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IL SENSUS FIDEI NELLA VITA DELLA CHIESA

Ultimo Aggiornamento: 20/02/2015 18:56
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20/02/2015 18:55
 
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101. Richiedendo fondamentalmente un’imitatio Christi (cf. Fil 2,5-8), la santità implica essenzialmente l’umiltà. Un’umiltà che è agli antipodi dell’esitazione o della timidezza; essa è un atto di libertà spirituale. La franchezza (παρρησία), sull’esempio di Cristo stesso (cf. Gv 18,20), è dunque legata all’umiltà ed è anch’essa una caratteristica del sensus fidei. Il primo luogo nel quale praticare l’umiltà è la Chiesa stessa. L’umiltà non è una virtù che soltanto i laici dovrebbero esercitare verso i pastori, ma è altresì un dovere per i pastori nell’esercizio del loro ministero a favore della Chiesa. Gesù ha insegnato ai Dodici: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti» (Mc 9,35). L’umiltà si vive riconoscendo abitualmente la verità della fede, il ministero dei pastori e le necessità dei fedeli, specialmente dei più deboli.


102. Un indizio sicuro di santità sono «la pace e la gioia nello Spirito Santo» (Rm 14,17; cf. 1Ts 1,6). Questi doni si manifestano prima di tutto su un piano spirituale, non psicologico o emozionale. Sono la pace del cuore e la gioia tranquilla di colui che ha trovato il tesoro della salvezza, la perla di grande valore (cf. Mt 13,44-46). La pace e la gioia sono due dei frutti più caratteristici dello Spirito Santo (cf. Gal 5,22). È lo Spirito Santo che «[muove] il cuore e lo [rivolge] a Dio, apre gli occhi dello spirito e [dà] “a tutti dolcezza nel consentire e nel credere alla verità [omnibus suavitatem in consentiendo et credendo veritati]”».[120] La gioia è il contrario dell’amarezza e della collera che rattristano lo Spirito Santo (cf. Ef 4,31) ed è la pietra di paragone della salvezza.[121] San Pietro esorta i cristiani a rallegrarsi di condividere le sofferenze di Cristo, «perché anche nella rivelazione della sua gloria possiate rallegrarvi ed esultare» (1Pt 4,13).


103. I soggetti del sensus fidei sono i membri della Chiesa che intendono l’appello pressante di san Paolo e vi rispondono: «Rendete piena la mia gioia con un medesimo sentire e con la stessa carità, rimanendo unanimi e concordi. Non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, in tutta umiltà consideri gli altri superiori a se stesso» (Fil 2,2-3).


f) La ricerca dell’edificazione della Chiesa


104. Un’autentica manifestazione del sensus fidei contribuisce a edificare la Chiesa come un solo corpo, senza nutrire nel suo seno divisioni o particolarismi. Nella Prima lettera ai Corinzi questa edificazione è l’essenza stessa della partecipazione alla vita e alla missione della Chiesa (cf. 1Cor 14). Edificare significa costruire la Chiesa, sia nella coscienza interiore della sua fede sia nei nuovi membri che desiderano essere battezzati nella fede della Chiesa. La Chiesa è la casa di Dio, un tempio santo, costituita dai fedeli che hanno ricevuto lo Spirito Santo (cf. 1Cor 3,10-17). Costruire la Chiesa significa impegnarsi a scoprire e sviluppare i propri doni, come pure aiutare gli altri a scoprire e sviluppare i loro carismi; correggere i loro errori e accettare anche per sé la correzione, in uno spirito di carità cristiana; collaborare con gli altri e pregare insieme a essi; condividere le loro gioie e le loro pene (cf. 1Cor 12,12.26).


105. I soggetti del sensus fidei sono i membri della Chiesa che riflettono ciò che san Paolo dice ai Corinzi: «A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune» (1Cor 12,7).


2. Applicazioni


106. Occorre completare la trattazione delle disposizioni proprie del sensus fidei considerando alcune importanti questioni pratiche e pastorali, che riguardano in particolare la relazione fra ilsensus fidei e la religiosità popolare, la necessaria distinzione fra il sensus fidei, da una parte, e l’opinione pubblica o maggioritaria, dall’altra, e il modo di consultare i fedeli in materia di fede e di morale. Ciascuno dei punti sarà di seguito considerato.


a) Il sensus fidei e la religiosità popolare


107. Vi è una «religiosità» naturale negli uomini; le questioni religiose si presentano naturalmente in ogni vita umana, suscitando una ricca diversità di credenze religiose e di pratiche popolari. Il fenomeno della religiosità popolare è stato oggetto di grande attenzione e di numerosi studi nel recente passato.[122]


108. Vi è un utilizzo più specifico della nozione di «religiosità popolare»: esso si riferisce alla grande varietà di manifestazioni della fede cristiana che si ritrova in seno al popolo di Dio, nella Chiesa. Si riferisce soprattutto alla «saggezza cattolica del popolo», che si esprime in tanti modi diversi. Questa saggezza «unisce, in modo creativo, il divino e l’umano, Cristo e Maria, lo spirito e il corpo, la comunione e l’istituzione, la persona e la comunità, la fede e la patria, l’intelligenza e il sentimento», ed essa «è anche, per il popolo, un principio di discernimento, un istinto evangelico che gli fa spontaneamente percepire quando il Vangelo è al primo posto nella Chiesa, o quando esso è svuotato del suo contenuto e soffocato da altri interessi».[123] In quanto saggezza, principio e istinto, la religiosità popolare ha con tutta evidenza uno stretto legame con il sensus fidei, e va esaminata attentamente nel quadro nel presente studio.


109. Le parole di Gesù, «ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli» (Mt 11,25; Lc 10,21), sono di grande pertinenza in questo contesto. Esse segnalano la saggezza e l’intuizione per le cose di Dio donate a coloro che hanno una fede umile. Grandi moltitudini di umili credenti cristiani (e di persone che si trovano al di là dei confini visibili della Chiesa) hanno, almeno in potenza, un accesso privilegiato alle verità profonde di Dio. La religiosità popolare proviene in particolare dalla conoscenza di Dio accordata a queste persone. Essa è «la manifestazione di una vita teologale animata dall’azione dello Spirito Santo che è stato riversato nei nostri cuori (cf. Rm 5,5)».[124]


110. Sia come principio o istinto sia in quanto ricca diversità di pratiche cristiane, in particolare sotto forma di pratiche cultuali come le devozioni, i pellegrinaggi e le processioni, la religiosità popolare proviene dal sensus fidei e lo manifesta. Essa va rispettata e promossa. È necessario riconoscere che la pietà popolare è «la prima e fondamentale forma di “inculturazione” della fede».[125] Una tale pietà è «una realtà ecclesiale promossa e sorretta dallo Spirito»,[126] per la quale il popolo di Dio riceve in verità l’unzione di «un sacerdozio santo». È naturale che il sacerdozio del popolo si esprima in una grande varietà di forme.


111. L’azione sacerdotale del popolo trova a buon diritto il suo vertice nella liturgia, e occorre vigilare affinché le devozioni popolari siano regolate «in modo da armonizzarsi con la liturgia».[127]Più in generale, come ha insegnato papa Paolo VI, per il fatto che rischia di essere penetrata di «molte deformazioni della religione, anzi di superstizioni», la religiosità popolare ha bisogno di essere evangelizzata.[128] Tuttavia, se mantenuta con cura in tal senso e «ben orientata», essa è, scrive il papa, «ricca di valori». «Essa manifesta una sete di Dio che solo i semplici e i poveri possono conoscere; rende capaci di generosità e di sacrificio fino all’eroismo, quando si tratta di manifestare la fede; comporta un senso acuto degli attributi profondi di Dio: la paternità, la provvidenza, la presenza amorosa e costante; genera atteggiamenti interiori raramente osservati altrove al medesimo grado: pazienza, senso della croce nella vita quotidiana, distacco, apertura agli altri, devozione. (...) Ben orientata, questa religiosità popolare può essere sempre più, per le nostre masse popolari, un vero incontro con Dio in Gesù Cristo».[129] Nell’ammirazione per le parole a lui rivolte dall’anziana donna,[130] papa Francesco faceva eco alla stima qui espressa da Paolo VI. Ancora una volta, una religiosità popolare ben orientata può considerarsi una manifestazione e un’espressione delsensus fidei, sia per l’intuizione dei misteri profondi del Vangelo sia per la coraggiosa testimonianza di fede.


112. Si può affermare che la religiosità popolare è ben orientata quando essa è veramente «ecclesiale». Nel medesimo testo, Paolo VI ha indicato alcuni criteri di ecclesialità. Essere ecclesiali significa nutrirsi della parola di Dio; non essere politicizzati né intrappolati da ideologie; restare saldamente in comunione sia con la Chiesa locale sia con la Chiesa universale, con i pastori della Chiesa e con il magistero; possedere un grande ardore missionario.[131] Questi criteri indicano quali condizioni sono richieste affinché la religiosità popolare, come pure il sensus fidei che la sostiene, siano autentiche. Nella loro forma autentica, come indica il criterio finale, l’una e l’altra costituiscono grandi risorse per la missione della Chiesa. Papa Francesco sottolinea «la forza missionaria» della pietà popolare e afferma, cosa che può essere vista come un riferimento al sensus fidei, che «nella pietà popolare» si trova anche «una forza attivamente evangelizzatrice che non possiamo sottovalutare; sarebbe come disconoscere l’opera dello Spirito Santo».[132]


b) Il sensus fidei e l’opinione pubblica


113. Uno degli argomenti più delicati è quello delle relazioni fra il sensus fidei e l’opinione pubblica o della maggioranza, sia all’interno sia all’esterno della Chiesa. L’opinione pubblica è un concetto sociologico che si applica anzitutto alle società politiche. L’emergere dell’opinione pubblica è legata alla nascita e allo sviluppo del modello politico della democrazia rappresentativa. Nella misura in cui il potere politico trova la propria legittimità nel popolo, questo deve poter fare conoscere il suo pensiero e il potere politico deve tenerne conto nell’esercizio del governo. L’opinione pubblica è dunque essenziale al buon funzionamento della vita democratica ed è importante che sia illuminata e informata in maniera competente e onesta. È questo il ruolo dei mass media, che contribuiscono grandemente al bene comune della società nella misura in cui non cercano di manipolare l’opinione per favorire interessi particolari.


114. La Chiesa apprezza gli alti valori umani e morali adottati dalla democrazia, ma non è strutturata secondo i principi di una società politica secolare. La Chiesa, che è il mistero della comunione degli uomini con Dio, trae la propria costituzione da Cristo. È da lui che deriva la sua struttura interna e i suoi propri principi di governo. L’opinione pubblica non può dunque rivestire nella Chiesa il ruolo determinante che questa legittimamente ha nelle società politiche, le quali si fondano sul principio della sovranità popolare, anche se in realtà essa ha un ruolo nella Chiesa, come cercheremo di chiarire di seguito.


115. I mass media trattano spesso di questioni religiose. L’interesse del pubblico per i temi inerenti la fede è un buon segno, e la libertà di stampa è un fondamentale diritto umano. La Chiesa cattolica non teme la discussione né la controversia a proposito dei propri insegnamenti. Al contrario, essa accoglie il dibattito come un segno di libertà religiosa. Ciascuno è libero sia di criticarla sia di difenderla. Essa ritiene, infatti, che una critica giusta e costruttiva possa esserle d’aiuto nel percepire più chiaramente determinati problemi e apportarvi soluzioni migliori. La Chiesa, a sua volta, è libera di criticare gli attacchi ingiustificati e deve poter avere accesso ai media, se necessario, per difendere la fede. Apprezza il fatto che i media indipendenti la invitino a portare il suo contributo ai dibattiti pubblici. Non desidera il monopolio dell’informazione, ma riconosce il valore della pluralità delle opinioni e del loro scambio. Tuttavia, essa conosce anche l’importanza di informare la società sul senso genuino e sul contenuto della propria fede e del proprio insegnamento morale.


116. Con sempre maggiore frequenza si ascolta nella Chiesa la voce dei laici, con posizioni tanto conservatrici quanto progressiste, ma in generale per una partecipazione costruttiva alla vita e alla missione ecclesiali. L’immenso sviluppo che l’educazione ha portato alla società ha avuto una considerevole ricaduta sulle relazioni interne alla Chiesa. Essa si è impegnata in tutto il mondo a sostenere programmi di educazione intesi a dare voce e diritti alle persone. È dunque un buon segno se oggi molti si interessano all’insegnamento della Chiesa, alla sua liturgia e alla sua missione di servizio. Numerosi membri della comunità ecclesiale desiderano esercitare le rispettive competenze e partecipare secondo modalità proprie alla vita della Chiesa. Essi si organizzano in parrocchia, oppure in gruppi e movimenti diversi, al fine di edificare la Chiesa e di influire sulla società, e cercano attraverso i media di prendere contatto con altri credenti e con le persone di buona volontà.


117. Le nuove reti di comunicazione, sia all’interno sia all’esterno della Chiesa, richiedono nuove forme di attenzione e di critica, come pure un rinnovamento dei metodi di discernimento. Determinate influenze provenienti da gruppi di interesse particolari non sono compatibili, o non lo sono del tutto, con la fede cattolica. Determinate convinzioni non possono applicarsi che in luoghi o in epoche particolari ed esistono pressioni per indebolire il ruolo della fede nel dibattito pubblico o per adattare la dottrina cristiana tradizionale a interessi e opinioni moderni.


118. È evidente che non è possibile identificare in modo puro e semplice il sensus fidei con l’opinione pubblica o della maggioranza. Non sono in alcun modo la stessa cosa.


i) Innanzitutto, il sensus fidei ha un legame evidente con la fede, e la fede è un dono che non tutti possiedono necessariamente; dunque, il sensus fidei non si può affatto assimilare all’opinione pubblica della società nel suo insieme. Inoltre, se la fede cristiana è certamente il fattore primario che unisce i membri della Chiesa, nondimeno tante influenze diverse si associano a formare i punti di vista dei cristiani che vivono nel mondo contemporaneo; come mostra implicitamente il precedente discorso sulle disposizioni, il sensus fidei non può neppure identificarsi in modo puro e semplice con l’opinione pubblica o maggioritaria nella Chiesa. La fede, e non l’opinione, è il punto di riferimento al quale occorre necessariamente prestare attenzione. Spesso l’opinione non è che l’espressione, soggetta a frequenti cambiamenti e transitoria, delle tendenze o dei desideri di un determinato gruppo o di una certa cultura, mentre la fede è l’eco dell’unico Vangelo che è valido per tutti i tempi e per tutti i luoghi.


ii) Spesso nella storia del popolo di Dio non è stata la maggioranza, ma piuttosto una minoranza a vivere autenticamente la fede a renderle testimonianza. L’Antico Testamento conosce il «resto santo» dei credenti, talvolta numericamente esiguo davanti ai re, ai sacerdoti e alla maggioranza degli israeliti. Il cristianesimo stesso ha avuto inizio come una piccola minoranza, biasimata e perseguitata dalle pubbliche autorità. Nella storia della Chiesa i movimenti evangelici, come i francescani e i domenicani, o più tardi i gesuiti, sono cominciati come piccoli gruppi guardati con sospetto da taluni vescovi e teologi. Oggi, in tanti paesi, i cristiani subiscono forti pressioni da parte di altre religioni o ideologie secolari intese a far loro abbandonare la verità della fede e indebolire i legami nella comunità ecclesiale. È dunque particolarmente importante discernere e ascoltare le voci dei «piccoli che credono» (Mc 9,42).


119. È assolutamente necessario fare distinzione fra il sensus fidei e l’opinione pubblica o della maggioranza, e per questo si devono riconoscere le disposizioni necessarie per partecipare alsensus fidei, come quelle descritte sopra. È tuttavia l’intero popolo di Dio che, nella sua intima unità, confessa e vive la vera fede. Il magistero e la teologia devono operare senza sosta per rinnovare la presentazione della fede nelle diverse situazioni, confrontando, se necessario, le concezioni dominanti della verità cristiana con l’autentica verità del Vangelo; ma è opportuno ricordare che l’esperienza della Chiesa dimostra come alle volte la verità della fede sia stata conservata non dagli sforzi dei teologi né dall’insegnamento della maggioranza dei vescovi, ma nel cuore dei credenti.


c) Le vie per consultare i fedeli


120. Fra tutti i fedeli vi è autentica uguaglianza di dignità, poiché mediante il battesimo tutti sono rinati in Cristo. «Per tale uguaglianza tutti cooperano all’edificazione del corpo di Cristo, secondo la condizione e i compiti propri di ciascuno».[133] Tutti i fedeli «in modo proporzionato alla scienza e al prestigio di cui godono» hanno dunque «il diritto, e anzi talvolta anche il dovere, di manifestare ai sacri pastori il loro pensiero su ciò che riguarda il bene della Chiesa; e di renderlo noto agli altri fedeli, salva restando l’integrità della fede e dei costumi e il rispetto verso i pastori, tenendo inoltre presente l’utilità comune e la dignità delle persone».[134] Occorre di conseguenza che i fedeli, e particolarmente i laici, siano trattati con rispetto e considerazione dai pastori della Chiesa, e che siano adeguatamente consultati in vista del bene della Chiesa.


121. La parola «consultare» implica l’idea di ricercare un giudizio o un consiglio, così come quella di indagare su determinate questioni. Da un lato, in materia di governo e di questioni pastorali, i pastori della Chiesa possono e devono in alcuni casi consultare i fedeli, nel senso di domandare loro parere o un giudizio. Dall’altro, quando il magistero definisce una dottrina è opportuno consultare i fedeli nel senso di indagare su un dato di fatto, «poiché il corpo dei fedeli è uno dei testimoni del fatto della tradizione della dottrina rivelata, e poiché il loro consenso nella cristianità è la voce della Chiesa infallibile».[135]


122. La pratica di consultare i fedeli non è nuova nella vita della Chiesa. Nella Chiesa del Medioevo si utilizzava un principio del diritto romano: Quod omnes tangit, ab omibus tractari et approbari debet (ciò che riguarda tutti deve essere trattato e approvato da tutti). Nei tre campi della vita della Chiesa (fede, sacramenti, governo), «la tradizione univa a una struttura gerarchica un regime concreto di associazione e di accordo», e si riteneva che fosse «una prassi apostolica» o «una tradizione apostolica».[136]


123. Sorgono problemi quando la maggioranza dei fedeli resta indifferente alle decisioni dottrinali o morali del magistero, o quando le rifiuta del tutto. Questa mancata recezione può essere segno di una debolezza o di una mancanza di fede da parte del popolo di Dio, provocate dall’assunzione non sufficientemente critica della cultura contemporanea. Ma in taluni casi, può essere segno che determinate decisioni sono state prese da chi ne ha autorità senza tenere in debito conto l’esperienza e il sensus fidei dei fedeli, o senza che il magistero abbia consultato a sufficienza i fedeli.[137]


124. È del tutto naturale che fra i membri della Chiesa esista una continua comunicazione e un dialogo assiduo sulle questioni pratiche e in materia di fede e di morale. L’opinione pubblica è una forma importante di tale comunicazione interna alla Chiesa. «La Chiesa è un corpo vivo e ha bisogno dell’opinione pubblica, che è alimentata dal colloquio fra le diverse membra. Solo a questa condizione essa può diffondere la sua dottrina e allargare il cerchio della sua influenza».[138] Fu poco dopo il Vaticano II che questo pubblico scambio di pensiero e di opinioni nella Chiesa trovò approvazione, e precisamente sulla base dell’insegnamento conciliare sul sensus fidei e sull’amore cristiano, e i fedeli furono fortemente incoraggiati a prendere parte attiva a questo pubblico scambio. «È necessario che i cattolici siano pienamente coscienti di avere quella vera libertà di parola e di espressione, che si fonda sul “senso della fede” [il sensus fidei] e sulla carità. Sul “senso della fede” che è suscitato e alimentato dallo Spirito di verità, perché il popolo di Dio, sotto la guida del sacro magistero e rispettoso dei suoi insegnamenti, aderisca indefettibilmente alla fede trasmessa e con retto giudizio penetri in essa più a fondo e più pienamente l’applichi alla vita (LG 12). Sulla carità, poi, che viene sublimata dalla comunione con la libertà di Cristo, il quale, liberandoci dal peccato, ci ha fatti capaci di giudicare ogni cosa con libertà in armonia con la sua volontà. Chi ha responsabilità nella Chiesa procuri d’intensificare nella comunità il libero scambio di parola e di legittime opinioni ed emani pertanto norme che favoriscano le condizioni necessarie per questo scopo».[139]


125. Questo pubblico scambio di opinioni è un mezzo fondamentale attraverso cui è possibile valutare di norma il sensus fidelium. Dopo il concilio Vaticano II sono stati tuttavia istituzionalizzati diversi strumenti mediante i quali i fedeli possono essere ascoltati e consultati in modo più formale; sono tali i concili particolari, ai quali presbiteri e altri fedeli di Cristo possono essere invitati;[140] i sinodi diocesani, ai quali il vescovo diocesano può ugualmente invitare come membri dei laici;[141]il consiglio pastorale di ciascuna diocesi, che «è composto da fedeli che siano in piena comunione con la Chiesa cattolica, sia chierici, sia membri di istituti di vita consacrata, sia soprattutto laici»;[142] e i consigli pastorali nelle parrocchie, ove «i fedeli, insieme con coloro che partecipano alla cura pastorale della parrocchia in forza del proprio ufficio, prestano il loro aiuto nel promuovere l’attività pastorale».[143]


126. Strutture di consultazione come le suddette possono rivelarsi molto utili per la Chiesa, ma soltanto se pastori e laici rispettano i loro carismi propri e hanno una cura costante per l’ascolto reciproco di esperienze e preoccupazioni. Un ascolto pieno di umiltà a tutti i livelli e un’adeguata consultazione di quanti sono coinvolti costituiscono aspetti essenziali di una Chiesa viva e vivente.


Conclusione


127. Il Vaticano II è stato una nuova Pentecoste,[144] che ha preparato la Chiesa a quella nuova evangelizzazione che, dopo il Concilio, i pontefici non hanno cessato di invocare. Il Concilio ha posto in una nuova luce l’idea della Tradizione, secondo la quale tutti i battezzati sono provvisti di un sensus fidei e tale sensus fidei è una risorsa fra le più importanti per la nuova evangelizzazione.[145] Grazie ad esso i fedeli sono in grado non soltanto di riconoscere quanto è in accordo con il Vangelo e di rifiutare quello che gli è contrario, ma anche di percepire ciò che papa Francesco ha chiamato «nuove vie per il cammino» di fede dell’intero popolo pellegrino. Una delle ragioni per le quali vescovi e presbiteri devono essere vicini al loro popolo in cammino e devono camminare con esso è precisamente perché sia loro possibile riconoscere queste «nuove vie» che il popolo percepisce.[146] Il discernimento di queste nuove vie, che lo Spirito Santo apre e illumina, sarà vitale per la nuova evangelizzazione.


128. Il sensus fidei è strettamente legato all’«infallibilitas in credendo» che possiede la Chiesa nel suo insieme, quale «soggetto» credente pellegrino nella storia.[147] Nutrito dallo Spirito Santo, ilsensus fidei consente alla Chiesa di rendere testimonianza e ai suoi membri di operare incessantemente quel discernimento che devono fare, sia come singoli sia come comunità, per conoscere il modo migliore di vivere, agire e parlare nella fedeltà al Signore. È l’istinto mediante il quale tutti e ciascuno «pensano con la Chiesa»,[148] condividendo un’unica fede e uno stesso disegno. È ciò che unisce i pastori e il popolo e che rende il loro dialogo, fondato sui doni e sulle vocazioni di ciascuno, insieme essenziale e fecondo per la Chiesa.



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