"Il mondo ha bisogno di tenerezza".

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MARIOCAPALBO
00giovedì 25 dicembre 2014 13:09
Papa Francesco a Natale

"Il mondo ha bisogno di tenerezza". Il messaggio del Papa nella messa di Natale
"Il mondo ha bisogno di tenerezza". Il messaggio del Papa nella messa di Natale
"Dio è più forte delle tenebre e della corruzione", ha detto Bergoglio nell'omelia. "E ci guarda con occhi colmi di affetto, innamorato della nostra piccolezza". Prima della cerimonia, ha chiamato i rifugiati iracheni: "Voi siete come Gesù cacciato la notte di Natale"
CITTÀ DEL VATICANO - "Quanto bisogno di tenerezza ha oggi il mondo!". E ancora: "Lungo il cammino della storia, la luce che squarcia il buio ci rivela che Dio è Padre e che la sua paziente fedeltà è più forte delle tenebre e della corruzione". Nella seconda messa di Natale nel suo pontificato, Papa Francesco torna a usare una parola amata: tenerezza. L'aveva pronunciata molte altre volte, anche nella messa di inizio pontificato.  La "tenerezza di Dio" verso l'uomo, in un mondo così segnato dalla violenza, incarnata in "un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia", la cui venuta è "la luce che squarcia il buio". C'è la dolcezza, nel suo messaggio. Ma anche le parole dure nei confronti di chi non vede la luce di Dio: "La grande luce della nascita di Gesù non la videro gli arroganti, i superbi, coloro che stabiliscono le leggi secondo i propri criteri personali, quelli che assumono atteggiamenti di chiusura". 
Bergoglio è entrato in processione nella basilica di San Pietro, gremita da 5mila fedeli. Alle 21.15, in anticipo rispetto agli altri precedenti. Fuori, altre migliaia di persone davanti ai maxi-schermi. Mentre le campane della basilica suonavano a distesa. Francesco ha poi incensato un bambinello portato da due piccoli, uno libanese e uno siriano, segno di attenzione verso quei popoli sofferenti. Lo stesso bambinello poi Francesco l'ha preso in braccio al termine della messa e ha percorso in processione la navata centrale per portarla nel presepe in fondo alla basilica, nella Cappella della Presentazione.

Qui è stata deposta l'immagine del Gesù Bambino, e i mazzi di fiori portati dai bambini in abiti tradizionali, provenienti dai diversi continenti. Bambini in arrivo da Paesi toccati dai viaggi recenti e prossimi del Pontefice, da Italia, Filippine, Corea (il più giovane di cinque anni). Il Papa, prima di uscire in processione dalla basilica, li ha salutati e abbracciati tutti, uno ad uno, e con uno di loro ha anche fatto il gesto di scambiarsi lo zucchetto bianco.

All'inizio della celebrazione, il Papa ha ascoltato in ginocchio una delle novità della cerimonia di quest'anno, l"Et incarnatus est" della Messa in Do minore K427 di Wolfgang Amadeus Mozart, da parte dell'Orchestra Sinfonica di Pittsburgh diretta dall'austriaco Manfred Honeck e della solista Chen Reiss, soprano di origini israeliane. 
"Lungo il cammino della storia, la luce che squarcia il buio ci rivela che Dio è Padre e che la sua paziente fedeltà è più forte delle tenebre e della corruzione, in questo consiste l'annuncio della notte di Natale", ha detto cominciando l'omelia. "Dio non conosce lo scatto d'ira e l'impazienza; è sempre lì, come il padre della parabola del figlio prodigo, in attesa di intravedere da lontano il ritorno del figlio perduto", ha aggiunto. "L'origine delle tenebre che avvolgono il mondo affondano nella notte dei tempi, ma Dio aspettava. Un Dio che ci guarda con occhi colmi di affetto, che accetta la nostra miseria, innamorato della nostra piccolezza".

Poi ha domandato: "Abbiamo il coraggio di accogliere con tenerezza le situazioni difficili e i problemi di chi ci sta accanto, oppure preferiamo le soluzioni impersonali, magari efficienti ma prive del calore del Vangelo? Quanto bisogno di tenerezza ha oggi il mondo!". "La vita va affrontata con bontà, con mansuetudine", ha aggiunto.

In un mondo ancora segnato da "violenze, guerre, odio, sopraffazione", ci sarebbe invece tanto bisogno di "tenerezza", è dunque il messaggio dell'omelia. E i drammi del Medio Oriente sono nel cuore di Bergoglio. Nel pomeriggio, aveva telefonato ai profughi di Mosul e della Piana di Ninive che si trovano dallo scorso agosto nel Kurdistan iracheno, nei campi allestiti ad Erbil. Il Pontefice si è rivolto in particolare ai bambini e agli anziani, che pagano il prezzo più alto di questo Natale da esuli. Un'iniziativa che arriva all'indomani del messaggio sul Medio Oriente, quella lettera in cui ha annunciato: "Verrò a confortarvi nella vostra terra".  

"'Voi siete come Gesù la notte del suo Natale, quando è stato cacciato via. Siete come Gesù in questa situazione e questo fa pregare di più per voi", ha detto Francesco al telefono con il campo profughi di Ankawa. E ancora: "Nel mio cuore ci sono i bambini e gli anziani. I bambini innocenti, i bambini morti, sfruttati, pensiamo ai bambini mentre Gesù viene da noi. E penso ai nonni, agli anziani hanno vissuto la vita e adesso soffrono questa croce. Ci diano la saggezza". 

Qualche ora prima il messaggio su twitter, l'ultimo prima di Natale.




MARIOCAPALBO
00giovedì 25 dicembre 2014 13:10
OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

SANTA MESSA DELLA NOTTE


SOLENNITÀ DELLA NATIVITÀ DEL SIGNORE


OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO


Basilica Vaticana
Mercoledì, 24 dicembre 2014

 


 

«Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse» (Is9,1). «Un angelo del Signore si presentò [ai pastori] e la gloria del Signore li avvolse di luce» (Lc 2,9). Così la liturgia di questa santa notte di Natale ci presenta la nascita del Salvatore: come luce che penetra e dissolve la più densa oscurità. La presenza del Signore in mezzo al suo popolo cancella il peso della sconfitta e la tristezza della schiavitù, e instaura la gioia e la letizia.

Anche noi, in questa notte benedetta, siamo venuti alla casa di Dio attraversando le tenebre che avvolgono la terra, ma guidati dalla fiamma della fede che illumina i nostri passi e  animati dalla speranza di trovare la “grande luce”. Aprendo il nostro cuore, abbiamo anche noi la possibilità di contemplare il miracolo di quel bambino-sole che rischiara l’orizzonte sorgendo dall’alto.

L’origine delle tenebre che avvolgono il mondo si perde nella notte dei tempi. Ripensiamo all’oscuro momento in cui fu commesso il primo crimine dell’umanità, quando la mano di Caino, accecato dall’invidia, colpì a morte il fratello Abele (cfr Gen 4,8). Così, il corso dei secoli è stato segnato da violenze, guerre, odio, sopraffazione. Ma Dio, che aveva riposto le proprie attese nell’uomo fatto a sua immagine e somiglianza, aspettava. Dio aspettava. Egli ha atteso talmente a lungo che forse ad un certo punto avrebbe dovuto rinunciare. Invece non poteva rinunciare, non poteva rinnegare sé stesso (cfr 2 Tm 2,13). Perciò ha continuato ad aspettare con pazienza di fronte alla corruzione di uomini e popoli. La pazienza di Dio. Quanto è difficile capire questo: la pazienza di Dio verso di noi!

Lungo il cammino della storia, la luce che squarcia il buio ci rivela che Dio è Padre e che la sua paziente fedeltà è più forte delle tenebre e della corruzione. In questo consiste l’annuncio della notte di Natale. Dio non conosce lo scatto d’ira e l’impazienza; è sempre lì, come il padre della parabola del figlio prodigo, in attesa di intravedere da lontano il ritorno del figlio perduto; e tutti i giorni, con pazienza. La pazienza di Dio.

La profezia di Isaia annuncia il sorgere di una immensa luce che squarcia il buio. Essa nasce a Betlemme e viene accolta dalle mani amorevoli di Maria, dall’affetto di Giuseppe, dallo stupore dei pastori. Quando gli angeli annunciarono ai pastori la nascita del Redentore, lo fecero con queste parole: «Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia» (Lc 2,12). Il “segno” è proprio l’umiltà di Dio, l’umiltà di Dio portata all’estremo; è l’amore con cui, quella notte, Egli ha assunto la nostra fragilità, la nostra sofferenza, le nostre angosce, i nostri desideri e i nostri limiti. Il messaggio che tutti aspettavano, quello che tutti cercavano nel profondo della propria anima, non era altro che la tenerezza di Dio: Dio che ci guarda con occhi colmi di affetto, che accetta la nostra miseria, Dio innamorato della nostra piccolezza.

In questa santa notte, mentre contempliamo il Bambino Gesù appena nato e deposto in una mangiatoia, siamo invitati a riflettere. Come accogliamo la tenerezza di Dio? Mi lascio raggiungere da Lui, mi lascio abbracciare, oppure gli impedisco di avvicinarsi? “Ma io cerco il Signore” – potremmo ribattere. Tuttavia, la cosa più importante non è cercarlo, bensì lasciare che sia Lui a cercarmi, a trovarmi e ad accarezzarmi con amorevolezza. Questa è la domanda che il Bambino ci pone con la sua sola presenza: permetto a Dio di volermi bene?

E ancora: abbiamo il coraggio di accogliere con tenerezza le situazioni difficili e i problemi di chi ci sta accanto, oppure preferiamo le soluzioni impersonali, magari efficienti ma prive del calore del Vangelo? Quanto bisogno di tenerezza ha oggi il mondo! Pazienza di Dio, vicinanza di Dio, tenerezza di Dio.

La risposta del cristiano non può essere diversa da quella che Dio dà alla nostra piccolezza. La vita va affrontata con bontà, con mansuetudine. Quando ci rendiamo conto che Dio è innamorato della nostra piccolezza, che Egli stesso si fa piccolo per incontrarci meglio, non possiamo non aprirgli il nostro cuore, e supplicarlo: “Signore, aiutami ad essere come te, donami la grazia della tenerezza nelle circostanze più dure della vita, donami la grazia della prossimità di fronte ad ogni necessità, della mitezza in qualsiasi conflitto”.

Cari fratelli e sorelle, in questa notte santa contempliamo il presepe: lì «il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce» (Is 9,1). La vide la gente semplice, la gente disposta ad accogliere il dono di Dio. Al contrario, non la videro gli arroganti, i superbi, coloro che stabiliscono le leggi secondo i propri criteri personali, quelli che assumono atteggiamenti di chiusura. Guardiamo il presepe e preghiamo, chiedendo alla Vergine Madre: “O Maria, mostraci Gesù!”.


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