Capitolo Quarto CHI CREDERÀ AL MESSAGGIO CHE ABBIAMO ASCOLTATO?

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MARIOCAPALBO
00martedì 27 marzo 2012 13:14
Indice

Capitolo Quarto

 

 

CHI CREDERÀ

AL MESSAGGIO CHE ABBIAMO ASCOLTATO?

 

 

            Se questa idea pare difficile da credere - il Padre che ha con noi la stessa relazione che aveva con Gesù - allora devo confessare una cosa. Quella relazione implica qualcos'altro, ugualmente difficile da credere, e che riguarda la nostra vita di ogni giorno.

 

         Non posso certo spiegare tutto in un solo capitolo: un buon trattato richiederebbe interi volumi. Posso tuttavia elencare alcuni dei "come e perché" di questa relazione tanto difficile da credere. Ad esempio:

 

1. Cosa farà la vita del Padre dentro di noi?

2. Qual è, per noi personalmente, la profondità dell'amore del Padre?

3. Cosa significa essere santi?

4. Come facciamo a "conoscere" veramente il Padre come "Padre"?

5. Cosa comporterà questa relazione riguardo alla consapevolezza di noi stessi?

 

         Se non capiamo queste cose, non capiremo mai cosa significa essere cristiani: poiché nell'affermare che lo siamo, in realtà stiamo ammettendo di aver già cominciato a sperimentare un qualche tipo di relazione personale col Padre; le due cose vanno di pari passo. Se comprenderemo questa relazione in maniera superficiale, anche il nostro cristianesimo sarà debole: per questo noi, come cristiani, dovremmo essere profondamente consapevoli che il Padre è un Dio personale, che ama. La vita cristiana priva di questa relazione personale non ha alcun senso. Il Cardinale Suenens ha detto:

 

"... Dio ha un significato, solo se è il Dio vivente e personale."[1]

     

         Rispondiamo allora a queste domande, per scoprire ciò che questa relazione implica per voi e per me.

 

 

Il rifacimento dell'uomo

 

         Per molte persone Gesù è solo un guardiano spirituale che getta un salvagente al peccatore che sta annegando, e che poi lo spinge verso il cielo. Gesù tuttavia ha considerato in modo completamente diverso la propria missione: non gli interessava tanto far uscire gli uomini caduti dall'inferno per portarli in cielo, quanto far uscire Dio dal cielo per portarlo negli uomini. Il Vaticano II ha espresso con chiarezza questo principio quando ha detto:

        

"Piacque a Dio nella Sua bontà e sapienza rivelare Se Stesso e far conoscere il mistero della Sua volontà ... mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, nello Spirito Santo hanno accesso al Padre  e sono resi partecipi della divina natura..

Con questa rivelazione infatti il Dio invisibile... nel Suo immenso amore parla agli uomini come ad amici... e Si intrattiene con essi per invitarli e ammetterli alla comunione con Sé."[2]

 

         Ma l'amicizia col Padre non è la sola meta. Come ho detto in precedenza, il Padre in origine ci aveva creati a propria immagine. La nostra natura umana all'origine aveva una grande bellezza e dignità. Ma quando l'uomo si è ribellato, ha sfigurato quella dignità, l'ha sminuita. L'uomo caduto è molto meno di ciò che avrebbe dovuto essere, poiché era destinato ad agire come uno specchio della gloria di Dio Stesso. L'uomo caduto ha in sé il potenziale di essere un esempio eminente della capacità creatrice del Padre, ma il solo modo per raggiungere quel livello è permettere a Gesù Cristo di reintrodurre in lui la vita divina. Ecco come si esprimeva S. Leone Magno:

 

"Se pensiamo per un istante al piano di Dio per la creazione della razza umana e al modo in cui ci ha fatti a Sua immagine, cominciamo allora a capire che siamo destinati a essere come uno specchio che riflette la Sua eguaglianza, in tutta la sua bellezza e bontà."[3]

    

E prosegue dicendo:

 

"Ma dobbiamo riconoscere la dignità della nostra natura umana. Siamo fatti a immagine di Dio, immagine che in verità fu sfigurata in Adamo, ma che è stata restaurata in Cristo."[4]

     

In altre parole, Gesù è venuto a "salvarci" per mezzo di questo processo di ricostruzione. É venuto a darci una vita nuova - una vita divina. É venuto a sollevarci dal peccato per introdurci nell'abbondanza di Dio Stesso. Gesù ha detto:

 

"Sono venuto perché abbiano la vita, e l'abbiano in abbondanza." (Giovanni 10,10)

 

         Ma perché, ad esser precisi, il Padre ha voluto rifarci? Esaminiamo alcuni esempi pratici. Avete mai fatto qualcosa con le vostre mani, di cui eravate davvero orgogliosi - per vederla poi, per qualche motivo, orrendamente sfigurata? Immediatamente vorreste riportarla alla sua originale bellezza. Avete mai visto un bambino, giocare, correre, saltare, ridere? D'improvviso inciampa, cade e viene da voi gridando coi ginocchi sbucciati e gli occhi pieni di lacrime. Immediatamente vorreste riportarlo alla sua felicità di prima. Allora non dovrebbe restare difficile capire come Si è sentito il Padre quando ha guardato l'uomo, la Sua creazione più perfetta, e lo ha visto decaduto dalla sua dignità e bellezza. Egli ha subito desiderato restaurarlo, riportarlo alla sua perfezione originale, e solo Lui sa quanto fosse bella. Per portare a compimento una simile restaurazione il Padre doveva far uscire l'uomo dal Regno delle Tenebre, nel quale era caduto, e metterlo nel Regno della Luce.

 

         E allora quando Gesù ha detto: "entrate nel Regno", non ci stava invitando, voi e me, ad andare in cielo in un qualche tempo futuro: ci stava invece chiedendo di entrare nel Regno di Dio presente sulla terra, qui e ora. Gesù ha detto che il Regno di Dio non era quel posto che si chiamava cielo, bensì l'esperienza della vita del Padre nella parte più intima di noi stessi. Ecco le Sue parole:

 

"... Il Regno di Dio è dentro di voi." (Luca 17,21)

 

L'invito ad entrare nel "Regno" è l'invito a sperimentare ora la vita e l'amore di Dio dentro di noi,. Come ha detto il Cardinale Suenens:

 

"Egli invita ognuno di noi a sperimentare, anche da quaggiù, il calore del Suo amore; ci ha creati proprio per questo."[5]

     

         S. Pietro ha scritto ai cristiani dei suoi tempi, dicendo loro che erano: "... partecipi della natura divina" (2 Pietro 1,4). Sì, quando ricevete in voi la vita del Padre, in realtà cominciate ad assumere la stessa natura divina. Voglio tornare ad accentuare un punto importante. Il Padre non ha l'intenzione di cambiare gli uomini in uomini migliori, con una migliore morale: il Suo piano è quello di cambiare completamente la nostra natura. C.S. Lewis una volta scrisse:

 

"Non si tratta di cambiare gli uomini da intelligenti a più intelligenti: è un cambiamento che va in una direzione del tutto diversa - dall'essere creature di Dio all'essere figli di Dio."[6]

                       

         Ora penso che possiate capire perché l' "esperienza religiosa" deve far parte di questa relazione personale. Se una persona deve davvero permettere a questa vita divina di entrare in lei e cominciare a ricostruirla, tutto ciò deve essere avvertito, sentito. Dio sarà sperimentato in maniera assai reale. Il Cardinale Suenens ha richiamato l'insegnamento di uno dei più grandi intellettuali di tutti i tempi:

 

"S. Tommaso d'Aquino, teologo che nessuno sospetterebbe di anti-intellettualismo, insegna che l'oggetto della fede non si trova in proposte dottrinali che riguardano Dio, ma in Dio stesso, conosciuto ed amato in una relazione personale."[7]

    

         Vedete che questo "rifacimento dell'uomo" non è soltanto un concetto teologico. Si tratta invece di una vera restaurazione della dignità originale dell'uomo, mediante la quale egli entra, qui ed ora, nel Regno di Dio. É un'infusione di vita divina che, quando arriva, comincia a cambiare la natura umana peccaminosa in natura divina; e, più importante ancora, è un evento dinamico che verrà sperimentato via via che si conosce il Padre in una relazione personale.

 

 

L'amore di un Padre

 

         Un'altra ragione importante per ricevere questa vita divina è quella di poter poi sperimentare l'amore "vero": l'amore del Padre. Nell'ultimo capitolo abbiamo parlato dell'amore del Padre in modo piuttosto generico, ma ora dobbiamo vederlo come un qualcosa che è diretto personalmente a noi. Se arriviamo soltanto a capire che il Padre mette in noi la Sua vita unicamente per restaurare la nostra dignità, veniamo a mancare un punto essenziale. "Dio è amore", secondo S. Giovanni (1 Giovanni 4,8). La Sua stessa natura è amore, e S. Giovanni ha fatto precedere la citazione da queste parole:

 

"Chi non ama non ha conosciuto Dio..." (1 Giovanni 4,8)

 

In altre parole, S. Giovanni sta dicendo semplicemente che ciò che fa esistere Dio è solo il fatto di "amare"; non possiamo quindi comprendere il modo in cui il Padre agisce finché non capiamo il Suo amore e non cominciamo a contraccambiarlo. Gesù stesso ha detto:

 

"Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Suo figlio unigenito." (Giovanni 3,16)

 

Quando vediamo il Padre dare Gesù al mondo, allora cominciamo a capire il Suo amore. Amare significa dare se stessi, e il Padre ci ha dato Se Stesso quando ci ha dato l'unico Figlio prediletto. A Sua volta Gesù è stato il perfetto riflesso dell'amore del Padre, poiché ha dato tutto quello che aveva - la stessa Sua vita. Ha rinunziato alle ricchezze del cielo per diventare povero per noi, come dice S. Paolo:

 

"Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, Si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della Sua povertà." (2 Corinzi 8,9)

 

Se fossimo già persone buone e sante saremmo in grado di capire il Padre che sacrifica il proprio Figlio prediletto. Ma S. Paolo dice:

 

"ma Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi." (Romani 5,8)

 

Sì, il Padre ama il Suo popolo di un amore misericordioso, un amore che va oltre il nostro stato di peccato per vedere il potenziale di figli e figlie. Il documento dei vescovi U.S.A. sull' "Insegnamento di Base" proclama:

 

"Si deve avere verso Dio l'atteggiamento che un figlio ha verso un Padre buonissimo ed amabilissimo, e mai pensare né vivere come se fossimo indipendenti da Dio."[8]

     

 

         Molte indagini recenti sui giovani cattolici dimostrano che molti nostri teen-ager hanno relazione con un Gesù che mostra amore e compassione, ma Dio Padre  resta ancora lontano, sconosciuto, non conoscibile, e per quanto riguarda l'amore Egli è avvertito come "freddo". E di solito, non vi è comprensione alcuna dello Spirito Santo. Penso che questi ragazzi rispecchino i pensieri e gli atteggiamenti della maggior parte dei cattolici moderni. Si può dire che abbiano sezionato la Trinità dando al Padre tutta l'autorità, a Gesù tutto l'amore e allo Spirito Santo solo delle penne bianche. Per pigrizia spirituale dimentichiamo, opportunamente, che Dio è "Uno".

 

         É una sfida per la mente pensare che le Tre Persone della Trinità abbiano unicità di scopo, unicità d'amore e unicità di misericordia. Molti non riescono a vedere che l'amore è la natura dinamica  della Trinità. Sì, l'Amore è proprio il sangue vitale del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Se vediamo Gesù come un Dio d'amore, di compassione e di misericordia, il Padre allora deve essere considerato esattamente allo stesso modo. Ricordate: Gesù è venuto per manifestare agli uomini, e per dare loro, l'amore del Padre Stesso. Egli ha pregato così:

 

"E Io ho fatto loro conoscere il Tuo nome e lo farò conoscere perché l'amore con il quale mi hai amato sia in essi e Io in loro." (Giovanni 17,26)[9]

                                         

         L'amore che Gesù conosceva tanto bene, l'amore del Padre che Lo aveva sostenuto in tante prove, quell'amore che Lo aveva motivato ad accettare la croce - sì, proprio quello stesso amore viene offerto a voi e a me.

        

         Gesù ha sempre cercato di far capire alla gente l'amore del Padre, solo che trovava ascoltatori bloccati in pensieri preconcetti, vecchi di secoli, con modi di pensare che semplicemente non riuscivano a vedere Dio, Creatore dell'universo, e Dio, Padre amorevole, allo stesso tempo. Gesù alla fine, nella Parabola del Figliol Prodigo, fornì una descrizione perfetta di questo Padre amorevole. Si tratta forse solo della bella storia di una riunione tra padre e figlio dopo le follie dell'adolescenza? Non è solo questo: dobbiamo mettere noi stessi al centro di questa storia, perché Gesù vuole che tu diventi il figliol prodigo.

 

         E proprio come lui, dobbiamo accostarci al Padre e dire: "Padre, voglio fare quello che piace a me. Fammi esercitare la mia eredità di una volontà libera. Fammi provare a fare le cose a modo mio. Dopo che le avrò fatte  tornerò a trovarti." E allora, con la tristezza negli occhi, il Padre vi lascia andare. Questo tipo d'amore viene chiamato amore permissivo. Il Padre sa fin troppo bene cosa c'è su quel cammino, ma non c'è modo di dirlo al figliol prodigo: siamo troppo testardi per ascoltare. E ce ne andiamo verso il divertimento, l'avventura, il potere, il piacere, la ricchezza e tutto quello che ci darà ciò che in realtà stiamo cercando: la felicità.

 

         Ci potrà volere poco tempo, come nel caso del figliol prodigo, o molti anni di ricerca, ma alla fine scopriremo che non esiste felicità genuina, duratura, negli idoli luccicanti offerti dal mondo. Non importa quale sia il sentiero intrapreso per trovare la felicità nel mondo, ma possiamo star certi che in qualche punto del cammino vi era coinvolto il peccato. Gesù sapeva che ciò sarebbe accaduto. Sapeva che, come il figliol prodigo, se fossimo stati onesti con noi stessi avremmo dovuto tornare al Padre. E a questo punto troppi fanno, di solito, lo stesso errore del figliol prodigo: egli dice tra sé che persino i membri di seconda categoria della casa di suo Padre, gli schiavi e i servi, stanno molto meglio di quanto attualmente stia lui: "Magari, se compongo un bel discorso di pentimento e dimostro al Padre di riconoscere quanto io abbia sbagliato. ...Forse mi permetterà di essere suo schiavo," pensa.

 

         Ma qui Gesù imprime una svolta sorprendente alla parabola. Fino a questo momento le cose sono andate come ci aspettavamo. Ora Gesù mette in rilievo l'inaspettata natura del Padre. Descrive come Egli abbia un interesse più che casuale al ritorno del figlio, nonostante tutto quello che gli aveva combinato. Il Padre aveva sempre vigilato in attesa del suo ritorno, e quando infine lo vede, mentre era ancora lontano, gli corre incontro per accoglierlo. Dopo averlo raggiunto, lo abbraccia e lo bacia, mentre il figlio resta quanto mai stupito da questo suo comportamento. Tuttavia, comincia a recitare il discorsetto che si era preparato tanto bene, un discorso di pentimento, di dispiacere, di colpa:

 

"Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te: non sono più degno di essere chiamato tuo figlio" (Luca 15,21)

 

Ma pare che il Padre non ascolti le sue parole. Suo figlio è tornato e non gli importa d'altro. Interrompe il discorso del figlio per gridare istruzioni ai servi:

 

"'Presto! portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l'anello al dito e i calzari ai piedi. Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato.' E cominciarono a far festa." (Luca 15, 22-24)

 

         Riusciamo ad ascoltare quello che in realtà Gesù ci sta dicendo in questa parabola? Il padre sapeva quello che aveva fatto il figlio: aveva sprecato il suo denaro, era caduto nel peccato ed aveva messo in disgrazia il nome di lui. Eppure questo padre era capace di sorvolare su tutto ciò. Amava il figlio di un tale amore pieno di misericordia e di perdono che non richiedeva grandi discorsi di pentimento, ma solo un cuore sincero. L'anello al dito e le scarpe ai piedi del prodigo significano che egli era reintegrato come figlio, e niente di meno.

 

         In questa parabola Gesù ci sta chiedendo di afferrare un'altra verità difficile da credere: che Dio, il nostro Padre celeste, reagisce nello stesso identico modo quando veniamo a Lui con la nostra vita piena di talenti sprecati, immersa nel peccato e che dà gloria solo a noi stessi. Gesù ci sta dicendo di non limitare la misericordia e l'amore del Padre per noi col nostro sparuto concetto personale di cosa sia l'amore misericordioso. Nostro Padre è assai più di questo. In Osea Egli proclama:

 

"Perché sono Dio e non uomo ..." (Osea 11,9)

                     

         Non dobbiamo mai limitare l'amore e il perdono del Padre, riducendoli alla misura che siamo arrivati a capire o a sperimentare noi come creature umane. Perché Dio è amore; e non   importa che riusciamo ad immaginare il Padre innamorato di noi. Il nostro concetto di amore è stato distorto dal peccato nostro e degli altri, ma il Suo concetto dell'amore non è distorto. Tramite Gesù Cristo ha dichiarato con chiarezza di essere un Padre che ama. Davanti a questa verità inalterabile i sentimenti su noi stessi devono finire in secondo piano. Il Cardinale Suenens scrive:

 

"Nelle pagine sia del Vecchio sia del Nuovo Testamento, Dio mi parla oggi. Dovrei quindi ricevere le Sue parole come accoglierei la lettera di un amico che condividesse con me tutte le mie preoccupazioni, i miei timori, le mie speranze, che camminasse al mio fianco mostrandomi la via."[10]

     

         Come cristiani, non possiamo mai pensare, nella verità, di non essere amati. Dire che il Padre non ci ama personalmente è una menzogna, niente di meno. Nella sua lettera ai Romani S. Paolo dichiara trionfalmente:

 

"Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze né altezza né profondità, né alcun'altra creatura potrà mai separarci dall'amore di Dio, in Cristo Gesù. nostro Signore." (Romani 8, 38-39).

                       

         Sì, il Padre ama ciascuno di noi in modo intimo e personale. Ama con  amore che perdona tutti i peccati, per quanto gravi. Come ha detto S. Leone:

 

"Tutto quello che Egli fa per noi dimostra il Suo amore paterno." [11]

      

Se credi in qualcosa che sia meno di questo amore totale, ardente, destinato personalmente a te, in essenza hai respinto il messaggio di Gesù e la "Nuova Alleanza", acquistata col Suo sangue. Se cerchi questa relazione personale, devi ricercare con sincerità di conoscere l'amore del Padre. Devi cercare di sperimentarne la pienezza.

 

         Ricorda le parole del Padre:

 

"Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio del suo seno? Anche se ci fosse una donna che si dimenticasse, Io invece non ti dimenticherò mai." (Isaia 49,15)

                    

 

Un dono chiamato santità

 

         Potremmo pensare che l'amore del Padre è tutto ciò di cui abbiamo bisogno; ma Egli vuole darci ancora di più. Vuole introdurci nella "Famiglia" come membri a pieno titolo. Per farlo, Egli ci chiederà di assumere alcune caratteristiche della Sua Famiglia, e in particolare quella che si chiama "santità".

 

         Ora voglio spiegare alcune cose intorno a questa idea di santità. Per il cattolico medio l'idea d'esser santo è qualcosa di irreale. Non rientra nel nostro modo di pensare, soprattutto per via di ciò che chiameremo "teologia sdolcinata". Ecco, ognuno ha una qualche vaga idea di cosa sia la santità, o di cosa dovrebbe essere, ma raramente essa è "oggetto dei nostri pensieri". Per questo motivo circolano troppi concetti errati, pure e semplici non-verità, a proposito della santità. Assomigliamo moltissimo a Pietro, che quando si rese conto che Gesù era santo, cadde in ginocchio ed esclamò:

 

"Signore, allontanati da me che sono un peccatore." (Luca 5,8)

                     

Troppo spesso ci accade di non ascoltare la risposta di Gesù:

 

"Non temere..." (Luca 5,10).

                      

         É vero, la maggior parte di noi ha paura quando viene messa di fronte alla santità di Dio. Sappiamo, o pensiamo di sapere, che tale santità è impossibile per noi: "Lasciate queste cose ai preti e alle suore. La vita è abbastanza dura così com'è," rispondiamo. Bene, questa risposta indica quanto poco abbiamo capito le cose di Dio. Insomma, una relazione personale col Padre è strettamente legata a quest'idea della santità.

 

         Il Vaticano II si è reso conto di queste numerose ed errate interpretazioni e si è apprestato a rischiarare  l'aria. Ha parlato spesso della nostra chiamata alla santità.

 

"Il Signore Gesù, Maestro e modello divino di ogni perfezione, a tutti e ai singoli suoi discepoli di qualsiasi condizione ha predicato la santità della vita... "Siate dunque perfetti come è perfetto il vostro Padre celeste (Matteo 5,48)."[12]

       

            I testi del Nuovo Testamento citati in questo articolo rendono evidente che non solo coloro che vivono secondo i consigli evangelici, ma tutti i cristiani sono chiamati alla "pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità." Sarebbe un errore pensare alla santità come ad una riserva speciale di una qualche classe di cristiani, ad esempio i religiosi.[13]

               

         Quindi i Padri Conciliari hanno chiarito che: qualunque sia la situazione della vita di una persona, se questa afferma di essere cristiana, è chiamata alla santità. Non c'è modo di "scaricare questa responsabilità" su quelli che si dedicano alla vita religiosa. Preti, suore e altri nella vita religiosa hanno solo strade diverse per arrivarci. I Padri Conciliari hanno affermato con chiarezza che noi tutti siamo uguali nella dignità cristiana, e quindi uguali nella chiamata alla santità.

 

"Uno solo è quindi il popolo eletto di Dio: 'un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo ' ... comune è la dignità dei membri per la loro rigenerazione in Cristo... Se quindi nella Chiesa non tutti camminiamo per la stessa via, tutti però sono chiamati alla santità ed hanno ricevuto una fede per la giustizia di Dio... Quantunque alcuni per volontà di Cristo, siano costituiti dottori, dispensatori dei misteri e pastori per gli altri, tuttavia vige tra tutti una vera uguaglianza riguardo alla dignità... per l'edificazione del corpo di Cristo."[14]
MARIOCAPALBO
00martedì 27 marzo 2012 13:15
  Ed ecco cosa ha detto il Vaticano II: Vi sono molte strade diverse verso la santità: laicato, sacerdozio, suore, contemplativi, ecc. - ma tutti raggiungono la stessa identica santità. Possiamo immaginarlo come una moltitudine di persone dirette verso una stessa grande città. Alcuni andranno in aeroplano, alcuni in treno, altri con l'auto - ma qualunque mezzo impieghino per arrivare, la destinazione è la medesima.

 

"Nei vari generi di vita o nelle varie professioni un'unica santità è praticata da tutti coloro che sono mossi dallo Spirito di Dio."[15]

    

         Nella Chiesa Cattolica, quindi, non importa se siete laico o religioso, se appartenete alla gerarchia o se siete da questa serviti, siete tutti chiamati alla stessa santità, è tutto qui.

 

"... Cristo... ha amato la Chiesa... e l'ha unita a Sé come Suo corpo, e l'ha riempita col dono dello Spirito Santo... Perciò tutti nella Chiesa, sia che appartengano alla gerarchia sia che da essa siano diretti, sono chiamati alla santità, secondo il detto dell'apostolo: 'La volontà di Dio è questa, che vi santifichiate"' (1 Tessalonicesi, 4,3).[16]

      

         A questo punto sono sicuro che dovremo ammettere che il Padre e la Sua Chiesa chiamano ognuno alla santità. Allo stesso tempo tuttavia restiamo perplessi riguardo al come e al perché anche noi dobbiamo esservi chiamati. La maggior parte di questi problemi deriva dal fatto che in realtà non comprendiamo  esattamente cosa sia la santità. Abbiamo rivestito le nostre idee con ogni tipo di immagini pie e di nozioni virtuose, la maggior parte delle quali non sono che idee distorte rispetto al vero significato. Dobbiamo quindi gettar via tutti i vecchi concetti sbagliati di santità e cercare la verità sull'argomento.

 

         Se ci mettessimo a studiare tutta la Bibbia con l'attenzione necessaria, noteremmo che nel Vecchio e nel Nuovo Testamento la santità viene trattata in modo diverso. Il Vecchio Testamento considera la santità come parte della natura di Dio: l'uomo comune non può avvicinarsi ad essa. Dio è santo, l'uomo è qualche altra cosa. Molta gente oggi, quando legge qualcosa sulla propria "chiamata alla santità", ha in mente la santità del Vecchio Testamento e non fa che disperarsi sin dall'inizio. Sanno di non poter mai raggiungere quella santità, e ovviamente hanno proprio ragione. Ma la santità del Nuovo Testamento è qualcosa di diverso, e come cristiani dovremmo capire in cosa consiste la differenza.

 

         In primo luogo, "santità" non significa "perfezione". Il Vaticano II ha detto:

 

"Difatti la Chiesa già sulla terra è adornata di una santità, vera, anche se imperfetta."[17]

     

Se per essere dichiarati santi dobbiamo aspettare di essere perfetti, abbiamo da aspettare un bel po'. Ma per essere santi non è necessario essere perfetti. Se la pensiamo diversamente, pensiamo come i Farisei.

 

"Allora gli scribi della setta dei farisei, vedendoLo mangiare con gli esattori e i pubblicani, dicevano ai Suoi discepoli: 'Come mai Egli mangia e beve in compagnia dei pubblicani e dei peccatori?' Avendo udito questo, Gesù disse loro: 'Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; non sono venuto per chiamare i giusti, ma i peccatori." (Marco 2, 16-17).

           

         Gesù era santo, ma i farisei non potevano vedere la Sua santità perché Egli Si accompagnava ai peccatori. É vero, Dio nostro Padre ha scelto per primi i peccatori affinché ricevessero questa nuova vita. Non erano persone che parevano sante - come i farisei, - ma gente comune, che peccava ogni giorno, proprio come voi e me. Ma la vita nuova del Padre - quella che ci rende santi - ha un valore tale che non possiamo nemmeno guadagnacela. Niente di tutto ciò che possiamo fare potrebbe mai bastare a meritarcela. Il Padre quindi ha affermato questo principio dando prima la vita nuova a persone che evidentemente non erano sante prima di riceverla. Il piccolo esercito di seguaci di Gesù era composto da esattori - traditori dei loro compaesani - ex-prostitute, oltre ad ogni sorta di gente comune che nessuno mai considererebbe santa. Con discepoli simili, Gesù dimostrò quale grande amore il Padre avesse per la gente comune, la persona comune. Il Padre non chiedeva che prima fossero santi. Come dice S. Paolo:

 

"Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio Lo trattò da peccato in nostro favore perché noi potessimo diventare per mezzo di Lui giustizia (santità) di Dio." (2 Corinzi 5,21)

                       

         Penso che ora possiate vedere perché il concetto della santità sia oggi uno dei peggio interpretati nel cristianesimo. Ho già detto che non è l'essere perfetti, né un qualcosa che si può guadagnare o meritare, e non è necessario essere santi per averla. Ma allora, cos'è esattamente?

 

         Il termine "Santità" nel Nuovo Testamento si avvicenda con un'altra parola: "santificazione". Possiamo così raggiungere una definizione chiara della santità secondo il Nuovo Testamento esaminando da vicino il significato di "santificazione". Ora, alcuni teologi hanno anche applicato a questa parola descrizioni altisonanti, ma il suo significato di base è semplicissimo: "santificare" qualcosa significa metterla da parte per il fine razionale per il quale era stata intelligentemente designata. In questo contesto possiamo santificare ogni cosa: ad esempio santificare le nostre scarpe calzandole e camminandoci. Ovviamente, potremmo anche infilarle nelle mani al posto dei guanti. Potremmo farlo, ma in quel modo non le santificheremmo perché non sarebbe quello il fine razionale per il quale sono state fatte. Ed inoltre si penserebbe, senza dubbio, che siamo alquanto originali. Le scarpe hanno lo scopo di essere messe ai piedi per camminarci - e facendo questo si può dire che le santifichiamo.

 

         Trasportiamo ora questo principio della santificazione in un contesto religioso. Essere santificati significa essere messi in disparte dal Padre per il fine razionale per il quale Egli ci ha fatto. E quello scopo è l'amicizia con Lui attraverso la figliolanza. La vita del Padre che entra in noi ci mette in disparte: ci separa dal regno delle tenebre di Satana, dai falsi valori del mondo, dalla morte stessa. Essere santificati, o fatti santi, significa essere uniti al "Popolo di Dio," popolo che Lui Si è scelto per proclamare il Suo Regno qui, sulla terra. S. Pietro ha scritto:

 

"... ma voi siete la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio Si è acquistato perché proclami le opere meravigliose di Lui che vi ha chiamato dalle tenebre alla Sua ammirabile luce; voi che un tempo eravate non-popolo, ora invece siete il popolo di Dio"                   (1 Pietro 2, 9-10).

 

         É importante comprendere che diventiamo santi solo quando la vita del Padre entra in noi, non prima. Eppure quella santità è entrata in un recipiente di peccato. Ma nel momento in cui entra la vita divina, il Padre ci fa iniziare il viaggio verso una santificazione sempre più grande. Tutta la vita cristiana dovrebbe essere una crescita continua, passo dopo passo, nell'essere "messi in disparte" per il Padre. S. Paolo ha detto ai Tessalonicesi:

 

"Perché questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione: che vi asteniate dall'impudicizia." (1 Tessalonicesi 4,3)[18]

 

         Si potrebbe pensare alla santità in questi termini: paragonare la vita del Padre che entra in noi al fatto che Egli pianti un cespuglio di rose pieno di boccioli chiusi. Egli può vedere la bellezza potenziale di quei boccioli mentre noi probabilmente non ci riusciamo; il Padre sa anche che con una cura paziente e premurosa la pianta diventerà più forte, più sana, fino al giorno in cui i bocci si apriranno al sole in una esplosione di bellezza radiosa. Da qui l'espressione: "Fiorite dove siete piantati."

 

         Ora vi sono alcuni che si comportano come se dovessero essi stessi pensare a piantare, e pensano che il cespuglio debba essere in piena fioritura prima del momento stabilito dal Padre. Ma il Padre nostro dice: "No, sono Io che pianto, annaffio e poto. Tutto quello che devi fare tu è aprirti alla luce del Mio sole." Il modo con cui aprirci alla luce del sole del Padre sarà l'argomento di un capitolo successivo.

 

         Se quest'idea della "santità imperfetta" vi disturba ancora, pensate ad essa come alla cottura di una pagnotta. La mettete in forno, sapendo che ci vogliono trenta minuti per una perfetta cottura. Così non rimanete sconvolti se dopo 15 minuti la guardate e vedete che è solo cotta a metà: non è ancora il momento che sia pronta! Allo stesso modo il Padre inizia la cottura quando entra la Sua vita nuova in voi. Quando poi vi guarda e vede che ancora non siete cotti al punto giusto, (non siete ancora completamente santi), non ne resta sconvolto: sa che avete bisogno di più tempo. In questo senso potreste dire che siamo tutti dei "cristiani a metà cottura."

 

         Spero che ora sia chiaro come il ricevere la vita di Dio non sia uno scopo fine a se stesso. Il Padre ce l'ha data in primo luogo perché diventi sempre più forte in noi, fino a che:

 

"...potremo arrivare alla perfetta unione con Cristo, cioè alla santità."[19]

     

         Ora è logico pensare alla santità perfetta come a qualcosa di molto lontano, e per molti di noi lo è davvero. Ma se nel viaggio cristiano vi fermate dove siete, se decidete che per il momento siete cresciuti abbastanza, comincerete a morire. E se esitate troppo a lungo, le vostre gemme di santità moriranno del tutto, ed allora diventerete solo un cespuglio secco di spine. Fermarsi nel cammino cristiano significa in realtà dire di no: "No, non voglio seguirti." Accettare il nostro livello di spiritualità presente e accontentarsene non è più seguire Gesù Cristo e la Sua Chiesa, perché i Padri di quella Chiesa ci hanno identificati come un popolo pellegrino, un popolo in movimento, che cammina verso una santità maggiore.

 

"Tutti i fedeli quindi sono invitati e tenuti a tendere alla santità e alla perfezione del proprio stato."[20]

     

Per il vero cristiano la santità non è una scelta. La Chiesa cattolica dichiara che dobbiamo seguirla. Quanto ai laici, ecco un invito specifico proprio per loro:

 

"Occorre che i laici progrediscano ... nella santità..."[21]

    

         Possiamo ancora vedere che nel momento in cui veniamo battezzati, entra in noi la vita speciale del Padre e ci "elegge", ci "presceglie" come uno del Suo popolo. Allo stesso tempo ci chiede di far crescere in noi la santità appena ricevuta. Il Cardinale Suenens scrive:

 

"Lo Spirito di Dio è nella persona battezzata. La promessa di Dio è realizzata: l'anima del cristiano è una dimora della Santissima Trinità. Di conseguenza, la santità non è una lunga arrampicata verso una qualche vetta lontanissima e inaccessibile. La santità cristiana viene donata sin dagli inizi. Per esser chiari, non dobbiamo diventare santi, ma rimanere tali: dobbiamo diventare ciò che già siamo."[22]

      

Non dimentichiamo queste parole: "Dobbiamo diventare ciò che già siamo."

 

 

Conoscere ed essere conosciuti

 

         Come abbiamo già detto, per mezzo di questa relazione personale cominceremo a "conoscere" il Padre come tale. Esaminiamo più a fondo questa verità. Se qualcuno ci chiedesse quante persone conosciamo, probabilmente ne elencheremmo alcune dozzine. Ma se poi ci dicessero: "Ma quante ne conosci veramente?" Forse rifletteremmo un poco, per poi rispondere: "Se intendi nel senso di conoscere i loro sentimenti e i loro pensieri intimi, forse solo poche.

 

         E questo, ovviamente, vale quasi per ognuno di noi. Conosciamo molte persone nel senso che, attraverso un processo intellettuale, abbiamo saputo dei fatti che le riguardano: possiamo conoscerne l'età, il lavoro che svolgono, le abitudini, i gusti e le antipatie. Possiamo sapere molte cose sul loro conto, e tuttavia non conoscerle veramente. Quelle poche persone che "conosciamo", nel senso di conoscere la loro personalità interiore, si limitano agli amici intimi, ai parenti e al coniuge. Di loro non conosciamo solo i fatti, ma sperimentiamo delle vere e proprie relazioni personali. Sappiamo ciò che pensano su varie cose e come reagirebbero in una determinata situazione.

 

         Vi sono quindi due modi diversi di esprimersi quanto al "conoscere" qualcuno, e potemmo ridurli a questo:

 

CONOSCERE

(intellettuale)

 

CONOSCERE

(attraverso l'esperienza)

 

 Fatti raccolti dalla mente

(cioè conoscenza con la testa).

Fatti raccolti dalla mente

più

vera esperienza di relazioni personali: (cioè conoscenza intellettuale più conoscenza emotiva).

 

                                   

    

         La Scrittura parla moltissimo di "conoscere Dio". Ma tanta gente crede che intenda una conoscenza intellettuale: lo stesso tipo di conoscenza che ottenete studiando Giorgio Washington o Abramo Lincoln. Ma quel concetto, come ho rilevato in precedenza, è del tutto falso. Le Scritture sono state scritte in una società ebraica, dove non esisteva il concetto di conoscere "intellettualmente" una persona. In realtà non avevano neppure la parola corrispondente a questo tipo di conoscenza. Quando la Scrittura parla di conoscere Dio, non può esserci errore di significato: "conoscere Dio" nel senso della Scrittura significa sperimentarLo mediante una relazione personale, intima, e niente di meno. Quindi, quando S. Giovanni dice:

 

"Noi abbiamo riconosciuto e creduto all'amore che Dio ha per noi" (1 Giovanni 4,16).

               

o quando S. Paolo dice:

 

"tutto ormai io reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore" (Filippesi 3,8).

               

stanno parlando di un’esperienza reale, concreta, dell'amore che il Padre ha per loro personalmente. Questa relazione non è a senso unico: l'amore e la conoscenza affluiscono in entrambe le direzioni. L'Apostolo Giacomo ha scritto:

 

"Avvicinatevi a Dio ed Egli Si avvicinerà a voi." (Giacomo 4,8).

               

e S. Paolo aggiunge:

 

"Ora invece che avete conosciuto Dio, anzi, da Lui siete stati conosciuti, come potete di nuovo rivolgervi a quei deboli e miserabili elementi ai quali di nuovo come un tempo volete servire?" (Galati 4, 9).

            

         Quindi "relazione di conoscenza" significa che abbineremo la conoscenza intellettuale a quella emotiva e sperimenteremo un'unica, vera sensazione che include la consapevolezza di come si sente il Padre riguardo a quanto avviene nella nostra vita. Per essere breve, cominceremo a "rivestirci" della mente di Dio.

 

         Ovviamente, per noi è impossibile, se ci serviamo unicamente della forza e dell'intelletto umano, realizzare da soli una simile relazione di conoscenza. Avremo bisogno d’aiuto. Gesù aveva questa relazione di conoscenza e l'ha promessa anche a tutti i cristiani. Per mezzo del sacrificio di Cristo abbiamo ricevuto un’iniezione di vita divina, ed è proprio questa a rendere possibile quel tipo di relazione conoscitiva. Dice S. Paolo:

 

"... perché il Dio del nostro Signore Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una più profonda conoscenza di Lui" (Efesini 1,17).

               

 

         Ricordate che lo spirito di saggezza donatoci dal Padre ci aiuta a "conoscerLo" nel senso biblico. Non vi rende una persona più perspicace secondo il mondo. La conoscenza che ci viene data dal mondo attraverso l'istruzione può avere il suo valore; ma può anche non averlo. S. Paolo ci ha avvertiti che la sola conoscenza intellettuale poteva creare problemi:

 

"... Evita le chiacchiere profane e le obiezioni della cosiddetta scienza, professando la quale taluni hanno deviato dalla fede" (1 Timoteo 6, 20-21).

                 

 

Insomma, la saggezza che vogliamo trovare nella nostra ricerca di Dio è una saggezza spirituale. Non contiene solo la saggezza di una qualsiasi conoscenza intellettuale, ma ha uno scopo speciale: conoscere la volontà del Padre. S. Paolo lo spiegò ai Colossesi:

 

"Perciò anche noi, da quando abbiamo saputo questo, non cessiamo di pregare per voi, e di chiedere che abbiate una conoscenza piena della sua volontà con ogni sapienza e intelligenza spirituale, perché possiate comportarvi in maniera degna del Signore, per piacergli in tutto, portando frutto in ogni opera buona e crescendo nella conoscenza di Dio" (Colossesi 1, 9-10)

                 

         Sappiamo che Gesù è stato più che solo un grande leader religioso: Egli era totalmente coinvolto nella Sua relazione unica col Padre, relazione mai conosciuta prima. Era l'esempio vivente inviatoci dal Padre di ciò che gli uomini avrebbero dovuto essere. Se vogliamo quindi capire quanto diventerà profonda la nostra relazione personale di "conoscenza" col Padre, dobbiamo solo guardare a Gesù e a quella Sua relazione. Ricordiamoci che Egli ha detto che dobbiamo arrivare ad avere esattamente la stessa relazione che Egli ha col Padre.

 

         Una delle immagini preferite da Gesù per illustrare questa relazione di conoscenza era quella del pastore e delle pecore. Ora non si può certo dire che le pecore siano gli animali domestici più perspicaci. Eppure esse "conoscono" il loro pastore. Se potessimo osservare due pastori stare insieme per un po', per una chiacchierata, potremmo vedere le loro due greggi mescolarsi, e all'apparenza sembrerebbe esserci un unico grande gregge. Ma quando i pastori torneranno a separarsi, le pecore appartenenti a ciascuno seguiranno solo il padrone. Esse "conoscono" qual è, non per un ragionamento intellettuale ma per esperienza. Gesù ha così stabilito con chiarezza il tipo di relazione e di conoscenza che i cristiani devono aspettarsi. Egli ha detto:

 

"Io sono il buon pastore, conosco le Mie pecore e le Mie pecore conoscono Me, come il Padre conosce Me e Io conosco il Padre" (Giovanni 10, 14-15).

                

 

La Bibbia di Gerusalemme è conosciuta per le sue note eccellenti, che forniscono al lettore un commento attuale delle Scritture da parte di famosi studiosi cattolici. Ecco la nota a piè di pagina al brano citato della Bibbia di Gerusalemme:

 

"Nel linguaggio biblico... "conoscenza" non è semplicemente la conclusione di un processo intellettuale, ma il frutto di una "esperienza", un "contatto personale"...Quando matura, è amore."

 

         Conoscere ed essere conosciuti: è questo il messaggio di Gesù. Conoscere il Padre tramite Gesù, esattamente come Gesù conosceva il Padre: è questo il messaggio della salvezza. É difficile credere che il Padre possa prendersi cura di noi con un amore simile, personale e intimo. Eppure abbiamo la parola di Gesù:

 

"Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure neanche uno di essi cadrà a terra senza che il Padre vostro lo voglia. Quanto a voi, perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati; non abbiate dunque timore..." (Matteo 10, 29-31).

                   

         Ed è a questo punto che tanta gente incontra dei problemi nell'afferrare la realtà del messaggio: "Non si può certo intendere alla lettera," esclamano. "Esistono semplicemente troppe persone perché il Padre possa conoscere ciascuno personalmente." Eppure la Sacra Scrittura dichiara che è proprio così. Quanti contano sulla ragione umana trovano che questo sia un fatto troppo difficile da considerare: non riescono a vedere che Dio non è limitato dai poveri confini della ragione umana. Uomini miopi con una ragione miope hanno sempre trovato difficile confrontarsi con le vie del Padre. C.S. Lewis ha parlato delle attenzioni personali del Padre dicendo:

 

"Egli non ha da trattare con noi in massa. Tu sei solo con Lui proprio come se fossi l'unico essere che Egli ha creato. Quando Cristo è morto, è morto per te individualmente, proprio come se tu fossi stato l'unico uomo del mondo."[23]

              

         Se questo è vero, e lo è, come può Dio trovare il tempo di ascoltare te quando ci sono tante persone che cercano di aprirsi un varco verso di Lui? É una domanda valida, ma, nel farla, presumi automaticamente che, riguardo al tempo, Dio abbia le stesse restrizioni che hai tu. Io sono giunto a credere, come C.S. Lewis, che in realtà Dio è al di fuori del tempo, poiché è Lui che ha creato il tempo. Ecco come si esprime C.S. Lewis a questo proposito:

 

"Se immaginate il tempo come una linea retta lungo la quale dobbiamo muoverci, allora dobbiamo immaginare Dio come l'intera pagina sulla quale la linea è stata tracciata. Noi arriviamo ai punti della linea, uno alla volta: dobbiamo lasciare indietro l' A prima di giungere al B, e non possiamo raggiungere il C senza aver prima lasciato indietro il B. Dio, dal di sopra, dal di fuori o tutt'intorno, contiene l'intera linea, e vede tutto."[24]

    

         In questo esempio il Padre non fa che prendere quella parte della linea che forma la tua vita e spostarla verso una certa zona della pagina (che contiene tutta l'eternità) e qui la studia nei dettagli. Vedi, nello spazio dell'eternità c'è tempo abbondante per le tue necessità personali. Per questo il grande Re David ha scritto:

 

"Signore, Tu mi scruti e mi conosci;

Tu sai quando seggo e quando mi alzo.

Penetri da lontano i miei pensieri,

Mi scruti quando cammino e quando mi riposo.

Ti sono note tutte le mie vie;

la mia parola non è ancora sulla lingua

e Tu, Signore, già la conosci tutta" (Salmo 139, 1-4).

                 

         Così ora abbiamo un concetto che ci aiuta a capire come il Padre, che è al di fuori del tempo, possa vedere tutta la nostra vita, dall'inizio alla fine, con una sola occhiata. Può prendere qualsiasi momento della nostra vita e, nella distesa del Suo tempo senza limiti, esaminarla nei minuti dettagli. Se ci resta difficile credere ad una simile attenzione personale, dobbiamo anche ricordare che, come cristiani, non abbiamo altra scelta che crederci. Gesù ci ha insegnato che questa è una realtà, e ci ha dato con chiarezza il messaggio, quello di un amore e di un’attenzione personali:

 

"Non affannatevi dunque dicendo: 'Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo? Di tutte queste cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno" (Matteo 6, 31-32).

                  

         Dovremmo ricordare sempre che Gesù pronunziava le parole del Padre, pensava coi Suoi pensieri e faceva la Sua volontà:

 

"...e chi vede Me, vede Colui che Mi ha mandato" (Giovanni 12,45).

                  

         Credo si possa osservare come oggi vi siano molte persone - cristiani e non, alla stessa maniera - che sanno delle cose su Dio, senza in realtà conoscere Lui. Non importa la fedeltà con cui svolgiamo i nostri doveri religiosi, né quanto siamo "buoni" o quanto si ritenga lo Spirito Santo operi tramite noi: Gesù ha messo in disparte tutte queste cose per pronunciare parole piuttosto dure:

 

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