LA NATURA E LA GRAZIA

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MARIOCAPALBO
00sabato 13 settembre 2014 21:57
SANT'AGOSTINO

SANT'AGOSTINO

LA NATURA E LA GRAZIA

Giustizia umana e giustizia divina.

1. 1. Ho letto di corsa, ma non con scarsa attenzione, e da cima a fondo, il libro che mi avete mandato, carissimi figli Timasio e Giacomo!, mettendo da parte per un poco le altre occupazioni che avevo tra mano. Ho visto nel libro un uomo acceso di zelo ardentissimo contro coloro che, invece d'accusare nei propri peccati la volontà umana, cercano piuttosto di scusarla, accusando la natura umana. Se la prende troppo costui contro questa peste, che anche autori di letteratura secolare hanno gravemente ripresa esclamando: A torto si lagnano gli uomini della loro natura 1! Questo giudizio è stato rincalzato dall'autore del libro con tutte le risorse dell'ingegno a sua disposizione. Temo però che favorisca piuttosto coloro che hanno zelo per Dio, ma non secondo una retta conoscenza; poiché ignorando la giustizia di Dio e cercando di stabilire la propria, non si sono sottomessi alla giustizia di Dio 2. Quale sia poi la giustizia di Dio di cui l'Apostolo parla qui lo spiega immediatamente aggiungendo: Il termine della legge è il Cristo, perché sia data la giustizia a chiunque crede 3. Chi pertanto arriva a capire che la giustizia di Dio non risiede nel precetto della legge che intimorisce, ma nell'aiuto della grazia del Cristo, e la grazia è l'unico termine a cui guida utilmente come pedagogo il timore della legge 4, costui capisce perché è cristiano. Infatti se la giustificazione viene dalla legge, il Cristo è morto invano 5! Se invece non è morto invano, in lui soltanto viene giustificato il peccatore, al quale, perché crede in colui che giustifica l'empio, la fede viene accreditata come giustizia 6. Tutti infatti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente mediante il suo sangue 7Al contrario quanti non si credono inclusi tra coloro che hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, certamente non hanno nessuna necessità di diventare cristiani, perché non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Ed egli perciò non è venuto a chiamare i giusti, bensì i peccatori 8.

La dottrina di Pelagio e la risposta di S. Agostino.

2. 2. Quindi se la natura umana, propagata dalla carne di quell'unico prevaricatore, può bastare a se stessa per osservare la legge e raggiungere la perfezione della giustizia, stia sicura essa del premio, cioè della vita eterna, "anche se in qualche popolo o in qualche tempo passato le rimase nascosta la fede nel sangue del Cristo. Dio infatti non è così ingiusto da privare i giusti del giusto premio, se ad essi non è stato annunziato il sacramento della divinità e umanità del Cristo, cioè il mistero d'essersi manifestato nella carne 9. Come avrebbero potuto credere in quello di cui non avevano sentito parlare? E come ne avrebbero sentito parlare senza uno che lo annunziasse 10? Infatti è scritto: La fede dipende dalla predicazione e la predicazione a sua volta si attua per la parola del Cristo. Ma ora mi domando, dice [l'Apostolo]: Non hanno forse udito? Tutt'altro: per tutta la terra è corsa la loro voce e fino ai confini del mondo le loro parole 11Ma prima dell'avvenimento di questi fatti, prima che la stessa predicazione possa giungere fino ai confini di tutta la terra - poiché non mancano popoli lontani, sebbene se ne indichino pochissimi, ai quali non si è ancora predicato! -, come la natura umana può raggiungere la sua salvezza o come la raggiunse senza la notizia di questi avvenimenti futuri o senza aver conosciuto ancora questi avvenimenti passati? Non la raggiunge forse con la fede in colui che ha fatto il cielo e la terra 12 e di cui, per intuito naturale, si sente anche lei creatura e con la vita retta in ossequio alla divina volontà, senza aver ricevuto in nessun modo la fede nella passione e risurrezione del Cristo?". Se ciò poté avvenire o può avvenire, allora dico anch'io quello che l'Apostolo ha detto della legge: Il Cristo è morto invano 13. Se infatti egli dice questo della legge che ricevé la sola nazione giudaica, quanto più giustamente si dirà della legge naturale data a tutto il genere umano: "Se la giustificazione viene dalla natura, il Cristo è morto invano"! Ma se il Cristo non è morto invano, allora la natura umana non potrà mai in nessun modo essere giustificata e riscattata dalla giustissima ira di Dio, cioè dalla sua punizione, se non mediante la fede e il sacramento del sangue del Cristo.

Il bene viene da Dio, il male dal peccato dell'uomo.

3. 3. È vero: la natura dell'uomo fu creata in origine senza colpa e senza nessun vizio; viceversa la natura attuale dell'uomo, per la quale ciascuno nasce da Adamo, ha ormai bisogno del Medico 14, perché non è sana. Certo, tutti i beni che ha nella sua struttura, nella vita, nei sensi e nella mente, li riceve dal sommo Dio, suo creatore e artefice. Il vizio invece che oscura e indebolisce questi beni naturali!, così da rendere la natura umana bisognosa d'illuminazione e di cura, non l'ha tratto dal suo irreprensibile artefice, ma dal peccato originale che fu commesso con il libero arbitrio. Perciò lo stato di pena in cui è la natura dipende da una giustissima punizione. Se è vero infatti che adesso siamo una creatura nuova nel Cristo 15, è vero tuttavia che eravamo per natura meritevoli d'ira come gli altri. Ma Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amati, da morti che eravamo per i peccati ci ha fatti rivivere con il Cristo, per la cui grazia siamo stati salvati 16.

La salvezza viene solo dalla grazia di Dio.

4. 4. Questa grazia del Cristo, senza la quale né i bambini né i grandi possono salvarsi, non si dà per meriti, ma gratis, ed è per questo che si chiama grazia. Dice l'Apostolo: Sono giustificati gratuitamente mediante il suo sangue 17. Quelli dunque che non sono liberati per mezzo di questa grazia, sia perché non hanno potuto ancora ascoltare 18, sia perché non hanno voluto obbedire, sia anche perché in età di non poter ascoltare non hanno ricevuto il lavacro della rigenerazione 19 che potevano ricevere e che li avrebbe salvati, tutti costoro sono, sì, giustamente condannati, perché non sono senza un qualche peccato: o quello che hanno contratto originalmente o anche quello sopraggiunto a causa della loro cattiva condotta. Tutti hanno peccato infatti, sia in Adamo e sia in se stessi, e sono privi della gloria di Dio 20.

La salvezza è un atto della misericordia divina.

5. 5. Tutta la massa umana deve dunque scontare le sue pene e, se a tutti si rendesse il dovuto castigo della condanna, non si renderebbe certo ingiustamente. Perciò coloro che vengono liberati dalla condanna per grazia, non si chiamano vasi pieni di meriti propri, bensì vasi di misericordia 21. Misericordia di chi se non di colui che mandò il Cristo Gesù in questo mondo a salvare i peccatori 22, che da sempre ha conosciuti, predestinati, chiamati, giustificati e glorificati 23? Chi dunque vuol essere tanto pazzo da non rendere ineffabili grazie alla misericordia divina liberatrice di quelli che vuole, se in nessun modo avrebbe il diritto d'incolpare la giustizia divina anche se fosse condannatrice di tutti senza eccezione?

La falsa sapienza dei pelagiani.

6. 6. Se questo nostro modo di sentire è conforme alle Scritture, non saremmo costretti a discutere contro la grazia cristiana, né a tentar di dimostrare con parole che la natura umana nei bambini non ha bisogno del Medico perché è sana e nei grandi può, se vuole, bastare da se stessa alla giustizia. Sono queste delle affermazioni che sembrano fatte con acume, ma sono fatte con un discorso sapiente che rende vana la croce del Cristo 24Non è questa la sapienza che viene dall'alto 25. Non voglio citare quello che segue, perché non ci si rimproveri d'offendere i nostri amici, che desideriamo veder correre, con i loro ingegni fortissimi e prontissimi non sulla strada sbagliata, ma sulla strada giusta!

Non c'è salvezza senza il mistero del Cristo.

7. 7. Quanto dunque è lo zelo dell'autore del libro da voi mandatomi contro quelli che cercano di difendere i propri peccati con la debolezza della natura umana, altrettanto e ancora più ardente dev'essere il nostro zelo perché non sia resa vana la croce del Cristo 26. Ma è resa vana, se si ammette la possibilità di giungere in qualche modo alla giustificazione e alla vita eterna senza il sacramento del Cristo. Ciò si difende appunto in cotesto libro. Non voglio dire consapevolmente, perché allora a mio giudizio l'autore non meriterebbe nemmeno il nome di cristiano! Ma piuttosto credo inconsapevolmente, però con grandi forze, che invece vorrei sane, non come quelle che sono soliti avere gli agitati.

La discussione di Pelagio sulla possibilità dell'uomo di essere senza peccato.

7. 8. Costui infatti prima distingue così: "Altro è cercare se una cosa sia possibile, e ciò riguarda la sua possibilità soltanto, altro se esista". Nessuno mette in dubbio la legittimità di questa distinzione: è logico infatti che quello che adesso esiste fosse prima possibile, non è invece logico che esista di fatto quello che può esistere. Poiché il Signore risuscitò Lazzaro 27, certamente ne ebbe prima la possibilità; ma perché non risuscitò Giuda, si deve forse dire: "Non ne aveva la possibilità"? Certamente lo poteva, ma non volle. Se l'avesse voluto, avrebbe fatto pure questo con lo stesso potere, perché anche il Figlio dà la vita a chi vuole 28. Ma notate dove miri e cosa si proponga con questa distinzione legittima ed evidente. Dice: "Noi trattiamo solo della possibilità, perché, se non raggiungiamo la certezza nei suoi riguardi, stimiamo cosa gravissima ed illogica passare ad altro". Rigira la cosa in molti modi e con lunghi discorsi, perché nessuno creda tratti d'altro che della possibilità di non peccare. Tra i molti ragionamenti con i quali la spiega c'è anche questo: "Lo ripeto ancora: Io dico che l'uomo può essere senza peccato. Tu che dici? Che l'uomo non può essere senza peccato? Né io dico che esiste un uomo senza peccato, né tu dici che non esiste un uomo senza peccato: noi discutiamo della possibilità e dell'impossibilità, non dell'esistenza e dell'inesistenza". Poi ricorda che alcuni testi tra quelli che ordinariamente vengono portati contro di loro citandoli dalle Scritture non sono pertinenti al quesito se l'uomo possa o non possa essere senza peccato. Dice che i testi: "Nessun uomo è puro da immondezza 29, Non c'è uomo che non pecchi 30, Non c'è un giusto sulla terra 31, Non c'è alcuno che faccia il bene 32 e altri simili, servono a dimostrare l'inesistenza e non l'impossibilità. Con questi esempi si prova quali fossero alcuni uomini di un tempo, non che non potessero essere diversi, e proprio per questo si trovano giustamente colpevoli. Se infatti sono stati tali perché non hanno potuto essere diversi, sono senza colpa".

La categoria della possibilità non è applicabile ai bambini.

8. 9. Ecco quello che ha detto costui. Ora io pongo il caso di un bambino nato in un luogo dove non poté essere soccorso mediante il battesimo del Cristo ed è deceduto. In questo caso egli è stato tale, ossia è deceduto senza il lavacro della rigenerazione 33, perché non poté essere diverso. Lo assolva dunque costui e gli apra il regno dei cieli contro la dichiarazione del Signore 34. Ma non l'assolve l'Apostolo che dice: A causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte e così ha raggiunto tutti gli uomini, che tutti hanno peccato in lui 35. Giustamente dunque non viene ammesso nel regno dei cieli per quella condanna che corre attraverso tutta la massa umana e questo succede per il bambino che non solo non è stato cristiano, ma non ha avuto nemmeno la possibilità d'esserlo.

La categoria della possibilità spesso non è applicabile nemmeno agli adulti.

9. 10. Ma dicono: "Non viene condannato, perché dall'Apostolo è stato detto che tutti hanno peccato in Adamo 36 non per un peccato contratto con l'origine del nascere, ma per imitazione"! Se dunque in tanto si dice che Adamo è il padre di tutti i peccati successivi in quanto tra gli uomini fu il primo peccatore, perché non si mette a capo di tutti i giusti Abele invece del Cristo, essendo stato Abele il primo giusto tra gli uomini? Ma non parlo di un bambino. Un giovane o un vecchio è morto in una regione dove non poté udire il nome del Cristo: ha potuto costui diventare giusto mediante la sua natura e il suo libero arbitrio o non ha potuto? Se dicono che ha potuto, ecco la vanificazione della croce del Cristo 37: "sostenere che senza di essa uno può essere giustificato mediante la legge naturale e l'arbitrio della volontà". È doveroso dire anche in questo caso: Il Cristo è morto invano 38. Tutti infatti potrebbero raggiungere la giustificazione, anche se il Cristo non fosse morto, e se restano ingiusti ci restano perché lo vogliono, non perché non possono essere giusti. Se poi senza la grazia del Cristo non ha potuto in nessun modo essere giustificato, allora costui assolva, se ne ha il coraggio, anche chi "è senza colpa" - secondo le sue parole - "se è stato tale perché non ha potuto essere diverso".

Un primo sofisma di Pelagio.

10. 11. Obietta però a se stesso, come se l'obiezione venisse da un altro, dicendo: "Lo può essere, dirai, ma con la grazia di Dio"! Poi con l'aria di rispondere soggiunge: "Rendo grazie alla tua umanità che non solo non ti contenti di non opporti alla mia affermazione da te finora osteggiata e non solo non ti contenti d'ammetterla, ma non ti rifiuti nemmeno d'approvarla. Dire infatti che l'uomo ha tale possibilità, ma in dipendenza di questo o di quello, che altro è se non mostrare il come e la condizione per l'ammissione di questa possibilità? Nessuno approva la possibilità d'una cosa più di chi ne pone anche la condizione, perché non può esserci la condizione senza la cosa". Dopo di che passa a porsi un'altra obiezione: "Ma sembra, dirai, che qui tu neghi la grazia di Dio perché non la ricordi". Risponde: "La nego io che affermando il fatto affermo necessariamente anche la causa che lo produce o tu che negando il fatto neghi senza dubbio anche ogni causa che lo produca?". Si è già dimenticato che stava rispondendo ad uno che non nega la possibilità e da parte del quale poco innanzi aveva proposto questa obiezione: "Lo può essere, ma con la grazia di Dio". In che modo dunque la possibilità per la quale costui tanto si affanna viene negata da uno che gli sta dicendo: "Lo può, ma con la grazia di Dio"? Comunque, non ha per noi alcun interesse ora se costui, lasciato da parte chi ammette già la cosa, se la prende ancora contro coloro che negano la possibilità dell'uomo d'essere senza peccato. Se la prenda con chi vuole, purché riconosca che senza la grazia di Dio l'uomo non può essere senza peccato. E negar ciò è prova di scelleratissima empietà. Dice in proposito: "Chi ammette il fatto stesso che l'uomo è senza peccato, ammette che lo è o per grazia o per aiuto o per atto di misericordia o per qualsiasi altro mezzo che renda possibile all'uomo d'essere senza peccato".

L'equivoco di Pelagio si va chiarendo.

11. 12. Confesso alla vostra Dilezione che a leggere queste espressioni fui inondato dalla gioia che costui non negasse la grazia di Dio come unico mezzo che può giustificare l'uomo, perché è proprio questo l'errore che detesto e aborrisco maggiormente nelle discussioni di tali individui. Ma continuando a leggere tutto il seguito cominciai ad avere dei sospetti, prima di tutto per le similitudini che usava. Scrive infatti: "Se ora dico che l'uomo può disputare, l'uccello volare, la lepre correre, senza dire con quali mezzi lo possono, cioè con la lingua, le ali, i piedi, nego forse le condizioni delle funzioni mentre ammetto le funzioni stesse?". È chiaro ch'egli ricorda delle funzioni basate sulla natura, essendo state create per tali nature quelle membra: lingua, ali, piedi. Non fa un solo esempio che sia tale e quale lo vogliamo noi perché si possa applicare alla grazia, senza la quale l'uomo non viene giustificato. Nel caso della grazia si tratta di nature da guarire e non di nature da costituire. Già dunque allarmato da questo, cominciai a leggere il resto e trovai che non mi ero insospettito invano.

La pedagogia dei peccati veniali.

12. 13. Prima che io arrivi a questo punto, vedete che cosa abbia detto costui. Trattando la questione della differenza dei peccati e obiettando a sé quello che dicono alcuni: "Non potersi evitare tutti i peccati veniali per la stessa moltitudine con la quale ci assaliscono", afferma che "non devono essere rimproverati nemmeno un poco, se non si possono in nessun modo evitare". Non fa evidentemente attenzione alle Scritture del Nuovo Testamento, le quali insegnano 39 che l'intento della legge intimidatrice è che per i peccati veniali ci si rifugi nella grazia misericordiosa del Signore: vale a dire che la funzione della legge di fare da pedagogo si conclude nella medesima fede che è stata più tardi rivelata 40 e nella quale si ha sia il perdono dei peccati commessi, sia l'aiuto della medesima grazia per non commetterli. Propria infatti di coloro che progrediscono è la via, benché coloro che sono bravi nel progredire si dicano già perfetti viatori. Ma la perfezione assoluta alla quale non c'è più nulla da aggiungere si ha nel momento che si comincia a possedere ciò a cui si tendeva.

Agostino esorta Pelagio all'umiltà della preghiera.

13. 14. Quanto poi alla domanda che si rivolge a costui: "Tu stesso sei forse senza peccato?", essa veramente non tocca l'argomento su cui verte la questione! Ma la risposta che dà: "Alla sua negligenza lo deve imputare chi non è senza peccato" è una buona risposta. Prenda però motivo da questo per degnarsi di pregare Dio che tale sua cattiva negligenza non lo domini, come lo pregava colui che diceva: Rendi saldi i miei passi secondo la tua parola e non prevalga su di me il male 41, per evitare che confidando nella propria diligenza, come se dipendesse dalla sua forza, non arrivi alla vera giustizia né qui né là dove la dobbiamo desiderare e sperare senza alcun dubbio perfetta.

Meno che di Gesù, di nessuno la Scrittura dice che sia senza peccato.

14. 15. Anche l'obiezione che alcuni gli fanno: "Non si trova mai scritto con queste precise parole che l'uomo può essere senza peccato", costui la respinge facilmente rispondendo che "la questione non è con quali parole venga fatta un'affermazione". Forse non è tuttavia senza ragione che nelle Scritture, dove talvolta alcuni uomini vengono detti irreprensibili, di nessuno si dica che è senza peccato, all'infuori di colui 42 del quale si dice esplicitamente che non aveva conosciuto il peccato 43 e del quale in un testo concernente i santi sacerdoti afferma che fu provato in ogni cosa a somiglianza di noi, escluso il peccato 44, cioè in quella sua carne che era somigliante alla carne del peccato 45, sebbene non fosse la carne del peccato, e tuttavia non sarebbe somigliante, se tutta l'altra carne non fosse carne del peccato. Come poi sia da interpretare il testo: Chiunque è nato da Dio non commette peccato e non può commettere peccato, perché un seme divino dimora in lui 46, mentre lo stesso apostolo Giovanni, quasi non fosse egli nato da Dio o parlasse a persone non ancora nate da Dio, scrive esplicitamente: Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi 47, ho cercato di spiegarlo come potei nei libri che su questo argomento scrissi a Marcellino 48! Che le parole: Non può commettere peccato 49 valgano come se si dicesse che "non deve peccare" mi sembra un'interpretazione da non disapprovare. Quale pazzo direbbe che si deve peccare, se il peccato consiste proprio nel fare ciò che non si deve fare?

I peccati della lingua.

15. 16. Certo, l'affermazione dell'apostolo Giacomo: Nessun uomo può domare la lingua 50 non mi sembra che si possa intendere alla maniera in cui la spiega l'autore del libro: "È detto in tono di rimprovero, come se si chiedesse: Nessuno dunque può domare la sua lingua? Sarebbe un rimbrotto di questa specie: Voi potete domare le fiere e non potete domare la lingua? Quasi ritenesse più facile domare la lingua che le fiere". Non credo che questo sia il senso del testo! Se infatti avesse voluto convincere della facilità di domare la lingua, avrebbe dovuto sviluppare nel seguito il confronto con le bestie e invece afferma: [La lingua è] un male ribelle, è piena di veleno mortale 51, certo più dannoso di quello delle bestie e dei serpenti, perché l'uno uccide il corpo e l'altro l'anima:Una bocca menzognera uccide l'anima 52. S. Giacomo dunque non espresse né volle che s'intendesse quella sua sentenza nel senso che domare la lingua sia più facile d'ammansire le bestie, ma volle piuttosto mostrare quanto grande sia nell'uomo il male della lingua, tanto da non poter essere domato da nessun uomo, benché gli uomini dominino anche le bestie. E non dice questo perché lasciamo per trascuratezza che questo male continui a tiranneggiare su di noi, ma affinché per domare la lingua noi chiediamo l'aiuto della grazia divina. Non dice infatti: "Nessuno" può domare la lingua, ma: "Nessun uomo", perché quando viene domata riconosciamo tale risultato alla misericordia di Dio, all'aiuto di Dio, alla grazia di Dio. Si applichi dunque l'anima a domare la lingua e nel suo sforzo chieda aiuto: preghi con la lingua che si domi la lingua, intervenendo il dono di colui che disse ai suoi: Non siete infatti voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi 53. Siamo dunque avvertiti dal precetto divino a comportarci così; poiché però non bastiamo ad osservarlo con la nostra forza e il nostro sforzo. dobbiamo invocare l'aiuto di Dio con la preghiera.

S. Giacomo esorta alla preghiera e quindi alla grazia.

16. 17. Perciò lo stesso S. Giacomo, dopo aver rilevato il male della lingua 54 dicendo tra l'altro: Non dev'essere così, fratelli miei 55, nel porre fine all'argomento ricorda con quale aiuto non avverrebbe più quello di cui dice: Non dev'essere così. Scrive: Chi è saggio e accorto tra voi? Mostri con la buona condotta le sue opere ispirate a saggia mitezza. Ma se avete nel vostro cuore gelosia amara e spirito di contesa, non vantatevi e non mentite contro la verità. Non è questa la sapienza che viene dall'alto: è terrena, carnale, diabolica; poiché dove c'è gelosia e spirito di contesa, c'è disordine e ogni sorta di cattive azioni. La sapienza che viene dall'alto invece è anzitutto pura, poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, senza parzialità, senza ipocrisia 56Questa è la sapienza che doma la lingua, una sapienza che discende dall'alto, non che balza dal cuore umano. Oserà qualcuno togliere anche questa alla grazia di Dio e porla con superbissima vanità in potere dell'uomo? Perché dunque si prega di riceverla, se averla dipende dall'uomo? Oppure ci si oppone anche a questa preghiera per non offendere il libero arbitrio che basta a se stesso con le sue possibilità naturali per osservare tutti i precetti della giustizia? Ci si opponga dunque al medesimo apostolo Giacomo che esorta e dice: Se qualcuno di voi manca di sapienza, la domandi a Dio che dona a tutti generosamente e senza rinfacciare e gli sarà data. La domandi però con fede senza esitare 57. Questa è la fede alla quale sospingono i precetti, perché la legge imperi e la fede impetri. Con la lingua che nessun uomo riesce a domare, ma ben ci riesce la sapienza che discende dall'alto 58tutti manchiamo in molte cose 59. Anche a quest'affermazione l'apostolo Giacomo dà il medesimo senso che all'altra: Nessun uomo può domare la lingua 60.

Per vivere secondo lo spirito è necessaria la grazia di Dio.

17. 18. Similmente non si obiettino a costoro per sostenere l'impossibilità di non peccare le parole: La sapienza della carne è in rivolta contro Dio, perché non si sottomette alla sua legge e neanche lo potrebbe. Quelli infatti che sono nella carne, non possono piacere a Dio 61. Dice la sapienza della carne, non la sapienza che discende dall'alto 62. Per quelli che sono nella carne non intende coloro che non sono ancora usciti dal corpo, ma coloro che vivono secondo la carne 63, com'è chiaro. A questo testo è estranea la nostra questione. Quello che aspetto d'udire da lui, se posso, è la risposta al seguente quesito: coloro che vivono secondo lo spirito e che quindi in qualche modo non sono più nella carne, benché vivano ancora qui, è per la grazia di Dio che vivono secondo spirito o per questo bastano a se stessi con la possibilità della natura già ricevuta da loro al momento della creazione e con la loro propria volontà? Eppure è certo che pieno compimento della legge non è se non la carità 64 e la carità di Dio non è diffusa nei nostri cuori da noi stessi, bensì dallo Spirito Santo che ci è stato dato 65.

I peccati d'ignoranza.

17. 19. Tratta costui anche dei peccati d'ignoranza e dice che "l'uomo deve stare attentissimo a non ignorare e che l'ignoranza in tanto è colpevole in quanto l'uomo non sa per negligenza ciò che avrebbe dovuto conoscere usando la necessaria diligenza". Costui mette tutto in discussione, pur di non pregare e dire: Fammi capire e imparerò i tuoi comandi 66. Altro è aver trascurato di sapere, e i peccati di negligenza sembra che si espiassero anche con certi sacrifici della legge 67, altro è voler capire senza riuscirvi e andare contro la legge perché non si capisce cosa voglia. Ecco perché siamo esortati a chiedere la sapienza a Dio che dona a tutti abbondantemente 68, certo a tutti coloro che la chiedono così e tanto la chiedono come e quanto deve chiedersi un bene tanto grande.

Pregare equivale ad affermare la necessità della grazia.

18. 20. Costui confessa che "i peccati commessi hanno tuttavia bisogno d'essere rimessi da Dio e per essi si deve pregare il Signore", naturalmente per meritarne il perdono, perché per sua stessa confessione "la potenza della natura e della volontà umana", da lui molto lodata, "non può far sì che non sia stato fatto quello che è stato fatto". In questa situazione di necessità non le resta dunque che pregare d'esser perdonata. Che preghi invece d'esser aiutata a non peccare non lo raccomanda mai e non l'ho letto qui. Strano l'assoluto silenzio su questo punto!, mentre la preghiera del Signore ci fa chiedere ambedue i benefici: che siano rimessi a noi i nostri debiti e che non siamo indotti in tentazione 69; il primo, perché siano cancellati i peccati passati, il secondo perché siano evitati i peccati futuri. E sebbene ciò non si avveri senza l'intervento della volontà, tuttavia perché si avveri non basta la volontà da sola. A questo scopo quindi non è né superfluo né indiscreto offrire preghiere al Signore. Che c'è invece di più stolto di ricorrere alla preghiera per fare quello che hai già in tuo potere?

La tesi di Pelagio che il peccato di Adamo non ha nociuto alla natura umana.

19. 21. Considerate ora il punto più importante del problema: come costui tenti di presentare la natura umana quasi fosse assolutamente senza nessun vizio e come lotti contro le chiarissime Scritture di Dio con una sapienza che rende vana la croce del Cristo 70. Ma questa non perderà il suo valore e quella sarà invece distrutta. Quando l'avremo dimostrato, forse la misericordia di Dio interverrà anche a far pentire costui d'aver fatto tali affermazioni. Scrive: "In primo luogo bisogna discutere l'assunto che per il peccato la natura sia stata debilitata e cambiata 71. A tal proposito mi chiedo innanzi tutto che cosa sia il peccato: se una sostanza o se un nome privo affatto di sostanza, un nome che non indica una realtà, un'esistenza, un corpo, ma un'azione mal fatta". Poi soggiunge: "Credo che sia così. E se è così, come ha potuto debilitare o cambiare la natura ciò che è privo di sostanza?". Notate, vi prego, come incosciamente costui tenti d'eliminare la supplica salvatrice espressa da queste parole medicamentose: Io ho detto: Signore, abbi pietà di me, risana l'anima mia, perché ho peccato contro di te 72. Cosa viene risanato, se nulla è stato ferito, nulla piagato, nulla debilitato e guastato? Ma se c'è qualcosa da risanare, cos'è che l'ha guastato? Senti il salmista confessare e perché lo chiami a disputare? Dice: Risana l'anima mia 73. Domandagli che cosa abbia guastato ciò di cui implora il risanamento e ascolta quanto segue: Perché ho peccato contro di te 74. Lo interroghi costui, gli chieda quello che crede di dover chiedere e gli dica: O tu che gridi: Risana l'anima mia, perché ho peccato contro di te 75, che cos'è il peccato? "È una sostanza o è un nome privo affatto di sostanza, un nome che non indica una realtà, un'esistenza, un corpo, ma semplicemente un'azione mal fatta?". Risponde il salmista: È così come dici tu: il peccato non è una qualche sostanza, ma con questo nome si esprime soltanto un atto illecito. E il nostro scrittore a sua volta: "Per quale motivo allora tu gridi: Risana l'anima mia, perché ho peccato contro di te 76Come ha potuto guastare la tua anima ciò che non ha sostanza?". Addolorato della propria ferita, perché la discussione non lo distolga dall'orazione, non replicherà seccato il salmista: "Vattene, ti prego; discuti piuttosto, se puoi, con colui che ha detto: Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori 77? E qui chiama sani i giusti e malati i peccatori".

È nulla il peccato?

20. 22. Non v'accorgete dove tenda e dove allunghi la mano questa polemica 78? A far perdere ogni importanza alle parole: Lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati 79.Come lo salverà, se non ha malattia di sorta? I peccati infatti, dai quali il Vangelo dice che dev'essere salvato il popolo del Cristo, non sono delle sostanze e secondo costui non possono viziare. O fratello, sarebbe bene che ti ricordassi che sei cristiano. Forse basterebbe credere a queste verità; ma poiché vuoi discutere, se c'è alla base una fede fermissima, ciò non è dannoso, anzi è pure vantaggioso. Non stiamo a giudicare se la natura umana non possa essere viziata dal peccato ma, credendo alle Scritture divine che la dicono viziata dal peccato, indaghiamo come ciò sia potuto avvenire! Abbiamo già imparato che il peccato non è una sostanza. Non t'accorgi, per omettere altre cose, che anche il non mangiare non è una sostanza? Ci si astiene da una sostanza, qual è il cibo. Eppure, per quanto l'astenersi dal cibo non sia una sostanza, la sostanza del corpo, se questo si astiene completamente dal cibo, tanto languisce, tanto si corrompe per i disturbi della salute, tanto si esaurisce nelle sue forze, tanto s'indebolisce e si accascia che, pur se continua a vivere in qualche modo, sarà difficile farla tornare a quel cibo, astenendosi dal quale si è tanto viziata. Alla pari non è una sostanza il peccato. Ma una sostanza è Dio e la sostanza somma e il solo vero cibo della creatura razionale. Da lui avendo disertato per disobbedienza e non potendo più per debolezza cibarsi di lui, mentre ne doveva anche godere, non senti quello che il salmista dice: Il mio cuore abbattuto come erba inaridisce, dimentico di mangiare il mio pane 80?

La dottrina di Pelagio.

21. 23. Osservate come insista ancora con argomenti appena verosimili contro la verità della Scrittura santa. Dice il Signore Gesù, ed è chiamato Gesù proprio perché salva il suo popolo dai suoi peccati 81: Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori 82E l'Apostolo dice in concordanza: Questa parola è sicura e degna di essere da tutti accolta: Gesù Cristo è venuto in questo mondo per salvare i peccatori 83. Contro quest'affermazione, degna di fede e d'ogni accoglienza, costui dice che "simile infermità non doveva contrarsi per i peccati, perché tale pena del peccato non servisse a far commettere peccati ancora più numerosi". Anche per i bambini si cerca il soccorso di un Medico tanto grande e costui dice: "Che cercate? Sono sani quelli per i quali cercate il medico. Neppure il primo uomo fu condannato alla morte per il peccato e dopo infatti non peccò più". Quasi che della perfezione della giustizia di Adamo dopo il peccato abbia avuto costui notizie ulteriori rispetto a quanto ammette la Chiesa: essere stato anche lui liberato dalla misericordia del Cristo Signore. Egli dice: "Anche i suoi posteri non solamente non sono più deboli di lui, ma hanno pure osservato più precetti di lui, mentre egli ne ebbe uno solo e lo trasgredì". Egli vede che i discendenti di Adamo nascono in condizioni certamente diverse da quelle in cui fu creato lui: non solo sono incapaci di precetto, poiché non hanno affatto intelligenza, ma sono appena capaci d'attaccarsi alle mammelle quando hanno fame. Eppure, quando nel seno della Chiesa li vuol salvare con la sua grazia colui che salva il suo popolo dai suoi peccati 84, cotesti individui vi si oppongono e, quasi sapessero vedere dentro la creatura meglio di lui che l'ha creata, con voce insana li dichiarano sani.

Il peccato è la più grave pena del peccato stesso.

22. 24. Scrive costui: "La punizione del peccato sarebbe occasione di peccato, se dopo il peccato Adamo si fosse trovato tanto indebolito da peccare ancora di più". E non pensa quanto giustamente la luce della verità abbandoni il trasgressore della legge, che allora diventa cieco e necessariamente inciampa di più e cadendo s'infortuna e infortunatosi non può più risorgere. Così gli resta solo d'ascoltare la voce della legge per sentirsi ammonito ad implorare la grazia del Salvatore. Non è forse una pena quella di coloro di cui l'Apostolo dice: Pur conoscendo Dio, non gli hanno dato gloria né gli hanno reso grazie come a Dio, ma hanno vaneggiato nei loro ragionamenti e si è ottenebrata la loro mente ottusa 85? Questo ottenebramento era già una vendetta e una punizione. Tuttavia a causa di questa pena, cioè a causa della cecità del cuore, prodotta dall'eclissarsi della luce della sapienza, caddero in peccati ancora più numerosi e gravi. Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti 86. Grave è questa pena per chi la capisce. E guarda dove andarono a finire per essa: Hanno cambiato la gloria dell'incorruttibile Dio con l'immagine dell'uomo corruttibile, di uccelli, di quadrupedi e di serpenti 87Queste empietà fecero per la pena del peccato, per la quale si ottenebrò la loro mente ottusa 88E tuttavia aggiunge che per queste azioni, che, sebbene siano un castigo, sono esse pure dei peccati, Dio li ha abbandonati all'impurità secondo i desideri del loro cuore 89. Ecco come Dio li condannò ancora più gravemente lasciandoli ai desideri del loro cuore, alle immondezze. Notate anche le azioni che fanno a causa di questa punizione: Fino a disonorare tra loro i propri corpi 90. E che questa sia la pena dell'iniquità, di essere anch'essa iniquità, lo sottolinea con maggiore evidenza dicendo: Hanno cambiato la verità di Dio con la menzogna, hanno adorato e servito la creatura al posto del Creatore, che è benedetto nei secoli. Amen. Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami 91Ecco quante volte Dio punisce e dalla sua punizione nascono altri peccati più numerosi e più gravi. Le loro donne infatti hanno cambiato i rapporti naturali in rapporti contro natura. Egualmente anche gli uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono accesi di passione gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi maschi con maschi 92. E per chiarire che questi peccati avevano pure la funzione di punire altri peccati aggiunge anche per costoro: Ricevendo così in se stessi la punizione che si addiceva al loro traviamento 93. Notate quante volte intervenga Dio a punire il male e quali peccati nascano e pullulino dalla sua stessa punizione. Attenti ancora. L'Apostolo dice: E poiché hanno disprezzato la conoscenza di Dio, Dio li ha abbandonati in balìa di una intelligenza depravata, sicché commettono ciò che è indegno, colmi come sono di ogni sorta d'ingiustizia, di raggiri, di malizie, di avarizia, di invidia, di omicidi, di litigi, di frodi, di malignità; detrattori, calunniatori, nemici di Dio, insolenti, orgogliosi, tronfi, ingegnosi nel male, ribelli ai genitori, insensati, sleali, senza cuore, senza misericordia 94. Qui dica ora costui: "Non si doveva punire il peccato in tal modo che il peccatore peccasse ancora di più in forza della sua punizione".

Bastiamo a noi stessi per peccare, ma non per risorgere dal peccato.

23. 25. Forse risponderà che Dio non costringe a queste azioni, ma semplicemente abbandona coloro che meritano d'essere abbandonati. Se dice questo, dice una verità verissima. Privàti come sono della luce della giustizia e perciò ottenebrati, che altro possono fare se non tutte quelle opere delle tenebre che ho elencate, finché non obbediscano alla voce che dice ad essi: Svégliati, o tu che dormi, dèstati dai morti e il Cristo ti illuminerà 95? Morti li dice la Verità, come anche nella frase: Lascia i morti seppellire i loro morti 96La Verità dunque definisce morti quelli che costui nega che il peccato abbia potuto danneggiare e viziare, cioè perché ha scoperto che il peccato non è una sostanza. Nessuno gli dice che "l'uomo è stato fatto così che certamente può andare dalla giustizia al peccato, ma non può dal peccato tornare alla giustizia"; la verità è che per andare al peccato gli bastò il libero arbitrio con il quale viziò se stesso, per tornare invece alla giustizia ha bisogno del Medico perché non è più sano, ha bisogno del Risuscitatore perché è morto. E di questa grazia niente assolutamente dice costui, quasi che l'uomo possa guarire da sé con la sola sua volontà, perché essa l'ha potuto viziare da sola. Noi non diciamo a costui che "la morte del corpo ha valore di peccato", essendoci nella morte del corpo una punizione soltanto, e nessuno infatti pecca morendo corporalmente!; ma diciamo che ha valore di peccato la morte dell'anima, la quale è stata abbandonata dalla sua vita, cioè dal suo Dio, e fa necessariamente opere morte, finché non risorga per la grazia del Cristo. Noi ci guardiamo bene dal dire che "la fame, la sete e le altre molestie corporali mettono nella necessità di peccare": tanto che la vita dei giusti, esercitata da queste sofferenze, ha trovato il modo di splendere più nitida e superandole con pazienza di guadagnare una gloria più grande, ma aiutata dalla grazia di Dio, aiutata dallo Spirito di Dio, aiutata dalla misericordia di Dio, non esaltandosi con superba volontà, bensì meritandosi la fortezza con la confessione della propria debolezza. Sapeva infatti dire a Dio: Tu sei la mia pazienza 97. Di questa grazia, di questo aiuto, di questa misericordia, senza di cui non possiamo vivere bene, non so perché costui non dica assolutamente nulla. Anzi, difendendo la natura come bastante con la sola volontà a se stessa per essere giusta, contraddice apertissimamente alla grazia del Cristo che ci giustifica. Perché poi, dopo che è stato prosciolto il reato del peccato mediante la grazia, rimanga ad esercizio di fede la morte del corpo, sebbene la morte sia venuta dal peccato, l'ho spiegato già anche questo, come ho potuto, nei libri indirizzati a Marcellino di santa memoria 98!

La libera morte di Gesù.

24. 26. Riguardo alla sua affermazione che "il Signore poté morire senza il peccato" rispondo che per il Signore anche il nascere fu una scelta di misericordia, non una necessità di natura. Così pure morì volontariamente. E questo è il nostro prezzo con il quale poté redimerci dalla morte. Ecco quanto tenta di vanificare la polemica di costoro, quando difendono così la natura umana che il libero arbitrio possa fare a meno di tale prezzo perché gli uomini dal potere delle tenebre e del principe della morte siano trasferiti nel regno del Cristo Signore. Eppure il Signore, quando si avviò alla passione, disse: Ecco, viene il principe di questo mondo e non troverà nulla in me 99, nulla s'intende del peccato per cui il principe della morte lo potesse uccidere agendo secondo il proprio diritto. Ma affinché tutti sappiano che io faccio la volontà del Padre mio, alzatevi e andiamocene di qui 100: sappiano cioè che io non muoio per necessità di peccato, ma per volontarietà d'obbedienza.

Ci sono dei mali che fanno del bene.

24. 27. Costui scrive: "Nessun male è causa di un bene". Come se la pena fosse un bene. E tuttavia essa è stata per molti causa d'emendamento. Esistono dunque dei mali che fanno bene per la mirabile misericordia di Dio. Che forse provò qualcosa di buono colui che dice: Mi hai nascosto il tuo volto e sono stato turbato 101? Certamente no. Eppure questo turbamento fu in qualche modo per lui un medicamento contro la superbia. Aveva infatti detto nella sua prosperità: Non vacillerò in eterno 102, e attribuiva a se stesso quello che gli veniva dal Signore. Che cosa possedeva che non avesse ricevuto 103? Gli si doveva dunque far capire da chi gli veniva, perché ricevesse da umile quello che aveva perduto da superbo. Perciò dice: Nella tua bontà, o Signore, hai accordato stabilità alla mia gloria. Ecco la mia prosperità 104 in cui dicevo: Non vacillerò 105. Ma essa mi veniva da te e non da me. Poi mi hai nascosto il tuo volto e sono stato turbato 106.

Il peccato non era necessario.

25. 28. Un animo superbo non lo può assolutamente comprendere, ma grande è il Signore per darcene la convinzione nel modo che sa. Noi siamo più inclini a cercare le risposte per le obiezioni mosse contro il nostro errore che a cercare d'intendere quanto le obiezioni siano salutari perché ci liberiamo dall'errore. Bisogna quindi ricorrere non tanto alle discussioni con costoro quanto alle orazioni per costoro, come per noi. Noi non diciamo ad essi quello che costui obietta a se stesso: "Perché ci fosse posto per la misericordia di Dio era necessario il peccato". Magari non ci fosse stata la miseria a rendere necessaria la misericordia! Ma all'iniquità del peccato, tanto più grave quanto più facile sarebbe stato per l'uomo non peccare quando era ancora esente da qualsiasi debolezza, tenne dietro una pena giustissima: ricevé in se stesso la pena del contrappasso del suo peccato perdendo l'obbedienza del suo corpo, a lui in qualche modo sottomesso, per aver trascurato l'obbedienza principale che sottometteva lui stesso al suo Signore. E per il fatto che adesso nasciamo con la medesima legge del peccato, la quale nelle nostre membra si scontra con la legge della nostra mente 107, non dobbiamo né mormorare contro Dio, né discutere contro una realtà manifestissima, ma cercare la misericordia di Dio ed invocarla a soccorso della nostra pena.

 

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