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IL SENSUS FIDEI NELLA VITA DELLA CHIESA

Ultimo Aggiornamento: 20/02/2015 18:56
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20/02/2015 18:49
 
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COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE

COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE


IL SENSUS FIDEI
NELLA VITA DELLA CHIESA

 

 

Nota preliminare

Nel corso dell’ottavo quinquennio, la Commissione teologica internazionale ha condotto uno studio riguardante la natura del sensus fidei e del suo ruolo nella vita della Chiesa. Il lavoro è stato sviluppato in una sottocommissione presieduta da mons. Paul McPartlan e composta dai seguenti membri: p. Serge-Thomas Bonino op (segretario generale), sr. Sara Butler msbt (Ancelle missionarie della Santissima Trinità), p. Antonio Castellano sdb, p. Adelbert Denaux, p. Tomislav Ivanĉić, mons. Jan Liesen, p. Léonard Santedi Kinkupu, prof. Thomas Söding e p. Jerzy Szymik.

Le discussioni generali su questo tema si sono svolte nel corso dei vari incontri della sottocommissione e durante le sessioni plenarie della Commissione stessa che si sono tenute negli anni 2011-2014. Il presente testo, intitolato Il sensus fidei nella vita della Chiesa, è stato approvato in forma specifica dalla maggioranza dei membri della Commissione per mezzo di un voto scritto, ed è stato in seguito sottoposto all’approvazione del suo presidente, card. Gerhard L. Müller, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, il quale ne ha autorizzato la pubblicazione.

Introduzione

1. Per il dono dello Spirito Santo, «lo Spirito della verità che procede dal Padre» e che rende testimonianza al Figlio (Gv 15,26), tutti i battezzati partecipano alla funzione profetica di Gesù Cristo, «Testimone degno di fede e veritiero» (Ap 3,14). Essi devono rendere testimonianza al Vangelo e alla fede degli apostoli nella Chiesa e nel mondo. Lo Spirito Santo dona loro l’unzione e fornisce le doti per questa alta vocazione, conferendo loro una conoscenza molto personale e intima della fede della Chiesa. Nella sua Prima lettera, san Giovanni dice ai fedeli: «Voi avete ricevuto l’unzione dal Santo, e tutti avete la conoscenza»; «l’unzione che avete ricevuto da lui [da Cristo] rimane in voi, e non avete bisogno che qualcuno vi istruisca»; «la sua unzione vi insegna ogni cosa» (1Gv 2,20.27).

2. Ne consegue che i fedeli possiedono un istinto per la verità del Vangelo, che permette loro di riconoscere la dottrina e la prassi cristiane autentiche e di aderirvi. Questo istinto soprannaturale, che ha un legame intrinseco con il dono della fede ricevuto nella comunione ecclesiale, è chiamatosensus fidei, e permette ai cristiani di rispondere alla propria vocazione profetica. Nel suo primoAngelus, papa Francesco citò le parole di un’umile anziana donna che egli incontrò una volta: «Se il Signore non perdonasse tutto, il mondo non esisterebbe»; e il papa aggiunse l’ammirato commento: «Quella è la sapienza che dà lo Spirito Santo».[1] L’intuizione di quella donna è una toccante manifestazione del sensus fidei, il quale consente un certo discernimento riguardo alle cose della fede e al tempo stesso nutre la vera saggezza e suscita la proclamazione della verità, come in questo caso. È dunque chiaro che il sensus fidei rappresenta una risorsa vitale per la nuova evangelizzazione, che è oggi uno dei principali impegni per la Chiesa.[2]

3. Come concetto teologico, il sensus fidei fa riferimento a due realtà distinte, anche se strettamente connesse; il soggetto proprio dell’una è la Chiesa, «colonna e sostegno della verità» (1Tm 3,15),[3]mentre il soggetto dell’altra è il singolo credente, che appartiene alla Chiesa per mezzo dei sacramenti dell’iniziazione e che partecipa alla fede e alla vita ecclesiali particolarmente mediante la celebrazione regolare dell’eucaristia. Da una parte, il sensus fidei fa riferimento alla personale attitudine che il credente possiede, all’interno della comunione ecclesiale, di discernere la verità della fede. Dall’altra, il sensus fidei fa riferimento a una realtà comunitaria ed ecclesiale: l’istinto di fede della Chiesa stessa, per mezzo del quale essa riconosce il suo Signore e proclama la sua Parola. Ilsensus fidei inteso in questo senso si riflette nel fatto che i battezzati convergono nell’adesione vitale a una dottrina di fede o a un elemento della praxis cristiana. Questa convergenza (consensus) riveste un ruolo vitale nella Chiesa: il consensus fidelium è un criterio sicuro per determinare se una particolare dottrina o una prassi particolare appartengono alla fede apostolica.[4] Nel presente documento utilizzeremo il termine sensus fidei fidelis per fare riferimento all’attitudine personale del credente a operare un giusto discernimento in materia di fede, e quello di sensus fidei fidelium per fare riferimento all’istinto di fede della Chiesa stessa. A seconda del contesto, sensus fidei si riferirà all’uno o all’altro senso, e per il secondo si utilizzerà anche il termine sensus fidelium.

4. L’importanza del sensus fidei nella vita della Chiesa è stata fortemente sottolineata dal concilio Vaticano II. Respingendo la distorta rappresentazione di una gerarchia attiva e di un laicato passivo, e in particolare la nozione di una rigorosa separazione fra Chiesa docente (Ecclesia docens) e Chiesa discente (Ecclesia discens), il Concilio ha insegnato che tutti i battezzati partecipano secondo il modo che è loro proprio alle tre funzioni di Cristo profeta, sacerdote e re. Ha in particolare insegnato che Cristo esercita la funzione profetica non soltanto per mezzo della gerarchia, ma anche attraverso il laicato.

5. La recezione e l’applicazione dell’insegnamento del Concilio su questo tema pongono tuttavia numerose questioni, in particolare in relazione alle controversie su diversi punti dottrinali o morali. Cos’è esattamente il sensus fidei, e come lo si può identificare? Quali sono le fonti bibliche di questa idea e qual è la funzione del sensus fidei nella tradizione della fede? Qual è la relazione delsensus fidei con il magistero ecclesiale del papa e dei vescovi, come pure con la teologia?[5] Quali sono le condizioni di un esercizio autentico del sensus fidei? Il sensus fidei è qualcosa di diverso dall’opinione della maggioranza dei fedeli in un dato luogo e in un dato momento? E se sì, come se ne differenzia? Tante domande alle quali è necessario fornire risposte, per comprendere meglio e utilizzare con maggiore fiducia oggi l’idea del sensus fidei nella Chiesa.

6. Il proposito del presente documento non è di rendere conto in maniera esaustiva del sensus fidei, ma semplicemente di chiarire e approfondire alcuni aspetti importanti di questa nozione vitale, al fine di trovare una risposta ad alcune domande, in particolare quelle che si riferiscono all’identificazione del sensus fidei autentico in situazioni controverse, ad esempio qualora esistano tensioni fra l’insegnamento del magistero e punti di vista che pretendono di esprimere il sensus fidei. Di conseguenza, il documento prenderà innanzitutto in considerazione le fonti bibliche dell’idea delsensus fidei e il modo in cui questa idea si è sviluppata e ha operato nella storia e nella tradizione della Chiesa (capitolo primo). Considererà in seguito la natura del sensus fidei fidelis, come pure le sue manifestazioni della vita personale del credente (capitolo secondo). Rifletterà poi sul sensus fidei fidelium, ovvero il sensus fidei nella sua forma ecclesiale, esaminandone in primo luogo il ruolo nello sviluppo della dottrina e della prassi cristiane, poi la sua relazione, rispettivamente, con il magistero e con la teologia, e quindi anche la sua importanza per il dialogo ecumenico (capitolo terzo). Cercherà infine di identificare quali sono le disposizioni necessarie per una partecipazione autentica al sensus fidei – le quali costituiscono dei criteri per un discernimento dell’autenticosensus fidei – e rifletterà su alcune applicazioni delle conclusioni tratte alla vita concreta della Chiesa (capitolo quarto).

I. Il sensus fidei nella Scrittura
e nella Tradizione

7. L’espressione sensus fidei non si trova nelle Scritture né nell’insegnamento formale della Chiesa prima del Vaticano II. Tuttavia, l’idea che la Chiesa considerata nel suo insieme sia infallibile nella fede poiché essa è il corpo di Cristo e la sua sposa (cf. 1Cor 12,27; Ef 4,12; 5,21-32; Ap 21,9), e che tutti i suoi membri possiedano un’unzione che li ammaestra (cf. 1Gv 2,20.27), grazie al dono dello Spirito di verità (cf. Gv 6,13), costituisce una nozione che si rinviene ovunque, fin dagli inizi del cristianesimo. Il presente capitolo seguirà le grandi linee dello sviluppo di questa idea, anzitutto nella Scrittura, e in seguito nella storia della Chiesa.

1. L’insegnamento della Bibbia

a) La fede come risposta alla parola di Dio

8. In tutto il Nuovo Testamento la fede è la risposta fondamentale e decisiva delle persone umane al Vangelo. Gesù proclama il Vangelo per condurre gli uomini alla fede: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino: convertitevi e credete al Vangelo» (Mc 1,15). Paolo ricorda ai primi cristiani il suo annuncio apostolico della morte e della risurrezione di Gesù Cristo per rinnovare e approfondire la loro fede: «Vi proclamo poi, fratelli, il Vangelo che vi ho annunciato e che voi avete ricevuto, nel quale restate saldi e dal quale siete salvati, se lo mantenete come ve l’ho annunciato. A meno che non abbiate creduto invano!» (1Cor 15,1-2). La comprensione della fede nel Nuovo Testamento affonda le radici nell’Antico Testamento, e specialmente nella fede di Abramo, che ebbe una fiducia assoluta nelle promesse di Dio (Gen 15,6; cf. Rm 4,11.17). Questa fede è una libera risposta alla proclamazione della parola di Dio e, in quanto tale, è dono dello Spirito Santo, che deve essere ricevuto da coloro che credono in verità (cf. 1Cor 12,3). L’«obbedienza della fede» (Rm 1,5) risulta dalla grazia di Dio, che libera gli esseri umani e li rende membri della Chiesa (cf. Gal 5,1.13).

9. Il Vangelo suscita la fede poiché esso non è la semplice trasmissione di un’informazione religiosa, ma la proclamazione della parola di Dio e la «potenza di Dio per la salvezza» che deve essere ricevuta in tutta verità (Rm 1,16-17; cf. Mt 11,15; Lc 7,22 [Is 26,19; 29,18; 35,5-6; 61,1-11]). È il Vangelo della grazia di Dio (cf. At 20,24), la «rivelazione del mistero» di Dio (Rm 16,25) e la «parola della verità» (Ef 1,13). Il Vangelo ha un contenuto sostanziale: l’avvento del regno di Dio, la risurrezione e l’esaltazione di Cristo Gesù crocifisso, il mistero della salvezza e della glorificazione di Dio nello Spirito Santo. Il Vangelo ha un soggetto forte, Gesù stesso, il Verbo di Dio, che manda i suoi apostoli e i loro discepoli, e prende direttamente la forma di una proclamazione ispirata e autorizzata in parole e in opere. Ricevere il Vangelo richiede una risposta della persona tutta intera, «con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza» (Mc 12,30). Tale è la risposta della fede, che è «fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede» (Eb 11,1).

10. «“Fede” è sia l’atto di credere o confidare, sia ciò che è creduto o professato; rispettivamentefides qua e fides quæ. Entrambi gli aspetti operano in un’unità inscindibile, poiché la fiducia è adesione a un messaggio con un contenuto intelligibile, e la professione non può essere ridotta a semplici parole prive di contenuto, ma deve venire dal cuore».[6] Sia l’Antico sia il Nuovo Testamento mostrano chiaramente che la forma e il contenuto della fede procedono insieme.

b) Le dimensioni personali ed ecclesiali della fede

11. Le Scritture mostrano che la dimensione personale della fede si integra nella dimensione ecclesiale; vi si trova tanto il singolare quanto il plurale della prima persona: «Noi crediamo» (cf. Gal 2,16) e «Io credo» (cf. Gal 2,19-20). Nelle sue lettere, Paolo riconosce la fede dei credenti come una realtà personale ed ecclesiale al tempo stesso. Insegna che chiunque confessa che «Gesù è il Signore» è sotto l’azione dello Spirito Santo (1Cor 12,3). Lo Spirito introduce ogni credente nel corpo di Cristo e gli affida un ruolo speciale al fine di edificare la Chiesa (cf. 1Cor 12,4-27). Nella Lettera agli Efesini, la confessione del solo e unico Dio è legata alla realtà di una vita di fede nella Chiesa: «Un solo corpo e un solo Spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti» (Ef 4,4-6).

12. Nelle sue dimensioni personale ed ecclesiale, la fede presenta i seguenti aspetti essenziali.

i) La fede richiede il pentimento. Nel messaggio dei profeti d’Israele e di Giovanni Battista (cf. Mc 1,4), come pure nella predicazione della Buona novella da parte di Gesù stesso (cf. Mc 1,14s) e nella missione degli apostoli (cf. At 2,38-42; 1Ts 1,9s), pentirsi significa confessare i propri peccati e iniziare una nuova vita, vissuta nella comunità dell’alleanza di Dio (cf. Rm 12,1s).

ii) La fede si esprime nella preghiera e nell’adorazione (leitourgia), mentre ne viene al tempo stesso nutrita. La preghiera può assumere forme diverse – la domanda, la supplica, la lode, l’azione di grazie – e la confessione della fede è una forma speciale di preghiera. La preghiera liturgica, e in modo preminente la celebrazione dell’eucaristia, è stata fin dai primi tempi essenziale per la vita della comunità cristiana (cf. At 2,42). La preghiera ha luogo sia in pubblico (cf. 1Cor 14) sia in privato (cf. Mt 6,5). Per Gesù, il Padre nostro (cf. Mt 6,9-13; Lc 11,1-4) esprime l’essenza della fede. Esso è «un riassunto di tutto il Vangelo».[7] In modo significativo, il linguaggio che esso impiega è quello del «noi» e del «nostro».

iii) La fede procura la conoscenza. Colui che crede è in grado di riconoscere la verità di Dio (cf. Fil 3,10s). Una tale conoscenza ha la sorgente in una riflessione sull’esperienza di Dio, fondata sulla rivelazione e condivisa nella comunità dei credenti. È la testimonianza della teologia sapienziale sia dell’Antico sia del Nuovo Testamento (Sal 111,10; cf. Pr 1,7; 9,10; Mt 11,27; Lc 10,22).

iv) La fede porta alla confessione (marturia). Ispirati dallo Spirito Santo, i credenti sanno in chi hanno posto la loro fede (cf. 2Tm 1,12), e sono in grado di dare ragione della speranza che è in loro (cf. 1Pt 3,15), grazie alla proclamazione profetica e apostolica del Vangelo (cf. Rm 10,9 s). Essi lo fanno in nome proprio, ma all’interno della comunione dei credenti.

v) La fede implica la fiducia. Confidare in Dio significa fondare tutta la propria vita sulla promessa di Dio. In Eb 11, numerosi credenti dell’Antico Testamento vengono citati come membri di una grande processione che avanza attraverso il tempo e lo spazio verso Dio, nei cieli, guidata da Gesù, «colui che dà origine alla fede e la porta a compimento» (Eb 12,2). I cristiani fanno parte di questa processione, condividendo la medesima speranza e la medesima convinzione (cf. Eb 11,1) e «circondati da tale moltitudine di testimoni» (Eb 12,1).

vi) La fede implica la responsabilità, e specialmente la carità e il servizio (diakonia). I discepoli s riconosceranno «dai loro frutti» (Mt 7,20). I frutti appartengono essenzialmente alla fede, poiché la fede, che proviene dall’ascolto della parola di Dio, richiede l’obbedienza alla sua volontà. La fede che giustifica (cf. Gal 2,16) è «la fede che si rende operosa per mezzo della carità» (Gal 5,6; cf. Gc 2,21-24). L’amore per il fratello o la sorella è di fatto il criterio dell’amore di Dio (cf. 1Gv 4,20).

c) L’attitudine dei credenti a conoscere la verità
e renderle testimonianza

13. In Geremia viene promessa una «nuova alleanza» che comporterà l’interiorizzazione della parola di Dio: «Porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo. Non dovranno più istruirsi l’un l’altro, dicendo: “Conoscete il Signore”, perché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande – oracolo del Signore –, poiché io perdonerò la loro iniquità e non ricorderò più il loro peccato» (Ger 31,33-34). Occorre che il popolo di Dio venga nuovamente creato, e riceva «uno spirito nuovo», per poter essere in grado di conoscere la legge e seguirla (cf. Ez 11,19-20). Questa promessa si compie nel ministero di Gesù e nella vita della Chiesa per dono dello Spirito Santo. Essa si compie in maniera specialissima nella celebrazione dell’eucaristia, ove i fedeli ricevono il calice che è «la nuova alleanza» nel sangue del Signore (Lc 22,20; 1Cor 11,25; cf. Rm 11,27; Eb 8,6-12; 10,14-17).

14. Nel suo discorso d’addio, nel contesto dell’ultima cena, Gesù ha promesso ai suoi discepoli «il Paraclito», lo Spirito di verità (Gv 14,16.26; 15,26; 16,7-14). Lo Spirito ricorderà loro le parole di Gesù (cf. Gv 14,26), li farà capaci di rendere testimonianza alla parola di Dio (cf. Gv 15,26-27), «dimostrerà la colpa del mondo riguardo al peccato, alla giustizia e al giudizio» (Gv 16,8) e «guiderà» i discepoli «a tutta la verità» (Gv 16,13). Tutto questo avviene grazie al dono dello Spirito mediante il mistero pasquale, celebrato nella vita della comunità cristiana, particolarmente nell’eucaristia, fino a quando il Signore verrà (cf. 1Cor 11,26). I discepoli possiedono un senso ispirato della verità sempre attuale della parola di Dio incarnata in Gesù e del suo significato per l’oggi (cf. 2Cor 6,2). È questo che conduce il popolo di Dio, guidato dallo Spirito Santo, a rendere testimonianza della propria fede nella Chiesa e nel mondo.

15. Mosè desiderava che il popolo tutto fosse profeta ricevendo lo Spirito del Signore (cf. Nm 11,29). Questo desiderio divenne una promessa escatologica con il profeta Gioele, e a Pentecoste Pietro annuncia che quella promessa è compiuta: «Avverrà: negli ultimi giorni – dice Dio – su tutti effonderò il mio Spirito; i vostri figli e le vostre figlie profeteranno» (At 2,17, cf. Gl 3,1). Lo Spirito che era stato promesso (cf. At 1,8) è effuso, rendendo i fedeli capaci di «parlare (...) delle grandi opere di Dio» (At 2,11).

16. La prima descrizione della comunità dei credenti a Gerusalemme unisce quatto elementi: «Erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere» (At 2,42). L’assiduità a questi quattro elementi manifesta con potenza la fede apostolica. La fede aderisce all’insegnamento autentico degli apostoli, che ricorda l’insegnamento di Gesù (cf. Lc 1,1-4); attira i credenti a una reciproca comunione; si rinnova nell’incontro con il Signore allo spezzare il pane; si alimenta nella preghiera.

17. Quando all’interno della Chiesa di Gerusalemme sorse un conflitto fra gli ellenisti e gli ebrei a proposito dell’assistenza quotidiana, i dodici apostoli convocarono «il gruppo dei discepoli» e presero una decisione che «piacque a tutto il gruppo». La comunità tutta intera scelse «sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e di sapienza» e li presentò agli apostoli che, dopo aver pregato, imposero loro le mani (At 6,1-6). Quando nella Chiesa di Antiochia sorsero dei problemi a proposito della circoncisione e dell’osservanza della Torah, il caso fu sottoposto al giudizio della Chiesa madre di Gerusalemme. Il concilio apostolico che ne risultò fu della massima importanza per l’avvenire della Chiesa. Luca descrive accuratamente il concatenarsi degli avvenimenti. «Si riunirono gli apostoli e gli anziani per esaminare questo problema» (At 15,6). Pietro raccontò come egli fosse stato ispirato dallo Spirito Santo a battezzare Cornelio e quelli della sua casa, malgrado non fossero circoncisi (cf. At 15,7-11). Paolo e Barnaba raccontarono la loro esperienza missionaria nella Chiesa locale di Antiochia (cf. At 15,12; cf. 15,1-5). Giacomo considerò queste esperienze alla luce delle Scritture (cf. At 15,13-18) e propose una decisione che favoriva l’unità della Chiesa (cf. At 15,19-21). «Agli apostoli e agli anziani, con tutta la Chiesa, parve bene allora di scegliere alcuni di loro e di inviarli ad Antiochia insieme a Paolo e Barnaba» (At 15,22). La lettera che comunicava la decisione fu accolta dalla comunità con la gioia della fede (cf. At 15,23-33). Per Luca, questi avvenimenti manifestano un’azione ecclesiale adeguata, che comporta sia il servizio pastorale degli apostoli e degli anziani, sia la partecipazione della comunità, la quale riceve dalla fede questa attitudine a partecipare.

18. Scrivendo ai Corinzi, Paolo opera un’identificazione tra la follia della croce e la saggezza di Dio (1Cor 1,18-25). Spiegando come si possa comprendere questo paradosso, afferma: «Ora, noi abbiamo il pensiero di Cristo» (1Cor 2,16; «ἡμεῖςδὲνοῦνΧριστοῦἔχομεν»; «nos autem sensum Christi habemus», nella Vulgata). Il «noi» fa qui riferimento alla Chiesa di Corinto in comunione con il suo apostolo, in quanto parte della comunità dei credenti nella sua totalità (cf. 1Cor 1,1-2). L’attitudine a riconoscere il Messia crocifisso come saggezza di Dio è data dallo Spirito Santo; essa non è un privilegio dei sapienti e degli scribi (cf. 1Cor 1,20), ma è donata ai poveri, agli emarginati e a coloro che sono «stolti» agli occhi del mondo (cf. 1Cor 26,29). E anche così, Paolo rimprovera ai Corinzi di essere ancora «carnali», non ancora pronti per un «cibo solido» (1Cor 3,14). La loro fede ha ancora bisogno di maturare e tradursi meglio nelle loro parole e nelle loro opere.

19. Nel suo ministero Paolo dà prova di rispetto per la fede delle sue comunità e desidera che essa si approfondisca. In 2Cor 1,24 egli descrive così la propria missione di apostolo: «Noi non intendiamo fare da padroni sulla vostra fede; siamo invece i collaboratori della vostra gioia, perché nella fede voi siete saldi». E incoraggia i Corinzi: «State saldi nella fede» (1Cor 16,13). Ai Tessalonicesi egli scrive una lettera «per confermarvi ed esortarvi nella vostra fede» (1Ts 3,2) e prega allo stesso modo per la fede di altre comunità (cf. Col 1,9; Ef 1,17-19). Non è soltanto per accrescere la fede altrui che l’Apostolo lavora, poiché sa che per ciò stesso anche la sua si fortifica, in una sorta di dialogo di fede: «Per essere in mezzo a voi confortato mediante la fede che abbiamo in comune, voi e io» (Rm 1,12). La fede della comunità è un punto di riferimento per l’insegnamento di Paolo e una preoccupazione centrale del suo servizio pastorale, che dà luogo a uno scambio fra lui e le sue comunità, a beneficio di entrambi.

20. Nella Prima lettera di Giovanni si cita la Tradizione apostolica (1Gv 1,1-4) e i lettori sono invitati a ricordarsi del proprio battesimo: «Voi avete ricevuto l’unzione dal Santo, e tutti avete la conoscenza» (1Gv 2,20). La lettera prosegue: «E quanto a voi, l’unzione che avete ricevuto da lui rimane in voi e non avete bisogno che qualcuno vi istruisca. Ma, come la sua unzione vi insegna ogni cosa ed è veritiera e non mentisce, così voi rimanete in lui come essa vi ha istruito» (1Gv 2,27).

21. Infine, nel libro dell’Apocalisse, Giovanni il profeta ripete in tutte le sue lettere alle Chiese (cf. Ap 2-3): «Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese» (Ap 2,7 e altri). Si comanda ai membri delle Chiese di prestare attenzione alla parola vivente dello Spirito, di riceverla e di rendere gloria a Dio. È per l’obbedienza della fede, essa stessa un dono dello Spirito, che i fedeli sono in grado di riconoscere l’insegnamento che ricevono come autentico insegnamento del medesimo Spirito e di rispondere alle istruzioni che sono loro date.

2. Lo sviluppo dell’idea e il suo ruolo
nella storia della Chiesa

22. Il concetto di sensus fidelium cominciò a essere elaborato e utilizzato in modo più sistematico al momento della Riforma, anche se il ruolo decisivo del consensus fidelium nel discernimento e nello sviluppo della dottrina in materia di fede e di morale era già stato riconosciuto durante i periodi patristico e medievale. Occorreva tuttavia prestare maggiore attenzione al ruolo specifico dei laici a questo riguardo. La cosa avvenne in particolare a partire dal XIX secolo.

a) Il periodo patristico

23. I Padri e i teologi dei primi secoli ritenevano che la fede della Chiesa tutta intera fosse un punto di riferimento sicuro per discernere il contenuto della Tradizione apostolica. Il loro convincimento riguardo alla solidità e anche all’infallibilità del discernimento della Chiesa nel suo insieme in materia di fede e di morale si esprimeva in un contesto di controversie. Essi rifiutarono le novità pericolose introdotte dagli eretici ponendole a confronto con ciò che si riteneva e si faceva in tutte le Chiese.[8]Per Tertulliano (c. 160-c. 225), il fatto che tutte le Chiese hanno sostanzialmente la medesima fede attesta la presenza di Cristo e la guida dello Spirito Santo. Errano quanti abbandonano la fede della Chiesa intera.[9] Per Agostino (354-430) tutta la Chiesa, «dai vescovi agli ultimi fedeli», rende testimonianza alla verità.[10] Il generale consenso dei cristiani assume il ruolo di norma sicura per determinare la fede apostolica: «Securus judicat orbis terrarum [il giudizio del mondo intero è sicuro]».[11] Giovanni Cassiano (c. 360-435) riteneva che il consenso universale dei fedeli costituisse un argomento sufficiente per confutare gli eretici,[12] e Vincenzo di Lérins (morto verso il 445) propose come normativa la fede osservata ovunque, sempre e da tutti (quod ubique, quod semper, quod ab omnibus creditum est).[13]

24. Per risolvere le controversie fra i fedeli i padri della Chiesa fecero appello non soltanto al credere comune, ma anche alla tradizione costante della prassi. Girolamo (c. 345-420), ad esempio, giustificava la venerazione delle reliquie mettendo in evidenza la prassi dei vescovi e dei fedeli,[14] ed Epifanio (c. 315-403), per difendere la perpetua verginità di Maria, domandava se qualcuno avesse mai avuto l’audacia di pronunciare il suo nome senza aggiungervi «la Vergine».[15]

25. Il periodo patristico attesta principalmente la testimonianza resa dal popolo di Dio nel suo insieme, qualcosa che possiede un certo carattere oggettivo. Il popolo credente considerato come un tutto non può errare in materia di fede, si sosteneva, poiché ha ricevuto un’unzione da Cristo, lo Spirito Santo che gli era stato promesso e che gli fornisce le doti per discernere la verità. Alcuni padri della Chiesa hanno anche riflettuto sulla capacità soggettiva dei cristiani, animati dalla fede e nei quali abita lo Spirito Santo, di conservare la vera dottrina nella Chiesa e di rigettare l’errore. Agostino, ad esempio, metteva in evidenza questo punto quando affermava che Cristo, «il Maestro interiore», rende capaci anche i laici, come i loro pastori, non soltanto di ricevere la verità della rivelazione, ma anche di approvarla e di trasmetterla.[16]



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