che guarisse gli occhi del cieco e restituisse il potere di vedere perduto con la cecità, perché credo che un cieco vuol vedere, ma non può; se poi vuole e non può, significa che c'è la volontà, ma è stata perduta la possibilità.

Pelagio si contraddice valutando diversamente la natura umana nei battezzati e nei non battezzati, pur essendo la stessa.

52. 60. Notate ancora quali massi tenti di rimuovere per aprire una possibile strada alla sua sentenza. Fa a sé un'obiezione scrivendo: "Dirai che secondo l'Apostolo la carne è contraria a noi 192". E risponde: "Com'è possibile che la carne sia contraria ad ogni battezzato, se il battezzato secondo il medesimo Apostolo non viene più considerato nella carne? Dice infatti: Voi però non siete nella carne 193". Bene, se dice che la carne non può essere contraria ai battezzati: vedremo in seguito se ciò sia vero. Per ora, non potendo dimenticare di esser cristiano, benché se ne sia ricordato debolmente, costui recede dalla difesa della natura. Dov'è dunque la possibilità inseparabile? Che forse i battezzati non appartengono alla natura umana? Qui potrebbe davvero aprire gli occhi e gli basterebbe per farlo appena un po' d'attenzione. Scrive: "Com'è possibile che la carne sia contraria ad ogni battezzato?". Dunque ai non battezzati la carne può essere contraria. Spieghi in che modo, esistendo anche nei non battezzati la medesima natura, da lui tanto difesa. Inevitabilmente ammette che almeno in essi la natura si è viziata, se nei battezzati quel ferito è ormai uscito sano dall'albergo o si trova sano nell'albergo dove l'ha condotto il misericordioso Samaritano per guarirlo 194. Ora, se ammette che almeno ai non battezzati la carne è contraria, dica che cos'è accaduto, essendo ambedue, la carne e lo spirito, creature di un unico e medesimo Creatore, creature buone senza dubbio perché creature di un Creatore buono. Non potrà dire nient'altro se non che è un vizio questo provocato nell'uomo dalla propria volontà. Per sanarlo nella natura è necessario quello stesso Salvatore che è stato il Creatore della medesima natura. Se di questo Salvatore e della sua medicina, a motivo della quale il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi 195, riconosciamo la necessità per i piccoli e per i grandi, ossia dai vagiti dell'infanzia fino alla canizie della vecchiaia, tutta la polemica esistente tra noi su questo punto è sparita.

La carne è contraria anche ai battezzati.

53. 61. Vediamo ora se nella Scrittura si legga che la carne è contraria anche ai battezzati. Mi domando in proposito a chi scriveva l'Apostolo le seguenti parole: La carne ha desideri contrari allo spirito e lo spirito ha desideri contrari alla carne; si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste 196. Le scriveva, penso, ai Galati ai quali domanda: Colui che dunque vi concede lo Spirito e opera portenti in mezzo a voi, lo fa grazie alle opere della legge o perché avete creduto alla predicazione 197? È chiaro quindi che egli parla a cristiani e a persone alle quali Dio aveva donato il suo Spirito; pertanto a persone anche battezzate. Ecco trovato che la carne è contraria pure ai battezzati e che non esiste quel potere che costui dice inseparabilmente insito nella natura. Che senso hanno allora le sue parole: "Com'è possibile che la carne sia contraria ad ogni battezzato?". Comunque intenda la carne, e realmente qui con il nome di carne non s'intende la sua natura che è buona, ma s'intendono i vizi carnali, ecco tuttavia che la carne è contraria anche ai battezzati. E in che modo contraria? In modo che essi non fanno quello che vorrebbero fare. Ecco nell'uomo la volontà c'è. Dov'è la possibilità della natura? Decidiamoci a riconoscere la necessità della grazia e gridiamo: Sono uno sventurato! Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte? E ci venga risposto: La grazia di Dio per Gesù Cristo nostro Signore 198!

Da non confondere la grazia della creazione con la grazia della redenzione.

53. 62. Quando giustissimamente si chiede a costoro: Perché dite che l'uomo può essere senza peccato facendo a meno dell'aiuto della grazia di Dio? allora non è in questione quella grazia da cui proviene la creazione dell'uomo, ma questa grazia da cui proviene la salvezza dell'uomo per Gesù Cristo nostro Signore. I fedeli infatti dicono pregando: Non c'indurre in tentazione, ma liberaci dal male 199. Perché mai pregano, se hanno la possibilità? O da quale malanno chiedono d'esser liberati se non soprattutto da questo corpo votato alla morte 200? E da esso non ci libera se non la grazia di Dio per Gesù Cristo nostro Signore 201. Non certo dalla sostanza del corpo che è buona, ma dai vizi carnali, dai quali l'uomo non viene liberato senza la grazia del Salvatore, nemmeno quando a causa della morte del corpo si separa dal corpo. Per dire questo che cosa aveva scritto precedentemente l'Apostolo? Eccolo: Nelle mie membra vedo un'altra legge che muove guerra alla legge della mia mente e mi rende schiavo della legge del peccato che è nelle mie membra 202. Ecco qual vizio la disobbedienza della volontà ha inflitto alla natura umana. La si lasci pregare, perché il male la lasci. Perché si presume così tanto della possibilità della natura? È stata ferita, piagata, danneggiata, rovinata: ha bisogno d'una sincera confessione e non d'una falsa protezione. La grazia di Dio che si deve cercare non è dunque quella con la quale Dio istituisce la natura, ma quella con la quale restituisce la natura: proprio l'unica grazia che costui per il fatto stesso che la taceva gridando che non è necessaria. Se egli non avesse detto assolutamente nulla della grazia di Dio e per non suscitare il malcontento da lui provocato non si fosse proposto la soluzione della questione, si sarebbe potuto credere che egli stesse dalla parte della verità, ma non avesse parlato della grazia, perché non in ogni occasione si deve dire tutto. Invece ha posto la questione della grazia e ha dato la risposta che aveva in cuore. È risolta la questione: non quella che noi volevamo, ma sul punto dove noi dubitavamo quale fosse la sua sentenza.

Dio ha creato la carne e lo spirito perché vivessero nell'uomo in bell'equilibrio tra loro.

54. 63. Successivamente con molte parole dell'Apostolo si adopera a dimostrare, cosa di cui nessuno discute, che "per la carne spesso nominata dall'Apostolo non va intesa la sostanza della carne, ma le opere della carne". Che c'entra questo? Sono i vizi della carne ad esser contrari alla volontà dell'uomo: non è che si accusi la natura, ma per i vizi si cerca il Medico. Che senso hanno gli interrogativi di costui? Domanda: "Chi fece lo spirito dell'uomo?" e risponde a se stesso: "Senza dubbio Dio". Chiede ancora: "La carne chi la creò?" e risponde ugualmente: "Lo stesso Dio, credo". Fa una terza domanda: "È buono Dio che creò ambedue?" e risponde: "Nessuno ne dubita". Chiede ancora: "E sono buone ambedue le cose create dal Creatore buono?" e a questo risponde: "Bisogna riconoscerle buone". Poi tira la conclusione: "Se dunque lo spirito è buono, se è buona la carne creata dal Creatore buono, com'è possibile che due cose buone si oppongano tra loro?". Ometto di dire che tutta questa sua logica crollerebbe appena uno gli domandasse: Chi fece il caldo e il freddo? Risponderebbe: Dio senza dubbio. Io non faccio altre domande. Concluda lui da solo se il caldo e il freddo possano dirsi cose non buone e non appariscono in reciproca opposizione tra loro. Costui forse dirà: "Queste sono qualità di sostanze e non sono sostanze". Proprio così, è vero. Ma sono qualità naturali e appartengono senza dubbio alla creazione di Dio. Le sostanze non si dicono contrarie tra loro per se stesse, bensì per le loro proprietà: come l'acqua e il fuoco. E non può essere questo il caso della carne e dello spirito? Noi non l'affermiamo, ma abbiamo detto tutto questo per dimostrare che il ragionamento di costui non ha uno sbocco logico. Elementi particolari che siano anche contrari tra loro, invece di opporsi possono equilibrarsi vicendevolmente e produrre un buono stato di salute: per esempio nel corpo la siccità e l'umidità, il freddo e il caldo, dal cui equilibrio dipende la buona salute corporale. Che però la carne sia contraria allo spirito in modo che non facciamo quello che vorremmo è un vizio e non è la nostra natura. Si cerchi la grazia della guarigione e si ponga fine alla discussione.

La contraddizione dovrebbe condurre Pelagio a riconoscere la grazia.

54. 64. A riguardo appunto di questi due beni, la carne e lo spirito, creati dal Dio buono, ci domandiamo contro il ragionamento di costui: In che modo possono esser contrari tra loro nelle persone non battezzate? O si pentirà costui anche d'aver fatta un'affermazione suggeritagli da un certo sentimento d'affezione alla fede cristiana? Quando infatti ha detto: "Com'è possibile che la carne sia contraria ad ogni persona già battezzata?", fa capire che la carne può esser contraria alle persone non battezzate. Perché infatti aggiunge: "Già battezzata"? Anche senza aggiungerlo poteva dire: "Com'è possibile che la carne sia contraria ad ogni persona?". E per poterlo dimostrare poteva seguitare con quel suo modo di ragionare: l'uno e l'altro bene è creato dal Dio buono e perciò l'uno non può esser contrario all'altro. Se dunque i non battezzati, ai quali afferma con certezza che la carne è contraria, lo incalzano con le loro interrogazioni e gli domandano: "Chi fece lo spirito dell'uomo?", costui risponderà: "Dio". E quelli: "Chi creò la carne?". Risponde costui: "Il medesimo Dio, credo". Essi per la terza domanda: "È buono il Dio che creò l'una e l'altra cosa?". E costui: "Nessuno ne dubita". Essi passano all'ultima domanda che resta da fare: "È buona l'una e l'altra cosa creata dal Creatore buono?". Costui assentirà. Allora essi lo sgozzeranno con la loro spada tirando la sua medesima conclusione: "Se dunque lo spirito è buono, se è buona la carne perché creata dal Creatore buono, com'è possibile che due cose buone si oppongano tra loro?". Forse costui risponderà: "Perdonatemi, perché non avrei dovuto dire che la carne non può esser contraria ai battezzati per non confessare in questo modo ch'essa è contraria a voi non battezzati, ma senza nessuna eccezione avrei dovuto dire che la carne non è contraria a nessuno". Ecco dove va a ficcarsi da se stesso, ecco come parla per non gridare con l'Apostolo: Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte? La grazia di Dio per Gesù Cristo nostro Signore 203. "Ma perché" dice "dovrei gridare io che sono già battezzato nel Cristo? Gridino coloro che non hanno ricevuto ancora tale beneficio e dei quali si faceva portavoce l'Apostolo: ammesso però che dicano almeno questo". Ma cotesta difesa della natura promossa da costui non consente ad essi nemmeno di gridare in tale maniera. Infatti non è che nelle persone battezzate esista la natura e nelle persone non battezzate non esista la natura. Oppure, se si ammette che essa è viziata almeno nelle persone non battezzate così che non senza motivo gridino: Sono uno sventurato! Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte 204? e si accorra in loro soccorso con l'affermazione successiva: La grazia di Dio per Gesù Cristo nostro Signore 205, si arrivi dunque una buona volta ad ammettere che la natura umana ha bisogno del Cristo come suo medico.

È necessaria la grazia del perdono e la grazia di essere abbastanza forti per non peccare ancora.

55. 65. Ma chiedo sotto quale aspetto la natura umana abbia perduto la libertà che desidera le venga data dicendo: Chi mi libererà 206? Nemmeno l'Apostolo infatti accusa la sostanza della carne quando manifesta il proprio desiderio di esser liberato da questo corpo votato alla morte 207, perché anche la natura del corpo, come la natura dell'anima, deve attribuirsi al Dio buono come suo autore. Paolo parla evidentemente invece dei vizi del corpo. Infatti è dal corpo che la morte del corpo separa l'anima, ma i vizi che l'anima ha contratti tramite il corpo rimangono addosso all'anima ed essi meritano una giusta pena, che anche quel ricco trovò nell'inferno 208. Non poteva certo liberare se stesso da tali vizi colui che dice: Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte 209? Ma sotto qualunque aspetto la natura umana abbia perduto questa sua libertà, è certamente inseparabile da essa quella sua famosa "possibilità": ha per dotazione naturale il potere, ha per libero arbitrio il volere, e perché allora va in cerca del sacramento del battesimo? Forse per i peccati commessi in passato, perché siano soltanto perdonati, dal momento che non si può far sì che non siano stati fatti? Lascialo stare questo pover'uomo, continui a gridare quello che gridava. Egli infatti non desidera solo di rimanere impunito dei peccati passati in forza del perdono, ma anche d'essere forte e capace di non peccare per l'avvenire. Egli acconsente nel suo intimo alla legge di Dio, ma nelle sue membra vede un'altra legge che muove guerra alla legge della sua mente 210: vede che c'è adesso, non ricorda che c'è stata, si sente pressato da lotte presenti, non ripensa a lotte passate. E non vede soltanto una legge che muove guerra, ma una legge che lo fa anche schiavo della legge del peccato 211 e che è presente nelle sue membra, non che c'è stata. Da qui viene il suo grido: Sono uno sventurato! Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte 212? Lo si lasci pregare, lo si lasci invocare l'aiuto del Medico potentissimo. Perché lo si rimbecca? Perché lo si subisce? Perché s'impedisce ad un misero di chiedere la misericordia del Cristo, e proprio da cristiani gli si impedisce? Già, anche quelli che impedivano al cieco di chiedere la luce gridando, camminavano con il Cristo. Ma il Cristo udì le sue grida anche tra le grida di quelli che lo sgridavano per farlo tacere 213, e perciò gli fu risposto: La grazia di Dio per Gesù Cristo nostro Signore 214.

55. 66. Ebbene, se otteniamo da costoro questo almeno che le persone non ancora battezzate implorino l'aiuto della grazia del Salvatore, non è poco contro la falsa difesa della natura quasi fosse sufficiente a se stessa e contro la difesa del potere del libero arbitrio; non basta infatti a sé chi esclama: Sono uno sventurato! Chi mi libererà 215? e non è da dire che sia in possesso di piena libertà chi domanda ancora d'essere liberato.

La grazia è necessana a tutti, battezzati e non battezzati.

56. 66. Ma vediamo tuttavia anche questo punto: se coloro che sono stati battezzati facciano il bene che vogliono senza essere contrastati da nessuna concupiscenza della carne. La risposta ci viene proprio da costui che concludendo questo suo passo ricorda: "Come abbiamo detto, la dichiarazione contenuta nelle parole: La carne ha desideri contrari allo Spirito 216 non la dobbiamo intendere della sostanza della carne, bensì delle sue opere". Noi pure diciamo lo stesso: ciò non è scritto della sostanza della carne, ma delle opere che vengono dalla concupiscenza carnale, ossia dal peccato, che Paolo comanda di non far regnare nel nostro corpo mortale così da sottometterci ai suoi desideri 217.

La legge del timore e lo Spirito della dilezione.

57. 67. Ma avverta anche costui che le parole: La carne ha desideri contrari allo spirito e lo spirito ha desideri contrari alla carne, sicché non fate quello che vorreste 218 sono rivolte a persone già battezzate. Inoltre per non rendere quei battezzati apatici riguardo alla stessa lotta e per togliere l'impressione che con questa sua sentenza avesse favorito la rilassatezza nel peccare, soggiunge: Se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete più sotto la legge 219. È infatti sotto la legge chi sente d'astenersi dall'opera del peccato per timore del castigo minacciato dalla legge e non per amore della giustizia, non ancora libero e distaccato dalla volontà di peccare. Nella sua stessa volontà è reo, perché, se fosse possibile, preferirebbe che non ci fosse nulla da temere per fare liberamente ciò che desidera occultamente! Dice dunque: Se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete più sotto la legge 220: si intende sotto la legge che incute il timore e non dona la carità, la quale carità di Dio è stata diffusa nei nostri cuori non per mezzo della lettera della legge, ma per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato 221. Questa è la legge della libertà e non della servitù, perché appunto legge di carità e non di paura. Di essa anche l'apostolo Giacomo scrive: Chi fissa lo sguardo sulla legge perfetta, la legge della libertà 222. Perciò lo stesso Paolo certamente non era più terrorizzato come schiavo dalla legge di Dio, ma nel suo intimo ne era dilettato 223. Tuttavia vede ancora nelle sue membra un'altra legge opposta alla legge della sua mente 224. E così qui dice: Se vi lasciate guidare dallo Spirito non siete più sotto la legge 225. Nella misura in cui uno è guidato dallo Spirito non è sotto la legge, perché nella misura in cui ha gusto della legge di Dio non è sotto il timore della sua legge, atteso che il timore suppone uno stato penoso 226 e non uno stato piacevole.

Tra i cattolici e i pelagiani il gran muro della preghiera.

58. 68. Perciò, se è retto il nostro modo di pensare, come dobbiamo ringraziare per le membra sanate, così dobbiamo pregare per le membra da sanare, perché godiamo la sanità più assoluta, alla quale non si possa più aggiungere nulla, la soavità perfetta di Dio e la libertà piena. Noi infatti non disconosciamo che la natura umana possa essere senza peccato, né dobbiamo negare in nessun modo che possa raggiungere la perfezione, dal momento che ne ammettiamo la perfettibilità: ma in virtù della grazia di Dio per Gesù Cristo nostro Signore 227. Diciamo: colui che creandola l'ha fatta essere, aiutandola la fa essere giusta e beata. È facile pertanto respingere l'obiezione che costui dice mossa da alcuni: "Il diavolo ci contrasta". Rispondiamo a questa obiezione con le sue stesse parole: "Resistiamogli e fuggirà. Il beato apostolo Giacomo dice: Resistete al diavolo ed egli fuggirà da voi 228. Dal che dobbiamo esser pronti a capire in che cosa possa nuocere il diavolo a coloro dai quali fugge o quale successo gli si debba attribuire, se può vincere solamente coloro che non gli si oppongono". Faccio anche mie queste sue parole, perché non ce ne potrebbero essere di più vere. Ma la differenza tra noi e costoro sta qui: noi, anche quando si resiste al diavolo, non solo non neghiamo, ma dichiariamo altresì che si deve chiedere l'aiuto di Dio, mentre costoro attribuiscono tanto potere alla volontà umana da togliere l'orazione dalla pietà umana. È proprio infatti per ottenere di resistere al diavolo e di farlo fuggire da noi che pregando diciamo: Non c'indurre in tentazione 229, ed è proprio per questo che siamo stati avvertiti come da un comandante che esorta i suoi soldati e dice: Vegliate e pregate per non entrare in tentazione 230!

L'equivoco silenzio di Pelagio sulla grazia.

59. 69. Ma il suo ragionamento contro coloro che dicono: "E chi non vorrebbe essere senza peccato, se ciò fosse in potere dell'uomo?" è giusto, sì, nell'osservare che "essi ne riconoscono la possibilità proprio perché molti o tutti lo vogliono essere", ma confessi da dove viene tale possibilità e c'è pace. È infatti dalla stessa grazia di Dio per Gesù Cristo nostro Signore 231 che viene tale possibilità e costui non ha mai in nessun luogo e in nessun modo voluto dire che, se noi preghiamo, siamo aiutati dalla grazia a non peccare. Se caso mai lo pensa in segreto, perdoni a coloro che sospettano il contrario. Egli ne è responsabile, perché, pur soffrendo per questo motivo di tanta avversione, vuole tenersi per sé la sua convinzione e non la vuole confessare o professare. Che gli costava dire il suo pensiero, atteso specialmente che ha preso a trattare e a spiegare questo argomento come oppostogli dagli avversari? Perché in quell'occasione ha voluto difendere solamente la natura e ha asserito che l'uomo è stato creato con il potere di non peccare se non avesse voluto peccare? Inoltre, per il fatto che l'uomo è stato creato così, ha dichiarato che quel suo potere, per il quale non pecca se non vuol peccare, appartiene alla grazia di Dio; ma non ha voluto dire alcunché del fatto che dalla grazia di Dio, per Gesù Cristo nostro Signore 232, la natura stessa o viene sanata perché è stata viziata o viene aiutata perché è insufficiente a se stessa.

La perfettibilità umana mediante la grazia è fuori discussione.

60. 70. Infatti la questione se in questo mondo sia esistito o esista o possa esistere qualcuno che viva con tanta giustizia da non avere assolutamente nessun peccato, può essere una delle questioni da discutere tra cristiani veri e pii; chi invece dubita che ciò sia sicuramente possibile dopo questa vita, vaneggia. Ma io non ne voglio dubitare nemmeno per la vita attuale. Sebbene infatti mi sembri che non si possano interpretare diversamente le parole: Nessun vivente davanti a te è giusto 233 e altre dello stesso tenore, tuttavia desidero e mi auguro o che si possa dimostrare più valida un'interpretazione diversa di questi testi o che si possa dimostrare che una giustizia così perfetta e piena che nulla assolutamente le si debba aggiungere è esistita in qualcuno durante la sua vita corporale ed esiste oggi ed esisterà domani. Tuttavia tanto più numerose sono le persone che, non dubitando di dover dire con sincerità fino all'ultimo giorno della vita presente: Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori 234, confidano nondimeno che sia vera, certa e ferma la loro speranza nel Cristo e nelle sue promesse. Ma è solo con l'aiuto della grazia del Cristo salvatore crocifisso e con il dono del suo Spirito che i primi possono giungere alla pienezza della perfezione nella giustizia vera e pia e i secondi possono giungere ad un qualsiasi progresso nella giustizia. Non so se avrebbero il diritto d'esser contati in una qualsiasi categoria di cristiani tutti coloro che osassero negare quest'aiuto della grazia!

Le testimonianze anonime di Lattanzio invocate da Pelagio per la propria tesi.

61. 71. Per la stessa ragione anche le testimonianze che costui riporta non dalle Scritture canoniche, ma da alcuni libri di scrittori cattolici, nell'intento di rispondere a quanti lo accusano d'esser lui solo a difendere tali opinioni, sono così indecise da non valere né contro la nostra dottrina né contro la sua. Tra queste testimonianze ha voluto riferire qualcosa anche dei miei libri, stimandomi qualcuno che gli sembrava degno d'esser citato insieme con quegli autori. Non me ne devo mostrare ingrato, ma non vorrei per eccesso di familiarità indurre in errore chi mi ha riservato quest'onore. Del primo testo da lui riportato non ho letto il nome dell'autore, o perché costui l'ha omesso, o perché a causa di qualche menda non si trova nel codice che mi avete mandato. Ma che bisogno ho di trattarne? Tanto più che io, libero di fronte agli scritti di tali autori (solo agli Scritti canonici devo un assenso incondizionato)!, non riscontro nulla che mi urti nei passi che cita dai libri dell'autore rimasto per me anonimo. "Era opportuno" dice quello scrittore "che il Maestro destinato ad insegnarci la virtù si facesse somigliantissimo all'uomo, perché vincendo il peccato insegnasse che l'uomo può vincere il peccato 235". Tocca allo stesso scrittore spiegare il senso di queste sue parole. Per noi tuttavia rimane indubitato che il Cristo non ebbe da vincere in se stesso il peccato 236, perché nacque in una carne simile a quella del peccato, ma non nella carne del peccato 237. Un altro testo del medesimo autore cita costui: "Inoltre sottomettendo i desideri della carne intendeva insegnare che il peccato non dipende da uno stato di necessità, ma dall'intenzione e dalla volontà 238". Per desideri della carne - a meno che qui non si dicano quelli delle concupiscenze illecite - io intendo per esempio la fame, la sete, il riposo dalla stanchezza e altre situazioni simili. A causa di esse, benché siano situazioni esenti da colpe, alcuni cadono in colpe. Ciò non avveniva nel nostro Salvatore, sebbene su testimonianza del Vangelo vediamo nella sua vita per la sua carne simile a quella del peccato la presenza delle medesime situazioni.

Le testimonianze di S. Ilario.

62. 72. Del beato Ilario riporta queste parole: "Soltanto quando avremo raggiunto la perfezione dello spirito e saremo stati trasformati dall'immortalità, che è riservata unicamente ai mondi di cuore, vedremo la natura immortale di Dio" 239. Che cosa abbiano queste parole contro di noi o a favore di lui non lo so, perché attestano solamente che l'uomo può essere mondo di cuore. E chi lo nega? Ma lo può in virtù della grazia di Dio per Gesù Cristo nostro Signore 240 e non con la sola libertà dell'arbitrio. Cita un altro testo in cui Ilario ha detto: "Quali libri poteva aver letto Giobbe per astenersi da ogni azione cattiva? Egli onorava veramente Dio con uno spirito tutto mondo da vizi, e onorare Dio è il dovere proprio della giustizia 241". Dice così quello che Giobbe fece 242, non dice con quanta perfezione lo fece in questo mondo né se lo fece, e per giunta perfettamente, senza la grazia del Salvatore che egli anche vaticinò. Da ogni azione cattiva si astiene pure chi ha il peccato, ma non lo lascia regnare nella sua persona 243, e alle sue furtive immaginazioni riprovevoli impedisce di concretarsi nei fatti. Ma altra cosa è non avere il peccato, altra cosa è non obbedire ai desideri del peccato. Altro è osservare il precetto: Non desiderare 244 e altro è lo sforzo dell'astinenza per rispettare almeno il precetto: Non andare dietro alle tue concupiscenze 245. Tuttavia sappiamo che senza la grazia del Salvatore non siamo veramente capaci dell'osservanza né dell'un comandamento né dell'altro. Nel vero culto di Dio "fare la giustizia" è dunque combattere la battaglia interna contro il male interno della concupiscenza, "fare la giustizia perfettamente" è invece non avere più assolutamente nessun avversario da combattere. Chi combatte si trova infatti ancora in pericolo e qualche volta rimane battuto, anche se non abbattuto. Chi invece non ha più avversari, gode di una pace piena. E proprio di uno nel quale non abita più nessun peccato si dice con tutta esattezza che è senza peccato, non di uno che, pur astenendosi dal cedere alla concupiscenza nel fare una cattiva azione, afferma: Non sono io a farla, ma il peccato che abita in me 246.

Ancora sulle testimonianze di S. Ilario.

62. 73. Lo stesso Giobbe non tace i suoi peccati e a cotesto nostro amico piace giustamente che l'umiltà non sia messa dalla parte della falsità. Quello dunque che confessa Giobbe 247, adoratore verace di Dio, è certamente detto da lui con sincerità. Anche Ilario spiegando il testo del salmo dove è scritto: Tu disprezzi chi abbandona i tuoi decreti 248, dice: "Se Dio disprezzasse i peccatori, disprezzerebbe tutti, perché nessuno è senza peccato. Disprezza invece coloro che lo abbandonano e li chiama apostati 249". Vedete come non dice che nessuno è stato senza peccato, in riferimento al passato, ma che nessuno è senza peccato: e da che dipenda questo io certo non ho dubbi, come ho già dichiarato. Ma chi non si arrende all'apostolo Giovanni, il quale pure non afferma: Se dicessimo che siamo stati senza peccato, bensì afferma: Se dicessimo che siamo senza peccato 250, come sarà disposto ad arrendersi al vescovo Ilario? Io sto gridando a favore della grazia del Cristo senza la quale nessuno è giustificato, contro chi dice che è sufficiente il libero arbitrio della natura. Anzi a difesa della grazia grida il Cristo stesso; ci si arrenda a lui che dichiara: Senza di me non potete far nulla 251.
MARIOCAPALBO
00sabato 13 settembre 2014 21:58
Una testimonianza di S. Ambrogio utilizzata da Pelagio.

63. 74. S. Ambrogio nel passo citato da costui 252 si oppone realmente a quanti affermano l'impossibilità dell'uomo d'essere senza peccato in questa vita. Lo dice prendendo occasione da Zaccaria ed Elisabetta, dei quali il Vangelo attesta che avevano osservato irreprensibilmente tutte le prescrizioni della legge 253. Ma nega forse che ciò provenga dalla grazia di Dio per Gesù Cristo nostro Signore 254? Della grazia di questa fede non c'è dubbio che i giusti vissero anche prima della passione di Gesù, che mette a nostra disposizione lo Spirito Santo, che ci è stato dato, per mezzo del quale si riversa nei nostri cuori la carità 255, che è l'unica a fare giusti tutti coloro che sono giusti. E il menzionato Vescovo - a dimostrazione della insufficienza della volontà senza l'aiuto di Dio - esorta ad impetrare anche con le preghiere il medesimo Spirito in un suo inno, dove dice: Alle attente suppliche Dio concede di meritare lo Spirito Santo 256!

Altre testimonianze di S. Ambrogio utilizzabili contro Pelagio.

63. 75. Citerò anch'io qualcosa da quest'opera di S. Ambrogio dalla quale costui ha riportato quello che ha voluto. Scrive Ambrogio: "S. Luca dice: Mi è parso bene 257. Quello che dichiara essergli parso bene può esser parso bene non a lui solamente. Non gli è infatti sembrato bene per la sola sua volontà umana, ma secondo il beneplacito del Cristo che, dice l'Apostolo, parla in me 258 e fa sì che possa sembrare buono anche a noi quello che è buono. Quando infatti egli ha pietà di qualcuno, lo chiama anche. E perciò chi segue il Cristo, se viene interrogato perché ha voluto esser cristiano, può rispondere: Mi è parso bene. Dicendo così non nega che sia parso bene a Dio, perché la volontà umana viene preparata da Dio 259: è infatti grazia di Dio che un santo renda onore a Dio 260". Ecco quello che deve sapere costui, se si diletta delle parole d'Ambrogio: La volontà umana viene preparata da Dio. E non è un problema o non è un grande problema chi raggiunga o quando raggiunga la perfezione, purché non si dubiti tuttavia minimamente che è impossibile raggiungerla senza la grazia del Cristo. Quanto poi sarebbe costato a lui stare attento, nelle parole di Ambrogio da lui citate, ad un'altra sola riga in più? Prima il Santo si domanda: "La Chiesa, formata com'è di gentili, cioè di peccatori, in che modo può risultare immacolata da membra non immacolate se non perché innanzi tutto è stata lavata dai suoi peccati per mezzo della grazia del Cristo e poi perché si astiene dai peccati per lo stile della sua vita che la preserva dal peccare?". Ambrogio aggiunge qui ciò che costui non ha voluto per un evidente motivo aggiungere. Dice infatti Ambrogio: "La Chiesa non è stata immacolata nemmeno all'inizio (perché ciò è impossibile alla natura umana), ma è per la grazia di Dio e per il suo stile di vita per cui non pecca che appare immacolata 261". Chi non capirebbe la ragione per la quale costui non ha aggiunto queste parole? È certamente ora nel secolo presente che la Chiesa santa si adopera per arrivare alla purezza più immacolata, voluta da tutti i santi. Mentre nel secolo futuro, dove non si mescolerà più con lei nessuna persona cattiva e la legge del peccato non si opporrà più dentro di lei alla legge della mente 262, la Chiesa potrà condurre nell'eternità divina una vita piena d'ogni candore. Osservi tuttavia costui ciò che il vescovo Ambrogio dice conformemente alle Scritture: "La Chiesa non fu immacolata nemmeno all'inizio, perché è impossibile alla natura umana 263". Dice "all'inizio", intendendo certamente l'inizio della nostra discendenza da Adamo. Quanto ad Adamo in persona, egli fu creato senza dubbio immacolato; ma che ci siano uomini immacolati fin dall'inizio tra coloro che sono per natura meritevoli d'ira 264, traendo da Adamo ciò che fu viziato in lui, Ambrogio lo dichiara impossibile alla natura umana.

Testimonianze di S. Giovanni Crisostomo.

64. 76. Similmente Giovanni, vescovo di Costantinopoli!, citato da costui, dice che "il peccato non è una sostanza, ma un'azione cattiva". Chi lo nega? Dice pure: "E perché il peccato non è conforme alla natura e proviene dalla libertà dell'arbitrio, per questo è stata data contro di esso la legge 265". Anche questo chi lo nega? Ma non si tratta della natura umana come si trova in questa vita, si tratta invece della grazia di Dio dalla quale la natura viene sanata per mezzo del Cristo suo medico. Di lui non avrebbe bisogno, se fosse sana, questa natura alla quale costui rivendica il potere di non peccare o come se fosse sana o come se le bastasse l'arbitrio della volontà.

Testimonianze di Sisto.

64. 77. Ugualmente quale cristiano ignora quello che costui mette in bocca al beatissimo Sisto, vescovo della Chiesa di Roma e martire del Signore?! Dice Sisto: "Dio ha concesso agli uomini la libertà del loro arbitrio, perché vivendo con purezza e senza peccato diventino simili a Dio". Ma è compito dello stesso arbitrio ascoltare Dio che chiama, credere in lui e chiedere a lui nel quale crede l'aiuto per non peccare. Quando infatti dice: "Perché diventino simili a Dio", c'è da ricordarsi appunto che diventeranno simili a Dio in virtù della carità, la quale è stata diffusa nei nostri cuori non dal potere della natura né dal libero arbitrio che è in noi, bensì per mezzo dello Spirito Santo che è stato dato a noi 266. E quanto a ciò che il medesimo martire dice con le altre parole: "Tempio santo è agli occhi di Dio uno spirito mondo, il migliore altare di Dio è un cuore puro e senza peccato", chi ignora che deve portarsi fino a questa perfezione la purità del cuore con il rinnovarsi dell'uomo interiore di giorno in giorno 267, ma non tuttavia senza la grazia di Dio per Gesù Cristo nostro Signore 268? Ugualmente lo stesso scrittore nel dire: "L'uomo puro e senza peccato ha ricevuto da Dio il potere d'essere figlio di Dio" certamente ha voluto avvertirci che è per opera di Dio se qualcuno è diventato in tal maniera puro e senza peccato (e non è piccola questione dove e quando questa perfezione si abbia in lui, ma è una ricerca giusta tra persone pie, per le quali tuttavia c'è la certezza che è possibile e la certezza che sarebbe impossibile senza il Mediatore tra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù 269). Sisto pertanto, come avevo già iniziato a dire, ha voluto avvertirci prudentemente che, quando qualcuno è diventato così puro e per tale sua purità è giustamente computato tra i figli di Dio, non reputi che ciò sia dipeso dal suo potere perché questo l'ha ricevuto invece per grazia da Dio, non avendolo nella natura ormai viziata e depravata, in conformità a quello che si legge nel Vangelo: A quanti l'hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio 270. Non erano certamente figli di Dio per natura e non lo sarebbero in nessun modo, se ricevendo lui non avessero ricevuto per sua grazia quel medesimo potere. Questo è il potere che rivendica a se stessa la fortezza della carità, la quale non è in noi se non per mezzo dello Spirito Santo che è stato dato a noi 271.

Testimonianze di S. Girolamo.

65. 78. Del venerabile presbitero Girolamo riferisce dal suo commento al testo: Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio 272 le seguenti parole: "Intende coloro che non hanno nessun rimorso di peccato nella loro coscienza". E aggiunge: "Il Puro è visto dai puri di cuore, il Tempio di Dio non può esser macchiato 273". Ora, tutto ciò si compie in noi appunto se lottiamo, se fatichiamo, se preghiamo, se impetriamo, se dalla grazia di Dio per Gesù Cristo nostro Signore 274 otteniamo d'esser condotti a quella perfezione in cui possiamo vedere Dio con cuore puro. Ugualmente, chi non riconoscerebbe esatto quello che costui attribuisce allo stesso presbitero: "Dio ci ha creati, con il libero arbitrio e non siamo tirati dalla necessità né alla virtù né al vizio. Altrimenti non c'è nemmeno la corona dove c'è la necessità" 275?! Chi non lo riconosce giusto? Chi non l'accoglie con tutto il cuore? Chi potrebbe negare che la natura umana sia stata creata diversamente? Ma la ragione per la quale nell'agire con rettitudine manca ogni vincolo di necessità, è perché c'è la libertà della carità.

La triste necessità di peccare.

66. 79. Ripòrtati dunque all'affermazione dell'Apostolo: L'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato 276. Da chi tal dono se non da colui che ascese al cielo, che si portò dietro i prigionieri, che diede doni agli uomini 277? Che invece venga dai vizi della natura e non dalla creazione della natura una certa necessità di peccare lo ascolti l'uomo dalla Scrittura e perché la medesima necessità sparisca impari a dire a Dio: Liberami dalle mie necessità 278. Anche in questa orazione noi duelliamo contro il tentatore, che combatte contro di noi approfittando della stessa necessità e pertanto con l'aiuto della grazia per Gesù Cristo nostro Signore 279 otterremo due risultati: e sarà rimossa la malvagia necessità e sarà concessa la completa libertà.

Testi agostiniani utilizzati da Pelagio.

67. 80. Veniamo a noi. Costui scrive: "Similmente il vescovo Agostino nei suoi libri Sul libero arbitrio! afferma: Qualunque sia la causa che muove la nostra volontà, se è tale da non poterle resistere, non sarà peccato cedere ad essa. Se invece è possibile resistere, non si ceda e non si peccherà. O forse è tale da ingannare l'incauto? Provveda dunque a non farsi ingannare. Oppure l'inganno è così sottile da non potersi assolutamente evitare? Se fosse così, non ci sarebbe nessun peccato. Chi pecca infatti facendo ciò che non si può in nessun modo evitare? Invece si pecca e allora vuol dire che si può evitare 280". Lo riconosco: sono le mie parole. Ma anche costui voglia riconoscere tutto quello che è stato detto prima di esse. Si tratta appunto della grazia divina che per mezzo del Mediatore ci viene in soccorso come sua medicina, non si tratta dell'impossibilità della giustizia. Si può dunque resistere a quella causa, qualunque sia; lo si può benissimo. A tale scopo infatti chiediamo l'aiuto dicendo: Non ci indurre in tentazione 281. E non chiederemmo l'aiuto, se credessimo di non poter resistere in nessun modo. Ci si può guardare dal peccato, ma con l'aiuto di colui che non si può ingannare. A guardarci dal peccato serve, se la rivolgiamo con sincerità, anche la petizione: Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori 282. In due modi infatti ci si guarda dal male della malattia anche nel corpo: in un primo modo perché non ci venga, in un altro modo perché, se è venuta, guarisca presto. A che il peccato non venga dobbiamo provvedere dicendo: Non ci indurre in tentazione 283, a che il peccato guarisca presto dobbiamo provvedere dicendo: Rimetti a noi i nostri debiti 284. Tanto dunque se il peccato incombe come imminente, quanto se è già presente, possiamo guardarcene.

S. Agostino precisa il proprio pensiero contro Pelagio.

67. 81. Ma perché la mia sentenza su questo argomento sia sufficientemente manifesta non solo a costui, che li ha letti, bensì anche a coloro che non hanno letto quei miei libri Sul libero arbitrio e che senza aver letto quelli forse leggono questo, è necessario che io riproduca quanto ho scritto in quegli stessi libri. Se ciò che ho scritto fosse condiviso da costui e accolto nei suoi scritti, non rimarrebbe tra noi nessuna controversia su questo tema 285. Proprio immediatamente dopo le mie parole riportate da lui, io stesso ho affrontato una difficoltà che poteva presentarsi e l'ho risolta per quanto mi è stato possibile dicendo: "Sono tuttavia riprovevoli e si giudicano meritevoli di correzione anche alcune azioni fatte per ignoranza, come leggiamo nelle testimonianze divine 286". E dopo essermi valso di esempi attinenti, ho parlato pure della debolezza morale 287 dicendo: "Sono riprovevoli anche certe azioni compiute per necessità, dove l'uomo vuole agire bene e non ci riesce. Donde vengono infatti questi lamenti: Io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio 288"? Richiamàti poi a favore di questa sentenza altri testi della parola divina, dicevo 289: "Ma tutti questi lamenti sono di uomini che vengono da quella condanna di morte. Se infatti non si tratta di una pena, ma della stessa natura dell'uomo, cotesti non sono peccati". Poco dopo scrivo 290: "Resta dunque che questa giusta pena venga dalla condanna dell'uomo. Né c'è da meravigliarsi che l'uomo o a causa dell'ignoranza non ha nel libero arbitrio della volontà la capacità di scegliere quello che esige la rettitudine delle azioni, ovvero che per la resistenza dell'abitudine carnale, che la prepotenza della successione mortale ha in qualche modo consolidata come un'altra natura, vede quello che esige la rettitudine delle azioni e lo vuole e non riesce a farlo. Questa è infatti una giustissima punizione del peccato: che ciascuno perda quel potere che non ha voluto usare in modo buono, quando lo poteva senza nessuna difficoltà, se avesse voluto; cioè in altre parole che chi pur conoscendo non fa il bene, perda la conoscenza di ciò che è bene e chi non ha voluto fare il bene potendolo, ne perda la possibilità quando lo vuole. L'ignoranza infatti e la difficoltà sono due veri castighi per ogni anima che pecca. Dall'ignoranza viene l'umiliazione dell'errore, dalla difficoltà l'afflizione del dolore. Ma approvare il falso per il vero fino ad errare contro la stessa volontà e non poter trattenersi dalle opere libidinose per l'opposizione e la vessazione dolorosa del vincolo carnale, non è natura dell'uomo come è stato creato, bensì pena dell'uomo com'è stato condannato. Ora, quando parliamo della libera volontà di agire rettamente, parliamo evidentemente di quella volontà in cui l'uomo fu creato". Poi, alle persone che credono di potersi giustamente lamentare della trasmissione e trasfusione nella prole del primo uomo dei vizi della stessa ignoranza e difficoltà, ho già dato questa risposta 291: "A costoro si risponde brevemente che si quietino e smettano di mormorare contro Dio. Avrebbero forse ragione di lamentarsi, se tra gli uomini non esistesse nessuno che sia vincitore dell'errore e della libidine. Ma è presente dappertutto colui che in molti modi per mezzo delle creature dalle quali è servito come padrone chiama chi si allontana, istruisce chi crede, consola chi spera, esorta chi ama, aiuta chi lotta, esaudisce chi prega. Quindi, non ti si fa colpa della tua ignoranza involontaria, ma della tua negligenza nel cercare ciò che ignori, né ti si fa colpa di non fasciare le tue ferite, ma di scansare chi te le vuole guarire". In questo modo da una parte ho esortato quanto ho potuto a vivere rettamente e dall'altra non ho reso vana la grazia di Dio, senza la quale la natura umana, ormai ottenebrata e viziata, non può essere illuminata e sanata. È su questo punto che verte tutta la questione con costoro: che la grazia di Dio offerta a noi nel Cristo Gesù nostro Signore non sia frustrata da noi con una perversa difesa della natura. Della quale natura ho scritto poco dopo 292: "Anche la natura stessa la intendiamo in due modi diversi: quando parliamo in senso proprio, ci riferiamo alla natura nella quale l'uomo fu in origine creato secondo la sua specie senza colpa; in un altro senso intendiamo la natura attuale nella quale a seguito della condanna di Adamo noi per punizione nasciamo mortali, ignoranti e soggetti alla carne, ed in questo senso l'Apostolo dice: Eravamo per natura meritevoli d'ira, come gli altri 293".

Norme di pedagogia cristiana.

68. 82. Se dunque vogliamo con esortazioni cristiane "incitare ed infiammare gli animi freddi e pigri a vivere rettamente", sproniamoli prima di tutto alla fede che li faccia diventare cristiani e li sottometta al nome di colui senza del quale non possono essere salvi. Se invece sono già cristiani, ma trascurano di vivere rettamente, siano bastonati con le minacce e incoraggiati con le lodi dei premi. Ricordiamoci però d'esortarli non solo alle buone azioni, ma anche alle pie orazioni, e di rifornirli di questa sana dottrina, così che da una parte rendano grazie d'aver fatto dove non c'era difficoltà qualcosa di buono, dopo aver cominciato a vivere bene, e dall'altra parte, dove sentono qualche difficoltà, con le preghiere più fiduciose e perseveranti e con pronte opere di misericordia insistano nell'ottenere dal Signore la facilità. Coloro che progrediscono così, dove e quando raggiungano la pienissima perfezione della giustizia non m'interessa troppo di saperlo! Ma qualunque sia il luogo e il tempo in cui diventeranno perfetti ribadisco che non lo possono diventare senza la grazia di Dio per Gesù Cristo nostro Signore 294. Certo, quando avessero conosciuto con tutta l'evidenza di non avere nessun peccato, non dicano d'avere il peccato, perché la verità non sia in loro, come la verità non è in coloro che hanno il peccato e dicono di non averlo 295.

Tutto diventa facile all'amore.

69. 83. Per altro "sono molto buoni i precetti", se ne usiamo legalmente 296. Il fatto stesso di credere con fede fermissima che "Dio, giusto e buono, non poteva comandarci l'impossibile" ci fa capire e che cosa dobbiamo fare nelle situazioni facili e che cosa dobbiamo domandare nelle situazioni difficili. Tutte le situazioni diventano facili alla carità. Solo alla carità è leggero il carico del Cristo 297, meglio la carità stessa è l'unico carico ed è un carico leggero. In questo senso è scritto: I suoi comandamenti non sono gravosi 298, di modo che, se qualcuno li trova gravosi, consideri che Dio non li avrebbe potuti dire non gravosi se non per la ragione che può esserci una disposizione di cuore a cui non sono gravosi, e chieda questa disposizione che gli manca per fare ciò che gli si comanda. E ciò che si dice ad Israele nel Deuteronomio, se piamente, se santamente, se spiritualmente s'intende, ha questo medesimo significato, perché, dopo aver citato proprio tale testimonianza: Presso di te è la parola, nella tua bocca e nel tuo cuore 299 (al posto del cuore questo mio codice ha nelle tue mani: nel cuore infatti ci sono mani spirituali), l'Apostolo soggiunge: Cioè la parola della fede che noi predichiamo 300. Chi dunque si converte al Signore suo Dio, come si comanda nel Deuteronomio, con tutto il cuore e con tutta l'anima 301, non sentirà gravoso il comandamento di Dio. Come infatti potrebbe esser gravoso, se è il comandamento dell'amore? O uno infatti non ama e per questo è gravoso, o ama e allora non può esser gravoso. Ma uno ama, ed è l'avvertimento ivi rivolto ad Israele, se si converte al Signore suo Dio con tutto il suo cuore e con tutta la sua anima. La parola di Dio dice: Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri 302; e: Chi ama il suo simile ha adempiuto la legge 303, e: Pieno compimento della legge è l'amore 304. Nel medesimo ordine d'idee è stato detto pure: Se camminassero per vie buone, troverebbero piani i sentieri della giustizia 305. Perché allora si legge: Per le parole delle tue labbra ho seguito vie dure 306 se non perché è vera l'una e l'altra verità? Sono vie dure per il timore e sono vie piane per l'amore!

La misura della carità è la misura della santità.

70. 84. Pertanto una carità principiante è una giustizia principiante, una carità matura è una giustizia matura, una carità grande è una giustizia grande, una carità perfetta è una giustizia perfetta! Perfetta però è la carità che sgorga da un cuore puro, da una buona coscienza e da una fede sincera 307. La carità è somma in questa vita, quando per lei si disprezza la stessa vita 308. Ma sarei sorpreso che la carità non avesse modo di crescere dopo che sarà uscita dalla vita mortale. Dovunque poi e quando sia così piena la carità da non esserci più nulla che le si possa aggiungere, essa tuttavia non si riversa nei nostri cuori per le forze della natura o della volontà che si trovano in noi, bensì per mezzo dello Spirito Santo, che ci è stato dato 309 il quale e soccorre alla nostra debilità e concorre alla nostra sanità. È infatti la stessa grazia di Dio per Gesù Cristo nostro Signore 310. A lui con il Padre e lo Spirito Santo eternità e bontà nei secoli dei secoli. Amen.
MARIOCAPALBO
00sabato 13 settembre 2014 21:59


1 - SALLUSTIO, Bellum Iugurthinum 1, 1.

2 - Rm 10, 2-3.

3 - Rm 10, 4.

4 - Cf. Gal 3, 24.

5 - Gal 2, 21.

6 - Rm 4, 5.

7 - Rm 3, 23-24.

8 - Cf. Mt 9, 12-13.

9 - Cf. 1 Tm 3, 16.

10 - Cf. Rm 10, 14.

11 - Rm 10, 17-18; cf. Sal 18, 5.

12 - Cf. At 4, 24.

13 - Gal 2, 21.

14 - Cf. OROSIO, Excerpta 3-13.

15 - Cf. 2 Cor 5, 17.

16 - Ef 2, 3-5.

17 - Rm 3, 24.

18 - Cf. Rm 10, 14.

19 - Cf. Tt 3, 5.

20 - Rm 3, 23.

21 - Cf. Rm 9, 23.

22 - Cf. 1 Tt 1, 15.

23 - Cf. Rm 8, 29-30.

24 - Cf. 1 Cor 1, 17.

25 - Gc 3, 15.

26 - Cf. 1 Cor 1, 17.

27 - Cf. Gv 11, 43-44.

28 - Cf. Gv 5, 21.

29 - Cf. Gb 14, 4.

30 - 1 Re 8, 46

31 - Qo 7, 21.

32 - Sal 13, 1. 3.

33 - Cf. Tt 3, 5.

34 - Cf. Gv 3, 5.

35 - Rm 5, 12.

36 - Cf. Rm 5, 12.

37 - Cf. 1 Cor 1, 17.

38 - Gal 2, 21.

39 - Cf. OROSIO, Excerpta 13-21.

40 - Cf. Gal 3, 23-24.

41 - Sal 118, 133.

42 - Cf. Gb 1, 8; Lc 1, 6; Fil 3, 6.

43 - 2 Cor 5, 21.

44 - Eb 4, 15.

45 - Cf. Rm 8, 3.

46 - 1 Gv 3, 9.

47 - 1 Gv 1, 8.

48 - Cf. AUG., De pecc. mer. et rem. 2, 7, 9 - 8, 10.

49 - Cf. 1 Gv 3, 9.

50 - Gc 3, 8.

51 - Gc 3, 8.

52 - Sap 1, 11.

53 - Mt 10, 20.

54 - Cf. Gc 3, 6.

55 - Gc 3, 10.

56 - Gc 3, 13-17.

57 - Gc 1, 5-6.

58 - Cf. Gc 3, 8. 15.

59 - Gc 3, 2.

60 - Gc 3, 8.

61 - Rm 8, 7-8.

62 - Cf. Gc 3, 15.

63 - Cf. Rm 8, 12.

64 - Cf. Rm 13, 10.

65 - Cf. Rm 5, 5.

66 - Sal 118, 73.

67 - Cf. Lv 4, 2-3.

68 - Gc 1, 5.

69 - Cf. Mt 6, 12-13.

70 - Cf. 1 Cor 1, 17.

71 - Cf. EUGIPPO, Excerpta 297.

72 - Sal 40, 5.

73 - Sal 40, 5.

74 - Sal 40, 5.

75 - Sal 40, 5.

76 - Sal 40, 5.

77 - Mt 9, 12-13.

78 - Cf. EUGIPPO, Excerpta 297.

79 - Mt 1, 21.

80 - Sal 101, 5.

81 - Mt 1, 21.

82 - Mt 9, 12-13.

83 - 1 Tm 1, 15.

84 - Cf. Mt 1, 21.

85 - Rm 1, 21.

86 - Rm 1, 22.

87 - Rm 1, 23,

88 - Rm 1, 21.

89 - Rm 1, 24.

90 - Rm 1, 24.

91 - Rm 1, 25-26.

92 - Rm 1, 27.

93 - Rm 1, 27.

94 - Rm 1, 28-31.

95 - Ef 5, 14.

96 - Mt 8, 22; Lc 9, 60.

97 - Sal 70, 5.

98 - AUG., De pecc. mer. et rem. 2, 30, 49-34, 56; cf. GIROLAMO, Contra Pelagianos 3, 19.

99 - Gv 14, 30.

100 - Gv 14, 31.

101 - Sal 29, 8.

102 - Sal 29, 7.

103 - Cf. 1 Cor 4, 7.

104 - Sal 29, 8.

105 - Sal 29, 7.

106 - Sal 29, 8.

107 - Rm 7, 23.

108 - Cf. 1 Tm 2, 5.

109 - Cf. Rm 4, 5.

110 - 2 Cor 12, 9

111 - Cf. 2 Cor 12, 7-8.

112 - Fil 2, 12-13.

113 - Sal 29, 7.

114 - Cf. Sal 29, 8.

115 - Cf. Gn 3, 1-6.

116 - Cf. 1 Tm 1, 20.

117 - Sir 10, 15.

118 - Cf. sopra, 27, 31.

119 - Sir 10, 15.

120 - Gn 3, 5.

121 - Sir 10, 14-15.

122 - Sal 36, 6.

123 - Sal 36, 5.

124 - Cf. Sal 58, 11.

125 - Cf. Gv 15, 5.

126 - Sal 58, 11.

127 - Sal 22, 6.

128 - Cf. Sal 36, 5.

129 - Sal 91, 2.

130 - Cf. Sal 43, 19.

131 - Cf. Sal 36, 5.

132 - Rm 10, 2-4.

133 - Gv 14, 6.

134 - Fil 2, 12-13.

135 - Sal 2, 11-13.

136 - Sal 2, 12.

137 - Sal 2, 13.

138 - Sal 84, 8.

139 - Sal 84, 8.

140 - Sal 85, 11.

141 - Sal 138, 10.

142 - Lc 12, 37.

143 - Cf. GIROLAMO, Ep. 133, 8.

144 - 1 Gv 1, 8.

145 - Cf. Mc 14, 38.

146 - Mt 6, 12.

147 - Mt 6, 14.

148 - 1 Gv 1, 8.

149 - Mt 21, 9.

150 - Cf. Gn 3, 6.

151 - Cf. Gn 3, 6.

152 - Cf. Gn 4, 8.

153 - Cf. Gn 4, 17.

154 - Gn 5, 4.

155 - Cf. Mt 23, 35; Eb 11, 4.

156 - Cf. Rm 6, 12.

157 - Cf. Rm 6, 12-13.

158 - Cf. AUG., De spir. et litt. 36, 65; De perf. iust. hom. 6, 15.

159 - 1 Ts 5, 21.

160 - Rm 5, 12.

161 - Cf. At 4, 12.

162 - Cf. 1 Cor 1, 17.

163 - 1 Cor 1, 19.

164 - Cf. 1 Cor 1, 21.

165 - Gal 2, 21.

166 - Gal 5, 11.

167 - Cf. Gal 5, 4.

168 - Cf. Rm 10, 3.

169 - Cf. Rm 10, 4.

170 - Rm 3, 23.

171 - Rm 5, 12.

172 - Rm 5, 18.

173 - Rm 5, 18.

174 - Rm 5, 18.

175 - Cf. Sal 142, 2.

176 - Cf. Rm 5, 5.

177 - Cf. Lc 10, 30-34.

178 - Cf. Rm 7, 25; 1 Cor 2, 2.

179 - Cf. 1 Tm 2, 5.

180 - 2 Cor 4, 13.

181 - Rm 8, 24-25.

182 - Sap 9, 15.

183 - 2 Tm 2, 13.

184 - Sir 10, 9.

185 - Sal 11, 2.

186 - Sal 40, 5.

187 - Gal 5, 17.

188 - Rm 7, 15. 19.

189 - Cf. Rm 7, 18.

190 - Cf. 2 Cor 11, 13-15.

191 - Rm 7, 18.

192 - Cf. Gal 5, 17.

193 - Rm 8, 9.

194 - Cf. Lc 10, 30-35.

195 - Cf. Gv 1, 14.

196 - Gal 5, 17.

197 - Gal 3, 5.

198 - Rm 7, 24-25.

199 - Mt 6, 13.

200 - Rm 7, 24.

201 - Rm 7, 25.

202 - Rm 7, 23.

203 - Rm 7, 24-25.

204 - Rm 7, 24.

205 - Rm 7, 25.

206 - Rm 7, 24.

207 - Rm 7, 24.

208 - Cf. Lc 16, 22-26.

209 - Cf. Rm 7, 24.

210 - Cf. Rm 7, 22-23.

211 - Cf. Rm 7, 23.

212 - Rm 7, 24.

213 - Cf. Mc 10, 46-52.

214 - Rm 7, 25.

215 - Rm 7, 24.

216 - Gal 5, 17.

217 - Cf. Rm 6, 12.

218 - Gal 5, 17.

219 - Gal 5, 18.

220 - Gal 5, 18.

221 - Rm 5, 5.

222 - Gc 1, 25.

223 - Cf. Rm 7, 22.

224 - Rm 7, 23.

225 - Gal 5, 18.

226 - 1 Gv 4, 18.

227 - Cf. Rm 7, 25.

228 - Gc 4, 7.

229 - Mt 6, 13.

230 - Mc 14, 38.

231 - Rm 7, 25.

232 - Cf. Rm 7, 25.

233 - Sal 142, 2.

234 - Mt 6, 12.

235 - LATTANZIO, Div. instit. 4, 24.

236 - Cf. 2 Cor 5, 21.

237 - Cf. Rm 8, 3.

238 - LATTANZIO, Div. instit. 4, 25.

239 - ILARIO, Comment. in Mt. 4, 7.

240 - Rm 7, 25.

241 - ILARIO, Tract. in Gb, fr. 2.

242 - Cf. Gb 1, 1.

243 - Cf. Rm 6, 12.

244 - Es 20, 17.

245 - Sir 18, 30.

246 - Rm 7, 20.

247 - Cf. Gb 1, 1.

248 - Sal 118, 118.

249 - ILARIO, In ps. 118, 15, 10.

250 - 1 Gv 1, 8.

251 - Gv 15, 5.

252 - AMBROGIO, Expos. in Ev. Lc 1, 17.

253 - Cf. Lc 1, 6.

254 - Rm 7, 25.

255 - Cf. Rm 5, 5.

256 - AMBROGIO, Hymn. 3, 7-8.

257 - Cf. Lc 1, 3.

258 - 2 Cor 13, 3.

259 - Prv 8, 35.

260 - AMBROGIO, Expos. in Ev. Lc 1, 10; cf. AUG., De dono persev. 19, 49.

261 - AMBROGIO, Expos. in Ev. Lc 1, 17.

262 - Cf. Rm 7, 23.

263 - AMBROGIO, Expos. in Ev. Lc 1, 17.

264 - Cf. Ef 2, 3.

265 - Cf. GIROLAMO, Ep. 133, 3.

266 - Cf. Rm 5, 5.

267 - Cf. 2 Cor 4, 16.

268 - Cf. Rm 7, 25.

269 - Cf. 1 Tm 2, 5.

270 - Cf. Gv 1, 12.

271 - Cf. Rm 5, 5.

272 - Mt 5, 8.

273 - GIROLAMO, Comment. in Ev. Mt 1, 5, 8.

274 - Cf. Rm 7, 25.

275 - GIROLAMO, Contra Iovinianum 2, 3.

276 - Rm 5, 5.

277 - Ef 4, 8.

278 - Sal 24, 17.

279 - Cf. Rm 7, 25.

280 - AUG., De lib. arb. 3, 18, 50.

281 - Mt 6, 13.

282 - Mt 6, 12.

283 - Mt 6, 13.

284 - Mt 6, 12.

285 - Cf. AUG., Retract. 1, 9, 5.

286 - AUG., De lib. arb. 3, 18, 51.

287 - AUG., De lib. arb. 3, 18, 51..

288 - Rm 7, 15. 19.

289 - AUG., De lib. arb. 3, 18, 51.

290 - AUG., De lib. arb. 3, 18, 51.

291 - AUG., De lib. arb. 3, 19, 53.

292 - AUG., De lib. arb. 3, 19, 54.

293 - Ef 2, 3.

294 - Cf. Rm 7, 25.

295 - 1 Gv 1, 8.

296 - Cf. 1 Tm 1, 8.

297 - Mt 9, 30.

298 - Gv 5, 30.

299 - Dt 30, 14; Rm 10, 8.

300 - Rm 10, 8.

301 - Cf. Dt 20, 2.

302 - Gv 13, 14.

303 - Rm 13, 8. 10.

304 - Rm 13, 10.

305 - Prv 2, 20.

306 - Sal 16, 4.

307 - 1 Tm 1, 5.

308 - Cf. Gv 15, 13.

309 - Cf. Rm 5, 5.

310 - Cf. Rm 7, 25.
MARIOCAPALBO
00sabato 13 settembre 2014 21:59


1 - SALLUSTIO, Bellum Iugurthinum 1, 1.

2 - Rm 10, 2-3.

3 - Rm 10, 4.

4 - Cf. Gal 3, 24.

5 - Gal 2, 21.

6 - Rm 4, 5.

7 - Rm 3, 23-24.

8 - Cf. Mt 9, 12-13.

9 - Cf. 1 Tm 3, 16.

10 - Cf. Rm 10, 14.

11 - Rm 10, 17-18; cf. Sal 18, 5.

12 - Cf. At 4, 24.

13 - Gal 2, 21.

14 - Cf. OROSIO, Excerpta 3-13.

15 - Cf. 2 Cor 5, 17.

16 - Ef 2, 3-5.

17 - Rm 3, 24.

18 - Cf. Rm 10, 14.

19 - Cf. Tt 3, 5.

20 - Rm 3, 23.

21 - Cf. Rm 9, 23.

22 - Cf. 1 Tt 1, 15.

23 - Cf. Rm 8, 29-30.

24 - Cf. 1 Cor 1, 17.

25 - Gc 3, 15.

26 - Cf. 1 Cor 1, 17.

27 - Cf. Gv 11, 43-44.

28 - Cf. Gv 5, 21.

29 - Cf. Gb 14, 4.

30 - 1 Re 8, 46

31 - Qo 7, 21.

32 - Sal 13, 1. 3.

33 - Cf. Tt 3, 5.

34 - Cf. Gv 3, 5.

35 - Rm 5, 12.

36 - Cf. Rm 5, 12.

37 - Cf. 1 Cor 1, 17.

38 - Gal 2, 21.

39 - Cf. OROSIO, Excerpta 13-21.

40 - Cf. Gal 3, 23-24.

41 - Sal 118, 133.

42 - Cf. Gb 1, 8; Lc 1, 6; Fil 3, 6.

43 - 2 Cor 5, 21.

44 - Eb 4, 15.

45 - Cf. Rm 8, 3.

46 - 1 Gv 3, 9.

47 - 1 Gv 1, 8.

48 - Cf. AUG., De pecc. mer. et rem. 2, 7, 9 - 8, 10.

49 - Cf. 1 Gv 3, 9.

50 - Gc 3, 8.

51 - Gc 3, 8.

52 - Sap 1, 11.

53 - Mt 10, 20.

54 - Cf. Gc 3, 6.

55 - Gc 3, 10.

56 - Gc 3, 13-17.

57 - Gc 1, 5-6.

58 - Cf. Gc 3, 8. 15.

59 - Gc 3, 2.

60 - Gc 3, 8.

61 - Rm 8, 7-8.

62 - Cf. Gc 3, 15.

63 - Cf. Rm 8, 12.

64 - Cf. Rm 13, 10.

65 - Cf. Rm 5, 5.

66 - Sal 118, 73.

67 - Cf. Lv 4, 2-3.

68 - Gc 1, 5.

69 - Cf. Mt 6, 12-13.

70 - Cf. 1 Cor 1, 17.

71 - Cf. EUGIPPO, Excerpta 297.

72 - Sal 40, 5.

73 - Sal 40, 5.

74 - Sal 40, 5.

75 - Sal 40, 5.

76 - Sal 40, 5.

77 - Mt 9, 12-13.

78 - Cf. EUGIPPO, Excerpta 297.

79 - Mt 1, 21.

80 - Sal 101, 5.

81 - Mt 1, 21.

82 - Mt 9, 12-13.

83 - 1 Tm 1, 15.

84 - Cf. Mt 1, 21.

85 - Rm 1, 21.

86 - Rm 1, 22.

87 - Rm 1, 23,

88 - Rm 1, 21.

89 - Rm 1, 24.

90 - Rm 1, 24.

91 - Rm 1, 25-26.

92 - Rm 1, 27.

93 - Rm 1, 27.

94 - Rm 1, 28-31.

95 - Ef 5, 14.

96 - Mt 8, 22; Lc 9, 60.

97 - Sal 70, 5.

98 - AUG., De pecc. mer. et rem. 2, 30, 49-34, 56; cf. GIROLAMO, Contra Pelagianos 3, 19.

99 - Gv 14, 30.

100 - Gv 14, 31.

101 - Sal 29, 8.

102 - Sal 29, 7.

103 - Cf. 1 Cor 4, 7.

104 - Sal 29, 8.

105 - Sal 29, 7.

106 - Sal 29, 8.

107 - Rm 7, 23.

108 - Cf. 1 Tm 2, 5.

109 - Cf. Rm 4, 5.

110 - 2 Cor 12, 9

111 - Cf. 2 Cor 12, 7-8.

112 - Fil 2, 12-13.

113 - Sal 29, 7.

114 - Cf. Sal 29, 8.

115 - Cf. Gn 3, 1-6.

116 - Cf. 1 Tm 1, 20.

117 - Sir 10, 15.

118 - Cf. sopra, 27, 31.

119 - Sir 10, 15.

120 - Gn 3, 5.

121 - Sir 10, 14-15.

122 - Sal 36, 6.

123 - Sal 36, 5.

124 - Cf. Sal 58, 11.

125 - Cf. Gv 15, 5.

126 - Sal 58, 11.

127 - Sal 22, 6.

128 - Cf. Sal 36, 5.

129 - Sal 91, 2.

130 - Cf. Sal 43, 19.

131 - Cf. Sal 36, 5.

132 - Rm 10, 2-4.

133 - Gv 14, 6.

134 - Fil 2, 12-13.

135 - Sal 2, 11-13.

136 - Sal 2, 12.

137 - Sal 2, 13.

138 - Sal 84, 8.

139 - Sal 84, 8.

140 - Sal 85, 11.

141 - Sal 138, 10.

142 - Lc 12, 37.

143 - Cf. GIROLAMO, Ep. 133, 8.

144 - 1 Gv 1, 8.

145 - Cf. Mc 14, 38.

146 - Mt 6, 12.

147 - Mt 6, 14.

148 - 1 Gv 1, 8.

149 - Mt 21, 9.

150 - Cf. Gn 3, 6.

151 - Cf. Gn 3, 6.

152 - Cf. Gn 4, 8.

153 - Cf. Gn 4, 17.

154 - Gn 5, 4.

155 - Cf. Mt 23, 35; Eb 11, 4.

156 - Cf. Rm 6, 12.

157 - Cf. Rm 6, 12-13.

158 - Cf. AUG., De spir. et litt. 36, 65; De perf. iust. hom. 6, 15.

159 - 1 Ts 5, 21.

160 - Rm 5, 12.

161 - Cf. At 4, 12.

162 - Cf. 1 Cor 1, 17.

163 - 1 Cor 1, 19.

164 - Cf. 1 Cor 1, 21.

165 - Gal 2, 21.

166 - Gal 5, 11.

167 - Cf. Gal 5, 4.

168 - Cf. Rm 10, 3.

169 - Cf. Rm 10, 4.

170 - Rm 3, 23.

171 - Rm 5, 12.

172 - Rm 5, 18.

173 - Rm 5, 18.

174 - Rm 5, 18.

175 - Cf. Sal 142, 2.

176 - Cf. Rm 5, 5.

177 - Cf. Lc 10, 30-34.

178 - Cf. Rm 7, 25; 1 Cor 2, 2.

179 - Cf. 1 Tm 2, 5.

180 - 2 Cor 4, 13.

181 - Rm 8, 24-25.

182 - Sap 9, 15.

183 - 2 Tm 2, 13.

184 - Sir 10, 9.

185 - Sal 11, 2.

186 - Sal 40, 5.

187 - Gal 5, 17.

188 - Rm 7, 15. 19.

189 - Cf. Rm 7, 18.

190 - Cf. 2 Cor 11, 13-15.

191 - Rm 7, 18.

192 - Cf. Gal 5, 17.

193 - Rm 8, 9.

194 - Cf. Lc 10, 30-35.

195 - Cf. Gv 1, 14.

196 - Gal 5, 17.

197 - Gal 3, 5.

198 - Rm 7, 24-25.

199 - Mt 6, 13.

200 - Rm 7, 24.

201 - Rm 7, 25.

202 - Rm 7, 23.

203 - Rm 7, 24-25.

204 - Rm 7, 24.

205 - Rm 7, 25.

206 - Rm 7, 24.

207 - Rm 7, 24.

208 - Cf. Lc 16, 22-26.

209 - Cf. Rm 7, 24.

210 - Cf. Rm 7, 22-23.

211 - Cf. Rm 7, 23.

212 - Rm 7, 24.

213 - Cf. Mc 10, 46-52.

214 - Rm 7, 25.

215 - Rm 7, 24.

216 - Gal 5, 17.

217 - Cf. Rm 6, 12.

218 - Gal 5, 17.

219 - Gal 5, 18.

220 - Gal 5, 18.

221 - Rm 5, 5.

222 - Gc 1, 25.

223 - Cf. Rm 7, 22.

224 - Rm 7, 23.

225 - Gal 5, 18.

226 - 1 Gv 4, 18.

227 - Cf. Rm 7, 25.

228 - Gc 4, 7.

229 - Mt 6, 13.

230 - Mc 14, 38.

231 - Rm 7, 25.

232 - Cf. Rm 7, 25.

233 - Sal 142, 2.

234 - Mt 6, 12.

235 - LATTANZIO, Div. instit. 4, 24.

236 - Cf. 2 Cor 5, 21.

237 - Cf. Rm 8, 3.

238 - LATTANZIO, Div. instit. 4, 25.

239 - ILARIO, Comment. in Mt. 4, 7.

240 - Rm 7, 25.

241 - ILARIO, Tract. in Gb, fr. 2.

242 - Cf. Gb 1, 1.

243 - Cf. Rm 6, 12.

244 - Es 20, 17.

245 - Sir 18, 30.

246 - Rm 7, 20.

247 - Cf. Gb 1, 1.

248 - Sal 118, 118.

249 - ILARIO, In ps. 118, 15, 10.

250 - 1 Gv 1, 8.

251 - Gv 15, 5.

252 - AMBROGIO, Expos. in Ev. Lc 1, 17.

253 - Cf. Lc 1, 6.

254 - Rm 7, 25.

255 - Cf. Rm 5, 5.

256 - AMBROGIO, Hymn. 3, 7-8.

257 - Cf. Lc 1, 3.

258 - 2 Cor 13, 3.

259 - Prv 8, 35.

260 - AMBROGIO, Expos. in Ev. Lc 1, 10; cf. AUG., De dono persev. 19, 49.

261 - AMBROGIO, Expos. in Ev. Lc 1, 17.

262 - Cf. Rm 7, 23.

263 - AMBROGIO, Expos. in Ev. Lc 1, 17.

264 - Cf. Ef 2, 3.

265 - Cf. GIROLAMO, Ep. 133, 3.

266 - Cf. Rm 5, 5.

267 - Cf. 2 Cor 4, 16.

268 - Cf. Rm 7, 25.

269 - Cf. 1 Tm 2, 5.

270 - Cf. Gv 1, 12.

271 - Cf. Rm 5, 5.

272 - Mt 5, 8.

273 - GIROLAMO, Comment. in Ev. Mt 1, 5, 8.

274 - Cf. Rm 7, 25.

275 - GIROLAMO, Contra Iovinianum 2, 3.

276 - Rm 5, 5.

277 - Ef 4, 8.

278 - Sal 24, 17.

279 - Cf. Rm 7, 25.

280 - AUG., De lib. arb. 3, 18, 50.

281 - Mt 6, 13.

282 - Mt 6, 12.

283 - Mt 6, 13.

284 - Mt 6, 12.

285 - Cf. AUG., Retract. 1, 9, 5.

286 - AUG., De lib. arb. 3, 18, 51.

287 - AUG., De lib. arb. 3, 18, 51..

288 - Rm 7, 15. 19.

289 - AUG., De lib. arb. 3, 18, 51.

290 - AUG., De lib. arb. 3, 18, 51.

291 - AUG., De lib. arb. 3, 19, 53.

292 - AUG., De lib. arb. 3, 19, 54.

293 - Ef 2, 3.

294 - Cf. Rm 7, 25.

295 - 1 Gv 1, 8.

296 - Cf. 1 Tm 1, 8.

297 - Mt 9, 30.

298 - Gv 5, 30.

299 - Dt 30, 14; Rm 10, 8.

300 - Rm 10, 8.

301 - Cf. Dt 20, 2.

302 - Gv 13, 14.

303 - Rm 13, 8. 10.

304 - Rm 13, 10.

305 - Prv 2, 20.

306 - Sal 16, 4.

307 - 1 Tm 1, 5.

308 - Cf. Gv 15, 13.

309 - Cf. Rm 5, 5.

310 - Cf. Rm 7, 25.
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