CAPITOLO 8 La fede e la frantumazione dell'orgoglio

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MARIOCAPALBO
00martedì 7 febbraio 2012 20:36

Chiesa e rinnovamento

CAPITOLO 8

La fede e la frantumazione

dell'orgoglio

 

 

 

Il "paradiso" originale tra Dio e l'uomo dipendeva dalla  tenera fiducia esistente tra la creatura e il suo Creatore.

Ø      Quando il primo uomo e la prima donna si ripresero quella fiducia e quella fede e decisero di andare avanti per conto proprio per "essere come Dei" (Gn 3,5), irruppe ogni tipo di male e la vita sulla terra in realtà divenne solo una "valle di lacrime".

Ø      Alla radice di quella tragica caduta vi fu l'orgoglio. La triplice tentazione di Genesi 3,6 è espressa con chiarezza in Giovanni 2,16, la cui traduzione più nota è: "la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita".

Il "fattore decisivo" è l'orgoglio della vita, quel desiderio infernale, diabolico di essere indipendenti da Dio, di essere autonomi, autosufficienti, di non aver bisogno di nessuno e di  niente, di essere simili a dei.

 

Una dichiarazione impressionante di come si sono espressi quest'orgoglio primordiale e questa ribellione, con gli effetti devastanti su tutto il ventesimo secolo, è contenuta nelle parole di Trotsky, uno dei primi leader comunisti:

Ø      "L'uomo diventerà smisuratamente più forte, saggio e astuto; il suo corpo sarà più armonizzato, i suoi movimenti più ritmici, più musicale la sua voce. Le forme di vita diventeranno dinamicamente avvincenti. Il modello medio di essere umano si alzerà alle altezze di un Aristotele, di un Goethe o di un Marx. E al di opra di questo crinale nuove vette sorgeranno."[1]

È incredibile riesaminare ora queste parole, solo alcune delle molte che parlano dell’uomo "nuovo" sovietico che sarebbe stato prodotto dal comunismo, e

Ø      osservare l'incredibile naufragio umano che sarebbe stato prodotto da questo sforzo di ispirazione diabolica di "essere come dei".

Eppure lo stesso orgoglio, lo stesso desiderio di "essere come dei" separatamente da Dio è in tutti noi – e nella misura in cui cediamo allo stesso, produce anche in noi gli stessi miseri risultati.

 

Quest'orgoglio deve essere spezzato, e la ferita profonda che ha prodotto nel nostro essere deve essere guarita, prima che si possa restaurare l'unione con Dio che esisteva "in principio".

Ø      Dio ha ordinato il Suo piano per salvare l'uomo in modo tale che la salvezza non può avvenire senza che sia spezzato l'orgoglio.

Ø       E la FEDE è la chiave semplice, ma potente, che riesce a spezzare l'orgoglio e a liberare la salvezza:

è      "Poiché tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, sono giustificati dalla Sua grazia come dono, mediante la redenzione che è in Cristo Gesù. Dio lo ha prestabilito quale espiazione per mezzo del Suo sangue, che va ricevuto nella fede. … Cosa ne è allora del nostro vantarci? Esso è stato escluso!" (cf. Rm 3, 23-27).

           

In questi pochi versetti si dice molto, e i temi qui sviluppati sono trattati nell'intera Bibbia. In breve:

Ø      tutti siamo tagliati fuori da Dio; a tutti Dio offre, immeritatamente, un dono di redenzione attraverso il sacrificio di Cristo;

Ø      possiamo ricevere quel dono credendo in Gesù e in quanto ha fatto per noi sulla Croce.

Se arriviamo davvero a capire la nostra situazione e quanto siamo immeritevoli della salvezza, quanto essa sia puro dono di Dio, non avremo niente di cui vantarci – fatta eccezione della Croce di Cristo e della nostra debolezza e necessità.

           

Per arrivare a spezzare il nostro orgoglio, Dio ha predisposto che la salvezza fosse un Suo dono in assoluto, un dono che nessun uomo merita.

Ø      Dobbiamo riceverlo, non raggiungere qualcosa, per essere salvati. Non possiamo fare proprio niente per meritare, guadagnare o esser degni della salvezza. Essa è unicamente un dono straordinario di Dio che ci giunge dalla fede in Gesù.

Se arriviamo a capirlo nel modo adeguato, è un fatto profondamente umiliante. E si suppone che lo sia:

 

"Cristo, infatti, non mi ha mandato a battezzare, ma a predicare il vangelo; non però con un discorso sapiente, perché la croce di Cristo non sia svuotata del suo potere (CEI = non sia resa vana). …Poiché, infatti, nel disegno sapiente di Dio, il mondo non ha conosciuto Dio mediante la sapienza,

-        è piaciuto a Dio di salvare coloro che credono attraverso  la stoltezza di ciò che noi predichiamo.

-        E mentre i Giudei chiedono dei segni e i Greci cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio.

-        Perché ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini.

-        Ma Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti,

Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono, perché nessun uomo possa gloriarsi alla presenza di Dio. ... 'Chi si vanta, si vanti nel Signore”. (1 Cor 1, 17-31).

 

            Padre Cantalamessa esprime bene questo concetto:

 

Paolo tuttavia, insiste con forza su una cosa: tutto questo avviene "gratuitamente" (dorean), attraverso la grazia, come dono; e torna molte volte su questo punto, servendosi di termini differenti.

Ø      E noi ci chiediamo il motivo per cui Dio è tanto determinato su questo punto!

-        Il motivo è che Egli vuole escludere dalla nuova creazione il cancro che ha rovinato la prima creazione: la vanagloria dell'uomo. …

-        In cuore l'uomo nasconde l'innata tendenza a "pagare un prezzo a  Dio". Ma "nessun essere umano è in grado di riscattare se stesso o di pagare a Dio il prezzo della propria vita" (Sal 49.8).

Voler pagare a Dio il Suo prezzo attraverso i nostri meriti personali è un'altra forma dell'eterno tentativo di essere autonomi e indipendenti da Dio, e non solo autonomi e indipendenti, ma addirittura creditori nei confronti di Dio perché: "A chi lavora, il salario non viene calcolato come dono, ma come cosa dovuta" (Rm 4,4).[2]

 

È terribilmente pericoloso se nella nostra risposta personale a Cristo cerchiamo di erigere strutture e di stabilire abitudini ed aspettative che nel tempo possono arrivare ad offuscare la Croce di Cristo e la Sua posizione suprema nella nostra vita, nella vita della Chiesa e nella vita del mondo.

Ø      È fin troppo facile pensare che la salvezza del mondo e la nostra dipendano dalle nostre abitudini, dai nostri metodi, dai nostri leader, dai nostri insegnamenti, dalla nostra longevità, dalla nostra virtù, fedeltà, carattere, e dalla nostra storia, anziché puramente e semplicemente dalla grazia immeritata conquistata per noi sul Calvario, alla quale abbiamo accesso solo attraverso la fede.

Ø      Per noi la Croce di Cristo può diventare una pietra d’inciampo, non solo all’inizio ma anche gradualmente nel tempo, mentre trasferiamo la nostra fiducia e confidenza su cose diverse dalla Croce di Cristo e

-        finiamo per riporre la nostra aspettativa nelle opere delle nostre mani o nelle azioni della carne.

Per quelli di noi che pensano di essere qualcosa, è essenziale essere ridotti a niente: così non avremo motivi di vantarci davanti a Dio. Ciò è anche umiliante: “A Te verrà ogni carne a causa dei peccati. Quando le nostre colpe prevalgono su di noi, Tu le perdoni.” (CEI =  “A Te, che ascolti la preghiera, viene ogni mortale. Pesano su di noi le nostre colpe, ma Tu perdoni i nostri peccati.”) (Sal 65,3-4).

 

Una persona orgogliosa pensa sempre di avere ragione. Umiltà significa riuscire a dire: “Ho torto; tu hai ragione”, sia a Dio che agli altri.

 

So che nella mia vita Dio ha dovuto periodicamente umiliarmi per riportarmi a concentrarmi più chiaramente su Gesù Cristo e su Lui crocifisso. Negli anni recenti in particolare Dio, nella Sua misericordia, ci ha mostrato come nella nostra comunità cristiana locale eravamo giunti a contare troppo sullo stile di vita della comunità, sul nostro insegnamento e sul modo di affrontare le cose, in modo tale da offuscare la Croce di Cristo.

Ø      È stato molto duro, ma la purificazione e l’umiliazione erano proprio necessarie, e le lezioni apprese non hanno prezzo.[3]

           

Ovviamente l’orgoglio può anche nascondersi in un approccio cosiddetto “personale” o “spirituale” a Dio, che non si sottomette alle strutture stabilite da Dio e alle autorità istituite a salvaguardia contro l’inganno e quale espressione dell’ordine corporativo e gerarchico del piano di salvezza.

Ø      L’obiettivo potrà essere raggiunto solo nell’equilibrio tra istituzionale e carismatico.

 

In uno dei suoi libri il Vescovo Cordes, sottolineando il grande valore dei movimenti di rinnovamento per la Chiesa, parla del

Ø      pericolo che essi affrontano con la tentazione ad esagerare la propria importanza, a preoccuparsi eccessivamente o ad essere troppo centrati su di sé, e perfino ad arrivare ad un “egoismo di gruppo” al desiderio di controllo, di dominio o “egemonia”. Secondo la sua rilevante espressione:

È inconcepibile, ad esempio, immaginare un San Francesco che sta a contemplare il “Francescanesimo” e non il solo Gesù Cristo: Gesù, che nella Sua povertà è la sorgente di ogni ricchezza che viene da Dio.”[4]

 

Il Cardinal Suquia, Spagna, parla della tendenza della Chiesa a contare su cose diverse dallo stesso  Cristo:

La Chiesa deve smettere di aver paura della propria verità; deve avere il coraggio necessario per recuperare la consapevolezza della propria identità e osare essere se stessa in tutta semplicità e trasparenza

Ø      La Chiesa dovrebbe imparare di nuovo a riconoscere e a vivere alla luce solare del mistero che è in lei, e a non ammantarlo con simboli esteriori estranei come se questi potessero darle forza e credibilità.

-        Deve smettere di intendere se stessa in modi che la trasformano in un’appendice dell’ideologia di moda, e che la riducono al ruolo di strumento moralizzante della società e dello stato, o di una istituzione caritatevole che da asilo ai diseredati inesauribilmente prodotti da questa società, contribuendo così, per inciso, a sostenere il proprio amore di sé e la propria irresponsabilità.

Deve rinunziare ad ogni sforzo per legittimare se stessa attraverso iniziative sociali, o attraverso ciò che talvolta è chiamato il suo “contributo specifico” alla società, che invece

Ø      trasforma la Chiesa in un ulteriore concorrente nel multicolore mercato dei servizi umanitari e sociali, con i propri interessi in quel mercato.

-        Più si fanno sforzi per capire o per far capire la Chiesa in questi termini, più essa si svuota della propria sostanza, rendendosi più incapace persino di contribuire nella sfera sociale …

-        La nuova evangelizzazione non può evitare la proclamazione esplicita della Persona di Gesù Cristo. Ciò che accade è che quella proclamazione, diretta e molto concreta:

Dio ti ama. Cristo è venuto per te” – non può avere altra forma se non quella della testimonianza e di un invito. …

è L’esperienza della Redenzione di Gesù Cristo, vissuta con fervore e con gioia nella Chiesa e testimoniata nel mondo, contiene in sé la risposta ad alcune delle domande più profonde che oggi l’uomo solleva.[5]

 

Padre Cantalamessa espone lo stesso concetto: “Nella misura in cui decidiamo di non voler altra sicurezza o ragione con la quale affrontare il mondo se non Gesù Cristo crocifisso, la potenza di Dio viene anche oggi in nostro aiuto a compiere “segni, prodigi e miracoli” …

Ø      La Chiesa ha le sue origini dal kerygma predicato “in Spirito e potenza” e anche oggi appare evidente che una  Chiesa rinnovata nella propria forza apostolica può sorgere solo da una nuova proclamazione del Vangelo che è la “potenza di Dio per la salvezza di coloro che hanno fede.[6]

 

Una delle grandi battaglie che il Signore chiamò l’apostolo Paolo a combattere fu quella di far capire con chiarezza cosa ci fosse di nuovo nella Nuova Alleanza.

Ø      Paolo dovette affrontare di continuo la tendenza, sia all’interno che al di fuori della Chiesa, a lasciarsi trascinare indietro per tornare a dipendere dalle apparenze religiose o dallo sforzo personale, anziché dalla Persona salvifica e dalle azioni di Gesù:

è      Per questa grazia infatti siete salvi mediante la fede; e ciò non per quanto avete fatto voi, ma è dono di Dionon viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene. Siamo infatti opera Sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone che Dio ha predisposto perché noi le praticassimo.” (Ef 2, 8-10).

è      “Chi dunque vede qualcosa di diverso in te? Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto? E se l' hai ricevuto, perché te ne vanti come se non fosse un dono?” (1 Cor 4,7).

è      “Eredi quindi si diventa per la fede, perché la promessa possa appoggiarsi sulla grazia” (Rm 4,16).

 

Oggi la tendenza a volerci salvare da soli, a non dover dipendere totalmente da Dio, è molto forte in tutti noi. Yves Congar, il grande teologo francese, ci mette in guardia anche da questo:

Ø      Col progresso continuo della scienza, l’uomo poco a poco ha perduto la consapevolezza di dipendere da un Altro. Eppure la salvezza consiste essenzialmente proprio in questa consapevolezza della dipendenza.

L’uomo non può salvare se stesso attraverso i propri sforzi. Un Altro ci salva. Anche i cattolici corrono questo rischio.”[7]

 

Per amore del mondo, di noi stessi e di Dio, come individui e come Chiesa abbiamo un disperato bisogno di non comportarci come se ciò che abbiamo in beni spirituali o materiali  fosse dovuto ai nostri meriti o fosse il risultato della nostra volontà o della nostra forza, anziché pura grazia di Dio.

Ø      Tuttavia non è fede vera se non si esprime progressivamente in una vita di moralità, di preghiera e d’amore per gli altri.

-        Ma anche qui, ovviamente, è la grazia di Dio a metterci in grado di vivere in modo da compiacerLo. Gli dobbiamo gratitudine perfino per le azioni buone che ha preparato per noi in anticipo perché le compissimo: “Siamo infatti opera Sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone che Dio ha predisposto perché noi le praticassimo.” (Ef 2, 10).

“É Dio infatti che suscita in voi il volere e l'operare secondo i Suoi benevoli disegni” (Fil 2,13).

 

E non fate errori a questo riguardo; se la nostra fede è sincera, Dio ci ispirerà a vivere una vita giusta di moralità, preghiera e buone azioni. Una prova della sincerità della nostra fede è come ci comportiamo nella vita.

Ø      La fede che salva è una fede che si manifesta nelle opere. La fede che salva non è solo un atto o una disposizione interiore, ma l’espressione di quell’atto o di quella disposizione manifestata nelle azioni (Gal 5,6; 6,15; 1 Cor 7,19; 1 Gv 2,3; Gv 14,15).

Ø      Il giudizio finale si basa non solo sulla fede interiore, ma sulle azioni che intraprendiamo nella vita e che emanano da quella fede (Ap 22,12; Mt 16,26-27; 25,31-46; Rm 2,5-11; 1 Cor 3,10-15; 2 Cor 5,10).

L’apostolo Giacomo esprime il punto in maniera molto diretta: “Che giova, fratelli miei, se uno dice di avere la fede ma non ha le opere? Forse che quella fede può salvarlo? ….

Ø      Tu credi che c'è un Dio solo, e fai bene; anche i demoni lo credono e tremano!

Ma vuoi che ti si mostri, o insensato, come la fede senza le opere è senza valore? … Vedete che l'uomo viene giustificato in base alle opere e non soltanto in base alla fede. “ (Gc 2,14; 19-20; 24).

 

Ma è la grazia che giunge attraverso la fede a darci il potere di compiere le opere. In quel senso dipendiamo dalla grazia di Dio e dal suo agire in noi persino per le opere:

è      “Per questo mi affatico e lotto, con tutta l’energia che Egli infonde dentro di me.” (Col 1,29).

Non vi è conflitto tra grazia e legge, o tra fede e opere, se interpretati nel modo giusto, come espone tanto chiaramente Padre Cantalamessa:

 

Nella nuova economia non vi è contrasto o incompatibilità tra la legge interiore dello Spirito e la legge eterna scritta; vi è al contrario una collaborazione piena; l’una è data per proteggere l’altra:

Ø      La legge è data affinché potessimo cercare la grazia, e la grazia è stata data affinché potessimo osservare la legge” (S. Agostino, De Spir. Litt. 19, 34).

-        L’osservanza dei comandamenti e, in realtà, l’obbedienza, è la prova dell’amore; è il segno che manifesta se stiamo vivendo “secondo lo Spirito,” oppure “secondo la carne”

-        Quindi la legge non diventa subito datrice di vita; rimane esattamente ciò che era: ciò attraverso cui è manifestata la volontà di Dio e niente più.

La differenza tuttavia è che ora, dopo la venuta dello Spirito, la sua funzione limitata è apertamente riconosciuta ed è quindi positiva mentre

Ø      prima, quando ci si aspettava che desse la vita, era fuorviante e riusciva solo a incoraggiare l’orgoglio dell’uomo e il peccato.

In altre parole la stessa “lettera” è sicura solo se è nello Spirito.[8]
MARIOCAPALBO
00martedì 7 febbraio 2012 20:37

Uno scopo fondamentale nel modo in cui Dio ha elaborato il piano di salvezza è che nessuno avrebbe avuto motivo per vantarsi, auto-glorificandosi.

Ø      La vera radice del peccato è l’orgoglio, e questo va spezzato se vogliamo vedere il trionfo della grazia di Dio.

Ø      Il dover rinunziare ai nostri sforzi per difendere noi stessi, per spiegare, giustificare e razionalizzare le nostre azioni, per arrivare semplicemente ad esporre all’amore salvifico di Cristo il nostro bisogno disperato, è una componente essenziale della natura della salvezza.

L’illudere se stessi e il comportarsi con formalismo farisaico sono le nostre caratteristiche di creature “cadute”. La spaventosa verità è che tutti abbiamo un bisogno disperato di Dio, del Suo perdono, del Suo amore e del Suo Spirito Santo e

Ø      tutti dobbiamo abbandonare il nostro orgoglio, ammettere la nostra necessità e venire ai piedi della Croce per ricevere misericordia e perdono.

 

Come ha rilevato Padre Benedict Groeschel, l’ammissione del bisogno e dell’impotenza espressi nei dodici passi dell’Anonima Alcolisti, ora utilizzata da diversi altri gruppi, arriva al cuore del Vangelo:

Ø      Se nella tua vita non hai riflettuto abbastanza sul totale  stato di necessità e sulla completa impotenza della persona simboleggiata dal figliol prodigo, dovresti riesaminare i dodici passi dell’ Anonima Alcolisti …

Ø      Molti autori spirituali ritengono, giustamente, che lo stato di totale indigenza riflesso in quei passi in realtà è la situazione spirituale di tutti gli uomini

Gesù esige che i Suoi seguaci si pentano in modo tale da ammettere la loro impotenza sul peccato e la loro incapacità a salvare se stessi.”[9]

 

            Mi chiamo Ralph e sono un peccatore.

 

Un aspetto stimolante di questa dipendenza da Dio si trova nel Decreto sull’Ecumenismo del Vaticano II:

-        “Questo Sacro Concilio spera fermamente che le iniziative dei figli della Chiesa Cattolica, unite a quelle dei fratelli separati, procedano, senza ostruire le vie della divina Provvidenza e senza pregiudicare le ispirazioni future dello Spirito Santo.

-        Questo Concilio inoltre dichiara di rendersi conto che questo santo obiettivo – la riconciliazione di tutti i cristiani nell’unità della sola e unica Chiesa di Cristotrascende i poteri e i doni umani.

Esso pone quindi la propria completa speranza interamente nella preghiera di Cristo per la Chiesa, nell’amore del Padre per noi e della potenza dello Spirito Santo.”[10]

           

Padre Cantalamessa fa notare  un altro motivo per cui Dio ha scelto la fede come porta di accesso al Suo Regno:

Ø      Se vi avessero detto: la porta del Regno è l’innocenza, la porta è la stretta osservanza dei comandamenti, la porta è questa o quella virtù, avreste potuto trovare delle scuse e avreste detto: Non fa per me! Io non sono innocente, non ho quella virtù.

Ma ti si dice: la porta è la fede. Credi! Questo non è qualcosa al di sopra di te, che va oltre te, non è a chissà quale distanza da te.”[11]

 

Di recente mi hanno chiesto perché i battisti del Sud erano tanto desiderosi di condividere con gli altri la Buona Novella, in confronto al totale disinteresse del cattolico medio. Pensandoci, mi sono venuti alla mente diversi motivi. Il principale è che

Ø      la maggior parte dei battisti ha una comprensione chiara del messaggio fondamentale del Vangelo, cioè, che siamo salvati dalla grazia mediante la fede, e  il riconoscimento personale di cosa ha fatto Gesù per noi.

-        Sono inoltre convinti che il fatto di credere o non credere porti un’enorme differenza, e che esistano davvero un cielo e un inferno. Purtroppo

-        sembra che la maggior parte dei cattolici non abbia capito con chiarezza il messaggio evangelico di base, né apprezzi quanto Gesù ha fatto per loro o capisca le conseguenze eterne, per lo meno non a sufficienza da motivarli a condividere con gli altri la Buona Novella.

Nonostante tutti gli anni di istruzione cattolica e di altre catechesi, pare vi siano dei vuoti sbalorditivi.

 

Il Dr. Peter Kreeft, professore di filosofia presso il Boston College, ha fatto osservazioni simili attraverso il contatto con i suoi studenti, per lo più cattolici:

La vita di Dio entra in noi mediante la fede,

-        ci attraversa mediante la speranza

-        ed esce da noi mediante le opere d’amore.

Questa è chiaramente l’idea biblica, e quando protestanti e cattolici che conoscono la Bibbia discutono sinceramente l’argomento,  è sorprendente come arrivano presto a trovarsi d’accordo su questo, il punto fondamentale.

-        Ma molti cattolici non hanno ancora imparato questa dottrina del tutto cattolica e biblica.

-        Pensano di essere salvati dalle buone intenzioni, o essendo gentili, cortesi,  sinceri; provandoci con un po’ più di impegno o facendo un numero sufficiente di opere buone. Negli ultimi 25 anni ho chiesto a centinaia di studenti cattolici del college:

-        Se tu morissi stanotte e Dio ti chiedesse il motivo per cui dovrebbe farti entrare in cielo, cosa Gli risponderesti?

-        La vasta maggioranza non conosce proprio la risposta giusta da dare alla più importante di tutte le domande, l’essenza stessa del cristianesimo.

-        Di solito non menzionano neppure Gesù!

Fin quando noi cattolici non conosceremo le fondamenta, i protestanti non ci ascolteranno quando cercheremo di insegnare loro qualcosa sui piani superiori dell’edificio.

Ø      Forse il Signore permette che continui a persistere la divisione tra cattolici e protestanti solo perché i protestanti hanno abbandonato alcune preziose verità insegnate dalla Chiesa, ma anche perché

a molti cattolici non è mai stata insegnata la più preziosa di tutte le verità: che la salvezza è un dono gratuito di grazia, accettato per fede.[12]

 

Tre anni dopo il Dottor Kreeft  tornò sullo stesso tema e dichiarò ancor più bruscamente la spaventosa verità della situazione:

Ø      “In America la maggior parte dei cattolici proprio non sa come arrivare in cielo, come essere salvati.

Può sembrare una dichiarazione estrema o esagerata, ma da anni di esperienza di insegnamento so che corrisponde a verità

Ø      Nel rispondere alla domanda di come si aspettano di andare in cielo, la maggior parte degli studenti cattolici neppure menziona Cristo.

-        Pensano di entrarvi se sono stati abbastanza buoni. Ciò significa, in tutta semplicità, che

è l’unica lezione più fondamentale di tutta la religione cristiana, la cosa più importante che si possa mai sapere sulla terra, loro non la conoscono.

-        Magari alla fine potrebbero anche arrivare in cielo, ma se ciò avverrà non sarà come cristiani ma come buoni pagani

E questa non è solo una lezione che sarebbe bene imparassimo; è una lezione assolutamente necessaria da imparare. È in gioco l’eternità.”[13]

 

In un recente discorso ad un gruppo di vescovi americani Giovanni Paolo II ha avvertito di non allontanarsi troppo dall’essere centrati su Gesù Cristo, e Lui crocifisso:

Ø      Talvolta persino i cattolici anno perduto, o non hanno mai avuto modo di sperimentare personalmente Cristo: non Cristo come un semplice “paradigma” o “valore”, ma il Signore vivente: “la via, la verità e la vita” (Gv 14, 6).

Ø      Nel parlare di questa necessità noi, come San Paolo, non dobbiamo mai allontanarci dal nucleo del messaggio: “Cristo crocifisso … Cristo, la potenza di Dio e la sapienza di Dio” (1 Cor 1,23.24).”[14]

In un’altra occasione ha parlato dell’essenza della salvezza come di un “aggrapparsi” a Cristo, il tipo di resa nella fede che, ammettendo la nostra necessità, spezza l’orgoglio:

Ø      Chi vuol essere salvato deve solo aggrapparsi a Cristo.”[15]

 

Questo richiama alla mente quanto ebbe da dire Cirillo di Gerusalemme a proposito della salvezza.

Ø      “Oh, la meravigliosa bontà di Dio verso gli uomini! I giusti del Vecchio Testamento erano accetti a Dio grazie alle fatiche di molti anni; ma ciò che riuscirono ad ottenere attraverso un servizio lungo e gradito a Dio,

Ø      a voi è concesso in un breve lasso di tempo tramite Gesù! Se infatti credete che Gesù è il Signore e che Dio Lo ha fatto risuscitare dai morti, sarete salvati e portati in Paradiso da Colui che vi fece entrare il buon ladrone.”[16]

 

E il Cardinal Danneels ha rilevato quanto è profonda in noi la tendenza a resistere alla verità di non poterci salvare da soli, neppure in parte:

Ø      Oggi la dottrina della grazia è indubbiamente il concetto più trascurato nella teologia e nella vita cristiana pratica.

-        Il fatto che non siamo in grado di salvarci da soli, neppure in parteche dipendiamo totalmente dal dono della grazia di Dio – è per molti un intralcio.

-        Resta loro difficile capire che la grazia non elimina la nostra libertà e la nostra autonomia; al contrario, è proprio il loro fondamento.

Il sogno di una persona autosufficiente pare sia inestirpabile. La stessa essenza della fede tuttavia sta nell’accettare l’idea della nostra dipendenza da Dio.”[17]

 

Al fine di evitare il pericolo di un moralismo pelagiano, il Nuovo Catechismo della Chiesa Cattolica, nell’introduzione all’insegnamento morale cattolico, sottolinea con forza la necessità assoluta di dipendere dalla grazia di Dio per poter vivere l’insegnamento morale della Chiesa.

Ø      L’Arcivescovo Jean Honoré, di Tour, Francia, strettamente connesso allo sviluppo di questo catechismo, ammette francamente che una precedente stesura dello stesso fu giustamente criticata per non aver chiarito che la morale cristiana non era solo una questione di “conformità virtuosa”, ma che esigeva una dipendenza radicale dalla grazia di Dio:

 

In realtà, mentre il Catechismo era riuscito ad esprimere l’invito a seguire il Vangelo e a puntare alla perfezione, non manifestava (almeno non a sufficienza) che una simile richiesta può essere realizzata solo dai battezzati, con l’aiuto della grazia gratuita che li sana e li assolve dal peccato e li sostiene lungo il cammino.

Ø      In breve, non essendo stato dichiarato completamente o con sufficiente chiarezza, non risultava immediatamente ovvio che qualunque cosa i cristiani facciano nell’ordine della salvezza e della santità, non lo fanno da soli, ma solo con l’assistenza divina.

Ø      Nel loro impegno a crescere nella virtù tutti i cristiani, perfino i più grandi santi, sono peccatori giustificati e salvati.

Mancando di sottolineare l’azione anteriore della grazia del Signore e della presenza  interiore dello Spirito,

Ø      il Catechismo correva il rischio di omettere una delle condizioni più fondamentali dell’azione morale secondo il Vangelo. Per evitare la trappola della casistica era stato fatto uno sforzo consapevole. Quello del moralismo era stato evitato con cura.

Si poteva dire che la prima stesura avesse conservato un tono pelagiano che ancora andava corretto.[18]

 

Come ha affermato il Cardinal Ratzinger parlando del modo in cui il nuovo Catechismo si riferisce all’insegnamento morale:

Ø      Questa sezione del testo non è un elenco di peccati, ma si propone lo scopo di illustrare come si realizza la vita morale dall’interno di una prospettiva cristiana. Così la morale diventa cosa semplicissima; è amicizia col Signore, è vivere e camminare con Lui.”[19]

Carl Anderson, diacono a Washington D.C., U.S.A., dell’Istituto Giovanni Paolo II per gli Studi sul Matrimonio e la Famiglia, in un seminario di studio privato per i vescovi del Nord America al quale io stesso ho partecipato, rilevò l’importanza di questo crescente interesse  sulla Persona di Gesù:

 

Nella nuova evangelizzazione il Santo Padre ci ha fornito due testi che sono fonti essenziali, il Catechismo della Chiesa Cattolica e Veritatis Splendor.  Si potrebbe porre la domanda:

Ø      In che modo questi documenti possono scansare le difficoltà che hanno colpito la Humanae Vitae? Vorrei indicare che la risposta si può trovare nell’esplicito Cristocentrismo dei documenti.

-        Entrambi si centrano chiaramente sulla Persona di Gesù Cristo ed entrambi identificano la vita cristiana come una vita che deriva dall’incontro con la Persona di Cristo. Essi riaffermano che

-        la fede cristiana ha al centro e quale punto di partenza il riconoscimento della presenza viva di Cristo nella vita del Suoi seguaci.

La vita cristiana non è in primo luogo una morale; non è una filosofia; non una sociologia, né una politica.

-        Questo era certo presupposto negli insegnamenti ufficiali della Chiesa che precedono questi documenti; in molti casi tuttavia non era abbastanza esplicito.

Ne è risultato che la proposta cristiana nella nostra cultura è stata troppe volte sottoposta a una forma di riduzionismo che ha cercato di farne in primo luogo una morale, una sociologia, una  filosofia o una politica.[20]

 

Dean Anderson rileva che quanto talvolta era presupposto nell’insegnamento precedente della Chiesa, e cioè che il fondamento di tutto è la Persona di Gesù Cristo, ora, nella nuova situazione culturale, per rendere comprensibile  il nostro insegnamento deve essere reso esplicito.

Ø      Dalla sua vasta esperienza di vita religiosa e di storia della Chiesa, Padre Cantalamessa rileva quanto sia importante l’enfasi sulla grazia:

 

La novità del messaggio cristiano risulta annebbiata quando predicazione, catechesi, guida spirituale e tutte le altre attività formative della fede

Ø      insistono unilateralmente su doveri, virtù, vizi, punizione e, in generale, su ciò che l’uomo “dovrebbe fare”,

-        presentando la grazia come un aiuto che viene all’uomo mentre cerca di adempiere al proprio impegno di compensare ciò che non è in grado di fare da solo e non, al contrario,

-        come un qualcosa che arriva prima di questi sforzi e che li rende possibili; quando il “dovere” è creato dalla legge e non dalla grazia e quando, di conseguenza,

-        il dovere non è concepito come un  nostro debito di gratitudine verso Dio, ma piuttosto come un qualcosa che crea – se lo adempiamo –

-        un debito di gratitudine da parte di Dio verso di noi; quando, in altre parole,

Ø      la morale è separata dal kerygma.

In una sfera più ristretta, la vita religiosa è ugualmente offuscata quando, nella formazione data a persone giovani e a novizi, nei ritiri e in altre occasioni,

-        si passa più tempo a parlare di carisma, di tradizioni, regole e costituzioni e della spiritualità particolare dell’ordine (spesso poverissima e incoerente), anziché a parlare di Cristo il Signor e del Suo Spirito Santo.

Il centro di attenzione si sposta impercettibilmente da Dio all’uomo, e dalla grazia alla legge.[21]

 

Padre Thomas Weinandy rileva che questa tendenza è stata presente anche nell’opera missionaria cattolica tradizionale:

Ø      “In passato l’evangelizzazione cattolica nel Terzo Mondo, e anche nelle società occidentali, ha assunto troppo spesso la forma di sostenere soltanto una vita morale.

Ø      È chiaro che alla gente si deve insegnare la morale cristiana, ma una presentazione tanto limitata non solo è pelagiana – poiché trascura la necessità della fede in Gesùma facilmente porta anche il bagaglio culturale dell’evangelista.[22]

Questo ovviamente è un problema anche dei nostri giorni.

Ø      A tutti i livelli della Chiesa si avverte una crescente sensibilità al bisogno di porre l’accento sulla grazia di Dio:

 

Quando San Paolo parla della grazia che libera dalla legge, mentre i suoi maggiori pensieri diretti stanno con la Legge mosaica, pare che mediti anche, più o meno implicitamente, su tutto ciò che il concetto di legge contiene, forse inclusi i precetti dei Vangeli.

Ø      San Tommaso riprese l’espressione paolina “la lettera uccide”, quando scrisse: “Per lettera dobbiamo intender ogni legge scritta esteriore all’uomo, persino i precetti morali come quelli contenuti nel Vangelo.

-        Quindi, anche la lettera del Vangelo ucciderebbe se non ci fosse la presenza interiore della grazia guaritrice della fede (gratia fidei sanans)” (Summa teologica, I-II q. 106, a. 2).

Senza la grazia della fede che guarisce il nucleo del male, l’obbedienza cristiana a tutto quanto ha comandato il Signore … non solo sarebbe impossibile da praticare, ma genererebbe anche schiavitù e alienazione.[23]

 

E come disse il Cardinal Tarancon, ex Arcivescovo di Toledo, Spagna:

Ø      Oggi per la Chiesa sarebbe sbagliato pensare di imporre al mondo la morale cattolica. Senza la grazia di Dio non vi è modo che qualcuno possa vivere la morale cattolica, e tanto meno che la accetti.”[24]

E il Vescovo Christoph Schönborn, O.P., Vescovo Ausiliario di Vienna, Austria, che è stato segretario del comitato editoriale per il nuovo Catechismo, parla di come il Catechismo metta in risalto “la supremazia della grazia”.[25]

 

In noi vi è qualcosa che si ribella contro il tipo di fede fiduciosa che sola può salvare. In noi vi è qualcosa che vorrebbe per lo meno aiutare Dio nel salvarci. E mentre noi, per Sua grazia,  possiamo collaborare con Dio, la principale grazia iniziale, salvifica, è del tutto immeritata e immotivata.

Ø      Sì, ciò significa che siamo completamente in debito con Dio. Sì, significa che ciascuno di noi, senza eccezione, ha bisogno di essere tanto perdonato.

E solo chi è stato molto perdonato, ama  molto (vedi Lc 7,47).

 

Un altro nome per tutto questo è misericordia. Dio è ricco di misericordia, e Si è servito di Suor Faustina, una suora polacca di questo secolo, per sottolineare la Sua misericordia, proprio come nel diciassettesimo secolo si servì di Margaret Mary. Riconoscere la Misericordia Divina significa riconoscere la parte centrale del Vangelo.

Ø      Che siamo stati grandi peccatori o no, a tutti noi è stato perdonato molto. Rifiutarsi di ammettere il nostro bisogno di perdono, di ammettere che siamo davvero peccatori o di riconoscere il perdono che ci viene offerto è correre il rischio del suicidio, come Giuda, oppure il rischio di sprofondare sempre più nel peccato, come Lenin:

-        Di fronte al proprio peccato, al proprio crimine, al proprio errore l’uomo, da Caino a Lenin, come anche altri hanno rilevato, non riesce a perdonare se stesso, non può perdonarsi. Tutto è finito.

-        A Zurigo lo stesso Lenin usò le parole di Caino: “Il mio male è troppo grande e non può essere perdonato.

Ma è proprio quello il supremo paradosso del messaggio cristiano:

Ø      il peccato è perdonato … È questa la sorpresa, l’esperienza della compassione che ognuno può avere nella relazione con Cristo.”[26]

 


MARIOCAPALBO
00martedì 7 febbraio 2012 20:38

Mentre il mondo è ingolfato da tensioni etniche e razziali e dalla violenza, è più importante che mai rendersi conto che solo attraverso la potenza e l’opera della Croce di Cristo l’orgoglio e la paura, che stanno alla base del razzismo e dell’ostilità etnica, possono essere eliminate e sostituite dall’umiltà, dalla sicurezza, dall’amore e dal perdono:

è      Così da ora in poi, noi non consideriamo più nessuno da un punto di vista umano; e anche se abbiamo considerato Cristo dal punto di vista umano, ora non Lo conosciamo più così. Quindi se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco, il nuovo è venuto.” (2 Cor 5, 16-17).

Ammettere, nell’umiltà e nell’onestà, il nostro bisogno di Cristo, è essenziale per la nostra relazione con Lui:

è      Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l'altro pubblicano.

-        Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: O Dio, Ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte la settimana e pago le decime di quanto possiedo.

-        Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, Abbi pietà di me peccatore. Io vi dico: questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell'altro” (Lc 18, 10-14).

La nostra tendenza ad essere tiepidi, al rigorismo morale e all’autocompiacimento, ha bisogno di essere continuamente sfidata da ciò che lo Spirito continua a dire alla Chiesa e a tutti noi:

è      “Tu dici: «Sono ricco, mi sono arricchito; non ho bisogno di nulla», ma non sai di essere un infelice, un miserabile, un povero, cieco e nudo. Ti consiglio di comperare da Me oro purificato dal fuoco per diventare ricco, vesti bianche per coprirti e nascondere la tua vergognosa nudità e collirio per ungerti gli occhi e ricuperare la vista. Io tutti quelli che amo li rimprovero e li castigo. Mostrati dunque zelante e pentiti” (Ap 3, 17-19).

Quello di cui ci dobbiamo vantare è quanto Gesù Cristo ha fatto per noi sulla Croce, ed è proprio quella la preghiera di Paolo:

è       “Quanto a me invece, non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo” (Gal 6,14).

è      Giustificati quindi per la fede, noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo. Per Suo mezzo abbiamo anche ottenuto l’accesso  a questa grazia nella quale ci troviamo, e ci rallegriamo nella nostra speranza di condividere la gloria di Dio” (Rm 5, 1-2).

 

Paolo prosegue affermando che possiamo anche vantarci delle nostre afflizioni e debolezze, perché anche questo dà gloria a Dio:

è      E ancor più, noi ci rallegriamo anche delle nostre tribolazioni, ben sapendo che la tribolazione produce sopportazione, la sopportazione produce carattere, e il carattere produce la speranza. E la speranza poi non ci delude, perché l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato” (Rm 5, 3-5).

È utile notare che quando Dio dà grandi benedizioni e rivelazioni, fornisce anche le circostanze che ci aiutano a non diventare orgogliosi:

è      Ma evito di farlo, perché nessuno mi giudichi più di quello che vede o sente da me.

-        Perché non montassi in superbia per la grandezza delle rivelazioni, mi è stata messa una spina nella carne, un inviato di Satana incaricato di schiaffeggiarmi, perché io non vada in superbia.

-        A causa di questo per ben tre volte ho pregato il Signore che l'allontanasse da me. Ed Egli mi ha detto: "Ti basta la Mia grazia; la Mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza".

-        Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò,

per amore di Cristo mi compiaccio delle mie infermità, degli oltraggi, delle necessità, delle persecuzioni, delle angosce sofferte; quando sono debole, è allora che sono forte” (2 Cor 12, 6-10).

 

L’orgoglio non va spezzato solo all’inizio della vita cristiana, ma lungo tutto il cammino.

Ø      Siamo portati ad attribuire a noi stessi, ai nostri sforzi, alla nostra intelligenza, al duro lavoro e alle nostre virtù personali ciò che dovrebbe realmente essere attribuito alla grazia di Dio.

Ø      Cosa abbiamo mai, che non abbiamo ricevuto? Possiamo fare questo sia come individui, sia come parte dei vari gruppi ai quali partecipiamo.

L’orgoglio individuale e anche di gruppo possono diventare entrambi gravi ostacoli al progetto di Dio di rivelare Cristo al mondo.

Ø      È necessario che ci togliamo di mezzo e che ci uniamo al Padre nell’indicare Gesù.

Lo facciamo non solo nella nostra resa iniziale a Cristo, ma anche nel proseguimento della vita di fede, vissuta ogni giorno nella dipendenza dal Figlio di Dio.

 

 

 

 

 

 

 



[1] Citato in "Disappointment with Trotsky", di Philip Yancey, Christianity Today, 10 febbraio, 1992, p. 104.

[2] Padre Raniero Cantalamessa, La Vita nella Signoria di Cristo (Editrice Ancora, Milano, 1986), pp. 45-46. (ing.)

[3] Ralph Martin, “Community: A Work in Progress”, Faith and Renewal,gennaio-febbraio 1993, pp. 3-8.

[4] Vescovo Paul Corders, Charisms and New Evangelization (Middlegreen, Slough, U.K.: St. Paul Publications, 1992), pp. 153-56.

[5] Cardinal Angel Sequia, “The New Evangelization: Some Tasks and Risks of the Present, Communio, Inverno 1992.

[6] Cantalamessa, La Vita nella Signoria di Cristo, pp. x-xi.

[7] Yves Congar, “The Pope Also Obeys”, 30 Days, n. 3 (1993): 29.

[8] Cantalamessa, La Vita nella Signoria di Cristo, pp. 146-47.

[9] Padre Benedict J. Greschel, C.F.R., The Reform of Renewal (San Francisco: Ignatius Press, 1990), p. 44.

[10] Decreto sull’Ecumenismo Unitatis Redintegratio, 24.

[11] Cantalamessa, La Vita nella Signoria di Cristo, pp. 45.

[12] Peter Kreeft, “Luther, Faith and Good Works”, National Catholic Register, 10 novembre 1991, p.8.

[13] Peter Kreeft, “Protestant Bring Personal Touch to the Life of Faith”, National Catholic Register, 24 aprile 1994, pp. 1, 7.

[14] Giovanni Paolo II, “New Catechism Will Promote National Recatechizing Effort”, L’Osservatore Romano (ed.  inglese), 24 marzo, 1993, p. 3.

[15] Giovanni Paolo II, “Christ Reopens the Way to God for Us”, L’Osservatore Romano (ed.  inglese), 10 marzo, 1993, p. 2.

[16] Citato in Cantalamessa: La Vita nella Signoria di Cristo, pp. 49.

[17] Cardinal Godfried Danneels, Christ or Aquarius? Exploring the New Age Movement (Dublino: Veritas Publications, 1992), pp. 38-39.

[18] Arcivescovo Jean Honoré, Catechism Presents Morality as a Lived Experience of Faith in Christ”, L’Osservatore Romano (ed.  inglese), 12 maggio, 1993, p. 10.

[19] Cardinal Ratzinger e Andrea Tornielli, “Testimonies in the Pagan Age”, 30 Days, n. 11 (1992): 29.

[20] Carl Anderson, “Realistic Catechesis on the Family”, testo da pubblicare in una collezione degli eventi dell’Istituto  Giovanni XXIII a Brighton, Massachussetts, U.S.A..

[21] Cantalamessa, La Vita nella Signoria di Cristo, pp. 152-53.

[22] Padre Thomas Weinandy, “Why Catholics Find it So Hard to Evangelize”, New Covenant, ottobre 1993, p. 19.

[23] Editoriale, 30 Days, n. 5 (1993): 3.

[24] Cardinal Vicente Enrique Y Tarancon e Andrea Tornielli, “Morality and Grace”, 30 Days, n. 5 (1993): 8.

[25] Christoph Schönborn, O.P., “The Divine Economy Interwoven through New Catechetical Work”, L’Osservatore Romano (ed. inglese), 17 marzo 1993, p. 4.

[26] Mons. Luigi Giussani, “Reflection: By Grace, Always”, 30 Days, n. 3 (1993): 71.
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