Indice Capitolo Quarto
CHI CREDERÀ
AL MESSAGGIO CHE ABBIAMO ASCOLTATO?
Se questa idea pare difficile da credere - il Padre che ha con noi la stessa relazione che aveva con Gesù - allora devo confessare una cosa. Quella relazione implica qualcos'altro, ugualmente difficile da credere, e che riguarda la nostra vita di ogni giorno.
Non posso certo spiegare tutto in un solo capitolo: un buon trattato richiederebbe interi volumi. Posso tuttavia elencare alcuni dei "come e perché" di questa relazione tanto difficile da credere. Ad esempio:
1. Cosa farà la vita del Padre dentro di noi?
2. Qual è, per noi personalmente, la profondità dell'amore del Padre?
3. Cosa significa essere santi?
4. Come facciamo a "conoscere" veramente il Padre come "Padre"?
5. Cosa comporterà questa relazione riguardo alla consapevolezza di noi stessi?
Se non capiamo queste cose, non capiremo mai cosa significa essere cristiani: poiché nell'affermare che lo siamo, in realtà stiamo ammettendo di aver già cominciato a sperimentare un qualche tipo di relazione personale col Padre; le due cose vanno di pari passo. Se comprenderemo questa relazione in maniera superficiale, anche il nostro cristianesimo sarà debole: per questo noi, come cristiani, dovremmo essere profondamente consapevoli che il Padre è un Dio personale, che ama. La vita cristiana priva di questa relazione personale non ha alcun senso. Il Cardinale Suenens ha detto:
"... Dio ha un significato, solo se è il Dio vivente e personale."[1]
Rispondiamo allora a queste domande, per scoprire ciò che questa relazione implica per voi e per me.
Il rifacimento dell'uomo
Per molte persone Gesù è solo un guardiano spirituale che getta un salvagente al peccatore che sta annegando, e che poi lo spinge verso il cielo. Gesù tuttavia ha considerato in modo completamente diverso la propria missione: non gli interessava tanto far uscire gli uomini caduti dall'inferno per portarli in cielo, quanto far uscire Dio dal cielo per portarlo negli uomini. Il Vaticano II ha espresso con chiarezza questo principio quando ha detto:
"Piacque a Dio nella Sua bontà e sapienza rivelare Se Stesso e far conoscere il mistero della Sua volontà ... mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, nello Spirito Santo hanno accesso al Padre e sono resi partecipi della divina natura..
Con questa rivelazione infatti il Dio invisibile... nel Suo immenso amore parla agli uomini come ad amici... e Si intrattiene con essi per invitarli e ammetterli alla comunione con Sé."[2]
Ma l'amicizia col Padre non è la sola meta. Come ho detto in precedenza, il Padre in origine ci aveva creati a propria immagine. La nostra natura umana all'origine aveva una grande bellezza e dignità. Ma quando l'uomo si è ribellato, ha sfigurato quella dignità, l'ha sminuita. L'uomo caduto è molto meno di ciò che avrebbe dovuto essere, poiché era destinato ad agire come uno specchio della gloria di Dio Stesso. L'uomo caduto ha in sé il potenziale di essere un esempio eminente della capacità creatrice del Padre, ma il solo modo per raggiungere quel livello è permettere a Gesù Cristo di reintrodurre in lui la vita divina. Ecco come si esprimeva S. Leone Magno:
"Se pensiamo per un istante al piano di Dio per la creazione della razza umana e al modo in cui ci ha fatti a Sua immagine, cominciamo allora a capire che siamo destinati a essere come uno specchio che riflette la Sua eguaglianza, in tutta la sua bellezza e bontà."[3]
E prosegue dicendo:
"Ma dobbiamo riconoscere la dignità della nostra natura umana. Siamo fatti a immagine di Dio, immagine che in verità fu sfigurata in Adamo, ma che è stata restaurata in Cristo."[4]
In altre parole, Gesù è venuto a "salvarci" per mezzo di questo processo di ricostruzione. É venuto a darci una vita nuova - una vita divina. É venuto a sollevarci dal peccato per introdurci nell'abbondanza di Dio Stesso. Gesù ha detto:
"Sono venuto perché abbiano la vita, e l'abbiano in abbondanza." (Giovanni 10,10)
Ma perché, ad esser precisi, il Padre ha voluto rifarci? Esaminiamo alcuni esempi pratici. Avete mai fatto qualcosa con le vostre mani, di cui eravate davvero orgogliosi - per vederla poi, per qualche motivo, orrendamente sfigurata? Immediatamente vorreste riportarla alla sua originale bellezza. Avete mai visto un bambino, giocare, correre, saltare, ridere? D'improvviso inciampa, cade e viene da voi gridando coi ginocchi sbucciati e gli occhi pieni di lacrime. Immediatamente vorreste riportarlo alla sua felicità di prima. Allora non dovrebbe restare difficile capire come Si è sentito il Padre quando ha guardato l'uomo, la Sua creazione più perfetta, e lo ha visto decaduto dalla sua dignità e bellezza. Egli ha subito desiderato restaurarlo, riportarlo alla sua perfezione originale, e solo Lui sa quanto fosse bella. Per portare a compimento una simile restaurazione il Padre doveva far uscire l'uomo dal Regno delle Tenebre, nel quale era caduto, e metterlo nel Regno della Luce.
E allora quando Gesù ha detto: "entrate nel Regno", non ci stava invitando, voi e me, ad andare in cielo in un qualche tempo futuro: ci stava invece chiedendo di entrare nel Regno di Dio presente sulla terra, qui e ora. Gesù ha detto che il Regno di Dio non era quel posto che si chiamava cielo, bensì l'esperienza della vita del Padre nella parte più intima di noi stessi. Ecco le Sue parole:
"... Il Regno di Dio è dentro di voi." (Luca 17,21)
L'invito ad entrare nel "Regno" è l'invito a sperimentare ora la vita e l'amore di Dio dentro di noi,. Come ha detto il Cardinale Suenens:
"Egli invita ognuno di noi a sperimentare, anche da quaggiù, il calore del Suo amore; ci ha creati proprio per questo."[5]
S. Pietro ha scritto ai cristiani dei suoi tempi, dicendo loro che erano: "... partecipi della natura divina" (2 Pietro 1,4). Sì, quando ricevete in voi la vita del Padre, in realtà cominciate ad assumere la stessa natura divina. Voglio tornare ad accentuare un punto importante. Il Padre non ha l'intenzione di cambiare gli uomini in uomini migliori, con una migliore morale: il Suo piano è quello di cambiare completamente la nostra natura. C.S. Lewis una volta scrisse:
"Non si tratta di cambiare gli uomini da intelligenti a più intelligenti: è un cambiamento che va in una direzione del tutto diversa - dall'essere creature di Dio all'essere figli di Dio."[6]
Ora penso che possiate capire perché l' "esperienza religiosa" deve far parte di questa relazione personale. Se una persona deve davvero permettere a questa vita divina di entrare in lei e cominciare a ricostruirla, tutto ciò deve essere avvertito, sentito. Dio sarà sperimentato in maniera assai reale. Il Cardinale Suenens ha richiamato l'insegnamento di uno dei più grandi intellettuali di tutti i tempi:
"S. Tommaso d'Aquino, teologo che nessuno sospetterebbe di anti-intellettualismo, insegna che l'oggetto della fede non si trova in proposte dottrinali che riguardano Dio, ma in Dio stesso, conosciuto ed amato in una relazione personale."[7]
Vedete che questo "rifacimento dell'uomo" non è soltanto un concetto teologico. Si tratta invece di una vera restaurazione della dignità originale dell'uomo, mediante la quale egli entra, qui ed ora, nel Regno di Dio. É un'infusione di vita divina che, quando arriva, comincia a cambiare la natura umana peccaminosa in natura divina; e, più importante ancora, è un evento dinamico che verrà sperimentato via via che si conosce il Padre in una relazione personale.
L'amore di un Padre
Un'altra ragione importante per ricevere questa vita divina è quella di poter poi sperimentare l'amore "vero": l'amore del Padre. Nell'ultimo capitolo abbiamo parlato dell'amore del Padre in modo piuttosto generico, ma ora dobbiamo vederlo come un qualcosa che è diretto personalmente a noi. Se arriviamo soltanto a capire che il Padre mette in noi la Sua vita unicamente per restaurare la nostra dignità, veniamo a mancare un punto essenziale. "Dio è amore", secondo S. Giovanni (1 Giovanni 4,8). La Sua stessa natura è amore, e S. Giovanni ha fatto precedere la citazione da queste parole:
"Chi non ama non ha conosciuto Dio..." (1 Giovanni 4,8)
In altre parole, S. Giovanni sta dicendo semplicemente che ciò che fa esistere Dio è solo il fatto di "amare"; non possiamo quindi comprendere il modo in cui il Padre agisce finché non capiamo il Suo amore e non cominciamo a contraccambiarlo. Gesù stesso ha detto:
"Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Suo figlio unigenito." (Giovanni 3,16)
Quando vediamo il Padre dare Gesù al mondo, allora cominciamo a capire il Suo amore. Amare significa dare se stessi, e il Padre ci ha dato Se Stesso quando ci ha dato l'unico Figlio prediletto. A Sua volta Gesù è stato il perfetto riflesso dell'amore del Padre, poiché ha dato tutto quello che aveva - la stessa Sua vita. Ha rinunziato alle ricchezze del cielo per diventare povero per noi, come dice S. Paolo:
"Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, Si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della Sua povertà." (2 Corinzi 8,9)
Se fossimo già persone buone e sante saremmo in grado di capire il Padre che sacrifica il proprio Figlio prediletto. Ma S. Paolo dice:
"ma Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi." (Romani 5,8)
Sì, il Padre ama il Suo popolo di un amore misericordioso, un amore che va oltre il nostro stato di peccato per vedere il potenziale di figli e figlie. Il documento dei vescovi U.S.A. sull' "Insegnamento di Base" proclama:
"Si deve avere verso Dio l'atteggiamento che un figlio ha verso un Padre buonissimo ed amabilissimo, e mai pensare né vivere come se fossimo indipendenti da Dio."[8]
Molte indagini recenti sui giovani cattolici dimostrano che molti nostri teen-ager hanno relazione con un Gesù che mostra amore e compassione, ma Dio Padre resta ancora lontano, sconosciuto, non conoscibile, e per quanto riguarda l'amore Egli è avvertito come "freddo". E di solito, non vi è comprensione alcuna dello Spirito Santo. Penso che questi ragazzi rispecchino i pensieri e gli atteggiamenti della maggior parte dei cattolici moderni. Si può dire che abbiano sezionato la Trinità dando al Padre tutta l'autorità, a Gesù tutto l'amore e allo Spirito Santo solo delle penne bianche. Per pigrizia spirituale dimentichiamo, opportunamente, che Dio è "Uno".
É una sfida per la mente pensare che le Tre Persone della Trinità abbiano unicità di scopo, unicità d'amore e unicità di misericordia. Molti non riescono a vedere che l'amore è la natura dinamica della Trinità. Sì, l'Amore è proprio il sangue vitale del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Se vediamo Gesù come un Dio d'amore, di compassione e di misericordia, il Padre allora deve essere considerato esattamente allo stesso modo. Ricordate: Gesù è venuto per manifestare agli uomini, e per dare loro, l'amore del Padre Stesso. Egli ha pregato così:
"E Io ho fatto loro conoscere il Tuo nome e lo farò conoscere perché l'amore con il quale mi hai amato sia in essi e Io in loro." (Giovanni 17,26)[9]
L'amore che Gesù conosceva tanto bene, l'amore del Padre che Lo aveva sostenuto in tante prove, quell'amore che Lo aveva motivato ad accettare la croce - sì, proprio quello stesso amore viene offerto a voi e a me.
Gesù ha sempre cercato di far capire alla gente l'amore del Padre, solo che trovava ascoltatori bloccati in pensieri preconcetti, vecchi di secoli, con modi di pensare che semplicemente non riuscivano a vedere Dio, Creatore dell'universo, e Dio, Padre amorevole, allo stesso tempo. Gesù alla fine, nella Parabola del Figliol Prodigo, fornì una descrizione perfetta di questo Padre amorevole. Si tratta forse solo della bella storia di una riunione tra padre e figlio dopo le follie dell'adolescenza? Non è solo questo: dobbiamo mettere noi stessi al centro di questa storia, perché Gesù vuole che tu diventi il figliol prodigo.
E proprio come lui, dobbiamo accostarci al Padre e dire: "Padre, voglio fare quello che piace a me. Fammi esercitare la mia eredità di una volontà libera. Fammi provare a fare le cose a modo mio. Dopo che le avrò fatte tornerò a trovarti." E allora, con la tristezza negli occhi, il Padre vi lascia andare. Questo tipo d'amore viene chiamato amore permissivo. Il Padre sa fin troppo bene cosa c'è su quel cammino, ma non c'è modo di dirlo al figliol prodigo: siamo troppo testardi per ascoltare. E ce ne andiamo verso il divertimento, l'avventura, il potere, il piacere, la ricchezza e tutto quello che ci darà ciò che in realtà stiamo cercando: la felicità.
Ci potrà volere poco tempo, come nel caso del figliol prodigo, o molti anni di ricerca, ma alla fine scopriremo che non esiste felicità genuina, duratura, negli idoli luccicanti offerti dal mondo. Non importa quale sia il sentiero intrapreso per trovare la felicità nel mondo, ma possiamo star certi che in qualche punto del cammino vi era coinvolto il peccato. Gesù sapeva che ciò sarebbe accaduto. Sapeva che, come il figliol prodigo, se fossimo stati onesti con noi stessi avremmo dovuto tornare al Padre. E a questo punto troppi fanno, di solito, lo stesso errore del figliol prodigo: egli dice tra sé che persino i membri di seconda categoria della casa di suo Padre, gli schiavi e i servi, stanno molto meglio di quanto attualmente stia lui: "Magari, se compongo un bel discorso di pentimento e dimostro al Padre di riconoscere quanto io abbia sbagliato. ...Forse mi permetterà di essere suo schiavo," pensa.
Ma qui Gesù imprime una svolta sorprendente alla parabola. Fino a questo momento le cose sono andate come ci aspettavamo. Ora Gesù mette in rilievo l'inaspettata natura del Padre. Descrive come Egli abbia un interesse più che casuale al ritorno del figlio, nonostante tutto quello che gli aveva combinato. Il Padre aveva sempre vigilato in attesa del suo ritorno, e quando infine lo vede, mentre era ancora lontano, gli corre incontro per accoglierlo. Dopo averlo raggiunto, lo abbraccia e lo bacia, mentre il figlio resta quanto mai stupito da questo suo comportamento. Tuttavia, comincia a recitare il discorsetto che si era preparato tanto bene, un discorso di pentimento, di dispiacere, di colpa:
"Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te: non sono più degno di essere chiamato tuo figlio" (Luca 15,21)
Ma pare che il Padre non ascolti le sue parole. Suo figlio è tornato e non gli importa d'altro. Interrompe il discorso del figlio per gridare istruzioni ai servi:
"'Presto! portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l'anello al dito e i calzari ai piedi. Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato.' E cominciarono a far festa." (Luca 15, 22-24)
Riusciamo ad ascoltare quello che in realtà Gesù ci sta dicendo in questa parabola? Il padre sapeva quello che aveva fatto il figlio: aveva sprecato il suo denaro, era caduto nel peccato ed aveva messo in disgrazia il nome di lui. Eppure questo padre era capace di sorvolare su tutto ciò. Amava il figlio di un tale amore pieno di misericordia e di perdono che non richiedeva grandi discorsi di pentimento, ma solo un cuore sincero. L'anello al dito e le scarpe ai piedi del prodigo significano che egli era reintegrato come figlio, e niente di meno.
In questa parabola Gesù ci sta chiedendo di afferrare un'altra verità difficile da credere: che Dio, il nostro Padre celeste, reagisce nello stesso identico modo quando veniamo a Lui con la nostra vita piena di talenti sprecati, immersa nel peccato e che dà gloria solo a noi stessi. Gesù ci sta dicendo di non limitare la misericordia e l'amore del Padre per noi col nostro sparuto concetto personale di cosa sia l'amore misericordioso. Nostro Padre è assai più di questo. In Osea Egli proclama:
"Perché sono Dio e non uomo ..." (Osea 11,9)
Non dobbiamo mai limitare l'amore e il perdono del Padre, riducendoli alla misura che siamo arrivati a capire o a sperimentare noi come creature umane. Perché Dio è amore; e non importa che riusciamo ad immaginare il Padre innamorato di noi. Il nostro concetto di amore è stato distorto dal peccato nostro e degli altri, ma il Suo concetto dell'amore non è distorto. Tramite Gesù Cristo ha dichiarato con chiarezza di essere un Padre che ama. Davanti a questa verità inalterabile i sentimenti su noi stessi devono finire in secondo piano. Il Cardinale Suenens scrive:
"Nelle pagine sia del Vecchio sia del Nuovo Testamento, Dio mi parla oggi. Dovrei quindi ricevere le Sue parole come accoglierei la lettera di un amico che condividesse con me tutte le mie preoccupazioni, i miei timori, le mie speranze, che camminasse al mio fianco mostrandomi la via."[10]
Come cristiani, non possiamo mai pensare, nella verità, di non essere amati. Dire che il Padre non ci ama personalmente è una menzogna, niente di meno. Nella sua lettera ai Romani S. Paolo dichiara trionfalmente:
"Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze né altezza né profondità, né alcun'altra creatura potrà mai separarci dall'amore di Dio, in Cristo Gesù. nostro Signore." (Romani 8, 38-39).
Sì, il Padre ama ciascuno di noi in modo intimo e personale. Ama con amore che perdona tutti i peccati, per quanto gravi. Come ha detto S. Leone:
"Tutto quello che Egli fa per noi dimostra il Suo amore paterno." [11]
Se credi in qualcosa che sia meno di questo amore totale, ardente, destinato personalmente a te, in essenza hai respinto il messaggio di Gesù e la "Nuova Alleanza", acquistata col Suo sangue. Se cerchi questa relazione personale, devi ricercare con sincerità di conoscere l'amore del Padre. Devi cercare di sperimentarne la pienezza.
Ricorda le parole del Padre:
"Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio del suo seno? Anche se ci fosse una donna che si dimenticasse, Io invece non ti dimenticherò mai." (Isaia 49,15)
Un dono chiamato santità
Potremmo pensare che l'amore del Padre è tutto ciò di cui abbiamo bisogno; ma Egli vuole darci ancora di più. Vuole introdurci nella "Famiglia" come membri a pieno titolo. Per farlo, Egli ci chiederà di assumere alcune caratteristiche della Sua Famiglia, e in particolare quella che si chiama "santità".
Ora voglio spiegare alcune cose intorno a questa idea di santità. Per il cattolico medio l'idea d'esser santo è qualcosa di irreale. Non rientra nel nostro modo di pensare, soprattutto per via di ciò che chiameremo "teologia sdolcinata". Ecco, ognuno ha una qualche vaga idea di cosa sia la santità, o di cosa dovrebbe essere, ma raramente essa è "oggetto dei nostri pensieri". Per questo motivo circolano troppi concetti errati, pure e semplici non-verità, a proposito della santità. Assomigliamo moltissimo a Pietro, che quando si rese conto che Gesù era santo, cadde in ginocchio ed esclamò:
"Signore, allontanati da me che sono un peccatore." (Luca 5,8)
Troppo spesso ci accade di non ascoltare la risposta di Gesù:
"Non temere..." (Luca 5,10).
É vero, la maggior parte di noi ha paura quando viene messa di fronte alla santità di Dio. Sappiamo, o pensiamo di sapere, che tale santità è impossibile per noi: "Lasciate queste cose ai preti e alle suore. La vita è abbastanza dura così com'è," rispondiamo. Bene, questa risposta indica quanto poco abbiamo capito le cose di Dio. Insomma, una relazione personale col Padre è strettamente legata a quest'idea della santità.
Il Vaticano II si è reso conto di queste numerose ed errate interpretazioni e si è apprestato a rischiarare l'aria. Ha parlato spesso della nostra chiamata alla santità.
"Il Signore Gesù, Maestro e modello divino di ogni perfezione, a tutti e ai singoli suoi discepoli di qualsiasi condizione ha predicato la santità della vita... "Siate dunque perfetti come è perfetto il vostro Padre celeste (Matteo 5,48)."[12]
I testi del Nuovo Testamento citati in questo articolo rendono evidente che non solo coloro che vivono secondo i consigli evangelici, ma tutti i cristiani sono chiamati alla "pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità." Sarebbe un errore pensare alla santità come ad una riserva speciale di una qualche classe di cristiani, ad esempio i religiosi.[13]
Quindi i Padri Conciliari hanno chiarito che: qualunque sia la situazione della vita di una persona, se questa afferma di essere cristiana, è chiamata alla santità. Non c'è modo di "scaricare questa responsabilità" su quelli che si dedicano alla vita religiosa. Preti, suore e altri nella vita religiosa hanno solo strade diverse per arrivarci. I Padri Conciliari hanno affermato con chiarezza che noi tutti siamo uguali nella dignità cristiana, e quindi uguali nella chiamata alla santità.
"Uno solo è quindi il popolo eletto di Dio: 'un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo ' ... comune è la dignità dei membri per la loro rigenerazione in Cristo... Se quindi nella Chiesa non tutti camminiamo per la stessa via, tutti però sono chiamati alla santità ed hanno ricevuto una fede per la giustizia di Dio... Quantunque alcuni per volontà di Cristo, siano costituiti dottori, dispensatori dei misteri e pastori per gli altri, tuttavia vige tra tutti una vera uguaglianza riguardo alla dignità... per l'edificazione del corpo di Cristo."[14]